Il calendario del 22 Marzo

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1450 - A Milano si insedia Francesco Sforza, ricevendo nell'Arengo lo scettro, lo stendardo con la vipera viscontea e l'aquila imperiale, il sigillo e le chiavi della città

▪ 1457 - Johannes Gutenberg completa la stampa del primo libro: la Bibbia

▪ 1500 - Alvarez Cabral approda in Brasile

▪ 1621 - I Padri pellegrini della Colonia di Plymouth firmano un trattato di pace con Massasoit, capo della comunità Wampanoag

▪ 1622 - Massacro di Jamestown: gli indiani Algonchini uccidono 347 inglesi, un terzo della colonia insediata nella zona di Jamestown, Virginia

▪ 1765 - Il Parlamento britannico approva lo Stamp Act, di fatto la prima tassa diretta introdotta dall'Inghilterra sulle colonie americane

▪ 1796 - Stato Pontificio, Roma: prende servizio il boia Mastro Titta, al secolo Giambattista Bugatti: nella sua carriera arriverà a 516 il totale tra suppliziati e uccisi

▪ 1809 - Carlo XIII diventa re di Svezia

▪ 1831 - Viene istituita la Legione straniera

▪ 1841 - Brevettato l'amido di mais (Maizena)

▪ 1848 - Milano: nella battaglia di porta Tosa vengono messe in fuga le truppe austriache al comando del maresciallo Radetzky, hanno termine le Cinque giornate di Milano. Vedi anche 6 agosto 1848

▪ 1871 - Primo caso di impeachment in uno stato USA: nella Carolina del Nord il governatore William Holden viene messo sotto accusa e rimosso dal suo ufficio

▪ 1872 - L'Illinois è il primo stato americano ad applicare il diritto di uguaglianza sul lavoro fra uomini e donne

▪ 1885 - Re Umberto I posa la prima pietra del Vittoriano.

▪ 1888 - Nasce la English Football League

▪ 1890 - Isole Eolie: termina l'eruzione nell'isola di Vulcano, iniziata nel 1873

▪ 1895 - Prima proiezione (privata) di un film da parte dei Fratelli Lumière

▪ 1909 - a Desenzano del Garda è inaugurata la linea ferroviaria per il porto

▪ 1939 - Germania: Hitler fa occupare il distretto di Memel, l'attuale Klaipeda, sul mar Baltico

▪ 1941

  1. - Africa Orientale Italiana (Abissinia): la città di Harar, a ovest di Giggigà, viene conquistata dalle truppe italiane e dichiarata città aperta
  2. - Stati Uniti: L'imponente diga idroelettrica Grand Coulee Dam sul fiume Colorado, nello stato di Washington inizia a produrre energia elettrica.

▪ 1944 - Eccidio di Montaldo fucilazione di 32 giovani da parte dei nazisti nel comune di Cessapalombo (MC)

▪ 1945 - Egitto: Al Cairo nasce la Lega Araba

▪ 1958 - Arabia Saudita: Faisal diviene re

▪ 1959 - Italia: incidente sulla diga del Lago di Pontesei, anticipazione del disastro del Vajont.

▪ 1960 - Arthur L. Schawlow e Charles Hard Townes brevettano il primo Laser, versione ottica del Maser (Microwave Amplification by Stimulated Emission of Radiation)

▪ 1963 - Viene pubblicato Please Please Me, primo album dei Beatles

▪ 1965 - Romania: Nicolae Ceausescu è eletto segretario del partito dei lavoratori

▪ 1973 - Kuwait/Irak: Il governo kuwaitiano fa arrestare migliaia di iracheni: verranno usati come ostaggi per costringere i soldati di Bagdad abbandonare il giacimento petrolifero di Rumaila

▪ 1975 - Stati Uniti: Incendio in un reattore nucleare della centrale di Decatur (Alabama)

▪ 1993 - La Intel Corporation lancia il Pentium chips 80586

▪ 1994 - Italia: esce il primo numero del quotidiano La Voce, diretto da Indro Montanelli, vendendo 450.000 copie in poche ore

▪ 1995 - Russia: Il cosmonauta Valeri Polyakov stabilisce il record di 438 giorni di permanenza nello spazio

▪ 2001 - Benin: Mathieu (Ahmed) Kérékou viene rieletto Presidente della Repubblica.

▪ 2004 - Israele/Palestina: Ucciso a Gaza il fondatore e capo spirituale di Hamas, sceicco Ahmed Yassin

Anniversari

▪ 1602 - Agostino Carracci o Caracci (Bologna, 16 agosto 1557 – Parma, 22 marzo 1602) è stato un pittore e incisore italiano.
Riteneva come ideale la natura, e fu il fondatore della scuola della ricerca di una visione più particolareggiata di questa come quella espressa da Michelangelo Merisi da Caravaggio.

▪ 1832 - Johann Wolfgang von Goethe, (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo tedesco.
Considerato da George Eliot uno dei più grandi letterati tedeschi e l'ultimo uomo universale a camminare sulla terra, viene solitamente considerato uno dei casi più rappresentativi nel panorama culturale europeo. La sua attività fu rivolta alla poetica, al dramma, alla letteratura, alla teologia, alla filosofia, all'umanismo e alle scienze ma fu prolifico anche nella pittura, nella musica e nelle arti. Il suo magnum opus è il Faust; un'opera monumentale alla quale lavorò per oltre sessant'anni.
Goethe fu l'originario inventore del concetto di Weltliteratur (letteratura mondiale), derivato dalla sua approfondita conoscenza ed ammirazione per molti capisaldi di diverse realtà culturali nazionali (inglese, francese, italiana, greca, persiana e araba). Ebbe grande influenza anche nell'ambiente filosofico del tempo, in particolare sulla scia di Hegel e Schelling.

I dolori del giovane Werther (1774)
Werther conosce e frequenta due giovani fidanzati, Charlotte e Albert; s'innamora della ragazza, che pure potrebbe ricambiarlo, ma è respinto da quest'ultima (chiamata amichevolmente Lotte) che è promessa in sposa ad Albert e può concedere a Werther solo la propria amicizia: la delusione determina il suo suicidio.
Werther è un intellettuale borghese le cui possibilità di realizzarsi sono condizionate dalla capacità o meno di adeguarsi alla realtà delle piccole corti aristocratiche tedesche. Egli vive una duplice contraddizione: l'incapacità di realizzare il fine dell'umanesimo borghese di una piena realizzazione della propria personalità nella viva realtà sociale e l'incapacità di accettare la convenzione pietistica del tempo, secondo la quale l'amore fra uomo e donna, se non permesso, deve trasformarsi in amore fraterno. La contraddizione non si risolve perché Werther non separa gli interessi sociali dai suoi interessi individuali: intellettuale in una Germania semifeudale, non riesce a realizzarsi e la sua coscienza, che non scinde in sé le esigenze della ragione da quelle del sentimento, le esigenze dell'ambizione sociale da quelle dell'amore, lo spinge al suicidio.
Napoleone, nel noto incontro a Erfurt nel 1808, fece rilevare a Goethe proprio la mancata separazione, in Werther, fra ambizione e amore; e infatti un Napoleone seppe ben distinguere, nella sua vita, la necessità della realizzazione del successo politico da quella del sentimento privato: in quanto non diviso dalla realtà di una società ben più matura, egli aveva ben chiara tale distinzione, da lui vissuta nella scissione della propria coscienza. Werther ha invece una coscienza indivisa proprio perché egli vive separato dalla realtà; per continuare a vivere, egli avrebbe dovuto uccidere la sua coscienza, avrebbe dovuto morire nella propria coscienza per poter vivere senza sofferenze nella realtà.
Il successo di questo romanzo epistolare, scritto di getto dal febbraio al marzo 1774, fu straordinario e fu anche pretesto di non poche funeste imitazioni; lo stesso Goethe assistette al recupero del cadavere di una ragazza suicidatasi a Weimar con in tasca il romanzo. La maggior parte dei lettori credette di ravvisare in Werther, come scrisse il Croce «l'apologia della passione e ragione, la protesta contro le regole, i pregiudizi e le convenzioni sociali» non vedendo invece la sostanza reale, la rappresentazione di una malattia, che non è tuttavia la malattia psichica di un individuo, ma è la malattia della Germania dell'epoca. Al tempo in terra tedesca, lontani anni luce dagli ideali di libertà e autodeterminazione francesi o americani, la depressione per il confino allo stato di cittadino rinchiuso tra mura di mille staterelli era sentore comune tra le classi medio-alte. Werther, come borghese, ne è l'esempio ma anche al contempo la parodia: lo scopo di Goethe era infatti quello di mettere in ridicolo questo atteggiamento di passività fisica e mentale, cosa che non fu pienamente capita dai lettori meno attenti. In molti casi, purtroppo, la sottile ironia del maestro tedesco, soprattutto la sua errata ed affrettata interpretazione, finì col portare molti giovani di buona famiglia al suicidio.
Quarant'anni più tardi, in Poesia e verità, Goethe scriverà che «l'effetto di questo libro fu grande, anzi enorme, specialmente perché comparve nel tempo giusto. Perché, come basta una pagliuzza per far scoppiare una mina potente, anche l'esplosione che si produsse nel pubblico risultò così potente perché il mondo dei giovani era già minato e la commozione fu tanto grande perché ciascuno veniva allo scoppio con le sue esigenze esagerate, le sue passioni inappagate e i suoi dolori immaginari».

A Weimar (1775 - 1832)
Conosce Klopstock, il teologo svizzero e appassionato di fisiognomica Johann Caspar Lavater - il quale crede di individuare nel profilo dei volti il carattere delle persone e, a questo scopo, fa eseguire dal pittore Schmoll diversi ritratti di Goethe - e il filosofo Jacobi, allora ammiratore di Spinoza; Goethe, che mai amò la filosofia, si riconobbe sempre nelle teorie panteiste di Spinoza.
Legatosi nell'aprile 1775 con la sedicenne Lili Schönemann, figlia di un banchiere, ruppe il fidanzamento nell'ottobre, non sopportando la prospettiva di un vincolo matrimoniale e il 7 novembre 1775 Goethe giunge a Weimar come precettore del diciottenne Carlo Augusto, duca di Sassonia-Weimar-Eisenach, un tipico tirannello tedesco del tempo, che governa uno staterello formato unicamente dalla capitale Weimar, cittadina di seimila abitanti, dalla città universitaria di Jena e da alcune "ville di delizia". Nel 1776 Goethe è membro del Consiglio segreto, il 6 settembre 1779 viene nominato consigliere segreto e confessa: «mi sembra meraviglioso raggiungere, come in sogno, a trentanni, il più alto grado onorifico che un cittadino tedesco possa ottenere». Otterrà il 10 aprile 1782 il titolo nobiliare dall'imperatore Giuseppe II e nel 1804 sarà ministro.
Gli anni che vanno dal 1776 al 1788 furono segnati dall'amicizia con Charlotte von Stein, donna che si impegnò ad educarlo ai compiti che lo avrebbero atteso come precettore e poi come consigliere del duca.
La von Stein dovette innanzitutto trasformare l'illustre poeta in un uomo di mondo, poi ridurre il viziato idolo del momento in un uomo rispettoso delle regole di vita esistenti nel ristretto e selezionato ambiente in cui viveva la duchessa Anna Amalia. Questi insegnamenti di equilibrio, misura ed autocontrollo, che furono la base della sua evoluzione, vennero ben accettati da Goethe pur costandogli considerevoli sforzi e sacrifici.
I primi dieci anni trascorsi a Weimar, caratterizzati da una certa povertà nella produzione poetica, mostrarono soprattutto questa sua lenta trasformazione. Vi furono opere ancora improntate alla sua poesia precedente, quali, per esempio, I canti di Mignon inclusi nel Wilhelm Meister, le due ballate Il pescatore (Der Fischer) ed Il re degli elfi (Erlkönig), e lo stupendo Canto notturno del viandante (Wanderers Nachtlied), poesia nella quale l'anima del poeta lentamente si sostituiva al cuore capriccioso che aveva dominato la produzione precedente.
La ricerca della verità ultima dell'anima dominò altre composizioni; scrisse infatti il Canto degli spiriti sopra le acque (Gesang der Geister über dem Wasser), i Limiti dell'umano (Grenzen der Menschheit) ed Il divino (Das Göttliche).
In quel periodo (dal 1777 al 1785) Goethe compose anche il romanzo La vocazione teatrale di Guglielmo Meister (Wilhelm Meisters theatralische Sendung) ed il dramma, del 1779, Ifigenia in Tauride (Iphigenie auf Tauris). Quegli anni, inoltre, lo videro impegnato su diversi fronti come consigliere ministeriale per gli affari militari, per la viabilità, per le miniere e la pubblica amministrazione.
Fu anche sovrintendente ai musei, e nel 1782 venne insignito del titolo nobiliare. Quel periodo di radicali cambiamenti e senza dubbio negazione di sé stesso, finì quando Goethe, nel 1786, all'insaputa di tutti, fuggì in Italia.
Trascorse così due anni di piena felicità, nel duplice appagamento dei sensi e dello spirito, grazie all'amore ed all'incanto della civiltà antica. Il paesaggio, l'arte ed il carattere del popolo italiano incarnarono il suo ideale di fusione di spirito e sensi. Qui egli riuscì a dare la forma definitiva all'Ifigenia in Tauride, che scritta in prosa, trovò il suo compimento nel Blankvers o pentapodia giambica. Passo più di un anno a Roma.
Quest'opera venne giudicata il vangelo del moderno umanesimo. Questo dramma, come tutti i drammi di Goethe, fu una tragedia solo in potenza, infatti Ifigenia avrebbe salvato il fratello dalla follia e Toante dall'ingiustizia, ma soprattutto, grazie alla propria forza morale, avrebbe trionfato sul destino e mantenuto la propria libertà. Un altro esempio di questo peculiare intendere il dramma, fu il Torquato Tasso, altra opera portata a termine in Italia (Goethe visitò la Cella del Tasso e la Casa di Ludovico Ariosto a Ferrara e gli antichi palazzi degli Estensi), nel quale lo scrittore tedesco celebrò nel poeta italiano il proprio demone giovanile.
Nel 1788 tornò a Weimar dove trovò una fredda accoglienza. La pubblicazione delle Elegie romane (Römische Elegien), racconto del periodo italiano, suscitò indignazione, come anche la sua relazione con Christiane Vulpius, una modesta fioraia, che in seguito sposò. L'insieme degli eventi chiuse Goethe in una sorta di isolamento sociale, ma soprattutto spirituale. La consapevolezza di essere incompreso e la dolorosa coscienza della propria momentanea aridità poetica lo portarono ad un disprezzo e ad un rifiuto di tutto ciò che fosse lontano dal proprio modo di pensare. La crisi di quegli anni fu gravissima, ma come già in passato, nel 1794, la comparsa e l'amicizia di un uomo quale Friedrich Schiller, lo salvò da tale situazione. Dal 1794 si dedicò principalmente alla letteratura, e dopo una vita di straordinaria fecondità creativa morì nel 1832 a Weimar, probabilmente per un attacco cardiaco.
Anche se la questione è assai controversa, le sue ultime parole, divenute comunque famosissime, sarebbero state: "Mehr Licht" ("Più luce").

Importanza storica
L'importanza di Goethe nel XIX secolo fu enorme. Per molti aspetti, fu l'iniziatore di molti concetti e idee che sarebbero col tempo divenuti familiari a tutti. Goethe produsse volumi di poesia, saggi, critiche e lavori scientifici, inclusa una teoria sull'ottica e ricerche anticipatrici della teoria evolutiva e linguistica. Era affascinato dai minerali e dalla mineralogia (il minerale goethite prende nome da lui). Come filosofo e scrittore fu una delle figure chiave della transizione dall'Illuminismo al Romanticismo.
La seguente lista di lavori chiave può dare il senso dell'impatto che la sua opera ha sul suo e sul nostro tempo.
Il romanzo epistolare, Die Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther), pubblicato nel 1774 narra una triste storia d'amore che si conclude con un suicidio. Goethe ammise di aver "ucciso il suo eroe per salvare sé stesso". Il romanzo è tuttora in stampa in dozzine di lingue. Da quest'opera trae ispirazione Ugo Foscolo per il romanzo epistolare Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Il poema epico Faust, fu composto a stadi, e pubblicato integralmente soltanto postumo.
La prima parte fu pubblicata nel 1808 e fece sensazione. La prima versione operistica musicata da Spohr, apparve nel 1814, e divenne l'ispirazione per le opere di Charles Gounod, Arrigo Boito e Ferruccio Busoni, i poemi sinfonici di Richard Wagner e Franz Liszt, Gustav Mahler, nonché per la cantata Scene del Faust di Robert Schumann. La trama essenziale del "vendersi l'anima al diavolo" in cambio di potere nel mondo terreno assunse importanza crescente e divenne una metafora del trionfo della tecnologia e della rivoluzione industriale con tutto il suo fardello di umane sofferenze. L'opera poetica di Goethe fu modello per un intero movimento poetico tedesco detto Innerlichkeit (introversione), rappresentato per esempio da Heine. Le opere di Goethe ispirarono molti compositori, fra i quali Mozart, Beethoven, Schubert e Wolf.
L'influenza di Goethe fu capitale perché capì la transizione e il mutamento della sensibilità europea, un aumentato interesse nella sensualità, nell'indescrivibile e nell'emozionale. Ciò non a dire che fosse iperemotivo o sensazionalista, al contrario: predicava la moderazione e percepiva l'eccesso come una malattia.
"Non vi è nulla di peggiore dell'immaginazione senza gusto". Argomentò che la legge scaturisce dalle profondità della cultura di un popolo e dalla terra in cui vive, e che quindi leggi razionali non possono sempre essere imposte dall'alto: una tesi che lo pose in opposizione diretta con coloro che cercavano di costruire monarchie "illuminate" basate su leggi "razionali", per esempio Giuseppe II d'Austria o, più tardi, Napoleone imperatore dei francesi.
Questo cambiamento sarebbe col tempo divenuto la base per il XIX secolo. Ciò lo rende, insieme a Adam Smith, Thomas Jefferson, Ralph Waldo Emerson e Ludwig van Beethoven una figura fondamentale in entrambi i mondi. Da un lato, seguace del gusto, dell'ordine e del dettaglio cesellato che è il marchio di fabbrica dell'Età della Ragione e del periodo neoclassico in architettura, dall'altro, alla ricerca di una personale e intuitiva forma di espressione. Le sue idee sull'evoluzione avrebbero formulato le domande alle quali Darwin avrebbe risposto.
Tra i grandi eredi della scrittura e del pensiero goethiano nella letteratura tedesca dell'Ottocento va citato senz'altro Friedrich Nietzsche e per il Novecento il romanziere Thomas Mann e il poligrafo Ernst Jünger.

▪ 1945 - Aldo Zamorani (Brescia, 1925 – Passo del Jof, 22 marzo 1945) è stato uno studente e partigiano italiano, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.
Iscritto all'Università di Bologna alla facoltà d'ingegneria, nel 1944 decide di aggregarsi alle Brigate Osoppo-Friuli. pur con la sua giovane età riesce ad ottenere il comando di un gruppo di partigiani. Resta ferito due volte durante gli scontri con i nazisti.
Durante una azione volta a liberare dei compagni prigionieri, per la quale si era proposto come volontario, iene colpito a morte da un proiettile di mortaio, è il 22 marzo 1945.

* 1946 - Clemens August Ioseph Pius Emanuel von Galen (Dinklage, 16 marzo 1878 – Münster (Nord Reno-Westfalia), 22 marzo 1946) è stato un cardinale tedesco.
«Hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l'uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi. Nessuno è più sicuro della propria vita.» (Denuncia contro il regime nazista durante un'omelia.)

Nacque nel castello familiare di Dinklage, presso la città di Oldenburg, il 16 marzo 1878. Figlio del conte Ferdinand Heribert Ludwig von Galen (1831 - 1906) e della contessa Elisabeth von Spee (1842 - 1920).
Undicesimo di tredici figli, crebbe in una famiglia estremamente credente. Frequentò il liceo dei Gesuiti a Feldkirck conseguendo la maturità nel 1896 a Vectha. Dopo gli studi a Freiburg (Svizzera), Innsbruck e Münster, venne ordinato sacerdote il 28 maggio 1904 a Münster. Dopo un breve periodo come vicario capitolare a Münster, venne nominato nel 1906 cappellano della chiesa di San Mattia a Berlino. Da allora cominciò un'intensa attività sacerdotale durata 23 anni nell’allora capitale dell’impero prussiano.
Dopo alcuni anni come curato della chiesa di San Clemente, divenne parroco della chiesa di San Mattia a Berlino–Schöneberg. Visse i difficili anni della Prima Guerra Mondiale, i tumulti del dopoguerra e il lungo periodo dell’epoca di Weimer.
Nel 1929 fu nominato parroco della chiesa parrocchiale di San Lamberto a Münster. Dopo la morte del vescovo Johannes Poggenburg, von Galen, fu nominato vescovo di Münster. Il 28 ottobre 1933 ricevette la consacrazione episcopale. Come motto d’elezione scelse: "Nec Laudibus, Nec Timore" (non con le lodi né con la minaccia io devio dalle vie di Dio).
Vescovo di Münster durante il periodo nazionalsocialista von Galen si distinse per la sua opposizione al regime. Il 3 agosto 1941 denunciò violentemente in un suo sermone il programma di «eutanasia» nazista visto come negazione del comandamento divino «non uccidere».
La sua critica portò Hitler a sospendere ufficialmente (ufficiosamente le uccisioni proseguirono fino alla caduta del Terzo Reich) il programma di uccisioni, dal nome convenzionale di Aktion T4, a danno di disabili psichici e fisici. La sua popolarità crebbe a tal punto che le sue omelie furono diffuse clandestinamente per tutta la Germania, arrivando anche nelle mani degli alleati i quali, per scoraggiare i soldati del Reich, fecero paracadutare sulle linee tedesche le sue denunce sulla violazione dei diritti dell'uomo.
Tutta questa popolarità e i continui attacchi contro il regime provocarono forti reazioni tra i gerarchi nazisti. Martin Bormann propone di impiccare Von Galen all'istante, mentre Goebbels ribatte:
«Se ora si procedesse contro il vescovo, tutta la Westfalia andrebbe persa per l'impegno bellico.»
Hitler, per evitare una sommossa popolare, decise, per il momento, di lasciar stare il vescovo di Münster, per poi pareggiare i conti dopo la vittoria finale. Si procedette, però, al tentativo di isolare Von Galen, arrestando tutti quelli che lo aiutavano, tutti quelli che approvavano quanto diceva e tutti quelli che diffondevano in qualunque maniera le sue omelie. Vennero arrestate centinaia di persone, di cui alcune decine finirono in campi di concentramento.
Alla fine della guerra, si pose alla difesa del suo popolo, scagliandosi contro il governo militare alleato e la teoria di una colpa collettiva del popolo tedesco, accusato di silenziosa accettazione della politica di Hitler:
«Sotto il nazismo dissi pubblicamente, e lo dissi anche riguardo a Hitler nel '39, quando nessuna potenza intervenne allora per ostacolare le sue mire espansionistiche: la giustizia è il fondamento dello stato. Se la giustizia non viene ristabilita, allora il nostro popolo morirà per putrefazione interna. Oggi devo dire: se tra i popoli non viene rispettato il diritto, allora non verrà mai la pace e la concordia.»
Papa Pio XII lo elevò al rango di cardinale nel concistoro del 21 febbraio 1946. I giornali si riferirono alla sua persona chiamandolo "Il Leone di Münster".
Al ricevimento in onore del ritorno alla sua diocesi come porporato, commosso, si rivolse ai suoi fedeli dicendo che i nazisti lo avrebbero ucciso, se loro non l'avessero appoggiato.
Morì il 22 marzo 1946 all'età di 68 anni. Papa Giovanni Paolo II lo dichiarò Venerabile il 20 dicembre 2003. Il 9 ottobre 2005 Von Galen è stato beatificato da papa Benedetto XVI.

▪ 1950 - Emmanuel Mounier (Grenoble, 1º aprile 1905 – Parigi, 22 marzo 1950) fu il filosofo francese che definì la posizione filosofica conosciuta come personalismo.
Si laureò in filosofia a Grenoble nel 1927.
L'anno successivo si trasferì a Parigi e, dopo qualche tempo, con l'aiuto di Jacques Maritain, iniziò la pubblicazione di una rivista, Esprit (1932).
Insieme a Maritain è stato il più importante filosofo cattolico francese del XX secolo.
Nel 1935 si sposò con Paulette Leclercq. In questi anni sviluppò la sua teoria personalista.
Nel 1939 fu richiamato alle armi. Durante l'occupazione della Francia tentò di riprendere la pubblicazione di Esprit nell'ambito del territorio del governo di Vichy ma il maresciallo Pétain ne impedì la pubblicazione quasi subito. Per il suo sostegno intellettuale alla resistenza francese fu imprigionato.
Dopo la liberazione riprese la sua attività. Nel 1949 pubblicò la sua opera fondamentale, Il personalismo (Le personnalisme).
La pubblicazione della sua rivista continuò anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1950.

IL PENSIERO
Uno sviluppo dello spiritualismo francese è rappresentato dal personalismo di Emmanuel Mounier, nel quale confluiscono anche ampiamente (come egli stesso ammise) temi dell’esistenzialismo teistico cristiano.
Mounier fu, oltrechè filosofo, pubblicista e uomo politico: nel 1932, come abbiam detto nella sua biografia, fondò la rivista cattolica “Esprit”, che rimase (anche nel dopoguerra) termine di riferimento essenziale per i cattolici di sinistra, non solo francesi.
Strenuo avversario del fascismo e vicino al Fronte popolare, durante la guerra di Spagna Mounier si schierò a favore del governo repubblicano, pur denunciando i rischi del totalitarismo comunista e le atrocità della guerra civile.
Durante la seconda guerra mondiale partecipò attivamente alla resistenza, fu imprigionato dai Tedeschi per alcuni mesi e successivamente visse in clandestinità fino alla Liberazione.
Oltre al “Manifesto al servizio del personalismo” (1936), le sue opere fondamentali sono “Rivoluzione personalistica e comunitaria” (1936), “Che cos’è il personalismo?” (1946), “Trattato del carattere” (1946), “Il personalismo” (1949).
Lo sfondo storico in cui si sviluppa la riflessione filosofica di Mounier è la grande crisi economica conseguente al crollo della Borsa di Wall Street del 1929: in questa situazione di generale arretramento dell’economia, il filosofo francese si propone di indicare una “terza forza”, che si contrapponga sia all’individualismo liberistico sia al totalitarismo stalinista.
La nuova strada viene ricercata in una filosofia che concepisca l’uomo né come semplice individuo, atomo tra altri atomi e privo di sostanziali relazioni con essi, né come momento di una totalità socio-economica che fagocita la sua specificità.
L’individuo deve essere invece concepito come persona, cioè come uno “spirito” che, se da un lato, in quanto tale, è assolutamente unico e specifico, dall’altro è costituzionalmente aperto alle altre persone in una relazione che fa parte dello sviluppo e del carattere della persona stessa.
I caratteri della persona sono i seguenti: in quanto spirito, essa è primariamente una realtà inoggettivabile (in ciò risulta evidente l’influenza di Marcel) che si esprime in una creatività assolutamente libera e in uno slancio verso la trascendenza, intesa sia come apertura verso Dio sia come comunione con le altre persone.
Ma la persona, malgrado l’inoggettivabilità che deriva dalla sua spiritualità, non è qualcosa di astratto e di sganciato dal mondo materiale: al contrario, essa è incarnata nella realtà corporea e storica e può esplicare se stessa solamente attraverso un’attività pratica concreta. Infine (e qui ci troviamo di nuovo di fronte alla tematica della trascendenza, diretta però alla realtà sociale) il personalismo è essenzialmente comunitario , in quanto la piena realizzazione della persona si ha non nell’individuo, ma nella “persona collettiva” o “persona personale”. Quest’ultima rappresenta l’ideale cui ogni uomo deve aspirare, il “polo profetico” verso cui deve incessantemente tendere il “polo politico” rappresentato dall’azione della singola persona.
La persona, dunque, non è qualcosa di dato e concluso, ma piuttosto un ideale e un compito che l’uomo deve gradualmente realizzare.
Il personalismo, che in Francia aveva già trovato espressione nell’ultima fase del pensiero di Renouvier, è rappresentato anche in America (specialmente da un gruppo di pensatori che si raccolgono attorno alla rivista “The Personalist”), in Germania (come componente nel pensiero di Max Scheler e di Martin Buber), nonché in Italia, soprattutto nell’opera del piemontese Luigi Pareyson, che lo congiunge ad una spiccata ispirazione esistenzialistica.

L'IMPEGNO DI MOUNIER
Parlare di “Esprit” significa parlare di Emmanuel Mounier, come dire “Cahiers de la Quinzaine” vuol dire Charles Péguy e “Humanisme integrale” Jacques Maritain.
Identificazioni che definiscono uno straordinario periodo della cultura e degli avvenimenti religiosi in Francia tra le due guerre, dominato, anzi ispirato, da questi intellettuali, che a costo della povertà, della prigionia e della fatica non sempre corrisposta, si sono impegnati in un ciclo creativo a favore della elevazione dei più deboli, della salvaguardia della libertà personale e della riconciliazione tra “la vera intelligenza e l’amore” intervenendo - senza confessionalismi e preclusioni - “imprimendovi il sigillo dell’Infinito”. Adesso che la lezione è appresa e condivisa sul piano culturale, l’umanità, ciononostante, continua implacabilmente con le proprie devianze, guerre, ingiustizie sociali, massificazione, edonismo. Assume, allora, un significato parlare ancora dell’avventura e insieme della speranza mounierane come direttive che pongono l’umanità al di là delle tecnologie e delle politiche verso una rivoluzione (perché di questo sempre si tratta) che ci faccia riappropriare della dignità della persona dentro una società libera, comunitaria, pluralistica? Incontrare Mounier non significa solo conoscere la sua concezione filosofica, condividere la sua passione sociale e i suoi ideali cristiani, ma penetrare in qualcosa di non comune, impalpabile, inafferrabile che però alla fine ti penetra e ti illumina. Qualcosa forse di “anacronistico” (in senso positivo) nella nostra epoca eppure di coinvolgente e fecondo, di elevato livello, di commovente; come quando incontri un amico che sa riconoscere la tua sofferenza e darle un senso, uno che ti fa passare dalla realtà al sogno (nel significato di realtà totale che Gide dà a questo termine), uno che ti riesce a convincere che dopo la notte della sofferenza viene la luce. Non ci si illuda di trovare nel suo privilegiare il senso dell’amicizia e della condivisione, un buonismo di marca fideistica confessionale o una pietà intimistica. “Sono un montanaro... di un’indole, la più incerta, la più selvaggia di gusti, tutto sommato impulsiva, e più fatta per la contemplazione distratta del cielo e della terra che per l’azione e per i dogmatismi”. “Esprit”, la rivista che nascerà nel 1932, è una creatura che esprime il suo patrimonio genetico, mostra la gestazione faticosa, il travaglio insidiato a destra e a sinistra, uno sviluppo che infiamma e che rivoluziona. Ma chi era quest’uomo del Delfinato, con alle spalle quattro nonni contadini, un’infanzia serena e meditativa, liceale timido e impegnato, una finestra all’interno percorso dall’angoscia, laurea in filosofia a Grenoble, poi l’incontro con la Sorbona nella grande città indifferente e l’avvio verso una fortunata carriera accademica? È un uomo che attorno agli anni trenta, partecipando al meglio della vita culturale parigina, sente nascersi dentro una diversa vocazione. È l’epoca dei filosofi Blondel e Bergson, poi, Marcel e Berdiaeff.
“L’intellighenzia è a sinistra incontestabilmente”: con Gide, Huxley, Malraux, Bloch e altri. Tra i cattolici spicca Maritain che sempre svolgerà un ruolo ispiratore e mediatore. L’influenza di Péguy, morto una quindicina d’anni prima sul fronte della Marna, continua a ispirare Mounier come un padre spirituale. E poi ci sono Pouget, Guitton, De Rougermont, Domenach, e molti altri intellettuali, artisti, religiosi. Frattanto, la situazione storica francese è caratterizzata dall’ordine capitalistico borghese affidato alla vecchia classe che è riuscita a far uscire la nazione dalla crisi del dopoguerra e a far tacere i latenti conflitti sociali e politici, ma c’è disoccupazione, pericolo di inflazione, i giovani in fermento.
In Russia si afferma la rivoluzione socialista. In Italia il fascismo è al potere. In Germania si va affermando il partito nazionalsocialista che porterà al potere Hitler. Continua la politica coloniale. Il Giappone inizia la sua espansione verso la Cina. In India Gandhi applica la resistenza passiva. Dentro a questa congerie di avvenimenti che coinvolge masse di uomini e mostra elevati livelli di tensione, quando già si profila all’orizzonte la minaccia di quella che sarà la seconda guerra mondiale, c’è una voce (un coro) in Francia che parla un linguaggio universale e profondo, che vale per i credenti e per i non credenti, per quanti sono giovani e non giovani, per quelli che vivono in solitudine e per quelli che amano ritrovarsi in gruppi di ricerca e di azione, per gli oppressi, per i disperati, per gli ammalati. Voce di uno che sa partecipare per intima vocazione alla sofferenza dell’uomo, che ha il gusto dell’eterno e “dello scandalo che sconvolge senza far rumore” che opera, anzitutto su di sé, “la purificazione interiore da cui scaturisce ogni fecondità”, uno che “testimoni l’Assoluto, porti le condanne che nessuno osa portare, proclami l’impossibile anche se non può realizzarlo”, in una costante revisione e con rigore interno al servizio dello spirito, però che “la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne”. Non si tratta di sovradimensionare il carisma di Mounier quanto di valutare questo suo progetto di “restaurazione della persona nel servizio e nel dono che essa deve al mondo”, in armonia tra fede e lavoro dentro un confronto continuo e amichevole con gli altri onde ottenere un vasto consenso nel temporale: perché questa ha voluto essere sin dall’inizio la sua concreta posizione. E questo è il retroterra spirituale e culturale di Emmanuel Mounier quando - a partire dal Natale del ’29 - sente la necessità di uno strumento per intervenire nella radicale crisi della società che lo circonda.
Ma, come argutamente annoterà più tardi, “a noi pianisti di venticinque anni, mancava un piano”. Frattanto ha “sacrificato” la passione musicale, ha detto addio per sempre all’Università, non ha ambizioni di carriera e di soldi e si prepara con un gruppo di amici a fondare una rivista.
È convinto che non sarà “una rivista nel senso comune della parola, ma la punta e il quadrante di una attività molteplice”, un vero laboratorio di formazione e di nuove soluzioni che occupi necessariamente un ben preciso spazio da difendere con coerenza, un osservatorio disponibile per inchieste nel politico e nel sociale. Si susseguono pressoché quotidiane riunioni di lavoro tra pochi amici o gruppi più numerosi, talvolta nei piccoli caffè presso la Borsa o vicino a Saint Sulpice, in appartamenti, persino nel capannone di una fabbrica, o all’aria aperta sotto gli abeti.
Ecco il manifesto che annuncia la pubblicazione di “Esprit” e il congresso di fondazione a Font-Romeu. “Come non essere in continua rivolta contro le tirannie del nostro tempo?” si chiede il gruppo: visto che la scienza è separata dalla saggezza e isterilita in preoccupazioni utilitaristiche, la filosofia mendicante dalla scienza una verità relativa, l’uomo subordinato alla macchina, una vita privata dilaniata e fuorviata, l’evidente materialismo, l’uomo sottomesso ai sistemi e alle istituzioni. Occorre salvare l’uomo ridonandogli la coscienza di ciò che egli è, ricostruirlo a partire dal primato dello spirituale; “è ora di liberare l’eroismo dall’acredine e la gioia dalla mediocrità” (Estratti dal Manifesto). Questa strategia comporta la nascita di un movimento e di gruppi in tutte le città, intorno alla rivista, perché nessuno può rimanere indifferente alle conseguenti azioni culturali e politiche.
Ma “che la facciata non abbia più importanza della casa”. La rivista non è una rivista cattolica (“anche se si può essere insieme integralmente cattolici e sinceramente rivoluzionari”), è diversa da una organizzazione di partito. In particolare Mounier mai vorrebbe correre il pericolo di diventare “un produttore di carta stampata... un funzionario della rivoluzione spirituale”. “Per quanto riguarda Esprit non ho l’ambizione che si dica, neanche per i migliori di noi: “Che dinamismo!” bensì: “Che luce!”. Avremo possibilità di essere più vicini a Dio”.
Per Mounier si tratta di integralità, non di integralismo. Crede nella distinzione tra spiritualità e moralità (che ricorda da vicino quell’altra tra Religione e Morale tanto cara a Ignace Lepp). Così, in un clima di euforia e di difficoltà, viene stampato nell’ottobre del ’32, a Lilla, il primo numero di “Esprit”. Le reazioni e le recensioni sono subito favorevoli, certi consensi arrivano all’entusiasmo. Si vanno definendo i temi: rottura tra il cristianesimo e il mondo borghese, rapporti col cristianesimo russo, confronto con la Troisième Force; il lavoro e l’uomo, progetto per il rinnovamento economico, la filosofia della persona, ed altri. Occorrerebbe seguire le annate della rivista, i numeri speciali, i saggi, le contemporanee opere di Emmanuel Mounier per capire la portata spirituale e culturale di questa generazione ricca di filosofi, politici, artisti, ma soprattutto di impegno civile, profondità esistenziale, purificazione cristiana senza etichette e formalità, convinzione che il cattolicesimo è incompatibile col “disordine costituito”, apertura ai non-credenti all’interno di un sistema fondato sulla persona umana. Le difficoltà economiche, le tensioni dell’impegno assunto, le ostilità di certi ambienti cattolici (interessante il Rapporto privato - 1936 - con cui Mounier difende “Esprit” davanti al pericolo di una condanna da parte del Vaticano), soprattutto la guerra, con l’invasione tedesca della Francia, la soppressione della rivista e la successiva riammissione, l’imprigionamento del direttore, le partenze, le morti di amici contrappuntano questa straordinaria avventura. Mentre “la cristianità moderna continua a preparare la sua morte” e “l’inferno matura le sue opere e aggroviglia le sue trame in una confusione dove nulla è riconoscibile. Silenzio ai confini dell’orrore”.
La storia di “Esprit” coincide con la vicenda umana di Emmanuel Mounier. In un mondo duro di spirito, è riuscito a coltivare amicizie (“C’è forse proporzione tra un’opera letteraria e un gesto di amicizia?”), ha mantenuto pura e imperturbabile la fede religiosa, vivendo fino in fondo la propria avventura cristiana, ha amato, convinto che “l’amore umano insegna molte cose riguardo alle vie dell’amore di Dio”, ha scelto la povertà, ha saldato in modo esemplare vita pubblica e privata mettendosi al servizio dello spirito, ha accettato le sofferenze (“Le spiegazioni non diminuiscono il grande scandalo della sofferenza. La sua grandezza sta nella accettazione... Non ci resta altro che amare ... e amare intensamente quelli che Egli spezza per amore”), le lettere alla moglie Paulette Leclercq testimoniano un rapporto fecondo sul piano umano e spirituale.
Ma è soprattutto nella prova di Françoise, la sua piccola bambina malata di encefalite progressiva, che Emmanuel Mounier (lui che diceva che “i bambini hanno il cielo nei loro occhi” ma anche che “niente assomiglia di più al Cristo dell’innocenza sofferente”) manifesta il grande spessore della propria fede e la capacità di abbandono all’Assoluto, che ridona rassegnazione, colma il mistero e fa ritrovare quel che pare perduto. “... Dall’amore della nostra bambina che si trasforma dolcemente in offerta, in una tenerezza che la oltrepassa, che parte da lei, ritorna a lei, ci trasforma con lei ...”. “Ciò nonostante, Françoise è la nostra corona, per un disegno misterioso. Essa dà, secondo me, un senso concreto, vicino, familiare, all’al di là: luogo nel quale ci diamo appuntamento, nel quale saremo un’altra volta padre e madre di un essere assolutamente sconosciuto, non toccato dal male”. Emmanuel Mounier morirà prematuramente d’infarto miocardico nella notte del 22 marzo 1950.
Che cosa può insegnare oggi, con gli scenari che mutano e le imprevedibili scoperte biotecnologiche, l’esperienza di “Esprit”? Mounier non è arrivato sulle bacheche delle chiese e non ha il busto scultoreo nelle anticamere delle sedi di un partito ed è difficile che appaia, anche nella ricorrenza del cinquantenario della morte, sulle pagine patinate delle riviste. Uno che scrive: “Ci troviamo sospesi, tra cielo e terra, sulla corda che non si flette del cristiano; e l’equilibrio può essere mantenuto solo in alto” non può - e non vuole certo - essere l’ispiratore di un movimento politico o un filosofo in cattedra. Ma può ancora parlare alla coscienza e al cuore incoraggiandoci a continuare l’avventura cristiana.

▪ 1982 - Pericle Felici (Segni, 1º agosto 1911 – Foggia, 22 marzo 1982) è stato un vescovo cattolico e cardinale italiano. Ha partecipato attivamente, come segretario generale, ai lavori del Concilio Vaticano II. È considerato l'artefice della revisione del Codice di Diritto Canonico.
Svolse gli studi teologici nel seminario di Segni, e poi nel Pontificio Seminario Romano. Il 28 ottobre 1933 fu ordinato prete nella diocesi di Segni. Continuò gli studi nella Pontificia Università Lateranense, della quale poi fu docente dal 1934 al 1938, e quindi rettore dal 1938 al 1948. Dal 1950 al 1959 fu direttore spirituale nel seminario romano.
Vescovo
Il 3 settembre 1960 fu nominato arcivescovo titolare di Samosata, e segretario della curia romana. Ricevette l'ordinazione episcopale il 28 ottobre dello stesso anno per l'imposizione delle mani di papa Giovanni XXIII.
Dal 1962 al 1965 fu segretario generale del Concilio Vaticano II.
Il 21 febbraio 1967 divenne pro-presidente della Pontificia commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico.

▪ 1983 - Filippo Montesi (Fano, 11 maggio 1963 – Roma, 22 marzo 1983) è stato un militare italiano. Marò di leva, 3°/82, della Marina Militare, Battaglione San Marco, il 15 marzo 1983, durante la missione ITALCON "Libano 2", venne colpito alla schiena mentre si trovava in azione di pattugliamento notturno sulla via dell'aeroporto nei pressi del campo profughi Palestinese di Burj el-Barajneh, a Beirut.
Spirerà il 22 marzo 1983 a seguito delle ferite riportate nell'imboscata al mezzo sul quale viaggiava.
Montesi fu l'unico militare italiano a cadere durante la missione ITALCON "Libano 2". In quella missione si sono avuti inoltre 75 feriti da parte italiana a fronte di 275 caduti statunitensi e 87 francesi.
Ai funerali, presenziò l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

▪ 1986 - Michele Sindona (Patti, 11 maggio 1920 – Voghera, 22 marzo 1986) è stato un banchiere e criminale italiano, coinvolto nell'affare Calvi insieme allo IOR dell'arcivescovo Paul Marcinkus.
Michele Sindona nasce nel 1920 a Patti in provincia di Messina, figlio di un piccolo impresario di pompe funebri.
Laureato in giurisprudenza lavora per un paio di anni all'ufficio delle imposte di Messina. Aiuta attivamente gli Stati Uniti a sbarcare sull'isola siciliana durante la fase conclusiva delle seconda guerra mondiale e proprio in seguito ai suoi fedeli servigi viene arruolato in pianta stabile nella CIA. Al termine della guerra si trasferisce a Milano nel 1946 aprendo uno studio da consulenza tributaria divenendo negli anni '50 uno tra i commercialisti più ambiti. Si specializza in pianificazione fiscale acquisendo le conoscenze nell'esportazione dei capitali e nel funzionamento dei paradisi fiscali. A ciò si aggiungono la sua intelligenza e la spregiudicatezza nelle operazioni di borsa rivelatesi a lui favorevoli che gli permettono di accumulare una considerevole fortuna economica per la futura attività di banchiere.
Durante la sua carriera comprò diverse banche, partendo dalla Banca Privata Finanziaria; successivamente (1972) entrò in possesso del pacchetto di controllo della Franklin National Bank (nell'elenco delle prime venti banche statunitensi) e fondò, tra le altre, la FASCO AG (Liechtenstein) e migliaia di altre società finanziarie; possedeva inoltre partecipazioni in altre aziende, tra cui una banca di investimento in Italia in diretta concorrenza con Mediobanca. Le sue banche si associarono ad altri istituti di credito, come la Finabank di Ginevra e la Continental Illinois di Chicago. Passò dall'essere un mago della finanza internazionale, dopo aver persino scoperto un complotto verso la lira italiana, a essere uno dei più grandi e potenti criminali. Attraverso una serie numerosissima di libretti al portatore trasferì 2 miliardi di lire sulle casse della Democrazia Cristiana, e parecchi milioni di lire vennero distribuiti tramite Vito Miceli a una ventina di politici italiani.
Venne arrestato per bancarotta fraudolenta e condannato dapprima negli Stati Uniti e in seguito anche in Italia. Nel 1986 venne anche condannato all'ergastolo per essere il mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, liquidatore delle sue banche, il quale si era sempre opposto con fermezza alle minacce che subiva.
Durante le indagini emersero l'affiliazione alla P2 di Licio Gelli, contatti con il Vaticano, la Massoneria e con ambienti mafiosi. Per tentare di commuovere gli Stati Uniti e di convincerli che tutte le sue sfortune finanziarie erano frutto di un sabotaggio nei suoi confronti da parte di elementi politici italiani, arrivò a simulare un rapimento. Attraverso esponenti della mafia italo americana ottenne documenti falsi, così che dopo aver simulato il rapimento da parte di un fantomatico gruppo proletario eversivo, si trasferì in Italia per un breve periodo con lo scopo di ritrovare dei documenti necessari per la sua difesa al processo. Durante questo finto rapimento si fece addirittura anestetizzare una gamba per poi farcisi sparare dal dottor Miceli Crimi, medico appartenente alla P2, al fine di rendere più veritiero il sequestro. Dopodiché, rientrò negli Stati Uniti, rimase alcuni giorni in un albergo e poi si fece trovare.
Due giorni dopo la condanna all'ergastolo per l'omicidio di Ambrosoli, fu avvelenato con un caffè al cianuro di potassio nel supercarcere di Voghera il 20 marzo 1986: morì all'ospedale di Voghera dopo due giorni di coma profondo.
La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché le prove e le testimonianze riguardo il veleno utilizzato dal fatto che il cianuro di potassio ha un odore particolarmente pregnante e quindi risulta difficile l'assunzione involontaria; il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo confermavano, facendo pensare a un tentativo di auto-avvelenamento per essere estradato negli Stati Uniti, coi quali l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro negli Stati Uniti. Sindona fece di tutto per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, fu l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò a zuccherare il caffè in bagno e come ricomparve davanti alle guardie carcerarie gridò: Mi hanno avvelenato. Resta comunque plausibile l'ipotesi che la persona fino a oggi ignota che gli fornì il veleno, lo manipolò in modo che lo portasse alla morte e non, come previsto, a un semplice malore, magari in accordo con chi lo avrebbe voluto togliere di mezzo.

▪ 2000 - Carlo Parola (Torino, 20 settembre 1921 – Torino, 22 marzo 2000) è stato un calciatore, allenatore di calcio e dirigente sportivo italiano, il cui ruolo da giocatore era difensore centrale; da allenatore fu tecnico di varie squadre, tra cui la Juventus, nella quale crebbe e in cui trascorse gran parte della sua carriera di calciatore.

▪ 2001 - William Hanna (Melrose, 14 luglio 1910 – North Hollywood, 22 marzo 2001) è stato un regista e produttore televisivo statunitense. Assieme a Joseph Barbera ha formato un sodalizio artistico molto prolifico nel campo dei fumetti e dei cartoni animati e fondato la casa di produzione Hanna & Barbera.

La carriera alla MGM
Nel 1938 avvenne l'incontro con Joseph Roland Barbera, quando Hanna entra a far parte del settore fumetti della MGM, dove Barbera già lavorava come soggettista ed animatore. Grazie al coordinatore del settore, Fred Quimby, i due iniziano a lavorare assieme. Per quasi un ventennio realizzano e coordinano il lavoro di uno staff che produrrà più di 200 cortometraggi della serie Tom e Jerry. Barbera scriveva le storie, disegnava gli schizzi e inventava le gag, Hanna si occupava della regia. Nel 1955 i due sostituirono Fred Quimby come responsabili dell'equipe di animazione e firmarono i successivi cartoons come direttori, rimanendo alla MGM sino al 1957, anno in cui il settore cartoons fu chiuso. I due artisti decisero di fondare una loro casa di produzione.

La Hanna & Barbera Productions Inc.
Nel 1957 assieme a Joseph Barbera fonda l'omonima casa di produzione, con uno studio a Hollywood presso 3400 Cahuenge Boulevard.
Lo studio si ingrandì progressivamente sino a raggiungere un predominio incotrastato, in particolar modo nelle realizzazioni televisive seriali. Lo studio contava allora 800 dipendenti fissi e aveva raggiunto un traguardo di oltre 4.500 contratti per il merchandising dei propri personaggi.
Le produzioni, in particolare negli anni ottanta, sono contraddistinte da una serie di tecniche per realizzare a costi contenuti i cartoni animati delle serie televisive. La tecnica considera un disegno bidimensionale molto semplice, sia per i personaggi che per i fondali; nessun uso del tridimensionale, della prospettiva o inquadrature particolari (carrellate), nessun ricorso ad ombre e sfumature ma uso di colori uniformi. I movimenti dei personaggi sono ricorrenti, nelle azioni i fondali spesso si susseguono ciclicamente e le uniche parti in movimento sono limitate alle gambe ed alla testa, i movimenti dei visi sono limitati alla sola bocca.
Nonostante il successo commerciale, anche a causa dei crescenti costi di produzione, la Hanna & Barbera venne ceduta ed assorbita, assieme alla consociata Ruby-Spears, dal gruppo Taft Entertainment.

▪ 2004 - Lo shaykh Aḥmad Ismāʿīl Yāsīn, nei media occidentali Yassin (1937 – 22 marzo 2004), è stato un religioso palestinese, uno dei fondatori ed il capo spirituale del gruppo fondamentalista islamico Ḥamās.
Figura di spicco nella crisi vicino-orientale, non sempre in totale accordo con il capo dell'Autorità Nazionale Palestinese Yāser ʿArafāt, Yāsīn è stato ucciso a Gaza il 22 marzo 2004 da missili lanciati da un elicottero israeliano contro l'auto sulla quale stava salendo dopo essere uscito da una moschea.
Secondo Israele è stato il responsabile dell'uccisione di centinaia di civili israeliani e di altri paesi in numerosi attentati terroristici. Dirà l'allora Ministro della Difesa israeliano, Generale a riposo Shaul Mofaz: "Lo Stato ebraico persisterà nella propria politica di "liquidare i terroristi", cioè dei cosiddetti 'omicidi selettivi' e continuerà a cercare di eliminare gli uomini più pericolosi della rivolta palestinese". Parole di deplorazione per la sua uccisione sono state espresse dall'intera comunità internazionale. Il 25 marzo 2004 una mozione di condanna di Israele del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è stata bloccata dal veto dei soli Stati Uniti.

▪ 2008 - Gino Donè Paro (Monastier di Treviso, 18 maggio 1924 – San Donà di Piave, 22 marzo 2008) è stato un partigiano e rivoluzionario italiano, unico europeo ad aver partecipato alla rivoluzione cubana e uno dei quattro stranieri, insieme all'argentino Ernesto Guevara, al messicano Alfonso e al dominicano Ramón Mejías, detto Pichirillo, ad essersi imbarcato da Tuxpan per dare inizio alla rivoluzione contro il dittatore Fulgencio Batista.
Dopo aver frequentato le scuole professionali, durante la seconda guerra mondiale diviene partigiano, operando nella Laguna Veneta. Finito il conflitto, si trasferisce in Canada e poi a Cuba, dove, come è usanza nei paesi latinoamericani, aggiunse al cognome paterno anche quello della madre. Nel 1951 è all'Avana come tecnico-carpentiere impiegato nella costruzione della Plaza Civica della capitale (la quale fu poi ribattezzata Plaza de la Revoluciòn). Nel 1953 sposa la cubana Norma Turino Guerra, di idee rivoluzionarie e amica di Aleida March, futura seconda moglie di Che Guevara. I coniugi entrano quindi nel movimento rivoluzionario castrista "26 Luglio".
Nel 1954 riceve l’ordine dal movimento di accompagnare clandestinamente due gruppi di giovani cubani in due viaggi distinti, a Città del Messico, dove è atteso da Fidel Castro. Qui conoscerà anche il giovane Che Guevara. Ormai pienamente inserito nell'attività rivoluzionaria, mettendo a disposizione la sua esperienza di partigiano, collabora negli addestramenti militari in Messico e, alla fine di novembre 1956, parte dal Porto di Tuxpan con gli altri ottantuno patrioti del famoso battello Granma. Gli viene assegnato il grado di tenente del Terzo Plotone, sotto il comando dal capitano Raúl Castro, fratello di Fidel.
Dopo lo sbarco e gli aspri combattimenti, che portarono alla decimazione dei rivoluzionari, torna clandestinamente a Santa Clara dove, attorno al Natale 1956, partecipa assieme ad Aleida March a varie azioni di sabotaggio contro postazioni militari. Nel 1957 viene spedito clandestinamente all'estero. Dopo la vittoria, non ha cercato i privilegi, ma si è tenuto distante dalla vita pubblica facendo il "giramondo".