Il calendario del 21 Settembre
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Eventi
▪ 454 - L'imperatore romano Valentiniano III uccide il generale Ezio durante un'udienza
▪ 1551 - A Città del Messico l'Arcivescovo Juan de Zumárraga e il Viceré Antonio de Mendoza fondano la Reale e Pontificia Università del Messico (oggi UNAM), la più antica Università d'America
▪ 1769 - Il Papa Clemente XIV pubblica le Lettere Encicliche Decet quam maxime, sulla corruzione dei chierici, esortazioni e disposizioni per rimediarvi e Inter multiplices, sulla amministrazione delle Parrocchie
▪ 1792 - La Convenzione Nazionale Francese vota l'abolizione della monarchia: nasce la repubblica francese
▪ 1827 - Joseph Smith sostiene di aver ricevuto dall'angelo Moroni un insieme di lastre d'oro, un terzo delle quali viene tradotto nel Libro di Mormon
▪ 1898 - L'imperatrice vedova Cixi prende il potere in Cina e pone fine alla Riforma dei cento giorni
▪ 1904 - Finisce il primo sciopero generale italiano (iniziato il 16 settembre dello stesso anno)
▪ 1921 - Esplosione di nitrato d'ammonio in un magazzino di prodotti chimici ad Oppau, in Germania, 561 vittime
▪ 1924 - Viene inaugurato a Lainate il primo tratto dell'Autostrada dei laghi, da Milano a Varese, la prima autostrada realizzata al mondo
▪ 1931 - Abbandono definitivo del gold standard da parte della Gran Bretagna
▪ 1937 - J. R. R. Tolkien pubblica Lo Hobbit
▪ 1938 - Il Grande Uragano del 1938 si abbatte su Long Island, a New York; il bilancio stimato di morti è di 600 persone
▪ 1939 - I membri favorevoli al nazismo della Garda de Fier (rumeno, Guardia di Ferro) assassinano il Primo Ministro rumeno Armand Călinescu
▪ 1943 - Insurrezione della città di Matera contro il nazifascismo e strage di Matera
▪ 1952 - California: Florence Chadwick è la prima donna ad attraversare a nuoto lo Stretto di Catalina, in 13 ore, 45 minuti e 32 secondi, nuovo record assoluto
▪ 1964
- - Malta ottiene l'indipendenza dal Regno Unito
- - L'XB-70 Valkyrie, il primo aeroplano a raggiungere la velocità di 3 Mach, intraprende il suo volo inaugurale da Palmdale, in California
▪ 1971 - Il Bhutan entra a far parte dell' ONU
▪ 1972
- - Il Presidente filippino Ferdinand Marcos emana il Proclama N. 1081, ponendo l'intera nazione sotto legge marziale
- - Viene impiantata nell'isola sarda La Maddalena una base statunitense di sommergibili nucleari
- - Viene presentato nelle sale cinematografiche delle maggiori città italiane il film Il padrino
▪ 1976
- - A Washington l'ex ministro del governo di Salvador Allende, Orlando Letelier, viene assassinato tramite una bomba collocata nella sua automobile.
- - Le Isole Seychelles entrano nell'ONU
▪ 1981
- - Il Belize ottiene la piena indipendenza dal Regno Unito ed adotta una propria bandiera
- - Sandra Day O'Connor, la prima giudice donna della Corte Suprema, viene eletta dal Senato all'unanimità
▪ 1984 - Il Brunei ottiene l'indipendenza dal Regno Unito
▪ 1989 - L'uragano Hugo si abbatte sullo stato statunitense della Carolina del Sud
▪ 1990 - Il giudice Rosario Livatino viene assassinato, a soli 38 anni, mentre percorre la statale Agrigento-Caltanissetta, in Sicilia
▪ 1991 - L'Armenia ottiene l'indipendenza dall'Unione Sovietica
▪ 1993 - Il presidente russo Boris Yeltsin sospende il parlamento e annulla la costituzione in vigore, innescando così la Crisi costituzionale russa del 1993
▪ 1995 - Avviene il miracolo indù del latte, nel quale delle statue raffiguranti la divinità induista Ganesh cominciano a bere latte quando vengono avvicinati alla loro bocca dei cucchiai contenenti tale bevanda
▪ 1999 - A Taiwan, terremoto di magnitudo 7,6 della Scala Richter
▪ 2001
- - Deep Space 1 vola a 2.200 km dalla cometa 19P/Borrelly
- - In Francia esplode una fabbrica AZF; il bilancio è di 30 morti e 2500 feriti, oltre a notevoli danni materiali
▪ 2003 - La Sonda Galileo termina la sua missione gettandosi nella schiacciante atmosfera del nucleo di Giove
▪ 2004 - Il Partito Comunista (Marxista-Leninista) Indiano ed il Centro Comunista Maoista dell'India si uniscono, formando il Partito Comunista Indiano
▪ 2005 - Il JetBlue AirWays Flight 292 fa un atterraggio di emergenza all'aeroporto internazionale di Los Angeles
▪ 2006 - Le autorità militari irachene assumono direttamente la responsabilità della sicurezza nella provincia di Dhi Qar, già sotto il comando britannico e italiano
* 2010 - Viene uccisa a Napoli Teresa Buonocore, perché si era costituita parte civile contro il criminale che aveva abusato di sua figlia. Clicca qui
Anniversari
▪ - 1558 - Carlo V d'Asburgo (Gand, 24 febbraio 1500 – Cuacos de Yuste, 21 settembre 1558) fu re di Spagna e Sovrano del Sacro Romano Impero.
Una delle più importanti figure della Storia d'Europa, incoronato come re di Spagna con il nome di Carlo I, re d'Italia, Arciduca d'Austria e Imperatore del Sacro Romano Impero Germanico (S.R.I.), padrone di un impero talmente vasto ed esteso su tre continenti, che lo indusse ad affermare che sul proprio regno il sole non tramontava mai [1].
Origini familiari
Carlo era figlio di Filippo il Bello d'Asburgo, figlio a sua volta dell'Imperatore Massimiliano I d'Austria e di Maria di Borgogna, erede dei vasti possedimenti dei Duchi di Borgogna. La madre era invece Giovanna di Castiglia, detta "la Pazza", figlia dei Re Cattolici Ferdinando II d'Aragona e della sua consorte Isabella di Castiglia. In virtù di questi avi d'eccezione, Carlo poté ereditare un vastissimo impero, oltretutto in continua espansione, ed esteso su tre continenti (Europa, Africa e America). Nelle sue vene infatti scorreva sangue delle più disparate nazionalità, tedesca, spagnola, francese, polacca, italiana e inglese. Tramite il padre discendeva infatti, oltre che naturalmente dagli Asburgo, i quali ormai da tre secoli regnavano sull'Austria e da quasi 100 anni ininterrottamente sull'Impero Germanico, anche dalla casata polacca dei Piast, del ramo dei duchi di Masovia, attraverso la trisavola Cimburga di Masovia (e questa discendenza gli lascerà anche un segno fisico: il famoso "labbro sporgente all'Asburgo"). Il marito di Cimburga, il duca di Stiria Ernesto il Ferreo, era invece figlio di Verde Visconti, e ciò rendeva Carlo diretto discendente dei Visconti di Milano e quindi pretendente legittimo al Ducato di Milano. Tramite la nonna Maria, duchessa di Borgogna, egli discendeva invece dai Re di Francia della Casa dei Valois, diretti discendenti di Ugo Capeto; ciò rendeva dunque Carlo discendente del grande casato dei Capetingi, e quindi anche del fondatore dell'Impero, il suo omonimo Carlo Magno. La madre Giovanna invece gli portò la discendenza dalla grande casata castigliana e aragonese dei Trastamara. Essi a loro volta avevano riunito nel loro blasone le eredità delle antiche casate iberiche di Barcellona, primi re di Aragona, di Léon, Castiglia e Navarra, discendenti degli antichi re delle Asturie, di origine visigota. I Re di Aragona erano inoltre discendenti degli Hohenstaufen tramite Costanza, figlia di re Manfredi; questo fatto permise a Carlo (che si trovava in questo modo a discendere dall'Imperatore Federico II di Svevia, detto lo "Stupor Mundi"), di ereditare i regni di Napoli e Sicilia. Infine, due sue trisavole del lato materno erano Caterina e Filippa di Lancaster, entrambe figlie di Giovanni di Gand, figlio cadetto di Edoardo III Plantageneto, re d'Inghilterra.
Dalla nascita (1500) alla incoronazione di Aquisgrana (1520)
Nell'anno 1496, Massimiliano I d'Asburgo, Arciduca d'Austria, nonché Imperatore del S.R.I., mediante una accorta "politica matrimoniale", fece in modo che il proprio figlio ed erede al trono, Filippo, detto "il bello", prendesse in moglie Giovanna di Castiglia, detta "la pazza", figlia dei cattolicissimi sovrani di Spagna Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia.
Da questa unione, il 24 febbraio 1500, a Gand, cittadina del Ducato delle Fiandre, nacque Carlo, perciò detto Carlo di Gand. Oltre a Carlo, nacquero altri cinque figli. Eleonora, la primogenita, che andò in sposa prima ad Emanuele I di Aviz, Re del Portogallo e poi a Francesco I di Valois-Angoulême, Re di Francia. Dopo di lui, in successione, nacquero: Isabella che andò in sposa a Cristiano II Oldenburg, Re di Danimarca; Ferdinando che sposò Anna Jagellone d'Ungheria dando inizio al ramo austriaco degli Asburgo; Maria che andò sposa a Luigi II d'Ungheria e Boemia e Caterina che andò sposa a Giovanni III di Aviz, Re del Portogallo.
Carlo era predestinato a diventare, in breve tempo, il sovrano più potente del mondo, seppure aiutato in ciò da una serie di fortuite circostanze.
Infatti, l'unico figlio maschio dei nonni materni era già scomparso nel 1497, senza lasciare eredi. Immediatamente dopo, scomparve anche la loro figlia primogenita e nello stesso anno 1500 scomparve anche l'unico figlio maschio di quest'ultima ed erede di Castiglia e d'Aragona. Per cui, nell'anno 1504, con la morte della Regina Isabella, sua figlia Giovanna, madre di Carlo, divenne l'erede di tutti i beni di Castiglia e Carlo stesso ne divenne, a sua volta, erede potenziale.
Subito dopo, Giovanna venne colpita da follia e si trovò nella impossibilità di governare. A causa di questa infermità, Giovanna di Castiglia era ed è più comunemente nota come "Giovanna la pazza"[2]. Nel 1506 scomparve prematuramente anche Filippo, padre di Carlo, per cui, quest'ultimo, all'età di soli sei anni, si trovò ad essere il potenziale erede non solo dei beni di Castiglia, ma anche di quelli d'Austria e di Borgogna; questi ultimi quale eredità dei nonni paterni, in quanto il nonno Massimiliano d'Asburgo aveva sposato Maria Bianca di Borgogna, ultima erede dei Duchi di Borgogna.
Carlo fu educato prima da Guillaume de Croy, Signore di Chièvres, poi da Adriaan Florensz di Utrecht, Vescovo di Tortosa e futuro papa Adriano VI, e dalla zia l'Arciduchessa Margherita d'Asburgo. Tutta l'educazione del giovane principe si svolse nelle Fiandre e fu ammantata di cultura fiamminga, nonostante i suoi natali austro-ispanici.
Il Ducato delle Fiandre costituì la "culla" di Carlo. Nelle Fiandre risiedeva, infatti, il padre Filippo fin da quando ne aveva ereditato il possesso dalla madre Maria di Borgogna, morta all'età di venticinque anni a causa di una caduta da cavallo. E nelle Fiandre Carlo trascorse l'infanzia e l'adolescenza.
Il 5 gennaio 1515, a Bruxelles, Carlo fu dichiarato maggiorenne e fu proclamato nuovo Duca di Borgogna. Gli fu, quindi, affiancato un consiglio ristretto di cui facevano parte Guillaume de Croy, Adriano di Utrecht e il Gran Cancelliere Jean de Sauvage. Carlo fu affiancato, come consigliere, anche da Erasmo da Rotterdam, il quale, in una lettera inviata a Tommaso Moro, si dimostrava alquanto perplesso circa le effettive capacità intellettuali del principe.
Egli, infatti, non fu mai molto amante degli studi, preferendo le arti cavalleresche e la caccia. Pur essendo Re di Spagna, la sua lingua era il francese e imparò lo spagnolo solo in maniera superficiale.
Nell'anno 1516, con la morte del nonno materno Re Ferdinando d'Aragona, Carlo, a soli sedici anni, ereditò anche il trono d'Aragona, concentrando nelle sue mani tutta la Spagna, per cui poté fregiarsi del titolo di Re di Spagna a tutti gli effetti, assumendo il nome di Carlo I.[3] Occorre precisare, però, che la vera erede al trono di Castiglia rimaneva pur sempre sua madre Giovanna, la quale, a causa della sua riconosciuta infermità mentale, dovette cedere i suoi poteri effettivi al figlio Carlo, anche se dal punto di vista dinastico fu Regina fino alla sua morte, avvenuta nell'anno 1555.
Una volta ereditato il trono di Spagna, Carlo aveva necessità di essere riconosciuto Re dai propri sudditi, in quanto, pur avendo come ascendenti i sovrani castigliano-aragonesi, era pur sempre un Asburgo. A tal fine convocò le Cortes di Castiglia sul finire del 1517 nella città di Valladolid. Dopo varie trattative, all'inizio dell'anno successivo prestò giuramento e fu riconosciuto Re. Analogamente si comportò con le Cortes d'Aragona e di Catalogna, convocate a fine 1518 a Saragozza e Barcellona. Anche qui, nel 1519, dopo varie trattative, il sovrano prestò giuramento e fu riconosciuto Re. Dopo di che dovette recarsi in Austria per raccogliere anche l'eredità asburgica.
Nell'anno 1519, infatti, con la morte del nonno paterno Massimiliano I, Carlo, che era già Re di Spagna da tre anni, a soli diciannove anni ascese anche al trono d'Austria, entrando in possesso, a pieno titolo, anche dell'eredità borgognona della nonna paterna[4]. Nello stesso anno, precisamente il 28 giugno 1519 nella città di Francoforte, sostenuto dai banchieri tedeschi Fugger, fu eletto Imperatore del S.R.I., prevalendo sull'altro candidato alla corona imperiale che era Francesco I, Re di Francia[4]. I principi elettori preferirono eleggere Carlo V a scapito di Francesco I perché trovarono vantaggioso per le loro aspirazioni autonomistiche il fatto che Carlo, essendo re di Spagna, viveva e operava lontano dalla sede imperiale[4]. Carlo fu incoronato Imperatore dall'Arcivescovo di Colonia il 23 ottobre 1520 nella cattedrale di Aquisgrana[4].
Carlo di Gand, come Imperatore del S.R.I., assunse il nome di Carlo V, e come tale è passato alla Storia.
Dalla incoronazione di Aquisgrana (1520) alla incoronazione di Bologna (1530)
La scomparsa prematura di tutta la discendenza maschile della dinastia castigliano-aragonese, unitamente alla scomparsa prematura del padre Filippo "il bello" ed alla infermità della madre Giovanna di Castiglia, fece sì che Carlo V, all'età di soli 15 anni, risultasse titolare di un "impero" talmente vasto come non si era mai visto prima d'allora, neppure ai tempi di Carlo Magno.
Nel dettaglio i possedimenti di Carlo V erano così composti:[4]
- Eredità di Isabella di Castiglia: la Castiglia, la Navarra, Granada, le Asturie, i possedimenti in Africa settentrionale, nell'America centrale ed in quella caraibica.
- Eredità di Ferdinando d'Aragona: i Regni d'Aragona, Valencia e Maiorca e le contee sovrane di Barcellona, Rossiglione e Cerdagna nonché i Regni di Napoli, Sicilia e Sardegna.
- Eredità di Maria di Borgogna: I Paesi Bassi, le Fiandre, l'Artois e la Franca Contea (Besançon).
- Eredità di Massimiliano I d'Asburgo: Arciducato d'Austria con Stiria, Carinzia, Tirolo e Milano, nonché i Regni del Württemberg, Boemia e Ungheria.
Contrariamente a quanto avveniva comunemente in quei tempi, Carlo contrasse un solo matrimonio, l'11 marzo 1526 con la cugina Isabella del Portogallo (1503 – 1539) dalla quale ebbe sei figli. Ebbe anche sette figli illegittimi.
Carlo V aveva ereditato dalla nonna paterna anche il titolo di Duca di Borgogna che era stato appannaggio, per pochi anni, anche di suo padre Filippo. Come Duca di Borgogna era vassallo del Re di Francia, in quanto la Borgogna era territorio appartenente, ormai da tempo, alla corona francese. Inoltre i Duchi di Borgogna, suoi antenati, appartenevano ad un ramo cadetto dei Valois, dinastia regnante in Francia proprio in quel momento.
La Borgogna era un vasto territorio ubicato nel Nord-Est della Francia, al quale, in passato e per interessi comuni, si erano uniti altri territori come la Lorena, il Lussemburgo la Franca Contea e le province olandesi e fiamminghe, facendo di queste terre le più ricche e prospere d'Europa. Esse erano situate, infatti, al centro delle linee commerciali europee ed erano il punto di approdo dei traffici d'oltremare da e verso l'Europa. Tant'è che la città di Anversa era diventata il più grande centro commerciale e finanziario d'Europa.
Suo nonno l'Imperatore Massimiliano, alla morte della consorte Bianca nel 1482, tentò di riappropriarsi del Ducato per condurlo sotto il governo diretto degli Asburgo, cercando di sottrarlo alla corona di Francia. A tal fine intraprese un conflitto con i francesi protrattosi per oltre un decennio, dal quale uscì sconfitto. Fu quindi costretto, nell'anno 1493, a sottoscrivere con Carlo VIII d'Angiò Re di Francia la Pace di Senlis, con la quale rinunciava definitivamente ad ogni pretesa sul Ducato di Borgogna, mantenendo però la sovranità sui Paesi Bassi, l'Artois, e la Franca Contea.
Questa forzata rinuncia non fu mai veramente accettata da Massimiliano e il desiderio di rivalsa verso la Francia, si trasferì parimenti al nipote Carlo V, il quale, nel corso della sua vita, non rinunciò mai all'idea di riappropriarsi della Borgogna.
Carlo, come Re di Spagna, era affiancato da un Consiglio di Stato che esercitava una notevole influenza sulle decisioni regie. Il Consiglio di Stato era composto di otto membri: un italiano, un savoiardo, due spagnoli e quattro fiamminghi. Fin dalla sua costituzione, nel Consiglio si formarono due schieramenti: uno faceva capo al Viceré di Napoli Carlo di Lannoy e l'altro al piemontese Mercurino Arborio di Gattinara che era anche il Gran Cancelliere del Re. Mercurino Arborio di Gattinara, nella sua veste di Gran Cancelliere (carica che mantenne ininterrottamente dal 1519 al 1530) e uomo di fiducia di Carlo, ebbe molta influenza sulle decisioni di quest'ultimo, anche se all'interno del Consiglio di Stato continuavano a sussistere quelle due fazioni abbastanza discordanti, soprattutto circa la conduzione della politica estera. Infatti, lo schieramento capeggiato da Lannoy era filo francese ed anti italiano; quello capeggiato dal Mercurino Arborio di Gattinara era anti francese e filo italiano.
Nel corso del suo governo Carlo V non raccolse molti successi. Una delle cause che ebbe a determinare la mediocre attività politica dell'Imperatore fu probabilmente la lentezza delle comunicazioni, dovuta alla vastità dei suoi possedimenti. Altra causa fu certamente la presenza di altre realtà contemporanee e conflittuali con l'Impero, come il Regno di Francia e l'Impero Ottomano, le quali costituirono l'impedimento più forte alla politica dell'Imperatore che tendeva alla realizzazione di un governo universale sotto la guida degli Asburgo. Egli, infatti, intendeva legare agli Asburgo, permanentemente ed in forma ereditaria, il titolo imperiale, ancorché sotto forma elettiva, in conformità delle disposizioni contenute nella Bolla d'oro emanata nel 1356 dall'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo, Re di Boemia.
Il Re di Francia, Francesco I di Valois-Angoulême, infatti, attraverso la sua posizione fortemente autonomistica, unitamente alle sue mire di espansione verso le Fiandre ed i Paesi Bassi, oltre che verso l'Italia, si oppose sempre ai tentativi dell'Imperatore di ricondurre la Francia sotto il controllo dell'Impero. Questa opposizione egli la esercitò mediante numerosi e sanguinosi conflitti.
Così come l'Impero Ottomano di Solimano il Magnifico, che, con le sue mire espansionistiche verso l'Europa centrale, costituì sempre una spina nel fianco dell'Impero. Infatti, Carlo V fu costretto a sostenere diversi conflitti anche contro i Turchi; spesso su due fronti contemporaneamente: ad oriente contro gli ottomani e ad occidente contro i francesi.
Su entrambi i fronti Carlo uscì vittorioso, sebbene non tanto per merito suo quanto dei suoi luogotenenti. Vittorioso, sì, ma dissanguato economicamente, soprattutto perché agli enormi costi delle campagne militari si aggiungevano i faraonici costi per il mantenimento della sua corte nella quale egli aveva introdotto il lusso sfrenato delle usanze borgognoni.
Per tutto il corso della sua vita, Carlo V dovette affrontare anche i problemi sollevati prima in Germania e, subito dopo, anche in altre parti del suo Impero e nell'Europa in generale, dalla neonata dottrina religiosa dovuta al monaco tedesco Martin Lutero, in opposizione alla Chiesa cattolica. Tali problemi si manifestarono non soltanto nelle dispute dottrinali, ma sfociarono anche in conflitti aperti. Carlo, che sul piano religioso si autoproclamava il più strenuo difensore della Chiesa cattolica, non fu in grado né di sconfiggere la nuova dottrina, né, tanto meno, di limitarne la diffusione. Tant'è che due Diete, quella di Augusta del 1530 e quella di Ratisbona del 1541, si conclusero con un nulla di fatto, rinviando ogni decisione sulle dispute dottrinali ad un futuro Concilio ecumenico.
Carlo poté accrescere i possedimenti oltreatlantici della corona di Spagna attraverso le conquiste operate da due tra i più abili conquistadores dell'epoca: Hernán Cortés e Francisco Pizarro. Il primo sconfisse gli Aztechi e conquistò la Florida, Cuba, il Messico, il Guatemala, l'Honduras e lo Yucatan. Il secondo sconfisse l'Impero Inca e conquistò il Perù e il Cile, cioè tutta la costa del Pacifico dell'America meridionale. Carlo nominò Cortes Governatore dei territori assoggettati nell'America del Nord, i quali andarono così a costituire la Nuova Spagna. Mentre Pizarro fu nominato governatore del Vicereame del Perù. All'indomani della sua incoronazione imperiale Carlo V dovette fronteggiare, negli anni 1520-1522, le rivolte in Castiglia e in Aragona, dovute essenzialmente al fatto che la Spagna non solo era nelle mani di un sovrano di origini tedesche, ma anche che quest'ultimo era stato eletto Imperatore del S.R.I., e, come tale, tendeva ad occuparsi maggiormente dei problemi legati all'Europa austro-germanica che non a quelli della Spagna.
In Castiglia vi fu la rivolta dei comuneros (o comunidades castigliane) che aveva come obiettivo il raggiungimento di un maggior peso politico nell'Impero da parte della Castiglia stessa. In Aragona vi fu la rivolta della Germanìa contro la nobiltà. La "germanìa" era una confraternita che riuniva tutte le corporazioni cittadine. Carlo riuscì a sedare queste rivolte senza danno alcuno per il suo trono.
Due anni dopo la sua incoronazione d'Aquisgrana, Carlo raggiunse un accordo segreto con il fratello Ferdinando, circa i diritti ereditari spettanti a ciascuno dei due. In base a tale accordo fu stabilito che Ferdinando e i suoi discendenti avrebbero avuto i territori austriaci e la corona imperiale, mentre ai discendenti di Carlo sarebbero andati la Borgogna, le Fiandre, la Spagna e i territori d'oltremare.
Dal 1521 al 1529, Carlo V combatté ben due lunghe e sanguinose guerre contro la Francia per il possesso del Ducato di Milano e della Repubblica di Genova. Decisiva per la conclusione della prima fu la battaglia di Pavia nella quale, grazie al capitano di ventura forlivese Cesare Hercolani fu catturato il re Francesco I.
In entrambi i conflitti, dunque, Carlo uscì vittorioso: il primo conclusosi con la Pace di Madrid e il secondo con la Pace di Cambrai. Nel corso della seconda guerra tra i due sovrani, nel 1527, si ricorda l'invasione della città di Roma ad opera dei Lanzichenecchi al comando del generale Georg von Frundsberg. Le soldataglie germaniche devastarono e saccheggiarono completamente la città, distruggendo tutto ciò che era possibile distruggere e costringendo il Papa ad asserragliarsi in Castel Sant'Angelo[5]. Questa vicenda è tristemente nota come il "sacco di Roma". Questi fatti suscitarono moti di sdegno talmente aspri in tutto il mondo civile, da indurre Carlo V a prendere le distanze dai suoi mercenari e a condannarne fermamente l'operato, giustificandosi col fatto che essi avevano agito senza il controllo del loro comandante che era dovuto rientrare in Germania per motivi di salute.
A parziale compensazione delle vicende romane, Carlo V si impegnò a ristabilire a Firenze la signoria della famiglia Medici, di cui lo stesso Papa era membro, ma quella che doveva essere una veloce operazione delle truppe imperiali divenne un lungo assedio che si concluse con una sofferta vittoria[5].
In ottemperanza ai patti sottoscritti a Cambrai, il 22 febbraio 1530, a Bologna, nel palazzo di città, Clemente VII incoronò Carlo V, come Re d'Italia, con la Corona Ferrea dei Re longobardi. Due giorni dopo, nella Chiesa di San Petronio, Carlo V fu incoronato anche Imperatore del S.R.I., anche se la corona imperiale gli era stata già imposta dieci anni prima in Aquisgrana dal Vescovo di Colonia. Questa volta, però, la consacrazione imperiale gli venne direttamente imposta dalle mani del Pontefice[5].
Nello stesso anno della sua incoronazione bolognese vi fu la scomparsa del Gran Cancelliere Mercurino di Gattinara, il consigliere più influente ed ascoltato del Re. Dopo la scomparsa del Gattinara, Carlo V non si lasciò più influenzare da nessun altro consigliere e le decisioni che egli prenderà d'ora in avanti, saranno il frutto quasi esclusivo dei suoi convincimenti. Il processo di maturazione del sovrano era compiuto.
Dall'incoronazione di Bologna (1530) alla spedizione di Algeri (1541)
L'anno 1530 costituisce per Carlo V una svolta significativa, per la sua persona e per il suo ruolo di Re ed Imperatore. Infatti, come persona, si affranca dalla tutela di qualsivoglia consigliere e inizia a prendere tutte le sue decisioni autonomamente, sulla scorta dell'esperienza maturata al fianco del Gattinara. Come Sovrano, attraverso l'imposizione della corona imperiale per mano del Pontefice, egli si sente investito del primario compito di doversi dedicare completamente alla soluzione dei problemi che il luteranesimo aveva creato in Europa e in Germania in particolare, col preciso scopo di salvare l'unità della Chiesa Cristiana d'Occidente.
A tal fine, nel medesimo anno 1530, convocò la Dieta di Augusta, nella quale si confrontarono i luterani e i cattolici attraverso vari documenti.
Di particolare rilievo fu la "Confessio Augustana", redatta per trovare una sistemazione organica e coerente alle premesse teologiche e ai concetti dottrinali compositi che rappresentavano i fondamenti della fede luterana, senza che vi fosse accenno al ruolo del papato nei confronti delle chiese riformate. Carlo V confermò l'Editto di Worms del 1521, cioè la scomunica per i luterani, minacciando la ricostituzione della proprietà ecclesiastica. Per tutta risposta i luterani, rappresentati dai cosiddetti "ordini riformati", reagirono dando vita, nell'anno 1531, alla Lega di Smalcalda[6]. Tale lega, dotata di un esercito federale e di una cassa comune, fu detta anche "Lega dei Protestanti", ed era guidata dal Duca Filippo I d'Assia e dal Duca Giovanni Federico, elettore di Sassonia.
Va chiarito che i seguaci della dottrina di Lutero assunsero la denominazione di "protestanti" in quanto essi, riuniti in "ordini riformati", nel corso della seconda Dieta di Spira del 1529, protestarono contro la decisione dell'Imperatore di ripristinare l'Editto di Worms (lèggi scomunica e ricostituzione dei beni ecclesiastici), editto che era stato sospeso nella precedente prima Dieta di Spira del 1526[6].
In quello stesso anno Carlo risolse un problema che da lungo tempo gli causava imbarazzi. Nel 1522 i Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme persero, per mano degli ottomani, l'isola di Rodi, fino a quel momento loro dimora e da sette anni girovagavano per il Mar Mediterraneo in cerca di una nuova terra. La situazione non era facile perché i Cavalieri di San Giovanni non accettavano di essere sudditi di nessuno e ambivano a un luogo in cui essere sovrani in un Mediterraneo completamente occupato da altre potenze. Nell'1524 Carlo offrì ai Cavalieri l'isola di Malta che era sotto il suo diretto controllo. La proposta spiacque da principio agli Ospitalieri perché implicava una sottomissione formale all'Impero, però, dopo lunghe trattative, essi accettarono l'isola (a loro dire poco accogliente e non facile da difendere) ponendo la condizione di essere sovrani e non sudditi dell'imperatore e chiedendo che fosse loro assicurato l'approvvigionamento del necessario per vivere dalla Sicilia. La decisione di Carlo, più che riflettere un reale desiderio di venire in aiuto all'Ordine di San Giovanni, fu di carattere strategico: Malta, piccolissima isola nel centro del Mediterraneo, situata in una posizione di grande importanza strategica specialmente per le navi che vi transitavano e sostavano in gran numero, era oggetto degli attacchi e dei saccheggi dei pirati, perciò Carlo necessitava di qualcuno che si occupasse a tempo pieno della sua difesa ed i Cavalieri erano perfetti per questo.
Il decennio che si aprì all'indomani dell'incoronazione di Carlo V a Bologna nella basilica di San Petronio il 24 febbraio del 1530 da Papa Clemente VII, e che si concluse nel 1540, fu denso di avvenimenti, che crearono all'Imperatore non pochi grattacapi. Infatti si riaprì il conflitto con la Francia; vi fu una recrudescenza delle incursioni dell'Impero Ottomano verso l'Europa e si dovette registrare una notevole espansione della dottrina luterana. Carlo V, come estremo baluardo dell'integrità dell'Europa e della fede cattolica, dovette destreggiarsi su tutti e tre i fronti, contemporaneamente e con notevoli difficoltà.
All'inizio degli anni trenta, sia Carlo V che Francesco I cominciarono ad attuare la cosiddetta "politica matrimoniale" attraverso cui intendevano acquistarsi quel controllo territoriale sugli Stati d'Europa che non avevano potuto acquisire attraverso il ricorso alle armi. Carlo V, infatti, progettò il matrimonio della propria figlia naturale Margherita con il Duca di Firenze, nonché quello della nipote Cristina di Danimarca con il Duca di Milano. Francesco I, dal canto suo, diede in sposa la cognata Renata di Francia al Duca di Ferrara Ercole II d'Este.
Ma il capolavoro, in questo campo, fu compiuto dal Papa Clemente VII, il quale organizzò il matrimonio tra sua nipote Caterina de' Medici con il figlio secondogenito di Francesco I, Enrico, il quale, a causa della morte prematura dell'erede al trono Francesco, sarebbe diventato a sua volta Re di Francia con il nome di Enrico II.
Questo matrimonio spinse Francesco I ad essere più intraprendente ed aggressivo nei confronti di Carlo V; tant'è che concluse un'alleanza con il Sultano di Costantinopoli spingendo quest'ultimo ad aprire un secondo fronte di conflitto contro l'Imperatore, nel Mediterraneo, ad opera dell'ammiraglio turco Khayr al-Din, detto Barbarossa, suddito del Sultano.
Questa mossa provocò la decisione di Carlo V di intraprendere una campagna militare contro i musulmani in Nord Africa, che si concluse, nel 1535, con la conquista di Tunisi e la sconfitta del Barbarossa, ma non la sua cattura, avendo quest'ultimo trovato rifugio nella città di Algeri.
Di ritorno dalla spedizione di Tunisi, Carlo V decise di fermarsi in Italia. Il 10 agosto 1535 sostò con tutto il seguito a Padula, alloggiando nella Certosa di San Lorenzo, dove i monaci certosini prepararono per l'imperatore una leggendaria Frittata di 1000 uova.[7][8]
Giunse a Roma nell'aprile del 1536, anche per conoscere, e cercare di farselo alleato, il nuovo Pontefice Paolo III (Alessandro Farnese), succeduto a Clemente VII che era scomparso nel 1534. Il nuovo Pontefice si dichiarò neutrale nella ultradecennale contesa tra la Francia e l'Impero, per cui, Francesco I, forte di questa neutralità, riprese le ostilità, dando inizio al terzo conflitto con l'Imperatore, che si concluse soltanto due anni dopo, nel 1538, con l'armistizio di Bomy e la Pace di Nizza, che non portarono a nessun risultato, lasciando inalterate le risultanze della Pace di Madrid e della Pace di Cambrai, che avevano concluso i due precedenti conflitti.
Contemporaneamente a questi avvenimenti, Carlo V dovette fronteggiare, come abbiamo detto, anche la diffusione della dottrina luterana che aveva trovato il suo punto di massima nella formazione della Lega di Smalcalda nel 1531, alla quale cominciavano ad aderire sempre più numerosi i Principi germanici.
L'Imperatore si impegnò nuovamente contro i Turchi in un conflitto che si concluse con molta sfortuna in una sconfitta, maturata nella battaglia navale di Prevesa del 27 settembre 1537, dove lo schieramento turco, guidato dal Barbarossa ebbe la meglio sulla flotta degli imperiali, composta da navi genovesi e veneziane.
Questa sconfitta indusse Carlo V a riprendere i rapporti con gli Stati della Germania, di cui aveva comunque bisogno, sia da un punto di vista finanziario che militare. Il suo atteggiamento più conciliante verso i rappresentanti luterani, tenuto nelle diete di Worms (1540) e Ratisbona (1541), gli valsero l'appoggio di tutti i Principi, oltre che l'alleanza di Filippo I d'Assia. Ciò portò alla realizzazione di un'altra spedizione contro i musulmani, sia per riguadagnare credibilità e sia perché l'eterno rivale Francesco I Re di Francia si era alleato con il Sultano. Questa volta l'obiettivo fu Algeri, base logistica del Barbarossa e punto di partenza di tutte le scorrerie delle navi corsare contro i porti della Spagna.
Carlo V raccolse una forza d'invasione estremamente ragguardevole, affidata ai comandi di valorosi ed esperti condottieri quali Andrea Doria, Ferrante I Gonzaga e Hernán Cortés. Nonostante ciò la spedizione dell'ottobre 1541 fu un completo fallimento, in quanto le avverse condizioni del mare distrussero ben 150 navi cariche di armi, soldati ed approvvigionamenti. Con quel che restava Carlo V non fu in grado di concludere vittoriosamente l'impresa e dovette rientrare in Spagna, ai primi di dicembre dello stesso anno, dando l'addio definitivo alla sua politica di controllo del Mediterraneo.
Dalla spedizione di Algeri (1541) alla morte di Francesco I (1547)
A seguito di questa sconfitta, Francesco I, nel mese di luglio del 1542, diede l'avvio alla quarta guerra contro l'Imperatore che si concluse soltanto nel mese di settembre del 1544 con la firma della pace di Crépy, dalla quale il Re di Francia uscì nettamente sconfitto ancora una volta, anche se poté mantenere alcuni territori occupati durante il conflitto e appartenenti al Ducato di Savoia. Francesco, infatti, non solo dovette rinunciare definitivamente ai suoi sogni di conquista dell'Italia, ma dovette impegnarsi anche ad appoggiare l'apertura di un Concilio sulla questione luterana. La qual cosa puntualmente avvenne.
Il Pontefice Paolo III convocò, infatti, un Concilio Ecumenico nella città di Trento, i cui lavori furono ufficialmente aperti il 15 dicembre 1545. Fu un Concilio del quale sia il Re che l'Imperatore non avrebbero mai visto la conclusione, così come neppure il Pontefice che lo aveva convocato.
Poiché i protestanti si rifiutarono di riconoscere il Concilio di Trento, l'Imperatore mosse loro guerra nel mese di giugno del 1546, forte di un esercito composto dai pontifici al comando di Ottavio Farnese, dagli austriaci di Ferdinando d'Austria, fratello dell'Imperatore, e dai soldati dei Paesi Bassi al comando del Conte di Buren. L'Imperatore era affiancato da Maurizio di Sassonia che era stato abilmente sottratto alla Lega Smalcaldica. Carlo V conseguì una schiacciante vittoria nella battaglia di Mühlberg nel 1547, a seguito della quale i principi tedeschi si ritirarono e si sottomisero all'Imperatore. Celebre è il ritratto eseguito da Tiziano nel 1548 e conservato al Museo del Prado di Madrid per celebrare questa vittoria. In esso l'Imperatore è raffigurato a cavallo, con armatura, cimiero e una picca nelle mani, nell'atto di guidare le sue truppe in battaglia.
Invero, le cronache dell'epoca riferirono che l'Imperatore seguì la battaglia da molto lontano, steso su una lettiga, in quanto impossibilitato a muoversi a causa di uno dei suoi frequenti attacchi di gotta. Un male che lo afflisse per tutta la vita, causato dalla sua smodata passione per i piaceri della buona tavola.
Per i primi due anni il Concilio si dibatté su questioni di carattere procedurale, mancando l'accordo tra il Papa e l'Imperatore: infatti mentre l'Imperatore cercava di portare il dibattito su temi riformisti, il Papa cercava di portarlo, invece, più su temi di carattere teologico.
Il 31 maggio del 1547 vide la morte del Re Francesco I e, poiché il Delfino Francesco era morto prematuramente nel 1536 all'età di 18 anni, salì sul trono di Francia il secondogenito di Francesco I, col nome di Enrico II. Non solo, ma, nello stesso anno, Paolo III trasferì la sede del Concilio da Trento a Bologna, col preciso scopo di sottrarlo all'influenza dell'Imperatore.
Dalla morte di Francesco I (1547) all'assedio di Metz (1552)
Carlo V era ormai giunto al culmine della sua potenza. Il suo grande antagonista, Francesco I, era scomparso. La Lega di Smalcalda era stata vinta. Il Ducato di Milano, nelle mani di Ferdinando Gonzaga, era agli ordini dell'Imperatore, così come Genova, la Savoia e i Ducati di Ferrara, Toscana e Mantova, oltre alle Repubbliche di Siena e Lucca. L'Italia meridionale era già da tempo un vicereame spagnolo. Papa Paolo III, per opporsi a tale strapotere, null'altro poteva fare se non stringere un accordo con il nuovo Re di Francia.
Il culmine della sua potenza, però, coincise anche con l'inizio del suo declino. Infatti, nel biennio 1546-1547, Carlo V dovette fronteggiare alcune congiure anti-spagnole in Italia. A Lucca, nel 1546, Francesco Burlamacchi tentò di instaurare in tutta la Toscana uno Stato repubblicano. A Genova, Gianluigi Fieschi organizzò, senza successo, una rivolta a favore della Francia. A Parma, infine nel 1547, Ferdinando Gonzaga conquistò Parma e Piacenza a spese del Duca Pier Luigi Farnese (figlio del Pontefice), ma la conquista fallì per mano del Duca Ottavio Farnese che riconquistò il Ducato, il quale fu successivamente riconquistato ancora una volta dal Gonzaga.
Papa Paolo III morì il 10 novembre del 1549. Gli successe il Cardinal Giovanni Maria Ciocchi del Monte che assunse il nome di Giulio III.
Il nuovo Papa, la cui elezione era stata favorita dai cardinali Farnese presenti in Conclave, come ringraziamento verso il casato dei Farnese, dispose la restituzione ad Ottavio Farnese del Ducato di Parma che era stato riconquistato nel 1551 da Ferdinando Gonzaga. Ottavio, credendo a Gonzaga sulla volontà del suocero di togliergli il ducato, s'avvicinò alla Francia, di seguito il pontefice lo dichiarò decaduto dal titolo, così che strinse definitivamente un'alleanza con Enrico II. Giulio III intravedeva in tutto questo un coinvolgimento della Santa Sede che l'avrebbe condotta a schierarsi a fianco del Re. La qual cosa contrastava con il principio di neutralità che il Papa si era imposto al momento della sua elezione, a salvaguardia del proprio potere temporale. Questa alleanza, infatti, provocò un nuovo conflitto tra il Regno e l'Impero, nel quale il Pontefice si trovò legato, giocoforza, a Carlo V.
Qualche anno dopo, però, il Papa strinse un accordo con Enrico II, passando, di fatto, nell'altro campo, adducendo, a sostegno della sua scelta, il fatto che il luteranesimo si stava espandendo anche in Francia e che le casse dello Stato Pontificio erano ormai esaurite. Questo accordo, però, per patto tra i due, avrebbe dovuto essere ratificato dall'Imperatore.
Carlo V, trovandosi in difficoltà per ragioni di carattere interno nei suoi territori in Germania, ratificò l'accordo e ritenne che il conflitto con la Francia fosse esaurito. Invece Enrico II cominciò una nuova avventura: la conquista di Napoli; a tanto sollecitato da Ferdinando di Sanseverino, Principe di Salerno, il quale riuscì a convincere il Re di Francia ad un intervento militare nel meridione d'Italia con lo scopo di liberarla dall'oppressione spagnola. Allo stesso modo come fece il suo predecessore Antonello di Sanseverino allorquando spinse Carlo VIII alla conquista di Napoli.
Re Enrico, ben sapendo che da solo non sarebbe mai riuscito a strappare l'Italia meridionale a Carlo V, si alleò con i Turchi, e progettò l'invasione attraverso una operazione congiunta della flotta turca e di quella francese. Nell'estate del 1552, la flotta turca, al comando di Sinan Pascià, sorprese la flotta imperiale, al comando di Andrea Doria e don Giovanni de Mendoza, al largo di Ponza. La flotta imperiale fu clamorosamente sconfitta. Ma poiché la flotta francese non riuscì a ricongiungersi con quella turca, l'obiettivo dell'invasione del napoletano fallì.
In Germania, intanto, l'Imperatore, dopo la vittoria di Mühlberg, aveva adottato una politica estremamente autoritaria, la quale ebbe come conseguenza la formazione di una alleanza tra i Principi riformati della Germania del Nord, il Duca d'Assia e il Duca Maurizio di Sassonia, in funzione anti-imperiale. Questa Lega, nel mese di gennaio del 1552, a Chambord, sottoscrisse un accordo con il Re di Francia. Questo accordo prevedeva il finanziamento delle truppe della Lega da parte della Francia, in cambio della riconquista delle città di Cambrai, Toul, Metz e Verdun.
Il permesso accordato al Re di Francia da parte della lega dei Principi protestanti, per l'occupazione delle città di Cambrai, Toul, Metz e Verdun, fu un vero e proprio tradimento verso l'Imperatore.
La guerra con la Francia scoppiò, quindi, inevitabilmente nel 1552, con l'invasione dell'Italia del Nord da parte delle truppe francesi. Ma il vero obiettivo di Re Enrico era l'occupazione delle Fiandre, sogno mai appagato anche del padre Francesco I. Infatti Enrico si mise personalmente alla testa delle sue truppe e diede inizio alle operazioni militari nelle Fiandre e in Lorena.
L'iniziativa di Enrico II colse di sorpresa l'Imperatore, il quale, non potendo raggiungere i Paesi Bassi a causa dell'interposizione dell'esercito francese, dovette ripiegare sul Nord Tirolo, con una fuga precipitosa e, invero, alquanto indecorosa verso Innsbruck. Rientrato in Austria Carlo V iniziò il rafforzamento del suo contingente militare facendo affluire rinforzi e danaro sia dalla Spagna che da Napoli; la qual cosa indusse Maurizio di Sassonia, condottiero delle truppe francesi, ad aprire trattative con l'Imperatore, nel timore di una sconfitta.
Nei colloqui, svoltisi a Passavia, tra i principi protestanti capeggiati da Maurizio di Sassonia e l'Imperatore, si giunse ad un accordo che prevedeva maggiori libertà religiose per i riformati in cambio dello scioglimento dell'alleanza con Enrico II. La qual cosa avvenne nell'agosto del 1552. Con il Trattato di Passavia l'Imperatore riuscì ad annullare gli accordi di Chambord tra i principi protestanti e il Re di Francia, ma vide vanificate tutte le conquiste ottenute con la vittoria di Mühlberg.
Una volta ottenuto l'isolamento della Francia, Carlo V, nell'autunno dello stesso anno, iniziò una campagna militare contro i francesi per la riconquista della Lorena, mettendo sotto assedio la città di Metz, difesa da un contingente comandato da Francesco I di Guisa. L'assedio, durato praticamente fino alla fine dell'anno, si concluse con un fallimento e il successivo ritiro delle truppe imperiali.
Questo episodio è storicamente considerato l'inizio del declino di Carlo V. Fu a seguito di questa circostanza, infatti, che l'Imperatore cominciò a pensare alla propria successione.
Dall'assedio di Metz (1552) all'abdicazione (1556)
All'indomani del fallimento dell'assedio di Metz e della mancata riconquista della Lorena, Carlo V entrò in una fase di riflessione: su se stesso, sulla sua vita e sulle sue vicende oltre che sullo stato dell'Europa. La vita terrena di Carlo V si stava avviando alla conclusione.
I grandi protagonisti che assieme a lui avevano calcato la scena europea nella prima metà del XVI secolo erano tutti scomparsi: Enrico VIII d'Inghilterra e Francesco I di Francia nel 1547, Martin Lutero nel 1546, Erasmo da Rotterdam dieci anni prima e Papa Paolo III nel 1549.
Il bilancio della sua vita e di ciò che aveva compiuto non poteva dirsi del tutto positivo, soprattutto in rapporto agli obiettivi che si era prefissato. Il suo sogno di Impero universale sotto la guida asburgica era fallito; così come era fallito il suo obiettivo di riconquistare la Borgogna. Egli stesso, pur professandosi il primo e più fervente difensore della Chiesa di Roma, non era stato in grado di impedire l'affermarsi della dottrina luterana. I suoi possedimenti oltre-atlantico si erano accresciuti enormemente ma senza che i suoi governatori fossero stati in grado di dar loro delle valide strutture amministrative. Aveva però consolidato il dominio spagnolo sull'Italia, che sarà ufficializzato soltanto dopo la sua morte con la pace di Cateau-Cambresis nel 1559, e che sarebbe durato per centocinquanta anni. Così come era riuscito, con l'aiuto del Granduca Ferdinando suo fratello a fermare l'avanzata dell'Impero ottomano verso Vienna e il cuore dell'Europa.
Carlo V cominciava a prendere coscienza che l'Europa si avviava ad essere retta da nuovi Principi i quali, in nome del mantenimento dei propri Stati, non intendevano minimamente alterare l'equilibrio politico-religioso all'interno di ciascuno di essi. La sua concezione dell'Impero stava tramontando e cominciava ad affermarsi il potere della Spagna.
Nel 1554 si celebrarono le nozze tra Maria Tudor (Maria la sanguinaria), Regina d'Inghilterra e figlia di Enrico VIII, con Filippo; nozze fortemente volute da Carlo V che vedeva nell'unione tra la Regina d'Inghilterra e il proprio figlio, futuro Re di Spagna, un'alleanza fondamentale in funzione antifrancese e a difesa anche dei territori delle Fiandre e dei Paesi Bassi. Per accrescere il prestigio del proprio figlio ed erede, l'Imperatore assegnò a Filippo, definitivamente, il Ducato di Milano e il Regno di Napoli, che andavano ad aggiungersi alla reggenza del Regno di Spagna di cui Filippo era già in possesso da alcuni anni.
Questa crescita di potere nelle mani di Filippo non fece altro che aumentare l'ingerenza di quest'ultimo nella conduzione degli affari di stato che causò un incremento della conflittualità con il proprio genitore.
Questa conflittualità ebbe come conseguenza una cattiva gestione delle operazioni militari contro la Francia che erano riprese proprio nel 1554. Il teatro del conflitto era costituito dai territori fiamminghi. L'esercito francese e quello imperiale si confrontarono in aspre battaglie fino all'autunno inoltrato, quando iniziarono le trattative per una tregua di cui tutti avevano bisogno, soprattutto a causa del dissanguamento finanziario di entrambe le parti. La tregua fu conclusa, dopo estenuanti trattative, a Vauchelles nel mese di febbraio 1556 e, ancora una volta, così come spesso era accaduto in passato, le ostilità si conclusero con un nulla di fatto, nel senso che restavano congelate le posizioni acquisite. Ciò significava che la Francia manteneva l'occupazione del Piemonte e delle città di Metz, Toul e Verdun.
Carlo V, a questo punto degli avvenimenti, fu costretto a dover prendere decisioni importanti per il futuro della sua persona, della sua famiglia e degli Stati d'Europa sui quali si stendeva il suo dominio. Era giunto a 56 anni di età e la sua salute era alquanto malferma. L'anno precedente, il 25 di settembre, aveva sottoscritto con i Principi protestanti, tramite il fratello Ferdinando, la Pace di Augusta, a seguito della quale si pervenne alla pacificazione religiosa in Germania, con l'entrata in vigore del principio cuius regio, eius religio, con cui si sanciva che i sudditi di una regione dovevano professare la religione scelta dal loro reggente[6]. Era il riconoscimento ufficiale della nuova dottrina luterana.
Questi avvenimenti indussero il nuovo Papa, Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, napoletano, eletto appena l'anno precedente, a stringere una solida alleanza con il Re di Francia in funzione anti-imperiale. Paolo IV, infatti, era un "cattolico integralista" il quale riteneva che l'Imperatore non fosse più il baluardo della Chiesa di Roma contro gli attacchi provenienti dalla nuova dottrina luterana, soprattutto dopo il Trattato di Passavia e la Pace di Augusta. Ecco perché ritenne opportuno stringere alleanza con la Francia.
Il Principe Filippo ormai governava sia sulla Spagna che sulle Fiandre oltre che nel Regno di Napoli e nel Ducato di Milano. Il matrimonio di Filippo con la Regina d'Inghilterra assicurava una salda alleanza antifrancese. Il fratello Ferdinando aveva acquistato potere in tutti i possedimenti asburgici e lo esercitava con competenza e saggezza oltre che con notevole autonomia dall'Imperatore. I legami con il Papa si erano ormai allentati, sia a causa delle risultanze della Pace di Augusta e sia per la svolta subita dalla Chiesa cattolica con l'avvento del Carafa al soglio pontificio.
Tutte queste considerazioni lo indussero a decidere per la propria abdicazione, che ebbe luogo con una serie di passaggi successivi.
Come Duca di Borgogna aveva già abdicato in favore del figlio Filippo II, nella città di Bruxelles il 25 ottobre 1555. Il 16 gennaio del 1556 Carlo V cedette le corone di Spagna, Castiglia, Sicilia e delle Nuove Indie ancora al figlio Filippo, al quale cedette anche la Franca Contea nel giugno dello stesso anno e la corona aragonese nel mese di luglio. Il 12 settembre dello stesso anno cedette la corona imperiale al fratello Ferdinando. Subito dopo, accompagnato dalle sorelle Eleonora e Maria, partì per la Spagna diretto al monastero di San Jeronimo di Yuste nell'Estremadura.
Gli ultimi anni (1556-1558)
Carlo salpò dal porto fiammingo di Flessinga il 15 settembre 1556 con una flotta di oltre sessanta navi ed un seguito di 2500 persone, destinate a diminuire via via nel corso del viaggio. Tredici giorni dopo, l'ex sovrano sbarcò nel porto spagnolo di Laredo. Il 6 di ottobre iniziò il viaggio attraverso la Castiglia che lo condusse prima a Burgos dove giunse il 13 ottobre e poi a Valladolid dove giunse il 21 dello stesso mese. Dopo due settimane di sosta, accompagnato da alcuni cavalieri e cinquanta alabardieri, riprese il viaggio verso l'Estremadura che lo avrebbe condotto in una località chiamata Vera de Plasencia, nei pressi della quale sorgeva il monastero di San Jeronimo di Yuste, ove giunse il 3 febbraio 1557. Qui i monaci lo accolsero in processione, intonando il Te deum.
Carlo non risedette mai all'interno del monastero, bensì in una modesta palazzina che si era fatto costruire anni addietro, in adiacenza al muro di cinta, ma all'esterno, orientata a Sud e ben soleggiata.
Nonostante il luogo piuttosto lontano dai centri di potere, egli continuò a mantenere rapporti con il mondo politico, senza per questo venir meno alla sua volontà di soddisfare l'aspetto ascetico della propria indole.
Continuò ad essere prodigo di consigli sia alla figlia Giovanna, reggente della Spagna, e sia al figlio Filippo che governava i Paesi Bassi. Soprattutto in occasione del conflitto scoppiato con Enrico II di Francia, nel quale Carlo, dal suo eremo di Yuste e con l'aiuto della Spagna, riuscì a riorganizzare l'esercito di Filippo il quale ottenne una schiacciante vittoria sui francesi a San Quintino il 10 agosto 1557. Va ricordato che il comandante in capo dell'esercito di Filippo II era il Duca Emanuele Filiberto di Savoia, detto "Testa di Ferro".
Il 28 febbraio del 1558, i Principi tedeschi, riuniti nella Dieta di Francoforte, presero atto delle dimissioni dal titolo di Imperatore che Carlo V aveva presentato due anni prima e riconobbero in Ferdinando il nuovo Imperatore. Carlo usciva definitivamente dalla scena politica.
Il 18 febbraio 1558 morì la sorella Eleonora. Carlo, presago che la sua vita terrena volgeva ormai al termine, accentuò ancor più il suo carattere ascetico, assorto sempre più nella penitenza e nella mortificazione. Ciò nonostante non disdegnava i piaceri della buona tavola, cui si lasciava andare, nonostante fosse afflitto da gotta e diabete, e sordo ai consigli dei medici che lo spingevano ad una dieta meno ricca.
Nel corso dell'estate la sua salute diede segni di peggioramento che si manifestò con febbri sempre più frequenti che lo costringevano spesso a letto, dal quale poteva assistere ai riti religiosi attraverso una finestra che aveva fatto aprire in una parete della sua camera da letto e che prospettava direttamente nella chiesa.
Il 19 di settembre chiese l'estrema unzione, dopo di che si sentì rianimato e la sua salute manifestò qualche segno di ripresa. Il giorno successivo, stranamente, quasi avesse avuto un presentimento, chiese ed ottenne l'estrema unzione per la seconda volta.
Morì il 21 settembre 1558, probabilmente di malaria, dopo tre settimane di agonia. Le cronache riferirono che, approssimandosi il momento del trapasso, Carlo, stringendo al petto un crocefisso ed esprimendosi in lingua spagnola, abbia esclamato: "Ya, voy, Señor" (Sto venendo Signore). Dopo una breve pausa, urlando, abbia esclamato ancora: "¡Ay Jesus!" ed esalò l'ultimo respiro. Erano le due del mattino.
Il suo corpo fu immediatamente imbalsamato e sepolto sotto l'altare della piccola Chiesa di Yuste. Sedici anni dopo la sua salma fu traslata dal figlio Filippo nel monastero di San Lorenzo, all'interno del grande palazzo dell'Escorial che lo stesso Filippo aveva fatto costruire sulle colline a Nord di Madrid, e destinato a luogo di sepoltura di tutti i sovrani Asburgo di Spagna.
Frasi celebri
«Sono padrone di un Impero su cui il sole non tramonta mai»
«Parlo spagnolo a Dio, italiano alle donne, francese agli uomini e tedesco al mio cavallo»
«La ragione di stato non deve opporsi allo stato della ragione»
«I letterati mi istruiscono, i commercianti mi arricchiscono, e i nobili mi spogliano»
Hanno detto di lui
«Egli aveva compiuto il suo mortale cammino nella misura delle sue forze, ma con la più assoluta dedizione: pur sempre uomo mortale, e per ciò soggetto ad errare nella vita quotidiana, debole nel cedere alle sue propensioni e ai suoi capricci, ma tuttavia personaggio storico per gli alti tratti della volontà e della valorosa condotta »(Karl Brandi)
«L'imperatore Carlo V è il cardine intorno al quale si realizza la più spettacolare svolta della storia moderna.»(Salvador de Madariaga)
«Nessuno serrerà più nel pugno, in Europa, potenza uguale a quella che per trentacinque anni ha assommato in sé l'imperatore senza sorriso.»(Giorgio Spini)
«Nei quasi quarant'anni di maturità di Carlo ben pochi erano stati i momenti durante i quali le sue qualità umane avevano penetrato la sua maschera di sovrano e fatto vacillare la sua pubblica compostezza.»(Andrew Wheatcroft)
Curiosità
▪ Fu sua l'idea (mai realizzata) della Via Asburgica
▪ Il personaggio di Carlo V è presente nell'Ernani di Giuseppe Verdi
▪ In suo onore è stata cucinata una frittata di mille uova, presso Padula[7]
Onorificenze
Gran Maestro dell'Ordine del Toson d'oro
Cavaliere dell'Ordine della Giarrettiera
Note
1. ^ A. Brancati e T. Pagliarani, Dialogo con la storia 1, La Nuova Italia, Capitolo 20 L'Impero di Carlo V, una formazione anacronistica, pag. 263
2. ^ Una parte della storiografia sostiene che Giovanna di Castiglia non sia stata affatto colpita da follia. In proposito leggasi la voce Giovanna di Castiglia.
3. ^ Con Carlo I ebbe inizio la dinastia asburgica di Spagna, che si concluse soltanto nell'anno 1700 quando, con la morte senza eredi di Carlo II, il trono passò nelle mani dei Borbone di Francia, da cui attraverso il ramo degli Angiò discenderanno i Borbone di Spagna.
4. ^ a b c d e A. Brancati e T. Pagliarani, Dialogo con la storia 1, La Nuova Italia, Capitolo 20 L'Impero di Carlo V, una formazione anacronistica, pag. 263
5. ^ a b c A. Brancati e T. Pagliarani, Dialogo con la storia 1, La Nuova Italia, Capitolo 20 L'Impero di Carlo V, una formazione anacronistica, pag. 266
6. ^ a b c A. Brancati e T. Pagliarani, Dialogo con la storia 1, La Nuova Italia, Capitolo 21 La riforma si diffonde nell'Impero, pag. 282
7. ^ a b Informazioni storiografiche sulla frittata dalle mille uova, preparata presso Padula
8. ^ C. Gatta, Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania, pag. 93
▪ 1576 - Girolamo Cardano (Pavia, 24 settembre 1501 – Roma, 21 settembre 1576?) è stato un matematico, medico e astrologo italiano. Poliedrica figura del Rinascimento italiano, è noto anche come Gerolamo Cardano e con il nome latino di Hieronymus Cardanus.
▪ 1631 - Federico Borromeo (Milano, 18 agosto 1564 – Milano, 21 settembre 1631) è stato un cardinale italiano, arcivescovo di Milano dal 1595.
Federico Borromeo (talvolta indicato come Francesco Federico o Federigo), nacque il 18 agosto 1564 ed era figlio di Giulio Cesare Borromeo e di Margherita Trivulzio; suo padre morì quando egli aveva appena tre anni ed a lungo risentì l'influenza del cugino cardinale Carlo Borromeo (1560) il quale fu sua guida spirituale e lo instradò alla carriera eccelesiastica, favorendone quindi la carriera. Egli era inoltre cugino del cardinale Guido Luca Ferrero (1565) ed era imparentato con papa Sisto V e con i cardinali Alessandro Farnese (1534) e Mark Sittich von Hohenems (1561). Egli fu anche prozio del cardinale Federico Borromeo iuniore (1670). Altri cardinali appartenenti a questa famiglia furono Giberto Borromeo e Giberto Bartolomeo Borromeo, oltre a Vitaliano Borromeo (1766) e ad Edoardo Borromeo (1868).
Egli iniziò i propri studi a Milano sotto la direzione del cugino Carlo Borromeo (che all'epoca ne era arcivescovo). Successivamente divenne discepolo dell'Almo Collegio Borromeo dell'Università di Pavia ove si laureò in teologia e in diritto. Successivamente si trasferì all'Università di Bologna ove studiò matematica e filosofia laureandosi in tali materie. Presi gli ordini minori nel clero diocesano (1580), nel 1585 si trasferì a Roma per proseguire gli studi classici interessandosi molto alle antichità dell'antica roma.
Di questo suo periodo bolognese sappiamo che egli considerò l'ipotesi di aderire alla Compagnia di Gesù, ma che suo cugino cardinale lo dissuase da tale intento, indirizzandolo invece verso la dottrina del clero diocesano e fu proprio con il 1580 che si può ufficialmente dire che abbia avuto inizio la propria carriera ecclesiastica: in breve tempo ottenne gli ordini minori (1585). A Roma entrò anche in contatto con San Filippo Neri e col cardinale Cesare Baronio, divenendo Cappellano di Sua Santità dal 1586.
Creato cardinale da papa Sisto V il 18 dicembre 1587 (a soli 23 anni), ottenne la porpora cardinalizia con il titolo diaconale di Santa Maria in Domnica (15 gennaio 1588), optando in seguito per la sede dei Santi Cosma e Damiano (9 gennaio 1589) e poi per quella di Sant'Agata in Suburra (20 marzo 1589). Partecipò al primo conclave nel 1590, ove venne eletto pontefice Urbano VII. Quindi prese parte al secondo conclave del 1590 che elesse Gregorio XIV. Optò quindi per la sede diaconale di San Nicola in Carcere dal 14 gennaio 1591, partecipando quell'anno al conclave che elesse Innocenzo IX e l'anno successivo a quello che elesse Clemente VIII.
Divenuto membro della commissione per la revisione della Bibbia Vulgata e per la preparazione della Editio Romana dei documenti ufficiali del Concilio di Trento, decise solo nel 1593 di prendere gli ordini sacri, venendo consacrato il 17 settembre di quello stesso anno. Poco dopo, in corrispondenza con la sua carriera cardinalizia, gli venne affidato il titolo di Santa Maria degli Angeli (25 ottobre 1593). La sua ordinazione ufficiale avvenne però il 7 dicembre 1593 ad opera del cardinale Alessandro de' Medici (futuro papa Leone XI), nella sua cappella privata.
Dopo la morte dell'arcivescovo milanese Gaspare Visconti, egli accettò la nomina a tale sede che gli era stata suggerita da Clemente VIII per merito di Filippo Neri. Nominato quindi arcivescovo di Milano il 24 aprile 1595 a 31 anni, seguì l'esempio del predecessore e cugino San Carlo Borromeo nel disciplinare il clero, fondando chiese e collegi a proprie spese, applicando i canoni del concilio di Trento.
Nel 1609 fondò la Biblioteca Ambrosiana; nel 1618 corredò la biblioteca di una raccolta di statue e di quadri, la cosiddetta Quadreria Ambrosiana che in seguito diverrà la Pinacoteca Ambrosiana. L'intento della Quadreria era quello di creare una struttura di supporto alla nascente Accademia Ambrosiana, aperta dal Borromeo nel 1621 con Giovanni Battista Crespi detto il Cerano come primo presidente.
Fece erigere la statua di San Carlo ad Arona; abbellì inoltre il Duomo di Milano con dipinti e sculture. Spinse alla vita ecclesiastica il cugino e successore Cesare Monti.
Diede esempio di grande carità durante la carestia del 1628 e la peste del 1630, alle quali sopravvisse.
Morì a Milano il 21 settembre 1631 e la sua salma venne esposta in Duomo e sepolta di fronte all'altare della Madonna dell'Albero nella medesima cattedrale.
Opere
«Però non ometteremo di notare un'altra singolarità di quella bella vita: che, piena come fu d'attività, di governo, di funzioni, d'insegnamento, d'udienze, di visite diocesane, di viaggi, di contrasti, non solo lo studio c'ebbe una parte, ma ce n'ebbe tanta, che per un letterato di professione sarebbe bastato. E infatti, con tant'altri e diversi titoli di lode, Federigo ebbe anche, presso i suoi contemporanei, quello d'uom dotto.» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXII)
La produzione letteraria di Federigo Borromeo fu in effetti abbondante, con più di un centinaio di libri, sia a stampa che manoscritti, oltre a svariate centinaia di lettere; gran parte di tale produzione è conservata alla Biblioteca Ambrosiana. Federigo stesso censì i propri scritti nei suoi Meditamenta litteraria i quali - assieme al De sui studiis dove ripercorre la sua formazione culturale - costituiscono una sorta di autobiografia dell'uomo di lettere.
Nel Philagios sive de amore virtutis libri duodecim raccoglie numerose biografie di religiose. Tra le figure menzionate manca quella di Marianna De Leyva, suor Virginia Maria, ovvero la monaca di Monza: il cardinale ebbe modo di conoscerla a seguito del processo per omicidio che la vide coinvolta e, certo del suo pentimento, la graziò facendo di lei un esemplare modello di redenzione. Alla sua morte Federigo lasciò tuttavia alcune annotazioni sulla vicenda, attestanti la sua volontà di inserirla una futura edizione del Philagios.
Altre sue opere notevoli furono il De fugienda ostentatione, il De delectu ingeniorum, il De non vulgari existimatione et fama, il De gratia principum, il Cypria sacra sive de honestate et decoro ecclesiasticis moris ed il De sacris nostrorum temporum orationibus.
Il suo scritto più noto è forse il De pestilentia quæ Mediolani anno 1630 magnam stragem edidit, dove narra della gravissima pestilenza che colpì Milano nel 1630, alternando l'analisi delle cause a numerosi aneddoti dei più diversi tenori che rendono il testo tra i più coinvolgenti documenti di storia Milanese dell'epoca. Federigo non ebbe modo di portare a termine un'edizione definitiva dell'opera, morendo l'anno seguente.
Nonostante l'abbondanza della produzione, gli scritti di Federigo non hanno mai avuto grande fortuna se non per l'interesse storico che rivestono. Osserva il Manzoni:
«Non dobbiamo però dissimulare che tenne con ferma persuasione, e sostenne in pratica, con lunga costanza, opinioni, che al giorno d'oggi parrebbero a ognuno piuttosto strane che mal fondate; dico anche a coloro che avrebbero una gran voglia di trovarle giuste. Chi lo volesse difendere in questo, ci sarebbe quella scusa così corrente e ricevuta, ch'erano errori del suo tempo, piuttosto che suoi: scusa che, per certe cose, e quando risulti dall'esame particolare de' fatti, può aver qualche valore, o anche molto; ma che applicata così nuda e alla cieca, come si fa d'ordinario, non significa proprio nulla.» (A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXII)
Federico Borromeo e i Promessi Sposi
Federigo ricopre rispetto ai Promessi sposi di Alessandro Manzoni il doppio ruolo di personaggio e di fonte.
Il Manzoni nel romanzo esalta la nobile figura del prelato, contraddistinguendolo per la grande conoscenza teologica, l'indole di profondo scrutatore dell'animo umano e di pastore zelante e comprensivo che aveva quale scopo di vita l'insegnamento della dottrina ai poveri e la cura dei sofferenti; il vivido ritratto biografico occupa quasi interamente il capitolo XXII.
Nel romanzo egli svolge il ruolo di adiutore dei protagonisti, simboleggiando un Cristianesimo puro e ispirato. Egli è dipinto come un vero santo, pio, umile, caritatevole, altruista, disponibile e pacato.
Il Manzoni poi, nei capitoli dedicati alla peste di Milano del 1630, utilizzò quale fonte anche lo stesso De pestilentia di Federigo, oltre ad altri scritti ed all'opera del Ripamonti che fornirono spunti certamente più copiosi.
Tra i numerosi aneddoti del De pestilentia, spicca un episodio dal quale l'autore de I Promessi sposi trasse ispirazione per il commovente passo di Cecilia, nel capitolo XXXIV:
«Una bambina di nove anni morì dinanzi alla madre; questa, non sopportando che la figlia fosse toccata dai monatti, volle metterla lei sul carro. Poi voltatasi di nuovo ai monatti, “voi” disse, “questa sera, porterete via anche me”. Così detto, rientrò in casa e si affacciò alla finestra. Stette a contemplare quelle esequie, e poco dopo spirò.»
(De pestilentia, cap. VIII)
▪ 1832 - Sir Walter Scott, 1º Baronetto (Edimburgo, 15 agosto 1771 – Abbotsford, 21 settembre 1832), è stato uno scrittore, poeta e romanziere scozzese, la cui vasta produzione letteraria è nota in tutta Europa. Per la sua fama è considerato lo scrittore nazionale scozzese.
Walter Scott nacque il 15 agosto del 1771 ad Edimburgo da una famiglia di antiche tradizioni scozzesi, facoltosa ma non aristocratica, sebbene Walter abbia sempre cercato di accreditare alla sua famiglia una discendenza illustre. Il padre, Walter, esercitava la professione di avvocato, ma si dedicava spesso a studi storici e teologici; la madre Anne Rutherford, colta e raffinata, era figlia primogenita di un professore di medicina dell'Università di Edimburgo.
Nel 1772 il piccolo Walter si ammalò di poliomielite, malattia che lo rese per tutta la vita claudicante. Data la salute cagionevole, il giovane Scott trascorse i suoi primi anni di vita in una fattoria paterna nella campagna scozzese e, più precisamente, in quella zona conosciuta come Border; si tratta di un territorio piuttosto isolato, il confine fra le Highlands e le Lowlands, ma che ha conservato inalterati quelli che sono i tratti peculiari della tradizione scozzese, in particolare le ballate. La fattoria inoltre sorgeva non distante dalle rovine di Smailholm Tower, antica residenza paterna. Questi anni di vita trascorsi a contatto con la tradizione locale influenzeranno enormemente la produzione successiva di Scott, sia per quanto riguarda l'ambito poetico, sia per quello prosaico. In particolare, egli fu fortemente colpito dai racconti dell'ultima insurrezione scozzese, la battaglia di Culloden del 1746 e le dure conseguenze che essa ebbe sia su coloro che vi presero fisicamente parte, sia sugli animi della popolazione locale.
Nel 1775 poté fare ritorno ad Edimburgo e di lì si trasferì a Bath, dove iniziò cure presso fonti termali. Tornato ad Edimburgo, nel 1778 il padre gli affiancò alcuni precettori perché lo preparassero agli studi imminenti: nel 1779 infatti Walter iniziò la frequentazione della prestigiosa Royal High School di Edimburgo. Con il migliorare della sua situazione fisica, aumentò anche la sua passione per lo studio: il giovane Walter leggeva romanzi, resoconti di viaggio, poemi e libri storici. Il suo insegnante, James Mitchell, gli fornì una buona conoscenza dell'aritmetica e della storia della Chiesa di Scozia, con particolare attenzione al fenomeno dei Covenanters. Conclusi gli studi, si trasferì presso una zia a Kelso, dove frequentò la locale Scuola di Grammatica: qui conobbe James Ballantyne, che in seguito illustrerà alcuni suoi libri.
Gli studi
Essendo il padre un affermato avvocato, Walter fu indirizzato agli studi legali e fu iniziato alla professione forense: pur non rispecchiando il suo vero interesse, la legge sarà un aspetto preponderante nella sua produzione letteraria; in essa Scott vide il cambiamento sociale avvenuto nel corso dei secoli, il passaggio da una società arcaica ad una moderna. Nel 1783 iniziò la frequentazione, presso l'Università di Edimburgo, dei corsi di legge. Tra il 1789 e il 1792 svolse un periodo di pratica presso lo studio del padre.
Fu proprio in questo periodo che Walter sviluppò la passione per gli studi storici e mitologici tradizionali della terra scozzese: in riferimento a questi anni, scrisse, nelle pagine della sua Autobiografia:
«Durante le nostre passeggiate, John Irving ed io ci raccontavamo leggende nelle quali predominavano le battaglie e gli eventi miracolosi. Questo passatempo ci teneva occupati durante le vacanze e credo di dovere ad esso la propensione immaginaria per la poesia e la prosa di stampo romantico e cavalleresco.» (Walter Scott, Ivanhoe, p. 563)
Negli anni che seguirono, Walter fece importanti conoscenze all'interno dell'ambito universitario: divenne amico per esempio di Adam Ferguson, figlio del più celebre Adam Ferguson, professore all'università. Conobbe inoltre il poeta Thomas Blacklock, che lo introdusse presso James Macpherson, autore del celebre Ciclo di Ossian. Durante l'inverno 1786–87 infine, conobbe il poeta Robert Burns.
Laureatosi, nel 1792 venne iscritto all'ordine degli avvocati e cominciò ad esercitare la professione; contemporaneamente iniziò lo studio della lingua tedesca, per poter approfondire la conoscenza di poeti come Bürger e Goethe.
Matrimonio e le prime pubblicazioni
Una volta finiti gli studi e divenuto avvocato, Walter fece il primo dei frequenti viaggi che lo portarono ad esplorare terre remote e poco visitate: si spinse in questa occasione fino alle Highlands, nel nord della Scozia, alla ricerca di antiche ballate ancora vive nella tradizione orale di quei luoghi. Nello stesso anno si innamorò di una giovane figlia di un baronetto scozzese, Williamina Belsches di Fettercairn, che non ricambiò mai il suo amore. La passione per questa ragazza si spense solo quando questa sposò, nel 1796, il baronetto William Forbes.
Nel 1796 apparirono anonime le sue prime pubblicazioni importanti, traduzioni dal tedesco di due ballate del poeta Bürger, grande esponente del romanticismo tedesco, The Chase (La caccia) e William and Helen (William e Helen). Un anno dopo la pubblicazione delle traduzioni, Walter fece la conoscenza di Margaret Charlotte Charpentier, figlia di un rifugiato politico francese, Jean Charpentier. Ben presto i due decisero di sposarsi: nel 1797 avvene il matrimonio. Da questa relazione, piuttosto felice, la coppia ebbe cinque figli.
Scrittore
Scott cominciò la sua carriera di scrittore come traduttore di opere del romanticismo tedesco: nel 1795 tradusse la Lenore (Leonora) e la ballata Der Wilde Jaeger (Il cacciatore selvaggio) di Bürger e nel 1799 il Götz von Berlichingen di Goethe; quest'ultima opera servirà da modello a Scott per l'episodio dell'assedio di Torquilstone dell'Ivanhoe. Influenzato fortemente dalla lettura della raccolta di ballate di Thomas Percy Reliques of Ancient English Poetry (Reliquie dell'Antica Poesia Inglese), ne pubblicò una: Minstrelsy of the Scottish Border.
Negli stessi anni comincia a dedicarsi alla composizione di brevi poemi, sempre di argomento scozzese, che pubblica nell'arco di pochi anni: The Lay of the Last Minstrel (1805), Marmion (1808), The Lady of the Lake (1810), The Vision of Don Roderick (1811), Rokeby (1813), The Bridal of Triermain (1813), The Lord of the Isles (1815) e Harold the Dauntless (1817). Già in queste prime composizioni è facile riscontrare la presenza di quegli elementi che maggiormente caratterizzeranno le sue successive opere in prosa: l'influsso del romanzo gotico e l'interesse per la storia e le usanze tipiche del proprio paese.
Nel 1804 Scott acquistò, insieme ai fratelli Ballantyne, una tipografia; grazie ai buoni risultati dell'impresa, nel 1811 comperò quella che resterà la sua dimora fino alla fine dei suoi giorni, il castello di Abbotsford. Ma il fallimento della tipografia del 1813 lo costrinse ad un incessante lavoro per poter assolvere a tutti i debiti e per poter mantenere la propria casa.
Nel 1814 Scott pubblicò Waverley che è universalmente considerato come il primo romanzo storico: già nel 1805 abbiamo notizie della sua composizione, ma il lavoro venne abbandonato fino al 1813 quando Scott, spinto da necessità economiche, fu costretto a portarlo a termine. Egli pubblicò l'opera in forma anonima per timore che al pubblico potesse risultare sgradita, ma, in realtà, essa ottenne un notevole successo fin dalla sua prima apparizione. Alla base di ciò stanno, molto probabilmente, alcune delle caratteristiche fondamentali di tutti i suoi romanzi: il particolare riguardo per il folklore locale; le ampie descrizioni di paesaggi ed eventi storici basate su studi approfonditi ed esperienze personali; la grande forza insita dei dialoghi; l'eroe "non eroe" da contrapporsi all'eroe "epico" tipicamente romantico; l’influsso del romanzo gotico, genere che stava ottenendo enormi successi proprio in quegli anni.
Assieme a Waverley, Guy Mannering (1815) e The Antiquary (1816) formano la cosiddetta “trilogia scozzese” che ebbe il merito di aprire, per la prima volta nella storia, il sipario su di una terra e di una popolazione che non aveva mai goduto del dovuto rispetto nel corso dei secoli. A questi primi romanzi seguì una produzione incessante di opere di argomento sia scozzese che vario: ricordiamo le quattro serie di Tales of my Landlord (1816; 1818; 1819; 1831), di cui fanno parte i famosi Old Mortality, The Heart of Midlothian, The Bride of Lammermoor, A Legend of Montrose, Rob Roy. Nel 1820 Scott fu nominato baronetto, ma lo stesso anno venne nuovamente coinvolto, anche se indirettamente, nel fallimento dei suoi editori, cosa che lo costrinse nuovamente a dedicarsi alla composizione di opere per assolvere ad un debito non completamente suo. Del 1823 è il famoso Ivanhoe che trasfigura il conflitto anglo-scozzese nel conflitto normanno-sassone all’epoca di Riccardo Cuor di Leone.
Nel 1827-28 diede il via ad una nuova serie di romanzi, The Chronicles of the Canongate che parlano sempre della popolazione scozzese, ma concentrandosi, questa volta, sulla fasce più umili e disagiate di essa. Scott muore il 21 settembre del 1832.
▪ 1860 - Arthur Schopenhauer (Danzica, 22 febbraio 1788 – Francoforte sul Meno, 21 settembre 1860) è stato un filosofo prussiano.
«La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.»
Figlio di un ricco mercante, Heinrich Floris, e di una scrittrice, Johanna Henriette Trosiener, nel 1805, alla morte del padre, si stabilì a Weimar con la madre. Qui conobbe Christoph Martin Wieland e Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Contrario ad ogni mondanità, si ritirò in solitudine per portare a termine gli studi. Con buoni studi alle spalle, dopo la morte del padre nel 1805, decise di dedicarsi alla filosofia e frequentò i corsi tenuti da Gottlob Ernst Schulze a Gottinga e quelli di Johann Gottlieb Fichte a Berlino. Nei confronti di questi, ma anche di Schelling e di Hegel, Schopenhauer nutrì sempre disprezzo e avversione, definendo Hegel "Il gran cialtrone".
Nel 1809 s'iscrisse alla facoltà di medicina a Gottinga. Due anni dopo, nel 1811, si trasferì a Berlino per frequentare i corsi di filosofia. Ingegno molteplice, sempre interessato ai più diversi aspetti del sapere umano (frequentò corsi di fisica, matematica, chimica, magnetismo, anatomia, fisiologia, e tanti altri ancora), nel 1813 si laureò a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente e, nel 1819, pubblicò la sua opera più importante, Il mondo come volontà e rappresentazione che ebbe tuttavia scarsissimo successo tra i suoi contemporanei e che incominciò a ricevere qualche attenzione solo vent'anni dopo. Infatti anche le successive edizioni del trattato furono accolte assai sottotono, nonostante fossero giunti, da più parti, persino riconoscimenti ufficiali, primo fra tutti la vittoria di un concorso indetto dalla Società delle Scienze norvegese, che egli conseguì nel 1839 con un trattato Sulla libertà del volere umano.
Dopo aver girato in lungo ed in largo l'Europa, e dopo una breve parentesi da libero docente universitario a Berlino (1820), dal 1833 decise di fermarsi a Francoforte sul Meno dove visse da solitario borghese, celibe, misogino. La vera affermazione del pensatore si ebbe solo a partire dal 1851, data della pubblicazione del volume Parerga e paralipomena, inizialmente pensato come un completamento della trattazione più complessa del Mondo, ma che venne accolto come un'opera a sé stante, uno scritto forse più facile per stile e approccio e che, come rovescio della medaglia, ebbe quello di far conoscere al grande pubblico anche le opere precedenti del filosofo. Fondamentalmente in pieno accordo con i dettami della sua filosofia, manifestò un sempre più acuto disagio nei confronti dei contatti umani (ciò che gli procurò, in città, la fama di irriducibile misantropo) e uno scarso interesse, almeno in via ufficiale, per le vicende politiche dell'epoca quali furono, ad esempio, i moti rivoluzionari del 1848; i tardi riconoscimenti di critica e pubblico servirono, suppositivamente, ad attenuare i tratti più intransigenti del carattere del filosofo, ciò che gli procurò negli ultimi anni della sua esistenza una ristretta ma interessata e fedelissima cerchia di (come egli stesso amò definirli) devoti "apostoli", tra cui il compositore Wagner. Morì di pleurite acuta nel 1860.
▪ 1862 - Luigi Taparelli D'Azeglio, nato Prospero Taparelli D'Azeglio (Torino, 24 novembre 1793 – Roma, 21 settembre 1862), è stato un gesuita, filosofo e studioso italiano. Coniò il termine giustizia sociale.
Era il quarto degli otto figli di Cesare, conte di Lagnasco e marchese di Montanera, diplomatico della corte di Vittorio Emanuele I, e della contessa Cristina Morozzo di Bianzé. Gli fu imposto il nome di Prospero, che al diventare Gesuita cambiò in Luigi.
Era fratello del politico e senatore italiano Massimo D'Azeglio.
Maturò la propria vocazione religiosa a seguito di un corso di Esercizi spirituali dettati dal venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830).
Studiò nel Collegio Tolomei di Siena, e poi nell'Ateneo di Torino fino al 1809. Entrò nel seminario di Torino.
Quando suo padre su inviato come diplomatico alla corte di Pio VII si trasferì con lui a Roma ed entrò nel noviziato dei gesuiti Sant'Andrea del Quirinale.
Fu ordinato presbitero nel 1820. Iniziò a studiare negli anni 1824-29 la filosofia di San Tommaso d'Aquino, studio che continuò a Napoli negli anni 1829-32.
Nel 1833 fu destinato al Collegio Massimo di Palermo dove insegnò lingua francese e dove poi tenne la cattedra di diritto naturale.
Nel 1843 dette alla stampe il suo testo più importante, il Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, considerato a quel tempo una vera enciclopedia di morale, diritto e scienza politica.
Nel 1850 ricevette da papa Pio IX il permesso di cofondare con il padre Carlo Maria Curci La Civiltà Cattolica. Ne fu scrittore per venti anni e direttore negli ultimi anni della sua vita, con oltre duecento articoli, tutti caratterizzati da un contenuto tale da attirargli il titolo di "martello delle concezioni liberali" (Antonio Messineo).
Morì a Roma il 21 settembre 1862.
Pensiero
Era preoccupato soprattutto dai problemi nascenti dalla rivoluzione industriale. Il suo insegnamento sociale influenzò papa Leone XIII nella stesura dell'enciclica Rerum novarum sulla condizione dei lavoratori.
Proponeva di riprendere gli insegnamenti della scuola filosofica tomista. A partire dal 1825 portò avanti questa convinzione, ritenendo che la filosofia soggettiva di Cartesio portava a errori drammatici nella moralità e nella politica. Argomentava che mentre la differenza di opinioni sulle scienze naturali non ha nessun effetto sulla natura, al contrario idee metafisicamente poco chiare sull'umanità possono portare al caos nella società.
A quel tempo la Chiesa cattolica non aveva una visione sistematica chiara sui grandi cambiamenti sociali apparsi all'inizio del secolo XIX in Europa, la qual cosa portò molta confusione tra la gerarchia ecclesiastica e il laicato. In risposta a tale problema, Taparelli applicò i metodi del tomismo alle scienze sociali in maniera coerente.
Dalle pagine de La Civiltà Cattolica attaccò la tendenza a separare la legge positiva dalla morale e lo "spirito eterodosso" della libertà di coscienza che, a suo avviso, distruggeva l'unità della società.
Tra le sue idee idee principali si può ricordare la socialità e la sussidiarietà. Vedeva la società non come un gruppo monolitico di individui, ma come un insieme di varie sub-società disposte in diversi livelli, ciascuna formata da individui. Ogni livello di società ha sia diritti che doveri, ognuno dei quali deve essere riconosciuto e valorizzato. Ogni livello di società deve cooperare razionalmente e non fomentare competizione e conflitti.
▪ 1902 - Davide Albertario (Filighera, 16 febbraio 1846 – Carenno, 21 settembre 1902) è stato un presbitero e giornalista italiano, direttore dell'Osservatore cattolico, giornale che univa posizioni intransigenti in materia di fede e di rapporto della Chiesa con lo Stato italiano con posizioni estremamente aperte alle nuove istanze sociali. Il Cristianesimo democratico lo vide come uno degli esponenti più in vista. .
«Il popolo vi ha chiesto pane e voi avete risposto piombo» (Don Davide Albertario)
Nel maggio 1898, dopo l'insurrezione repressa con le cannonate dal generale Bava Beccaris, fu processato e condannato a tre anni di carcere in quanto ritenuto di essere stato uno dei fomentatori: aveva scritto che la miseria era il motivo fondamentale della protesta popolare. "Il popolo vi ha chiesto pane e voi avete risposto piombo." (frase riportata sul monumento funebre di Don Davide Albertario oggi sito nella piazza vicino alla chiesa di Filighera.)
Ritornò poi a dirigere il suo giornale, ancora in posizione intransigente su questioni di morale cattolica, opponendosi alla proposta di legge del governo Zanardelli per l'introduzione del divorzio.
▪ 1939 - Delio Tessa (Milano, 18 novembre 1886 – Milano, 21 settembre 1939) è stato uno scrittore e poeta italiano.
È nato a Milano nel 1886. Dopo gli studi al liceo Beccaria, nel 1911 si laureò in giurisprudenza all'Università di Pavia ed iniziò ad esercitare come avvocato e come giudice conciliatore.
La carriera forense però non lo entusiasmava; preferì quindi dedicarsi alla poesia in dialetto milanese, alla letteratura, al teatro e al cinema (scrisse anche la sceneggiatura di un film, Vecchia Europa, pubblicata postuma nel 1986).
Antifascista, rimase isolato rispetto alla cultura ufficiale, dedicandosi piuttosto a scrivere per periodici locali, come L'Ambrosiano (gli articoli saranno poi raccolti nel libro postumo Ore di città) o per giornali stranieri come il Corriere del Ticino. Collaborò inoltre con la Radio della Svizzera italiana.
Tranne che per la raccolta di poesie pubblicata nel 1932 L'è el dì di mort, alegher! (che passò però inosservata anche per l'ostracismo del fascismo nei confronti dei dialetti), tutte le sue opere sono state pubblicate postume.
Di temperamento schivo e riservato, rimase scapolo dopo una delusione sentimentale.
Morì il 21 settembre 1939 a causa di una setticemia provocata da un ritardato intervento per l'ascesso ad un dente. Per sua volontà fu sepolto in un campo comune del cimitero di Musocco.
Nel 1950 il Comune di Milano trasferì la tomba di Tessa al Famedio del Cimitero Monumentale accanto ad Alessandro Manzoni, e, successivamente, gli intitolò una via.
Oggi Delio Tessa è considerato uno tra i grandi poeti dialettali del Novecento. E anche uno dei migliori poeti italiani del XX secolo tout-court.
Contenuti
I temi preferiti della poesia di Tessa sono quelli del dramma della prima guerra mondiale e della vita quotidiana degli "emarginati della società", rielaborati tuttavia in maniera del tutto personale e curando al massimo la musicalità e le sonorità dei versi. Il massimo esempio di ciò si trova nella sua poesia-capolavoro, "L'è el dì di Mort, alegher", in cui si parte dal parallelo della celebrazione laica e un po' edonistica della ricorrenza dei Morti con la disfatta di Caporetto del '17, durante la Grande Guerra, per arrivare alla consapevolezza della caducità e della sostanziale insipienza della vita. L'invito finale è di godersi i rari attimi di felicità che la vita ci può dare, compresa la celebrazione della Morte, un ineluttabile crisma dell'essenza umana.
Nei suoi componimenti è spesso presente il tema della Morte e il loro contenuto è spesso pervaso da un pessimismo che in parte ha matrici culturali (la Scapigliatura lombarda, ma anche il Decadentismo francese di Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, il pessimismo del romanzo russo di Tolstoi, Turgenev e Dostoevskij, per arrivare a quella particolare forma di espressionismo che ha come maggiori rappresentanti italiani Dino Campana e Clemente Rebora), in parte personali.
La personalità di Tessa è infatti dominata da un senso di sfiducia negli uomini e nelle loro istituzioni, dalla perdita della fede e dalla consapevolezza di un destino duro ed inflessibile, cui molto aveva contribuito la realtà della prima guerra mondiale.
Questa percezione inquieta della realtà è rivelata dalla tensione cui egli sottopone il linguaggio. Il dialetto perde così la sua connotazione di lingua parlata dalla gente comune e le parole sono sottoposte ad un processo di frammentazione e usate senza apparente connessione logica.
Il risultato è una poesia fatta di pure sequenze di suoni (in senso formale, ovviamente: in senso contenutistico la poesia di Tessa è un pugno in faccia alla società, che, non dimentichiamoci, era quella fascista!), arricchita dall'uso delle parentesi, delle esclamazioni, degli spazi vuoti che fanno da pausa musicale. Tessa fa uso anche di tutte le lingue che conosce, per dare timbri e cadenze diverse nelle sue poesie: per esempio, nella "Mort de la Gussona" (l'epitaffio satirico di una "madàm" di un bordello milanese), introduce intere strofe composte esclusivamente da nomi di attrici hollywoodiane dell'epoca. La lingua inglese all'interno di una poesia in meneghino stretto dà un tono di esotismo che suona come una modulazione musicale (o un parallelismo armonico) nel linguaggio poetico.
E.g., quinto canto della "Mort de la Gussona":
Greta Garbo, Colleen Moore,
Wilma Banky, Taylor.
Questa chì - bocca tirenta,
dal tignon lazz a la geppa -
questa chì l'è la Gussona mortal!
La metrica delle sue opere è costituita da una complessa trama di enjambement che rompe la coincidenza tra l'ordine sintattico e quello delle strofe.
* 1990 - Rosario Angelo Livatino (Canicattì, 3 ottobre 1952 – Agrigento, 21 settembre 1990) è stato un magistrato italiano assassinato dalla mafia.
«Con questo assassinio, che ha voluto colpire un valoroso servitore dello stato, impegnato nella difficile lotta contro l’illegalità, la violenza e la sopraffazione si leva la coscienza civile e morale della nazione”. (Francesco Cossiga)
«Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili".» (Rosario Livatino, in uno dei suoi appunti)
Figlio dell'avvocato Vincenzo e della signora Rosalia Corbo. Conseguita la maturità presso il liceo classico Ugo Foscolo, nel 1971 s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Palermo nella quale si laureò nel 1975 cum laude. Tra il 1977 ed il 1978 prestò servizio come vicedirettore in prova presso l'Ufficio del Registro di Agrigento. Sempre nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario, entrò in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta.
Nel 1979 diventò sostituto procuratore presso il tribunale di Agrigento e ricoprì la carica fino al 1989, quando assunse il ruolo di giudice a latere.
Venne ucciso il 21 settembre del 1990 sulla SS 640 mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra. Del delitto fu testimone oculare Pietro Nava, sulla base delle cui dichiarazioni furono individuati gli esecutori dell'omicidio.
Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli Siciliana ed aveva messo a segno numerosi colpi nei confronti della mafia, attraverso lo strumento della confisca dei beni.
Non molti giorni dopo la scoperta di legami mafia-massoneria, l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo definì sprezzantemente Il giudice ragazzino, e dopo la morte del magistrato l'Espresso sviscerò molti retroscena della faccenda.
Papa Giovanni Paolo II definì Rosario Livatino «martire della giustizia ed indirettamente della fede».
La sua figura è ricordata nel film di Alessandro Di Robilant "Il giudice ragazzino", uscito nel 1994. È invece del 1992 il libro omonimo, scritto da Nando Dalla Chiesa.
Note
Dal 1993 il vescovo di Agrigento ha incaricato Ida Abate, che del giudice fu insegnante, di raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione. Una signora, Elena Valdetara, afferma di essere stata guarita da una grave forma di leucemia, grazie all'intervento del giudice che le sarebbe apparso in sogno, in abiti sacerdotali, spronandola a trovare in sé stessa la forza per superare la malattia.
Conferenze tenute dal giudice
▪ Il ruolo del giudice nella società che cambia, conferenza tenuta il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì.
▪ Fede e diritto, conferenza tenuta il 30 aprile 1986 a Canicattì, nel salone delle suore vocazioniste.
Cinema
- Il giudice ragazzino, regia di Alessandro Di Robilant (1994)
- Testimone a rischio, regia di Pasquale Pozzessere (1996)
- Luce verticale. Rosario Livatino. Il Martirio,r egia di Salvatore Presti (2007)
Bibliografia
▪ Nando Dalla Chiesa, Il giudice ragazzino 1992
▪ Pietro Calderoni, l'avventura di un uomo tranquillo" 1995