Il calendario del 23 Giugno

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 79 - Roma: Tito succede a Vespasiano come Imperatore romano

▪ 1713 - Ai residenti francesi di Acadia viene dato un anno per decidere se dichiarare fedeltà al Regno Unito o lasciare la Nuova Scozia (Canada)

▪ 1796 - Armistizio di Bologna fra il Papato (pontefice Pio VI) e la Francia nella persona del generale Napoleone Bonaparte

▪ 1858 - Rapimento di Edgardo Mortara
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▪ 1865 - Guerra di secessione americana: si arrende l'ultimo Generale confederato, il Cherokee Stand Watie

▪ 1894 - Il Comitato Olimpico Internazionale viene costituito alla Sorbona (Parigi) su iniziativa del Barone Pierre de Coubertin

▪ 1969 - Esce il primo numero del quotidiano il Manifesto

▪ 1980 - Ili sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Mario Amato, viene assassinato dai Nuclei Armati Rivoluzionari per mano di Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini a causa delle indagini espletate nell'ambito dell'inchiesta sull'eversione neofascista nella città.

▪ 1993 - Lorena Bobbitt evira il marito con un coltello da cucina

▪ 1993 - A Losanna (Svizzera), sede del CIO, viene inaugurato il Museo Olimpico

▪ 1994 - La Repubblica Sudafricana, dopo aver abolito le leggi sull'Apartheid, viene riammessa all'Assemblea delle Nazioni Unite

▪ 2003 - Viene ufficialmente aperta al pubblico Quintiliani (metropolitana di Roma).

Anniversari

▪ 79 - Tito Flavio Vespasiano (in latino: Titus Flavius Vespasianus; Cittareale, 17 novembre 9 – Roma, 23 giugno 79) meglio conosciuto come Vespasiano, fu un imperatore romano, che governò fra il 69 e il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto (in latino: Caesar Vespasianus Augustus). Fondatore della dinastia flavia, fu il quarto a salire al trono nel 69 (l'anno dei quattro imperatori) ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone.

▪ 840 - Ludovico I, detto Ludovico il Pio o Luigi I (Casseuil-sur-Garonne, 16 aprile 778 – Ingelheim am Rhein, 23 giugno 840), fu re dei Franchi e imperatore dell'Impero carolingio dal 814 all'840.
Il suo nome in francese è Louis le Pieux o Louis le Débonnaire (il Benevolo), in tedesco è Ludwig der Fromme.

▪ 1860 - Giuseppe Cafasso (Castelnuovo d'Asti, 15 gennaio 1811 – Torino, 23 giugno 1860) è stato un presbitero italiano. È stato canonizzato da papa Pio XII nel 1947.
Giuseppe Cafasso nacque a Castelnuovo d'Asti, ora Castelnuovo Don Bosco, da una famiglia contadina modesta e profondamente religiosa, nel 1811 (quattro anni prima di Giovanni Bosco) e frequentò le scuole pubbliche del suo paese prima di frequentare il seminario di Chieri.
Difficile era prevedere un futuro di oratore: a scuola andava abbastanza male, ed inoltre il suo parlare era sommesso, ma divenne prete a 22 anni ed entrò nel Convitto ecclesiastico torinese del teologo Luigi Guala, dove i neo-sacerdoti potevano approfondire le loro conoscenze. Entrato come allievo, Cafasso vi rimase prima come insegnante, poi come direttore spirituale ed infine come rettore.
Nonostante la mancanza di una voce tonante venne chiamato a predicare. Il suo aspetto era gracile, la sua colonna vertebrale deviata lo faceva apparire gobbo.
Divenne amico di Bosco e lo consigliò, indirizzandolo ad aiutare i ragazzi poveri di Torino.
Alcuni notabili gli proposero anche di candidarsi alla Camera; ma don Cafasso rinunciò rispondendo «Nel Dì del Giudizio il Signore mi chiederà se avrò fatto il buon prete, non il buon avvocato».
Era popolare a Torino in particolare per l'aiuto offerto ai carcerati, anche col supporto morale alle loro famiglie. Venne definito «il prete della forca» perché spesso si presentava alle esecuzioni capitali seguendo il condannato a morte fino al patibolo per abbracciarlo e farlo sentire amato.
Morì il 23 giugno 1860 a Torino. Beatificato nel 1925, venne canonizzato da papa Pio XII nel 1947 e proclamato patrono dei carcerati e dei condannati a morte.

▪ 1959
- Cesare Maria De Vecchi, Conte di Val Cismon (Casale Monferrato, 14 novembre 1884 – Roma, 23 giugno 1959) è stato un generale e politico italiano.
Laureato in giurisprudenza (1906), e successivamente anche in Lettere e Filosofia (1908), fu un avvocato di successo a Torino e partecipò alla vita culturale della città essendo, per esempio, per ben due volte segretario della Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Riguardo la prima guerra mondiale non fu interventista. Prese parte a tutta la guerra fin dal primo giorno essendo già sotto le armi allo scoppio della guerra stessa ed al suo ritorno dal fronte aderì al movimento fascista, di cui rappresentò sempre il volto monarchico e "moderato"[senza fonte]. Presidente degli ex-combattenti torinesi, il 15 maggio 1921 venne eletto deputato nel collegio di Torino; aderì al gruppo fascista di cui fu nominato vice segretario senior, essendone presidente Mussolini e vice segretario junior Costanzo Ciano.
Comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel 1923, partecipò da quadrumviro alla marcia su Roma, anche se non approvò questa scelta. Egli rappresentò all'interno del movimento fascista l'ala di tendenza monarchica e legittimista. Fu sostenitore di un governo Salandra con la partecipazione dei fascisti. Sottosegretario all'Assistenza militare e Pensioni di guerra e poi nel 1923 al Tesoro.
Dal 21 maggio 1923 al maggio 1928 fu governatore della Somalia Italiana, una carica che lo allontanò dalla scena politica nazionale. Successivamente ottenne il titolo di conte di Val Cismon (in ricordo del combattimento da lui sostenuto insieme a quattro suoi bombardieri al Ponte di Corlo nella Val Cismon nell'ottobre del 1918). Giunto in Somalia Italiana, De Vecchi, trovò soltanto una parte del paese sotto il controllo del governo coloniale italiano, ed in base ad una legge del governo italiano provvide a portare sotto il controllo diretto anche i territori dei sultanati di Migiurtinia e di Obbia che erano fino ad allora protettorati. Nel 1925 fu nominato senatore dopo un primo tentativo andato a vuoto nel 1924. Dal giugno del 1929 fu il primo ambasciatore presso il Vaticano dopo il Concordato, carica che mantenne fino al gennaio del 1935.
Ebbe anche importanti incarichi quale commissario agli archivi di Stato nel 1934 e dalla quale si dimise perché divenuto ministro dell'Educazione Nazionale (24 gennaio 1935-15 novembre 1936).
Fu anche presidente della giunta centrale per gli studi storici e della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento e fu il fautore di una ipotesi storica che faceva iniziare il Risorgimento con l'assedio di Torino del 1706 e dava particolare importanza alla casa di Savoia in questo movimento politico. Durante la sua carriera politica ricoprì anche l'incarico di membro della commissione per l'esame dei Patti Lateranensi (16 maggio 1929), membro della commissione per il giudizio dell'Alta Corte di Giustizia (27 dicembre 1929-19 gennaio 1934), (1º maggio 1934-24 gennaio 1935. Decaduto), membro della commissione consultiva per la determinazione degli enti che possono proporre candidati alle elezioni politiche (7 dicembre 1932), membro della commissione per la verifica dei titoli dei nuovi senatori (22 marzo 1933-19 gennaio 1934), membro della commissione per l'esame del disegno di legge "Costituzione e funzioni delle Corporazioni" (8 gennaio 1934), presidente della commissione per la verifica dei titoli dei nuovi senatori (30 aprile 1934-24 gennaio 1935. Decaduto), membro della commissione per il regolamento interno (1º maggio 1934-24 gennaio 1935. Decaduto), membro della commissione delle Forze Armate (17 aprile 1939-5 agosto 1943).
Nel novembre del 1936 si recò in visita a Rodi, per assistere ad alcune inaugurazioni, al suo ritornò avanzò a Mussolini la richiesta di assumere il governatorato dell'Egeo. Il Duce approvò la richiesta, e De Vecchi divenne "Governatore del Possedimento Italiano delle Isole dell'Egeo", fino al 27 novembre 1940. La motivazione di questo nuovo incarico fuori dall'Italia fu determinata dagli scontri che il De Vecchi ebbe con Starace e Farinacci e pertanto dalla inimicizia del partito nei suoi confronti. Ma anche, come annotò Galeazzo Ciano, dalla necessità di "allontanare l'uomo dall'Italia pur affidandogli una carica prestigiosa".
Il 15 agosto 1940, ben prima della dichiarazione ufficiale italiana di guerra alla Grecia (28 ottobre 1940), il sommergibile italiano "Delfino", silurò presso l'isola di Tinos, un vecchio incrociatore leggero greco, l'"Helli", che partecipava in rappresentanza del Governo greco ad una festività. Tutto ciò avvenne su ordine preciso e documentato di Mussolini trasmesso con lettera autografa dall'ammiraglio Cavagnari, Sottosegretario alla Marina Militare. Ebbe numerosi attriti con gli stati maggiori e anche con Badoglio allora capo di stato maggiore generale a causa degli scarsi rifornimenti che venivano mandati alle isole e al suo assoluto dissenso della guerra alla Grecia.
Nel dicembre del 1940 al suo rientro in Italia, De Vecchi non ebbe più alcun incarico ufficiale sino al luglio del 1943 e rimase solo membro del Gran Consiglio come era dalla sua fondazione. Il 24 luglio del 1943 quando, convocato per la seduta del "Gran Consiglio del Fascismo", votò in favore dell'ordine del giorno Grandi, che esautorava Benito Mussolini dal suo ruolo di comandante delle Forze Armate e assunse il comando della 215 divisione costiera in Toscana. Per questo, dopo la liberazione di Benito Mussolini e la costituzione della R.S.I., fu condannato a morte in contumacia durante il processo di Verona. De Vecchi si salvò anche grazie alla protezione dei salesiani che lo tennero nascosto in Italia. Procuratosi un passaporto paraguayano, si trasferì nel giugno 1947 in Argentina.
Oltre alle cariche istituzionali, ricoprì anche quella di presidente dell'Istituto per la storia del Risorgimento (agosto 1933), fu anche socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (6 maggio 1935-4 gennaio 1946), nonché presidente della Cassa di risparmio di Torino. Ritornò in Italia solo nel giugno 1949, a seguito dopo che la Cassazione aveva "cassato" senza rinvio la sentenza della corte d'appello di Roma II Sezione Speciale nella quale è condannato ad anni 5 di reclusione, condonati, per aver promosso e diretto la marcia su Roma, con le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art.7 lett.b DLL 27-7-44 n.159.

Carriera militare e onorificenze
Importante anche la sua carriera militare, partecipò ad entrambe le guerre mondiali, distinguendosi in entrambe per il suo coraggio. Durante la Grande Guerra fu capitano di artiglieria durante la seconda guerra mondiale arrivò al grado di generale di brigata. Conquistò sul campo tre volte la medaglia d'argento e due volte quella di bronzo al valor militare.
Tante le onorificenze riconosciutegli in vita, tra queste: Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia 11 giugno 1922, Grande cordone dell'Ordine della Corona d'Italia 18 novembre 1923, Commendatore dell'Ordine dei santi Maurizio e Lazzaro 17 dicembre 1922, Grande cordone dell'Ordine dei S.S. Maurizio e Lazzaro 24 giugno 1929, Cavaliere dell'Ordine militare di Savoia, medaglia di bronzo al valor Civile, Ordine dello Speron d'Oro Grande ufficiale dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia.

- Arturo Labriola (Napoli, 22 gennaio 1873 – 23 giugno 1959) è stato un politico ed economista italiano.
Laureato in giurisprudenza, militò sin dal 1895 tra le file del socialismo napoletano. Condannato per la sua partecipazione ai moti del 1898, dovette espatriare per evitare l'arresto, dapprima in Svizzera (dove prese contatto con Maffeo Pantaleoni e Vilfredo Pareto), poi in Francia. In esilio conobbe le idee di Georges Sorel che in seguito sostenne sul suo giornale.
All'inizio del 1900 rientrò in Italia e avviò assieme alla sezione napoletana la battaglia contro la politica di apertura liberale della direzione socialista di Filippo Turati. Alla fine del 1902 lasciò Napoli e fondò a Milano, assieme a Walter Mocchi, il giornale "Avanguardia socialista" diventando il principale esponente della corrente rivoluzionaria, indi sindacalista rivoluzionaria, in seno al partito socialista. Fu con-direttore, con Angelo Oliviero Olivetti, della rivista sindacalista rivoluzionaria "Pagine Libere", edita a Lugano dal 1906 al 1911. Tornato a Napoli dove insegnava come libero docente, non approvò la scissione sindacalista dal partito socialista, decisa a Ferrara nel 1907, perché giudicata prematura. Fu, nel 1911, favorevole all'intervento dell'Italia in Libia, ma finì col criticare il modo di fare la guerra.
Staccatosi dal sindacalismo rivoluzionario, nel 1913 entrò in parlamento come socialista indipendente. Nel 1915 fu favorevole all'intervento dell'Italia nella Prima guerra mondiale. Nel 1917 effettuò un viaggio in Russia per incitare a proseguire la guerra. Nel 1918 fu pro-sindaco di Napoli (non poteva essere sindaco per incompatibilità con la carica di deputato). Eletto deputato sulle liste dell'Unione Socialista Italiana, dal 1920 al 1921 fu ministro del Lavoro nell'ultimo gabinetto Giolitti. Negli anni venti collaborò a "Quarto Stato".
Dichiaratamente massone, Labriola ricoprì la carica di Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia tra il 23 giugno 1930 ed il 29 novembre 1931.
In esilio in Francia a causa del fascismo, tornò in Italia nel dicembre del 1935 in occasione della guerra etiopica, per la quale si era mostrato apertamente favorevole, e da quel momento si avvicinò al fascismo inviando una lettera di adulazione a Mussolini proprio durante la guerra di Etiopia: "Mi permetta di assicurare Vostra Eccellenza dei miei sentimenti di piena solidarietà".
Dal 1936 al 1943 fu un collaboratore del mensile di Nicola Bombacci "La Verità", rivista politica allineata sulle posizioni del socialismo nazionale, nonché vicina alla frangia rivoluzionaria e di sinistra del regime fascista. Nel 1946 fu eletto all'Assemblea costituente, in seguito senatore nel 1948.

Pensiero
Pubblicò molti libri di politica, di storia e di economia. Fu agli inizi ispirato dalle teorie di Marx che difese in un primo tempo nell'ambito del dibattito sulla crisi del marxismo, alla fine degli anni 1890. Sotto l'influsso delle teorie economiche marginaliste (Pareto, Pantaleoni), aderì quindi al revisionismo marxista: rimproverò in particolare al marxismo il finalismo hegeliano e la teoria della catastrofe finale. Ma rimase pure critico nei confronti del pensiero liberale, di cui criticava l'eccessivo psicologismo edonista. In economia finì coll'approdare ad una sorta di neo-ricardismo.
Tra il 1904 e il 1908 teorizzò il sindacalismo rivoluzionario, e cioè l'idea che la maturazione politica delle masse potesse farsi tramite l'azione diretta dei sindacati che, progressivamente, avrebbero dovuto avvalersi di tutte le funzioni riservate fino allora al partito socialista. La pratica dello sciopero e l'uso ragionato della violenza avrebbero dovuto sfociare nello sciopero generale risolutivo, sostitutivo del colpo di mano rivoluzionario.
Allontanatosi a partire dal 1911 dal sindacalismo rivoluzionario, ma rimasto socialista, scrisse negli anni fra le due guerre libri in cui l'idea di popolo e di comunità coesa intendeva superare lo schema marxiano delle classi sociali e dell'antagonismo, dato che l'imprenditoria industriale contribuiva operosamente alla produzione, anche accumulando capitali per l'innovazione, ed era danneggiata anch'essa dalle speculazioni di cartello e dallo sfruttamento della manodopera da parte delle nascenti entità finanziarie. Rispetto a quella che sarebbe diventata negli anni trenta l'ortodossia socialista, Arturo Labriola poneva al centro del problema capitalistico i meccanismi della formazione del Grande Capitale e la speculazione finanziaria, le concentrazioni industriali e geopolitiche, l'abbassamento drastico delle tutele e la disgregazione dei gruppi etnici.

50° Anniversario della Morte
Il 3 dicembre 2009, in occasione del 50º anniversario della sua scomparsa, il Liceo Scientifico Arturo Labriola di Napoli ha organizzato una giornata dedicata alla sua memoria, alla quale ha preso parte anche il primo cittadino Russo Jervolino.
In seguito a questa iniziativa la Presidenza della Repubblica si è congratulata con l'istituto attraverso una missiva del Segretario Generale Donato Marra, allegata alla quale è stata conferita alla scuola una Medaglia Presidenziale.

* 1980 - Mario Amato (Palermo, 24 novembre 1937 – Roma, 23 giugno 1980) è stato un magistrato italiano. Mentre occupava il ruolo di sostituto procuratore della Repubblica di Roma venne assassinato dai Nuclei Armati Rivoluzionari per mano di Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini a causa delle indagini espletate nell'ambito dell'inchiesta sull'eversione neofascista nella città.

La carriera e le indagini sull'eversione nera
Dopo essere stato Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Rovereto dal settembre del 1971 all'estate del 1977, il 30 giugno 1977 Mario Amato venne trasferito con la stessa qualifica presso la Procura di Roma.
Venne incaricato dal Procuratore Generale Giovanni de Matteo di riprendere le indagini avviate dal magistrato Vittorio Occorsio, che era stato ucciso mentre indagava sul gruppo di destra eversiva dei NAR e sul neofascista Pierluigi Concutelli, che fu poi dimostrato lo aveva assassinato. Amato ebbe allora la promessa (mai mantenuta) di essere affiancato da uno o due altri colleghi.[1]
Con Vittorio Occorsio, Mario Amato fu il primo magistrato a tentare una "lettura globale" del terrorismo nero. Attraverso i parziali successi delle indagini su singoli episodi terroristici disse davanti al Consiglio Superiore della Magistratura solo 10 giorni prima di essere ucciso:
«sto arrivando alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi.»
Amato riuscì a ricostruire le connessioni tra destra eversiva e Banda della Magliana[2] e intuì i legami tra sottobosco finanziario, economico e potere pubblico. Aveva scoperto, tra l'altro, che i NAR cercavano un'alleanza con gli estremisti di sinistra (come auspicato da anni da Franco Freda, il teorico dell'alleanza tattica con il terrorismo di opposto colore e a quel tempo sotto processo per la strage di Piazza Fontana), e che il gruppo facente capo a Fioravanti era organizzato alla stregua delle Brigate Rosse e stava diventando estremamente pericoloso.
Venne però lasciato solo a svolgere queste indagini, isolato dai suoi superiori e oggetto di continui attacchi da parte del collega giudice Antonio Alibrandi (padre del terrorista dei NAR Alessandro e fedelissimo di Giusva Fioravanti).
In una Procura della Repubblica che sarà poi chiamata spesso dalla stampa, riprendendo il titolo di un'opera di Georges Simenon, Il porto delle nebbie[3], Amato era destinato ad entrare presto così nel mirino della destra eversiva e terroristica.

L'omicidio
Il «terrorismo nero» fu da lui perciò indagato nella più sconsolante solitudine e solo rimase fino alla mattinata del 23 giugno 1980 poche settimane prima della Strage di Bologna.
Ricevuto un diniego per l'uso di una vettura blindata, per le "difficoltà" di fargli arrivare alle 8,00 del mattino uno degli autisti (che entravano in servizio solo alle 9,00), Mario Amato non ebbe modo di giungere in sicurezza nel suo ufficio alla Procura, in Piazzale Clodio. Mentre attendeva un autobus il sostituto procuratore fu raggiunto alle spalle da Gilberto Cavallini che gli esplose alla nuca un colpo di rivoltella fatale, per poi fuggire con una motocicletta che lo aspettava, alla cui guida era l'altro NAR Luigi Ciavardini.[4]
Alla notizia dell'avvenuto assassinio, i pluriomicidi Giusva Fioravanti e Francesca Mambro festeggiarono, secondo le loro stesse dichiarazioni, consumando ostriche e brindando con champagne[5]. Stilarono poi il volantino di rivendicazione in cui affermavano: «oggi Amato ha chiuso la sua squallida esistenza, imbottito di piombo».
Nel 1981 gli viene intitolata in segno di omaggio l'aula delle udienze penali del Tribunale di Rovereto.

Note
1. 'SIGNORELLI ISTIGO' I KILLER' — Repubblica — 03 luglio 1988 pagina 15 sezione: CRONACA
2. Alla quale ad esempio giunsero bombe a mano, costruite dalla Società Romana di Costruzione Meccaniche (modello SRCM 35), trafugate precedentemente da Giuseppe Valerio Fioravanti dalla caserma di Tauriano di Spilimbergo, presso Pordenone, dove Fioravanti aveva prestato servizio militare.
3. IL 'PORTO DELLE NEBBIE' TRA CRIMINI E MISFATTI Repubblica — 20 marzo 1997 pagina 4 sezione: CRONACA ROMA
4. Un significativo particolare fu messo in risalto dalla televisione che, giunta sul posto dell'omicidio, ne inquadrò il cadavere, pietosamente coperto da un lenzuolo. Una scarpa del magistrato era infatti sfondata, a dimostrazione di uno stile di vita semplice e schivo, lontano dai clamori e dalla luce della ribalta mediatica, coerente col fatto che Mario Amato si stesse recando al lavoro a Piazzale Clodio con un autobus. L'auto blindata che egli aveva peraltro richiesto, gli fu negata con la burocratica giustificazione che gli autisti non sarebbero stati disponibili se non a partire dalle ore 9, laddove Amato aveva intenzione di mettersi al lavoro al Tribunale di Roma già dalle 8 del mattino. Dopo il suo omicidio al Tribunale vennero assegnate trecento vetture blindate e il Procuratore Generale Giovanni de Matteo, che lo aveva lasciato di fatto solo nel suo lavoro d'indagine, fu inquisito dal Consiglio Superiore della Magistratura che trasferì ad altro incarico presso la Corte di Cassazione, finendo popi con l'essere definitivamente assolto in seguito dal tribunale di Perugia.
5. ALLA SBARRA I KILLER DI AMATO Repubblica — 07 gennaio 1986 pagina 17 sezione: CRONACA.

▪ 1996 - Andreas Papandreou (Chios, 5 febbraio 1919 – Atene, 23 giugno 1996) è stato un economista e politico greco, primo ministro per 2 volte: dall'ottobre 1981 al luglio 1989 e dal 1993 al 1996.

Gli anni giovanili e l'esilio americano
Figlio di Sofia Myneko e di Giorgio Papandreou, anch'egli leader politico soprannominato dal popolo il "Vecchio della democrazia", si stabilì a Atene nel 1923 con la famiglia. Nel 1937 si iscrisse all'Università di Atene simpatizzando con gruppi della sinistra: fu arrestato per la prima volta accusato di resistenza durante la dittatura di Ioannis Metaxas. Nel 1941, al terzo anno di studi all'Università fu nuovamente arrestato ed espulso. Si trasferì negli Stati Uniti e si iscrisse alla facoltà di scienze politiche dell'Università Harvard. Dopo la laurea gli fu assegnato un posto di assistente presso la stessa Università.
Nel 1944 acquisì la cittadinanza statunitense e prestò servizio militare presso la marina militare di quel Paese. Nel 1947 divenne professore ausiliario presso l'Università del Minnesota, della UCLA California. Nel 1951 sposò in seconde nozze Margareth Chant da cui ebbe 3 figli: Giorgio, Andrikos e Nikos, ed una figlia Sofia, in seguito sposatasi con il deputato socialista Katsanevas.

Il ritorno in Patria e l'esilio in Svezia
Nel 1959 Andreas Papandreou fece ritorno in Grecia, dove mosse i suoi primi passi nel campo politico. Divenne consulente della banca di Grecia e direttore generale del Centro di ricerche economiche di Atene.
Nel 1963 suo padre Giorgio Papandreou, leader del partito Unione di centro fu nominato Primo ministro e chiamò il figlio Andrea a suo consulente. Nel 1964 rinunciò alla cittadinanza statunitense e fu eletto deputato al Parlamento greco.
Fu nominato vice primo ministro e come tale si sforzò di ridurre l'influenza americana nel proprio Paese. Soprattutto cercò di ridurre il ruolo dei servizi segreti greci (Ethniki Ypiresia Pliroforion o EYP, Servizio Greco di Informazione) colpevoli ai suoi occhi di collaborare troppo da vicino con la CIA. Quando 3 anni più tardi fu instaurata la dittatura dei colonnelli, Andreas Papandreou fu espulso dalla Grecia.
Dal suo esilio a Stoccolma fondò il Movimento Panellenico di Liberazione (PAK). Assunse decisamente toni antiamericani accusando ripetutamente la CIA di essere stata promotrice della dittatura in Grecia.

Fondazione del PaSoK e la vittoria alle elezioni del 1981
Nel 1974, dopo la caduta della giunta militare e il ristabilirsi della democrazia, fece ritorno in Grecia dove fondò un nuovo partito di stampo socialista, il PaSoK (Movimento Socialista Panellenico) assumendone la carica di presidente. Alle prime elezioni libere, la nuova formazione politica raccolse appena il 13% dei consensi ma allo scrutinio successivo la percentuale era salita al 25%.
Nel 1981, con il 48%, il PaSoK ottenne una schiacciante maggioranza sul partito conservatore di destra Nea Dimokratia (Nuova Democrazia) ed Andreas Papandreou divenne primo ministro formando il primo governo socialista nella storia della Grecia.
Contrariamente a quanto aveva promesso nella sua campagna elettorale, non riuscì a far smantellare le basi NATO e la Grecia rimase nella CEE. Ci fu in questo periodo un problema politico con la Turchia, che avrebbe voluto fare ricerche geologiche nel mar greco con il proprio battello "Sismik". Probabilmente la CIA avvertì Papandreou che la Turchia aveva intenzione di entrare nelle acque nazionali, cosicché il premier diede ordine di sorvegliare militarmente le acque territoriali greche.
I toni violenti antiturchi poi calarono e il governo si accontentò di promuovere riforme sociali, attingendo generosamente alle non pingui casse dello Stato e la Dracma greca fu svalutata per ben due volte negli anni successivi. Per questa sua politica Papandreou fu aspramente criticato da vari economisti. Nel 1985 riuscì a farsi rieleggere ma il suo declino fisico e politico era alle porte.

Il declino e il divorzio
Andrea Papandreou soffriva di una malattia cardiaca per cui fu costretto nel 1988 a sottoporsi a una triplice operazione di bypass coronarico a Londra. Nonostante le sue precarie condizioni di salute, aveva deciso di divorziare dalla moglie Margareth perché si era invaghito di una hostess dell'Olympic Airlines, tale Dimitra Liani, di 36 anni più giovane, conosciuta in aereo durante uno dei suoi viaggi. Dimitra era la giovane figlia di un alto ufficiale dell'esercito greco.

Lo scandalo Koskotas
Mentre Papandreou era ricoverato a Londra, il suo nome veniva implicato in uno scandalo di grosse proporzioni, passato poi agli annali come "l'affare Koskotàs", dal nome del finanziere coinvolto. Costui proveniva da una povera famiglia costretta ad emigrare negli Stati Uniti, ma rimpatriata appena 10 anni dopo con dovizia di mezzi.
In Grecia aveva trovato impiego presso la Banca di Creta, riuscendo in pochi anni a diventarne consigliere d'amministrazione. Nel novembre del 1987 aveva acquisito la famosa squadra di calcio dell'Olympiakos e, da un giorno all'altro, aveva fondato la casa editrice Grammi, che pubblicava diversi quotidiani tra cui ne spiccava uno apertamente filosocialista, il 24 ore.
La stampa, sentendosi minacciata, reagì in modo compatto. Le ostilità furono proclamate dal quotidiano Ethnos nelle cui pagine apparve un articolo dal titolo chiaro: Koskotas il mafioso; l'editore Giorgio Mpompolas fu però costretto dal tribunale al risarcimento dei danni. Seguirono altre pubblicazioni sempre su organi di stampa filogovernativi come Ta Nea, To Vima in cui si ammiccava timidamente a possibili coinvolgimenti di esponenti del governo nella faccenda.
I toni dalle pagine dei quotidiani si fecero sempre più accesi, ma toccò al giornale Eleftherotypia sferrare il colpo di grazia. In un articolo dal titolo "Lettera aperta ad Andreas Papandreou" firmato da Christos Tegopoulos, editore e proprietario del quotidiano, venivano rivelate chiaramente le responsabilità del premier. In seguito alla pubblicazione la magistratura fu costretta ad intervenire.
Koskotas, anziché presentarsi agli inquirenti, preferì fuggire in Brasile con un aereo privato prestatogli dall'amico Saliarelis e da qui riparare negli Stati Uniti dove fu però arrestato e detenuto nel carcere di Salem (Massachussets).
Dalla prigione egli dichiarò agli inquirenti che era stato lo stesso Andreas Papandreou a esporgli il suo progetto di fondare un nuovo giornale che avrebbe dovuto sostenerlo nelle successive elezioni. A suo dire il premier era stufo della tutela dei media greci, che costituivano per lui una sorta di cappio al collo, e desiderava liberarsene.
Dichiarò ancora che il premier aveva obbligato le aziende di Stato a trasferire i propri fondi presso la banca di Creta a tassi più svantaggiosi di quelli di mercato. Dalla speculazione sulla differenza dei tassi si ricavavano i proventi per il nuovo progetto editoriale. Dal carcere, Koskotas concesse numerose interviste alla rivista Time confermando l'articolo di Tegopoulos in più punti e aggiungendo di volta in volta particolari grotteschi su come il danaro, dai forzieri della sua banca, passasse nelle mani di esponenti del partito socialista.

Le elezioni del 1989, il processo e l'assoluzione
Lo scandalo influenzò lo scrutinio del 1989, nel quale nessuno dei due maggiori partiti rivali riuscì ad ottenere la maggioranza assoluta.
Ne derivò una situazione di stallo destinata a durare fino all'aprile del 1990, quando il Partito di Nea Dimokratia vinse le elezioni e Costantino Mitsotakis fu nominato primo ministro. Nel 1989 il Parlamento greco, dominato da una alleanza del partito conservatore con una lega di sinistra, diede via libera alla magistratura di procedere contro l'ex premier Papandreou e altri ministri socialisti indagati nell'affare Koskotas per appropriazione indebita di 200 milioni di dollari.
Il Tribunale speciale prese avvio l'11 marzo 1991 e vide momenti drammatici quando l'ex vice premier Menios Koutsoiorgas fu colto da infarto in aula durante la sua apologia. Morì una settimana più tardi.
Andreas Papandreou rifiutò sempre di presentarsi in aula, sostenendo che il tutto era frutto di una congiura ordita a suo danno dal partito conservatore di Nuova Democrazia. Il Tribunale Speciale chiuse le sue sessioni il 16 gennaio 1992, assolvendo Papandreou da ogni responsabilità. Ciò fu reso possibile grazie alle deposizioni degli editori dei maggiori quotidiani che, chiamati a testimoniare, ritrattarono ogni precedente accusa contro il Premier apparsa in passato nelle pagine dei loro giornali.

L'ultimo incarico e la morte
Il 9 settembre 1993 il premier conservatore Costantino Mitsotakis fu costretto a dimettersi essendogli venuta meno in parlamento la fragile maggioranza su cui si sosteneva il suo governo. Le elezioni di aprile videro la vittoria del PASOK e Papandreou, leader della sinistra, fu chiamato di nuovo a ricoprire la carica di Primo Ministro. Dimitra Liani, sposata in terze nozze nel 1988, diventava la First Lady della Grecia, ma Papandreou appariva di rado in pubblico.
Fra i principali atti del suo ultimo governo va ricordato il blocco economico imposto alla neo costituita repubblica di Macedonia, nata dal disfacimento della ex Yugoslavia e colpevole agli occhi dei greci di essersi appropriata indebitamente di un nome e di simboli appartenenti al patrimonio esclusivo della storia Greca.
Andreas Papandreou fu costretto a dimettersi nel gennaio del 1996 per motivi di salute. Fu sostituito da Costas Simitis. Morì sei mesi dopo.

L'eredità politica
In molti fra il popolo greco e i dirigenti del PaSoK avrebbero voluto che la giovane vedova del Premier prendesse parte attiva nella vita politica greca, assumendo un ruolo simile a quello che fu di Evita Peron in Argentina. Ma Dimitra Papandreou deluse ogni aspettativa ritirandosi a vita privata. Nel 1997 ha pubblicato un libro dal titolo "10 anni e 54 giorni" dedicato al marito.
L'eredità politica di Andrea Papandreou è stata invece raccolta dal figlio George Papandreou che ha ricoperto la carica di ministro degli Esteri nel gabinetto di Costas Simitis fino alla sconfitta di questi alle elezioni del 2004. Dal febbraio 2004 è il leader del partito fondato dal padre.

▪ 2000 - Enrico Cuccia (Roma, 24 novembre 1907 – Milano, 23 giugno 2000) è stato un banchiere italiano, tra i più importanti della seconda metà '900. Rappresenta una delle figure di spicco della scena economico-finanziaria italiana del XX secolo.

Origini e formazione
Enrico Cuccia nacque a Roma da genitori siciliani, la famiglia paterna era di ascendenza arbëreshë di Piana degli Albanesi e Mezzojuso.
Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza, Cuccia fu assunto dall'IRI nella sede distaccata di Londra.
Nell'ottobre del 1932, divene "Impiegato del servizio operazioni finanziarie e cambi con l'estero" presso la Banca d'Italia.
Fu sposato con Idea Nuova Socialista Beneduce, figlia di Alberto Beneduce, da cui ebbe tre figli: Beniamino, Auretta Noemi e Silvia Lucia; in età adulta furono tutti impegnati in ambito economico.

Esperienza amministrativa nel regime fascista
Nel 1936, fu inviato dal Sottosegretariato per gli scambi e per le valute in Africa orientale italiana (AOI) con l'incarico di creare le delegazioni del Sottosegretariato (con Rdl 8 giugno 1936 le competenze del Sottosegretariato erano state estese anche all'AOI) e con quello informale di stroncare un traffico clandestino di valute.
Enrico Cuccia lavorò in AOI insieme al suo collega Giuseppe Ferlesch sotto le direttive di Alberto D'Agostino capo della Direzione Generale delle Valute del Sottosegretariato al vertice del quale c'è Felice Guarneri. Il suo lavoro venne accolto favorevolmente in Italia a tal punto che il 1 luglio 1937 ritornato in Italia per qualche giorno, Enrico Cuccia fu ricevuto insieme a Guarneri da Mussolini. Il giorno dopo l'incontro con il Duce, il Corriere della Sera pubblicò un articolo nel quale si leggeva che: "Il Duce ha elogiato il dottor Cuccia per il lavoro compiuto in circostanze particolarmente difficili...".
Si trattava di un segnale, sottinteso ma chiaro, destinato a coloro che premeditavano di attentare all'incolumità di Cuccia e in particolare fu un avvertimento diretto al viceré d'Etiopia Rodolfo Graziani e al suo "entourage" che non avevano gradito le intromissioni del giovane funzionario AOI in una gestione amministrativa che Cuccia sospettava fosse caratterizzata da gravi irregolarità finanziarie e da una interessata tolleranza nei confronti dei trafficanti di valuta.
Nonostante la situazione disagiata e pericolosa nella quale visse durante il periodo di permanenza in AOI, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, Cuccia operò con grande serietà e severità, stilando relazioni tecniche precise ed esaustive che puntualmente inviava a D'Agostino e ricevendone indicazioni ed incoraggiamenti continui. Successivamente, Cuccia ebbe occasione di lavorare presso la Comit diretta da Raffaele Mattioli.

L'antifascismo durante la seconda guerra mondiale
Durante la seconda guerra mondiale si recò spesso in Svizzera allo scopo di sostenere la Resistenza, per la quale operò anche da staffetta con la copertura fornitagli dal fatto di essere un funzionario bancario di alto livello; in un viaggio a Lisbona nel 1942 si fece latore di un messaggio segreto degli oppositori filobritannici Adolfo Tino ed Ugo La Malfa al conte Sforza, in esilio negli Stati Uniti[6]: se ne fece tramite il diplomatico statunitense George Kennan.
Fino dal 1944, Enrico Cuccia seguì la vicenda di Mediobanca, quando Mattioli propose un "ente specializzato per i cosiddetti finanziamenti a medio termine" (in sostanza, un modo per superare la legge bancaria del 1936). In un convegno tenutosi nel 1986 Enrico Cuccia descrisse con precisione le difficoltà incontrate nella realizzazione del progetto, che aveva richiesto oltre 18 mesi di laboriose trattative, sia per trovare dei partner che accettassero di entrare nel capitale del nuovo istituto sia per superare le obiezioni di chi, come il governatore della Banca d’Italia Einaudi, temeva che dietro questo progetto vi fosse di fatto il ritorno della Comit alla struttura della banca mista: ecco perché Cuccia organizzò il lavoro dell’istituto che gli venne affidato da un lato senza fare a meno delle Bin azioniste, ma dall'altro lato tenendo le medesime largamente all’oscuro delle decisioni che la banca stava per prendere, apprendendole generalmente a cose fatte.

La gestione di Mediobanca
Nell'aprile 1946, Cuccia divenne il direttore della nuova società, posseduta da Credito Italiano, Comit e Banco di Roma. Il 3 novembre 1944 fece parte della delegazione italiana, composta tra gli altri da Egidio Ortona e Raffaele Mattioli, che si recò a Washington con l'obiettivo di richiedere al governo statunitense aiuti per la ricostruzione post-bellica italiana.
Mediobanca divenne in breve tempo il centro del mondo finanziario e politico italiano. Il caso più importante, tra le numerose grandi transazioni economico-finanziarie gestite da Cuccia e da Mediobanca, fu sicuramente la scalata alla Montedison di Giorgio Valerio da parte dell'ENI di Eugenio Cefis.
L’istituto costituì il perno di un sistema di alleanze, che attraverso partecipazioni incrociate e patti parasociali garantiva stabilità degli assetti proprietari dei maggiori gruppi industriali. Mediobanca accrebbe anche la gamma delle sue partecipazioni azionarie, che diventarono veri certificati di garanzia per le imprese partecipate.
Un altro aspetto importante dell’azione di Cuccia fu l’apertura internazionale che avvenne nel 1955, dopo contatti intensi con André Meyer della Lazard di New York. Nel suo viaggio statunitense del 1965 Antonio Maccanico ebbe modo di apprezzare la considerazione che si avesse a Wall Street per Enrico Cuccia, il cui nome era all'epoca in Italia quasi del tutto sconosciuto al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori.
Negli anni ottanta, Cuccia lasciò l'amministrazione per raggiunti limiti di età, ma restò comunque uno degli uomini più influenti, inavvicinabile dai giornalisti.
Cuccia fu un appassionato d'arte.
Alla sua morte il civico di via Filodrammatici dove ha sede Mediobanca fu ribattezzato dal comune di Milano "piazzetta Cuccia".