Il calendario del 21 Aprile
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Eventi
* 753 a.C. - Secondo la leggenda, Romolo e Remo fondano la città di Roma.
Il Natale di Roma, conosciuto anche con il nome di Romaia, è una festività laica legata alla fondazione della città di Roma, festeggiata il 21 aprile. Secondo la leggenda, narrata anche da Varrone, Romolo avrebbe infatti fondato la città di Roma il 21 aprile del 753 a.C. La fissazione al 21 aprile, riportata da Varrone, si deve ai calcoli astrologici del suo amico Lucio Taruzio.
Da questa data in poi derivava la cronologia romana, definita infatti con la locuzione latina Ab Urbe condita, ovvero "dalla fondazione della Città". La ricorrenza del Natale di Roma è tuttora festeggiata con rappresentazioni in costume, eventi culturali e manifestazioni ludiche.
In epoca fascista, a partire dal 1924, il 21 aprile era festa nazionale, e si festeggiava in tale occasione anche la Festa dei lavoratori, che sostituì quella del 1 maggio. Tale consuetudine fu abolita nel 1945, e la festività restò solo nel Comune di Roma.
▪ 1503 - Nella battaglia di Cerignola gli spagnoli sconfiggono i francesi e conquistano il Regno di Napoli
▪ 1796 - Napoleone Bonaparte guida le sue truppe alla vittoria contro l'esercito sabaudo nella battaglia di Mondovì (CN) e si prepara a marciare verso Torino
▪ 1884 - Roma, la Chiesa cattolica condanna la massoneria con l'enciclica di papa Leone XIII Humanum genus
▪ 1898 - Guerra ispanico-americana: il Congresso degli Stati Uniti fissa a questa data, che renderà nota solo il 25 aprile successivo, l'inizio dello stato di guerra con la Spagna
▪ 1931 - L'ex re Alfonso XIII di Spagna sbarca a Dover, prima tappa del suo esilio
▪ 1940
- - Seconda guerra mondiale: Lillehammer, (Norvegia) primo scontro diretto fra truppe inglesi e tedesche
- - Roma, Benito Mussolini arringa in segreto i rappresentanti delle Confederazioni, ma il contenuto trapela e fa ritenere prossimo l'entrata in guerra dell'Italia
* 1942 - Codice Civile: Il codice Civile Italiano entra in vigore, segnando l'unificazione del diritto privato, l'idea, cioè, di eliminare la duplicazione dei codici di diritto privato e di rendere uniforme la disciplina della materia civile e della materia commerciale
▪ 1945 - Seconda guerra mondiale: Bologna viene liberata dagli alleati
▪ 1960 - Brasile: viene ufficialmente inaugurata la capitale Brasilia
▪ 1967 - Grecia: a pochi giorni dalle elezioni generali il Colonnello George Papadopoulos guida un colpo di stato instaurando un regime militare che durerà sette anni
▪ 1970 - La Provincia dello Hutt River attua una secessione dal Commonwealth di Australia
▪ 1977 - Italia: a Roma un agente di P.S., Settimio Passamonti, 23 anni, viene ucciso a colpi d'arma da fuoco vicino alla città universitaria durante scontri a fuoco tra polizia ed estremisti di sinistra (dell'area di Autonomia Operaia)
▪ 1989 - Inizia la commercializzazione della console portatile che sarà la più venduta al mondo: il Game Boy
▪ 1994 - La prima scoperta di pianeti extrasolari è annunciata dall'astronomo Alexander Wolszczan
▪ 2004
- - Iraq, attentati suicidi a Bassora causano almeno 68 morti. A Falluja, scontri tra ribelli e forze della coalizione
- - Arabia Saudita, un'autobomba guidata da un terrorista kamikaze colpisce la centrale delle forze di sicurezza di Riyadh, causando almeno 4 morti e 148 feriti
- - Israele, rilasciato dopo anni di prigionia Mordechai Vanunu, reo di aver svelato alla stampa l'esistenza di una centrale nucleare israeliana segreta, in cui aveva lavorato
- - In Austria, la Vienna City Hall e la Bank Austria Creditanstalt effettuano il primo trasferimento di fondi attraverso un collegamento diretto a crittografia quantistica
▪ 2006 - Re Gyanendra del Nepal abdica dopo alcune settimane di scontri tra polizia e dimostranti dell'opposizione.
▪ 2009 - 56 artisti della musica italiana incidono il singolo Domani 21/04.09 in ricordo del terremoto dell'Aquila, per devolvere interamente i proventi della vendita del disco alle popolazioni colpite del sisma.
Anniversari
• 1073 - Alessandro II, nato Anselmo da Baggio (Baggio, 1010/1015 – Roma, 21 aprile 1073), fu il 156° papa della Chiesa cattolica dal 1061 alla sua morte.
La sua vita prima di diventare papa
Originario di Baggio, presso Milano, come vescovo di Lucca dove fece riedificare il Duomo, carica che mantenne anche durante il pontificato, era stato un energico coadiutore di Ildebrando nell'impresa di sopprimere la simonia, e rafforzare il celibato del clero. In un periodo di inquietudine all'interno della cristianità, capeggiò la pataria milanese, ossia un movimento popolare di protesta contro l'immoralità nel clero.
Il pontificato
L'ascesa al soglio pontificio fu guidata da Ildebrando, che agì in conformità con i decreti del 1059 , Alessandro II fu il primo pontefice ad essere eletto da un consesso di prìncipi della Chiesa senza l'intrusione del potere imperiale. Non rinunciò alla cattedra lucchese, che mantenne fino alla morte.
La sua elezione non venne sancita dalla corte imperiale in Germania [2]. Questa corte, fedele alla pratica osservata nelle elezioni precedenti, nominò un altro candidato, Cadalo, vescovo di Parma, che venne proclamato al concilio di Basilea con il nome di Onorio II. Questi marciò su Roma e per un lungo periodo compromise la posizione del rivale. Successivamente, venne abbandonato dalla corte germanica e deposto da un concilio tenuto a Mantova, e la posizione di Alessandro non venne più minacciata.
Morì il 21 aprile 1073. Ad Alessandro successe proprio Ildebrando, che assunse il nome di papa Gregorio VII.
• 1109 - Sant' Anselmo d'Aosta chiamato anche Anselmo di Bec o Anselmo di Canterbury (Aosta, 1033/1034 – Canterbury, 21 aprile 1109) è stato un teologo e filosofo italiano. Considerato un dottore della Chiesa e venerato come santo dalla Chiesa cattolica, è stato arcivescovo di Canterbury dal 1093 alla morte. È soprannominato Doctor magnificus e padre della Scolastica.
Anselmo nacque nel 1033 o nel 1034 ad Aosta, forse nella casa al numero 62 della strada che oggi porta il suo nome, da Gundulfo de Candia, il cui nome rivela la sua origine longobarda, e dalla nobile Eremberga de Ginevra, originaria della Borgogna e parente del conte Oddone di Savoia e di Moriana. Spinto dall'esempio della religiosità materna, espresse il desiderio di dedicarsi alla vita conventuale, ma si scontrò con l'opposizione del padre. Seguirono difficili rapporti in famiglia, aggravati dalla prematura morte della madre. Poco più che ventenne, Anselmo lasciò Aosta per la Borgogna e poi la Francia, mentre il padre entrò in quel convento che paradossalmente aveva negato al figlio.
Nel 1059 Anselmo giunse nell'abbazia benedettina di Notre-Dame du Bec, in Normandia, per seguire le lezioni del noto Lanfranco di Pavia, priore e maestro della scuola del monastero. Nel 1060 prese gli ordini in quella stessa abbazia, poi divenne collaboratore del suo maestro nell'insegnamento e, nel 1063, priore e maestro di arti liberali succedendo allo stesso Lanfranco, il quale si era trasferito nella vicina Caen per assumere la carica di abate nel convento di Santo Stefano. Nel 1078, morì il fondatore e abate del convento di Notre-Dame, il cavaliere Erluino; Anselmo venne eletto suo successore all'unanimità.
Anselmo visse nell'abbazia fino al 1092. Fu questo il periodo di sua più intensa attività, tanto pedagogica che di riflessione e composizione teologica e filosofica: vi compose le due opere più note, il Monologion e il Proslogion, oltre al De grammatico, il De veritate, il De libertate arbitrii e il De casu diaboli.
L'attività didattica si distinse, secondo quanto riferisce il suo biografo Edmero, dall'affermata tradizione di arcigna severità che costringevano gli alunni a una rigida disciplina e a un'arida ripetizione di principi da imparare a memoria.
Come abate e priore, Anselmo ebbe incombenze che lo costrinsero a frequenti viaggi, anche lunghi, come quello che intorno al 1080 lo portò in Inghilterra, a Canterbury, dove rivide l'antico maestro Lanfranco, ora arcivescovo, e conobbe quel monaco Eadmero alla cui biografia si devono le pur insufficienti notizie che lo riguardano.
Nel 1093 venne nominato arcivescovo di Canterbury: in Inghilterra si scontrò più volte con i re Guglielmo II ed Enrico I, e per questo motivo dovette intraprendere due volte la via dell'esilio, la seconda intorno al 1100. La pacificazione tra il re ed il papa gli consentì di ritornare a Canterbury, dove morì nel 1109. Anselmo fu canonizzato nel 1494 e proclamato Dottore della Chiesa nel 1720.
L'opera più famosa del periodo inglese (terminata, però in esilio in Italia, sull'eremo benedettino di Villa Sclavia) fu il Cur Deus homo (Perché un Dio-uomo?). Anselmo ha lasciato anche un'ampia raccolta di Preghiere e di Meditazioni, nonché un nutrito Epistolario, dal quale si possono ricostruire anche i legami di solida e tenera amicizia che aveva con i suoi discepoli.
Anselmo è ricordato non solo come teologo, ma anche come filosofo (viene talvolta definito il "padre della Scolastica"), soprattutto per la ricerca, sviluppata nel Proslogion, di un unum argumentum, un unico principio immediato e fondato solo su sé stesso per la dimostrazione dell'esistenza e degli attributi di Dio. Immanuel Kant definí questa dimostrazione prova ontologica dell'esistenza di Dio, sebbene Anselmo non abbia mai utilizzato questa espressione.
Fede e ragione
Fortissimamente speculativa, Anselmo cercò, nel solco della tradizione di Platone e Sant'Agostino, una convergenza tra fides e ratio. Per Anselmo, la ragione umana è uno strumento essenziale per la speculazione teologica. Certamente, ogni intelligenza è sempre preceduta da una fede. Infatti, egli dice:
«(...) credo per intendere, e se prima non crederò, non potrò intendere.»
Dunque, Anselmo riprende da Sant'Agostino (V secolo) la formula credo ut intelligam, intelligo ut credam (cioè "credo per comprendere, comprendo per credere").
La ricerca della verità ha come fondamento la fede. Tuttavia, la fede di per sé non è sufficiente: esige dimostrazioni e conferme razionali. E in questo, l'intelletto, proprio come la fede stessa, ha una sicura guida nell'illuminazione divina, concetto ripreso sempre dall'Agostinismo, e riproposto anche da San Bonaventura da Bagnoregio.
Dunque, tale illuminazione deve guidare l'intelletto, che altrimenti, di per sé, non può minimamente penetrare il mistero divino. Insomma, la ragione non dà giudizi, ma aiuta a capire la fede. Anselmo è uno dei primi filosofi e teologi ad unificare le due discipline, secondo il principio fides quaerens intellectum (cioè "la fede richiede l'intelletto"), che sarà il fondamento di tutta la filosofia Scolastica.
Centralità della problematica su Dio
La sua ricerca è tutta concentrata sulla figura di Dio, sulla quale pone due problematiche: la sua esistenza e la sua natura. Tale distinzione è espressa nel Monologion. Dice lui stesso: è questo il problema che sostiene e unifica le mie indagini.
Anselmo fornisce 4 prove che possano dimostrare, a partire dal mondo, che Dio esiste. È per questo, infatti, che vengono definite "prove a posteriori":
1) Ognuno tende a impossessarsi delle cose che giudica buone. Ma se esistono cose buone, il loro principio dovrà essere unico. Dovrà esistere cioè una Bontà assoluta.
2) L'esistenza di varie grandezze determina l'esistenza di una grandezza somma che include tutte le altre, di cui tutte le altre sono partecipazione.
3) Tutto ciò che esiste, o esiste in virtù di qualcosa, o esiste in virtù di nulla. Dunque, dato che ciò che esiste in virtù del nulla è il nulla stesso, e dato che qualcosa esiste, ciò esisterà grazie a un Essere supremo, l'essere in virtù (di qualche cosa).
4) Tratta dalla gerarchia degli esseri viventi. Dovrà esistere un essere a sommità della gerarchia che sia perfetto. Una perfezione prima e assoluta.
Anselmo si rese conto ben presto della complessità delle proprie tesi che indicavano le cause "a posteriori", e, convinto del proprio ruolo di divulgatore della verità divina, si dedicò alla composizione di tesi che "a priori" potessero dimostrare l'esistenza di Dio. Esse si proponevano attraverso un'altra via, che come un lampo illuminasse i fedeli. Necessitava dunque di un argomento semplice, persuasivo e autosufficiente con cui convincere dell'esistenza di Dio.
Il problema ontologico o prove "a priori"
È un'argomentazione dell'esistenza di Dio che parte dalla nozione stessa di Dio, nel famoso enunciato: Dio è ciò di cui non si può pensare il maggiore. In latino: Id quod maius cogitari nequit (d'ora in poi IQM). È stata definita in età contemporanea, con un anacronismo, "argomento ontologico". Questa argomentazione si trova nel secondo libro del "Proslogion" di Anselmo.
Il ragionamento di Anselmo si può dividere in due parti. La prima è un'istanza logica riguardo alla nozione di IQM, da cui segue l'esistenza necessaria dell'IQM stesso; la seconda, invece, è un'istanza teologica, che identifica l'IQM con il Dio cristiano.
Anselmo dice che quando l'ateo dice che Dio non esiste, con il termine Dio intende "ciò di cui non si può pensare il maggiore", ovvero l'IQM. Tuttavia, per negarne l'esistenza, l'"insipiens" (ovvero il non credente) deve avere almeno nell'intelletto la nozione di IQM. Ma l'IQM non può esistere solo nell'intelletto, perché altrimenti sarebbe possibile qualcosa di "più grande" dell'IQM, ovvero questo stesso IQM dotato di esistenza reale, contraddicendone la definizione di partenza. In definitiva, se l'IQM esistesse solo nella mente e non nella realtà, non sarebbe l'IQM e quindi si verrebbe a creare una contraddizione. Da questo segue che l'IQM esiste necessariamente.
Critiche
Nel Proslogion Anselmo dialoga con l'insipiens (Salmi, XIII 1). Uno stesso discepolo di Anselmo, il monaco Gaunilone (chiamato anche Wenilo), obiettò che non è sufficiente pensare una cosa perché esista, anche se rappresenta la perfezione. Disse infatti che, nonostante si potesse immaginare un'isola piena di delizie, ciò non dimostrava la sua esistenza. Rifiutò insomma il passaggio obbligato dal mondo ideale a quello reale. Anselmo ribatté dicendo che l'esempio dell'isola non era calzante, poiché non era "ciò di cui niente si può pensare più grande". L'isola meravigliosa ha infatti una perfezione relativa e limitata ad alcuni suoi aspetti, ma non una perfezione assoluta come Dio, che ha ogni perfezione, sotto ogni aspetto.
San Tommaso d'Aquino, nella sua "Summa contra Gentiles" scrive: "Tra gli atei non è a tutti noto che Egli è quanto di più grande si possa pensare". Dunque egli ammise l'infondatezza dell'affermazione di Anselmo e impose per la conoscenza dell'esistenza di Dio le prove a posteriori come le uniche valide.
Kant lo rigettò totalmente, riprendendo quella tesi di Gaunilone secondo cui non basta che qualcosa sia pensato, perché ciò esista (ad esempio la chimera, o Babbo Natale). La questione rimane ancora oggi aperta in ambito filosofico.
Adesioni
Anselmo fu invece appoggiato da San Bonaventura da Bagnoregio e Duns Scoto nel Medioevo, e da Cartesio e Leibniz in età moderna. In particolare Cartesio fu sostenitore della sua "prova a priori", dalla quale prese ispirazione per il suo "metodo dubitativo"; inoltre, avversò la critica di Gaunilone, tacciandola come ingannevole ed inutile sofisma. Nella filosofia moderna, in aggiunta, è notevole l'adesione di Hegel, che accetta la prova di Anselmo in quanto per lui non c'è il salto di cui parlava Kant tra la dimensione logica e quella ontologica, in virtù del ben noto principio idealista per cui "tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale".
La parola e la conoscenza
Anselmo parla anche del rapporto tra parola e conoscenza, intendendo la parola come intellezione della realtà mediante il nostro intelletto. La parola (o concetto) può essere vera o falsa a seconda del suo maggiore o minore grado di somiglianza con la cosa.
La conoscenza umana (derivata dalla parola) è dunque misurata dalle cose.
La conoscenza divina (derivata dalla parola) è misura delle cose perché suo modello.
La rettitudine dell'intelletto umano è la verità, e si ottiene avvicinandosi alla conoscenza divina, sapere cioè le cose come davvero sono. La rettitudine della volontà è la giustizia, e si ottiene sostituendo alla propria, personale volontà la volontà divina, che è stata rivelata al mondo da Cristo e che può essere donata all'uomo, attraverso la Grazia, nello Spirito Santo. L'agire bene definisce la libertà. Dunque, l'uomo non è libero quando può peccare, ma è libero quando può comportarsi bene (altrimenti ne deriverebbe che Dio e gli angeli non sono liberi). La libertà è potenza di fare il bene.
La giustizia (che è divina) è il bene supremo da inseguire, e deve essere raggiunta per sé stessa, e non per altri fini umani.
Ma come si accordano predestinazione e merito? Libertà umana e preconoscenza divina degli eventi? Anselmo risponde che la libertà umana non è in contrasto con la prescienza divina. Dio pensa nella dimensione dell'eternità gli eventi che si svolgeranno nel tempo e nel modo in cui si svolgeranno secondo necessità quando sono necessari e secondo libertà quando sono liberi. Dunque, essendo Egli sia necessità che libertà, non vuole e non può andar contro sé stesso, che è già perfezione, quindi imperfezionabile.
In occasione dell'ottavo centenario della morte del santo, il 21 aprile 1909 papa Pio X scrisse l'enciclica Communium Rerum in cui ne celebra la figura e ne promuove il culto.
* 1142 - Pietro Abelardo (francese: Pierre Abélard; Le Pallet, 1079 – Chalon-sur-Saône, 21 aprile 1142) fu un filosofo, teologo e compositore francese, talvolta chiamato anche Pietro Palatino a seguito della latinizzazione del nome della sua città di origine. Fu uno dei più importanti e famosi filosofi e pensatori del medioevo, precursore della Scolastica e fondatore del metodo logico. Per alcune idee fu considerato eretico dalla Chiesa cattolica in base al Concilio Lateranense II del 1139.
Nel corso della sua vita si mosse da una città all'altra fondando scuole e dando così i primi impulsi alla diffusione del pensiero filosofico e scientifico. Conquistò masse di allievi grazie all'eccezionale abilità nel padroneggiare la logica e la dialettica, e all'acume critico con cui analizzava la Bibbia e i Padri della Chiesa. Ebbe come temibile avversario Bernardo di Chiaravalle, che non gli risparmiò nemmeno le accuse di eresia. Le sue idee religiose, e in particolare le sue opinioni sulla Trinità, si collocavano in effetti al di fuori della Dottrina cattolica, tanto da essere condannate dai concili di Soisson (1121) e di Sens (1140).
Tra i suoi principali allievi vi furono Arnaldo da Brescia, Giovanni di Salisbury, segretario dell'arcivescovo Thomas Becket, Ottone di Frisinga, grande letterato e zio di Federico Barbarossa e Rolando Bandinelli, il futuro papa Alessandro III.
Abelardo fu noto anche col soprannome di Golia: durante il Medioevo tale appellativo aveva la valenza di "demoniaco". Pare che Abelardo fosse particolarmente fiero di questo soprannome, guadagnato in relazione ai numerosi scandali di cui fu protagonista, tanto da firmare con esso alcune delle sue lettere. Celebre è la sua storia d'amore con Eloisa, da molti considerato il primo esempio documentato di amore declinato in chiave "moderna", come passione e dedizione assoluta e reciproca.
La fonte principale delle notizie sulla vita di Abelardo è la Historia mearum calamitatum (Storia delle mie disgrazie), un'autobiografia scritta in forma di lettera ad un amico con l'evidente intento di destinarla alla pubblicazione; a questa possono essere aggiunte le lettere di Abelardo ed Eloisa, che erano intese anche per la circolazione fra gli amici di Abelardo. L'Historia fu scritta intorno all'anno 1130, e le lettere nel corso dei seguenti cinque o sei anni. Fatta eccezione di questi documenti, il materiale a disposizione è molto scarso: una lettera di Roscellino ad Abelardo, una lettera di Fulco di Deuil, la Disputatio di Guglielmo di Saint-Thierry, la cronaca di Ottone di Frisinga, le lettere di san Bernardo ed alcune allusioni negli scritti di Giovanni di Salisbury.
I primi anni
Pietro Abelardo (scritto anche Abeillard, Abailard, Abelard o Abaelardus) nacque (1079) nel piccolo villaggio di Pallet, circa dieci miglia ad est di Nantes in Bretagna. Suo padre, Berengario, era il signore del villaggio, il nome di sua madre era Lucia; in seguito, ambedue divennero monaci. Pietro, il maggiore dei loro figli, era destinato alla carriera militare, ma, come narrava egli stesso, abbandonò "Marte" per "Minerva", la professione delle braccia per quella della cultura, che all'epoca non poteva prescindere dalla carriera ecclesiastica. Di conseguenza, in giovane età lasciò il castello del padre e andò in cerca di istruzione, come studioso errante, presso le scuole degli insegnanti più rinomati di quei giorni.
Dopo essere stato a Tours, si spostò dal nominalista Roscellino, che aveva la scuola a Locmenach, vicino a Vannes, prima di procedere per Parigi.
Anche se l'Università di Parigi non esistette come istituzione sociale fino a oltre mezzo secolo dopo la morte di Abelardo, erano floride nella Parigi dei suoi tempi le scuole della Cattedrale, di Sainte Geneviève e di Saint Germain des Prés, precorritrici delle università del secolo successivo. La scuola della Cattedrale era indubbiamente la più importante tra queste e il giovane Abelardo vi si diresse per studiare dialettica sotto il rinomato maestro (scholasticus) Guglielmo di Champeaux.
Le prime contese
Presto comunque il giovane provinciale, sul quale il prestigio di un grande nome era ben lontano dall'ispirare un timore riverenziale, non solo si avventurò nel criticare l'insegnamento del maestro Guglielmo (vedi la teoria degli universali), ma tentò di organizzarsi come insegnante concorrente. Trovando che a Parigi non era facile farsi spazio, fondò una sua scuola, prima a Melun e più tardi a Corbeil (1101 circa).
Abelardo passò i successivi due anni nel suo villaggio natale "pressoché tagliato fuori dalla Francia", come narrava egli stesso. La ragione di questo ritiro fu un esaurimento nervoso provocato dal troppo lavoro e studio.
Ritorno a Parigi, divenne nuovamente alunno di Guglielmo di Champeaux, per studiare retorica. Quando Guglielmo si ritirò nell'Abbazia di San Vittore, Abelardo, che nel frattempo aveva ripreso a insegnare a Melun, si affrettò a Parigi per assicurarsi un posto presso la Scuola della Cattedrale. Non essendo riuscito a ottenerlo, aprì una sua scuola sul colle di Sainte-Géneviève, vicino a Parigi (1108), luogo destinato a diventare una prestigiosa sede universitaria, sede a tutt'oggi della Sorbona.
Là e alla scuola della Cattedrale, presso la quale, nel 1113, finalmente riuscì a ottenere una cattedra, godé del massimo prestigio come insegnante di retorica e dialettica. Prima di assumere l'incarico di insegnante di teologia presso la scuola della Cattedrale, si recò a Laon, dove si presentò al venerabile Anselmo di Laon come studente.
Presto, tuttavia, mostrò la petulante caparbietà di quando era in qualche modo limitato e non fu contento finché non ebbe quasi completamente superato l'insegnante di teologia di Laon, come aveva fatto, con successo, con l'insegnante di retorica e dialettica a Parigi. Leggendo il racconto di Abelardo sull'accaduto, è impossibile non biasimarlo per la temerarietà con cui si fece nemici come Alberico e Lotulfo, allievi di Anselmo, che in seguito gli si scagliarono contro. La novità e l'arditezza dei suoi metodi ne fecero successivamente una specie di simbolo dell'intellettuale libero e spregiudicato. Gli "studi teologici" seguiti da Abelardo a Laon erano quelli che oggi si chiamerebbero studi esegetici.
I successi e la caduta di Abelardo
Non ci può essere alcun dubbio che la carriera di Abelardo a Parigi, come insegnante, dal 1108 al 1118, fu particolarmente brillante. Nella sua Historia raccontava come gli allievi si affollassero intorno a lui da ogni parte d'Europa, un'affermazione più che confermata dai suoi contemporanei. Era, infatti, l'idolo di Parigi: eloquente, vivace, disponibile, in possesso di una voce insolitamente gradevole, sicuro di sé. Aveva, come affermava, il mondo intero ai suoi piedi.
Che Abelardo fosse cosciente di queste caratteristiche veniva anche confermato dai suoi ammiratori più ardenti; effettivamente, nella Historia, confessava come in quel periodo della sua vita fosse pieno di vanità e di orgoglio; a questi difetti attribuì la sua rovina, che fu rapida e tragica come, apparentemente, tutto nella sua velocissima carriera.
Nell'opera raccontava la vicenda che sarebbe diventata un classico sul tema dell'amore; di come si innamorasse di Eloisa, la giovane nipote di Fulberto, canonico di Notre-Dame presso il quale Abelardo aveva dimora, la quale gli era stata affidata affinché le insegnasse la filosofia; la descriveva come bella, colta, sensibile e intelligente: «aveva tutto ciò che più seduce gli amanti». La fama della passione tra Abelardo ed Eloisa ben presto riuscì ad eguagliare quella del valore intellettuale di Abelardo, una situazione che non poteva essere tollerata dallo zio di Eloisa, che si vendicò facendo crudelmente evirare Abelardo.
Nel racconto Abelardo non risparmiò alcun particolare della storia, raccontando tutte le circostanze della tragica conclusione: la brutale vendetta del canonico, la fuga di Eloisa a Pallet, dove nacque il figlio Astrolabio (emblematica dell'atmosfera di esaltazione culturale e sensuale dei due la scelta del nome del figlio, che ebbe il nome non di un santo del calendario ma di uno strumento scientifico), le nozze segrete (1119 o 1120), il ritiro di Eloisa nel monastero di Argenteuil e il suo abbandono della carriera accademica.
In quel periodo aveva gli ordini minori e, naturalmente, sperava in una brillante carriera come insegnante ecclesiastico. Dopo la sua caduta, Pietro si ritirò nell'Abbazia di Saint-Denis, dove divenne un monaco benedettino. Egli, che si era considerato «l'unico filosofo sopravvivente nel mondo intero», si voleva definitivamente nascondere nella solitudine monastica. Ma qualsiasi sogno di pace potesse avere fatto in relazione al suo ritiro monastico, presto andò in frantumi. Litigò con i monaci di Saint Denis per la sua irriverente critica della leggenda del loro santo patrono e fu inviato a una prioria, dove, ancora una volta, fu attratto dallo spirito dell'insegnamento per la filosofia e la teologia. «Più sottile e più istruito che mai», come lo descriveva un contemporaneo (Ottone di Frisinga), riprese la vecchia controversia con gli allievi di Anselmo. Grazie alla loro influenza, la sua eterodossia, specialmente sulla dottrina trinitaria, fu messa sotto accusa e, nel 1121, gli fu ordinato di comparire davanti ad un concilio, presieduto dal legato pontificio Kuno, vescovo di Praneste, a Soissons. Mentre non è facile determinare esattamente cosa accadde al Concilio, è chiaro che non ci fu alcuna condanna formale delle dottrine di Abelardo, il quale, tuttavia, fu condannato a recitare il Credo Atanasiano e a bruciare il suo libro sulla Trinità (De unitate et trinitate divina). Inoltre, fu condannato alla prigionia nell'Abbazia di Saint Médard, apparentemente su richiesta dei monaci di Saint Denis, la cui inimicizia era inesorabile, in particolare quella del loro abate Adam.
Il ritorno di Abelardo
Nella sua disperazione, scappò in un luogo disabitato nei pressi di Troyes. Presto, cominciarono ad affollarsi presso di lui nuovi studenti. Furono allora innalzate capanne e tende per la loro ricezione e fu eretto un oratorio sotto il titolo del "Paracleto". Il suo precedente successo come insegnante si rinnovò. Dopo la morte di Adam, l'abate di Saint Denis, il suo successore, Suger, assolse Abelardo dalla censura e lo ristabilì nel suo rango di monaco.
L'Abbazia di Saint Gildas de Rhuys, vicino a Vannes, sulle coste della Britannia, avendo perduto l'abate nel 1125, scelse Abelardo come suo successore.
Nello stesso periodo, la comunità di Argenteuil fu dispersa ed Eloisa accettò con entusiasmo l'oratorio del Paracleto, di cui divenne badessa. Come abate di Saint Gildas, Abelardo visse, secondo il suo racconto, un periodo molto travagliato. I monaci, considerandolo troppo rigoroso, tentarono in vari modi di sbarazzarsi di lui, osteggiandolo e arrivando persino ad avvelenarlo. Infine riuscirono a scacciarlo dal monastero. Mantenendo il titolo di abate, risiedette per un certo periodo nei pressi di Nantes e, successivamente (probabilmente nel 1136), riprese la sua carriera di insegnante a Parigi. Fra i suoi allievi di quel periodo c'erano Arnaldo da Brescia e Giovanni di Salisbury. Con Eloisa intrattenne una fitta corrispondenza, in parte pervenutaci, dove i due trasponevano il proprio amore terreno, ormai troncato, in un amore verso Dio. Nonostante ciò nelle lettere, spesso dotate di una notevole qualità artistica e di un sincero slancio mistico, trapelano ancora tracce dell'antica passione.
Contro Bernardo di Chiaravalle
Ma Guglielmo di Saint-Thierry, Norberto di Magdeburgo e Bernardo di Chiaravalle attaccarono le sue dottrine. Il monaco di Chiaravalle, l'uomo più potente della chiesa di quei tempi, fu messo in allarme sull'eterodossia degli insegnamenti di Abelardo e mise in discussione la dottrina trinitaria contenuta nei suoi scritti. Ci furono ammonizioni da una parte e mancanze dall'altra; San Bernardo, avendo preventivamente avvisato Abelardo in privato, procedette denunciandolo ai vescovi di Francia; Abelardo, sottovalutando l'abilità e l'influenza del suo avversario, richiese un concilio dei vescovi, di fronte al quale Bernardo e lui avrebbero dovuto discutere i punti disputati. Nel 1141, nella cattedrale di Sens (la sede metropolitana di cui Parigi era allora suffraganea), dinnanzi ad alti ecclesiastici e allo stesso re di Francia, Bernardo lesse la lista delle proposizioni che, temendo un diretto confronto dialettico con Abelardo, aveva fatto precedentemente condannare dai vescovi e gli chiese di riconoscerle. Abelardo, informato, così sembra, del procedimento della sera precedente, rifiutò di difendersi, dichiarando che si sarebbe appellato a Roma. Di conseguenza, le proposizioni vennero condannate, ma Abelardo conservò la sua libertà. Bernardo, con una lettera alla Curia Romana, sollecitò la ratifica papale della condanna di Abelardo. Il decreto di Papa Innocenzo II, con la conferma della condanna di Sens, lo raggiunse mentre era in viaggio per Roma, ma era giunto solamente a Cluny.
Il Venerabile Pietro di Cluny prese a cuore il suo caso, ottenne da Roma una mitigazione della condanna, lo riconciliò con San Bernardo e gli diede una onorata e amichevole ospitalità nel suo monastero. Là Abelardo passò gli ultimi anni della sua vita e, infine, trovò quella pace che, inutilmente, aveva cercato altrove. Indossò l'abito dei monaci di Cluny e divenne un insegnante nella scuola del monastero. Morì a Chalon-sur-Saône nel 1142 e fu sepolto al Paracleto. Nel 1817 i suoi resti e quelli di Eloisa, morta nel 1164, furono traslati in una cappella nel cimitero di Père Lachaise a Parigi, dove oggi riposano l'uno accanto all'altra.
Il rapporto tra ragione e rivelazione
Riguardo al rapporto fra ragione e la rivelazione, fra le scienze (compresa la filosofia) e la teologia, Abelardo incorse, ai suoi tempi, nella censura dei teologi mistici come San Bernardo, la cui tendenza era quella di mettere da parte la ragione in favore della contemplazione e della visione estatica.
Se i principi «la ragione aiuta la fede» e «la fede aiuta la ragione» devono essere presi come ispirazione della teologia scolastica, Abelardo era propenso a dare risalto al primo senza tener conto del secondo. Inoltre, quando parlava di soggetti sacri, adottò un tono e impiegò una fraseologia che offesero i più conservatori fra i suoi contemporanei. Eppure, Abelardo fu senza dubbio un innovatore: benché il XIII secolo, l'età aurea dello scolasticismo, conoscesse poco di Abelardo, adottò la sua metodologia e, con coraggio uguale al suo, ma senza la sua frivolezza o la sua irriverenza, introdusse l'uso della ragione nell'esposizione e nella difesa dei misteri della fede cristiana.
San Bernardo riassunse le accuse contro Abelardo nell'Epistola CXCII scrivendo: Cum de Trinitate loquitur, sapit Arium; cum de gratiâ, sapit Pelagium; cum de personâ Christi, sapit Nestorium. Non c'è dubbio che su questi argomenti Abelardo scrisse e disse molte cose che erano opinabili dal punto di vista dell'ortodossia: mentre combatteva gli opposti errori, cadde involontariamente negli errori che egli stesso non riconobbe come Arianesimo, Pelagianesimo e Nestorianesimo e che persino i suoi nemici potrebbero caratterizzare soltanto come in odore di Arianesimo, Pelagianesimo e Nestorianesimo. L'influenza del Abelardo sui suoi immediati successori non fu molto grande, in parte per il suo conflitto con le autorità ecclesiastiche e in parte per i suoi difetti personali, in particolar modo vanità e orgoglio, che dovettero dare l'impressione che stimasse la verità meno della vittoria.
Gli universali
Nel problema degli universali, che impegnava così tanto i dialettici di quel periodo, Abelardo assunse una posizione di intransigente ostilità sia nei confronti del grezzo nominalismo di Roscellino, che nei confronti dell'esagerato realismo di Guglielmo di Champeaux. Quale fosse, precisamente, la sua dottrina sulla questione è un aspetto che non può essere determinato con esattezza. Tuttavia, dalle affermazioni del suo allievo, Giovanni di Salisbury, è chiaro che la dottrina di Abelardo, espressa con i termini di un nominalismo modificato, era molto simile al moderato realismo che iniziò ad essere ufficiale nelle scuole circa mezzo secolo dopo la morte di Abelardo.
Per Roscellino, primo maestro di Abelardo, gli universali erano soltanto emissioni di voce (flatus vocis) e dunque non possedevano una realtà indipendente dall'uomo: è la teoria del nominalismo.
Per Guglielmo di Champeaux, altro maestro di Abelardo, gli universali, ossia i generi (minerali, vegetali e animali) e le specie (uomo, cavallo, ferro) erano realtà esistenti al di fuori di noi. La specie è una sostanza unica presente in tutti gli individui che differiscono tra loro soltanto per accidenti (colore, peso, ecc): così la specie uomo è comune a tutti gli uomini che poi si distinguono in Socrate, Platone, ecc..
Abelardo così commentava la concezione di Guglielmo: «C'è una stessa realtà nei singoli individui che si distinguerebbero fra loro solo per la diversità degli accidenti…per cui, per esempio, nei diversi uomini la sostanza è uguale e solo una diversità di forme fa sì che uno sia Socrate e un altro Platone... allora la stessa sostanza di animale si troverà sia negli animali razionali che in quelli irrazionali e dunque nella stessa sostanza sussisterebbero attributi contrari i quali, trovandosi nella stessa identica realtà, non sarebbero più contrari».
Guglielmo per rispondere alla critica di Abelardo corresse la sua teoria sostenendo che gli universali sono presenti negli individui in modo indifferenziato: «ciò che è in una realtà non può essere in un’altra... ma la realtà dell'universale resta la stessa nel senso della non differenza, nel senso che, per esempio, gli esseri umani, distinti in sé fra loro, sono la stessa realtà nell'uomo, non differiscono nella loro natura umana, e così per ogni essere». Abelardo, tuttavia, continuò la sua critica specificando che «ciò che conta è la non differenza fra due esseri in senso positivo: se due uomini non differiscono fra loro perché entrambi non sono una pietra, in che cosa non differiscono se hanno la stessa natura?».
Per Abelardo, come per Aristotele, la sostanza (ousia) era l'esistenza nella forma di cosa, di animale o di persona, dunque era un soggetto: «Come certi nomi sono dai grammatici detti comuni e altri propri, così dai dialettici certi termini sono detti universali e altri singolari; l'universale è un vocabolo capace di essere predicato singolarmente di molti, come per esempio, il termine uomo si può unire a tutti gli uomini mentre singolare è il nome predicato di uno solo, per esempio Socrate. Dicendo che Socrate è uomo, Platone è uomo, Aristotele è uomo, uso una parola, uomo, predicato di molti individui: uomo è dunque una parola universale. Quando diciamo che questo o quell'individuo conviene nello stato di uomo... diciamo che è un uomo sebbene lo stato di uomo non sia una cosa, una realtà, ma è la causa comune per cui ai singoli viene dato il nome uomo».
In questo modo l'universale non è né una realtà, come voleva Guglielmo di Champeaux, né un puro suono, come sosteneva Roscellino. L'universale non può essere una cosa, poiché una cosa è un'entità individuale e in quanto tale non può essere predicato di un'altra cosa: e allora l'universale non è realtà. Ma non è neanche un puro suono, perché anche un suono è un'entità individuale e perciò non può essere predicato di altro suono.
«Quando ascolto la parola uomo mi sorge nell'animo un modello comune a tutti gli uomini ma proprio di nessuno; quando ascolto la parola Socrate mi sorge un’immagine che esprime una particolare persona… come si può dipingere una figura comune, si può concepire una figura comune: l'universale è questa immagine comune, l'immagine di una cosa concepita come comune.»
L'etica
Nell'etica Abelardo pose una tale enfasi sulla moralità dell'intenzione da eliminare, apparentemente, la distinzione obiettiva fra bene e male. Non è l'azione fisica in sé stessa, egli disse, né qualche immaginaria ferita a Dio, che costituisce il peccato, ma piuttosto l'elemento psicologico dell'azione, l'intenzione di peccare.
«Il vizio dell'anima non si identifica col peccato; per esempio, l'iracondia è un vizio che spinge la mente a compiere cose che non si devono fare, alla lussuria sono inclini per complessione fisica molte persone che però non per questo peccano: il vizio dell'animo ci inclina ad acconsentire a cose illecite e peccato deve intendersi solo il fatto dell'acconsentire. Come non si possono eliminare le inclinazioni, perché fanno parte della natura umana, così non si può chiamare peccato la volontà o il desiderio di fare quel che è illecito, ma il peccato è il consenso dato alla volontà e al desiderio.»
È dunque nel consenso, anche solo interiore, la radice del bene o del male che commettiamo: possiamo fare del bene senza rendercene conto, senza intenzione buona: non per questo possiamo essere considerati buoni e virtuosi; allo stesso modo, possiamo fare del male senza intenzione: non per questo dobbiamo essere considerati malvagi e peccatori.
Su questa base, Abelardo riteneva che gli stessi persecutori di Cristo e dei martiri potrebbero non aver peccato se consideravano, in coscienza, giustamente punibili Cristo e i cristiani, perché l'ignoranza non è in sé peccato e anche il peccato originale, che colpisce i successori di Adamo, non può essere considerato peccato.
Anche se Abelardo si sforzava di mantenersi nell'ambito dell'ortodossia, questa dottrina sembrava negare valore alle opere: la grazia non era più il dono divino della permanenza dell'uomo nel bene ma solo la conoscenza del regno dei cieli e Cristo era un maestro, non un mediatore di salvezza; queste idee furono condannate dal concilio di Sens perché mostravano un ritorno al pelagianesimo.
Ma la sua morale consisteva soprattutto in una critica sia al rigorismo ascetico, che combatte le inclinazioni della natura umana, che al legalismo etico, che si conforma a schemi esteriori di comportamento, e il rifiuto del conformismo si estendeva alla valutazione del ruolo delle gerarchie ecclesiastiche il cui prestigio sarebbe dovuto essere conforme alla dignità morale dei singoli e non al carisma del potere di cui sono investiti.
La logica
Compito della logica è stabilire la verità o falsità di un discorso e solo la libera ricerca razionale può condurre alla verità. Nell'opera Sic et non (Sì e no), raccoglieva un centinaio di proposizioni, tratte dai diciassette libri del Decretum di Yves di Chartres, attraverso le quali indicava il corretto metodo per affrontare le controversie teologiche: distingueva i testi della Bibbia, ai quali bisognava credere necessariamente, dai testi patristici, che potevano essere liberamente analizzati. Occorreva accertare se le espressioni usate dagli autori non fossero state da loro successivamente corrette, se non fossero state riprese da altri, occorreva accertare il reale significato dei singoli termini dati dai diversi autori: in caso di contrasto avrebbe dovuto preferita la tesi più e meglio argomentata.
Abelardo discuteva anche il problema dei futuri contingenti: Dio, prevedendo gli eventi futuri, determina il loro necessario verificarsi o gli eventi futuri restano contingenti, cioè non necessari? L'uomo non sa se le proprie previsioni del futuro siano vere o false e dunque per lui gli eventi futuri sono contingenti, mentre per Dio, che li conosce in anticipo, è necessario che essi si verifichino.
Dio è libero ma vuole solo il bene e dunque deve fare il bene; allora, creando il mondo, ha creato una cosa necessariamente buona: la necessità del mondo non significa, secondo Abelardo, mancanza di libertà in Dio perché egli fa tutto di sua volontà e senza costrizione.
La teologia
«Composi il trattato De unitate et trinitate divina per i miei studenti che […] chiedevano ragioni adatte a soddisfare l'intelligenza [...] non si può credere a una affermazione senza averla capita ed è ridicolo predicare agli altri quel che né noi né gli altri comprendono.»
Nonostante questa affermazione, Abelardo poneva, comunque, la fede alla base di ogni ricerca teologica, cercando di giustificarla attraverso analogie razionali. Cercò di spiegare la Trinità utilizzando argomentazioni tratte dal Timeo platonico: lo Spirito Santo procederebbe dal Padre e dal Figlio perché in Platone l'Anima del mondo, assimilata da Abelardo allo Spirito Santo, contempla nell'Intelletto divino (il Figlio) le Idee del Padre e in questo modo «per mezzo della ragione universale governa le opere di Dio traducendo nella realtà le concezioni del suo Intelletto».
Nel cristianesimo, secondo Abelardo, sostanza del Padre è la potenza, del Figlio è la sapienza e dello Spirito Santo è la carità. Dovendo costituire un'unità, le persone divine devono derivare l'una dall'altra: il Padre genera il Figlio che è della stessa sostanza del Padre, perché la sapienza è una forma di potenza divina, mentre lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, altrimenti la carità senza potenza sarebbe inefficace e senza la sapienza non avrebbe razionalità.
Questa concezione trinitaria fu attaccata da Norberto di Magdeburgo, fondatore dell'ordine dei Canonici Premonstratensi, da Bernardo di Chiaravalle e da Guglielmo di Saint-Thierry, perché considerata affetta da eresia modalista – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, anziché tre persone, non sarebbero altro che tre manifestazioni o modi attraverso i quali si manifesta l'unico Dio.
Nel Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano, l'ultimo scritto, rimasto incompiuto, di Abelardo, i tre personaggi dell'opera credono tutti in Dio, ma due seguono le Sacre Scritture, mentre il filosofo segue la ragione.
Il filosofo, nel dialogo col giudeo, conclude di non poter accettare una religione fondata esclusivamente sull'Antico Testamento, e non condivide le prove della razionalità della fede cristiana. Egli sostiene la necessità di valutare criticamente le scelte religiose in quanto ritiene che si aderisca alla fede di una religione positiva solo seguendo le proprie tradizioni familiari, tanto che, quando due persone di fede diversa si sposano, uno di essi si converte abitualmente alla fede dell'altro.
L'eredità di Abelardo
Abelardo è stata una delle figure fondamentali non solo del XII secolo, ma della storia del pensiero occidentale in generale. Con le sue opere, in particolare il Sic et Non, si può dire che ha fondato la logica occidentale, dimostrando come la ragione umana possa arrivare a importanti risultati senza bisogno di appoggiarsi pedissequamente alle Sacre Scritture. Egli ha elaborato i principi di identità e di non-contraddizione che furono alla base della filosofia scolastica nel secolo successivo.
Sebbene condannato dalla maggior parte della Chiesa più tradizionalista, il suo metodo venne ripreso con successo dal monaco giurista Graziano, che redasse una raccolta completa di diritto canonico (il Decretum), servendosi proprio della logica abelardiana. Dopo di lui il pensiero scolastico ebbe grandi esponenti che mediarono le innovazioni di Abelardo, tra i quali Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto. Essi applicarono il metodo logico-scientifico allo studio della teologia, che divenne una vera e propria scienza, quindi indagabile con i metodi della ragione umana. Questi studiosi si poterono avvalere anche delle traduzioni in latino di un altro grande pensatore, Averroé, che rese possibile la conoscenza di Aristotele e dei filosofi arabi in Occidente.
La Goliardia moderna
Al soprannome di Pietro Golia Abelardo si deve il termine Goliardia. Il termine stesso venne adottato dagli studenti universitari bolognesi sul finire del XIX secolo, quando il movimento venne fondato sotto l'impulso di Giosuè Carducci, allora insegnante presso la locale facoltà di lettere, che aveva assistito in Germania a manifestazioni studentesche simili a quello che sarebbe stato poi il modus operandi dei Goliardi. Gli studenti tedeschi erano effettivamente eredi (considerando le evoluzioni storiche del caso) di quei clerici vagantes tanto osteggiati dalla chiesa durante il XII secolo, e che avevano eletto Pietro Abelardo a proprio vessillo nella lotta – spesso più dozzinale che dottrinale – alle imposizioni ideologiche del Papa.
Opere filosofiche
Le opere filosofiche di Abelardo sono:
▪ Dialectica, un trattato di logica in quattro libri (di cui manca il primo);
▪ Liber Divisionum et Definitionum (pubblicato da Cousin quale quinto libro del "Dialectica");
▪ Glosse su Porfirio, Boëius e le Categorie Aristoteliche;
▪ Glossulae in Porphyrium (inedito eccetto in una parafrase francese di Rémusat);
▪ il frammento De Generibus et Speciebus, attribuito ad Abelardo da Cousin;
▪ Scito Teipsum, seu Ethica, un trattato morale, pubblicato per la prima volta da Pez in Thes. Anecd. Noviss.
Tutti questi, ad eccezione del Glossulae e dell Ethica si trovano negli Ouvrages inédits d'Abélard (Paris, 1836) di Cousin.
In filosofia, Abelardo merita considerazione principalmente come dialettico. Per lui, come per tutti i filosofi scolastici vissuti prima del XIII secolo, indagine filosofica significava quasi esclusivamente discussione e spiegazione dei problemi suggeriti dai trattati di logica di Aristotele. Forse il suo più importante contributo alla filosofia e alla teologia fu il metodo con il quale sviluppò Sic et Non ("Sì e No"), un metodo contenuto in embrione nell'insegnamento dei suoi predecessori e, in seguito, sviluppato da Alessandro di Hales e San Tommaso d'Aquino. Esso consisteva nel mettere di fronte allo studente le ragioni a favore e contro un'argomentazione, sul principio che la verità sarà raggiunta solamente attraverso una discussione dialettica di argomenti e fonti apparentemente contraddittori.
Opere teologiche
Le opere teologiche di Abelardo (pubblicate da Cousin, "Petri Abelardi Opera" in 2 volumi, Parigi, 1849-1859 e da Migne "Patr. Lat"., CLXXVIII) includono:
▪ Sic et Non, una raccolta di brani scritturali e patristici, pro e contro varie opinioni teologiche, senza alcun tentativo di decidere se l'opinione positiva o negativa sia corretta od ortodossa;
▪ Tractatus de Unitate et Trinitate Divinâ, condannato dal Concilio di Sens (scoperto e pubblicato da Stölzle, Friburgo, 1891);
▪ Theologia Christiana, una seconda ed ampliata edizione del Tractatus (pubblicato per la prima volta da Durand e Martène, Thes. Nov., 1717);
▪ Introductio in Theologiam (più correttamente, Theologia), di cui la prima parte fu pubblicata da Duchesne nel 1616;
▪ Dialogus inter Philosophum, Judaeum et Christianum;
▪ Sententiae Petri Abaelardi, noto anche come Epitomi Theologiae Christianae, una antologia raccolta dagli allievi di Abelardo (pubblicata per la prima volta da Rheinwald, Berlino, 1535);
▪ altre opere esegetiche, inni, sequenze, ecc.
Opere biografiche
Sulla propria vicenda biografica, e sul modello delle Confessioni di Agostino, Abelardo scrisse una Historia mearum tribolationum ("Storia delle mie disgrazie"), che conteneva anche lettere scambiate tra lui ed Eloisa, e la Regola destinata al monastero di Paracleto. L'Historia di Abelardo può considerarsi una delle prime autobiografie moderne.
• 1699 - Jean Racine (La Ferté-Milon, 22 dicembre 1639 – Parigi, 21 aprile 1699) è stato un drammaturgo e scrittore francese.
Nato in una famiglia di fede giansenista e rimasto orfano di madre in giovane età, la nonna gli diede la possibilità di studiare presso eminenti ellenisti che lo iniziarono ai classici greci, che influiranno notevolmente sulla sua opera. Per seguire gli studi filosofici si trasferì a Parigi, all'istituto religioso di Port-Royal (dove studiò anche Blaise Pascal); qui avrebbe dovuto studiare teologia, ma in quel periodo si avvicinò invece al teatro.
Nel 1677 divenne lo storiografo ufficiale della corte francese; nel 1679, forse a causa di uno scandalo di corte, si ritirò a vita privata. In quel periodo la sua fede giansenista rifiorì: Racine, che nel frattempo si era sposato, tornò al teatro solo tra il 1689 e il 1691, con opere a tema didattico-religioso tratte dall'Antico Testamento. Gli ultimi anni di vita li trascorse, con la moglie e i figli, a Parigi, dove morì. Per sua espressa volontà fu sepolto a Port-Royal des Champs.
A proposito della tragedia raciniana, emblematica della tragedia nell'age classique francese, Michel Foucault ha scritto:
«Nel teatro di Racine ogni giornata è minacciata da una notte: notte di Troia e dei massacri, notte dei desideri di Nerone, notte romana di Tito, notte di Atalia. Sono queste grandi facce di notte, questi quartieri d'ombra che frequentano il giorno senza lasciarsi annientare, e non spariranno se non nella nuova notte della morte. E, a loro volta, queste notte fantastiche sono ossessionate da una luce che forma come il riflesso infernale del giorno: incendio di Troia, torce dei pretoriani, luce pallida del sogno. Nella tragedia classica francese giorno e notte sono disposti a specchio, si riflettono all'infinito e danno a questa semplice coppia un'improvvisa profondità che con un solo movimento avvolge tutta la vita e tutta la morte dell'uomo». (M.F. Storia della Follia nell'età classica, Bur 1976, p.287)
• 1731 - Daniel Defoe (Londra, 3 aprile 1660 – 21 aprile 1731) è stato uno scrittore britannico. Viene frequentemente indicato come il padre del romanzo inglese.
Defoe e il romanzo
A partire dai saggi del critico inglese Ian Watt, Defoe è stato visto più volte come il padre del romanzo moderno, ovvero di una forma di romanzo in prosa in cui la figura di un singolo personaggio o di un gruppo di personaggi e del loro destino sia al centro della vicenda, e in cui si cerchi di rispettare determinati criteri di coerenza e verosimiglianza. Sebbene vi siano precedenti anche importanti (per esempio il Don Chisciotte di Cervantes e La principessa di Clèves di Madame de La Fayette), Defoe fu in effetti il primo a utilizzare questa forma letteraria in modo sistematico.
Defoe non era in realtà interessato a creare o sviluppare il romanzo a fini letterari. Egli era soprattutto un giornalista e un saggista, ma anche un professionista della penna pronto a mettere il suo considerevole talento al servizio del miglior offerente. È senz'altro significativo il fatto che prima di dedicarsi al romanzo, buona parte della vita di Defoe fosse già trascorsa: quando scrisse il suo capolavoro, il Robinson, aveva già 58 anni.
Inoltre, pubblicò i suoi romanzi cercando, in generale, di farli passare per storie vere (memoriali e autobiografie) per renderli più appetibili al pubblico dell'epoca (non si deve dimenticare che il motivo principale per cui Defoe scriveva era, a quanto pare, la necessità di pagare i propri debiti). La messa in scena ebbe successo, e solo molto tempo dopo la pubblicazione si comprese che i libri di Defoe mescolavano fatti veri (nel Robinson Crusoe la storia del marinaio Alexander Selkirk) con dosi generose di invenzione letteraria.
La miscela di realtà e finzione, attendibilità e sensazionalismo, propositi edificanti e gusto del racconto a fine d'intrattenimento costituiscono nella scrittura di Defoe quel genere intimamente ibrido che è il romanzo moderno. Starà poi ad altri, successivi scrittori di diversi paesi sfruttarne le potenzialità; ma di certo la prima sintesi narrativa funzionante (prova ne è il successo di cui ancora godono oggi questi libri) è stato l'astuto e "disonesto" Daniel Defoe.
* 1910 - Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens (Florida, 30 novembre 1835 – Redding, 21 aprile 1910), è stato uno scrittore, umorista, letterato, lettore universitario e conferenziere statunitense.
«Non ho mai lasciato che la scuola interferisse con la mia educazione.»
«La Bibbia è come una farmacia: i medicinali rimangono uguali, sono le prescrizioni dei medici che cambiano.»
È considerato una fra le maggiori celebrità americane del suo tempo. William Faulkner scrisse che fu il "primo vero scrittore americano". Usò anche lo pseudonimo "Sieur Louis de Conte", ad esempio per firmare la biografia di Giovanna d'Arco.
Secondo alcuni il suo principale pseudonimo deriva da un grido (in antico slang americano) che era un tempo usato nella marineria fluviale degli Stati Uniti per segnalare la profondità delle acque nella navigazione fluviale: by the mark, twain, ovvero: dal segno, due (sottinteso tese). Tale grido indica una profondità di sicurezza (appunto due tese, circa 3,7 metri). (come citato nella prefazione dell'edizione De Agostini di "Un Americano alla corte di Re Artù")
Il contributo più grande di Twain alla letteratura americana è spesso considerato Le avventure di Huckleberry Finn.
Ernest Hemingway disse: "Tutta la letteratura moderna statunitense viene da un libro di Mark Twain Huckleberry Finn. ... tutti gli scritti Americani derivano da quello. Non c'era niente prima. Non c'era stato niente di così buono in precedenza".
Altrettanto famosi sono Le avventure di Tom Sawyer, Il principe e il povero, Un americano alla corte di re Artù e il realista Vita sul Mississippi.
Twain cominciò la sua carriera di scrittore di versi umoristici, e finì come un severo, quasi profano cronista delle vanità, ipocrisie e crudeltà commessi dall'umanità. A metà carriera con Huckleberry Finn combinò fine umorismo, solida narrativa e critica sociale ad un livello senza rivali nel mondo della letteratura americana.
Twain fu un maestro a tradurre la conversazione colloquiale ed a creare e diffondere una letteratura specificatamente americana ed a costruire tematiche e linguaggi espressivi americani.
Twain era affascinato dalla scienza e dal metodo scientifico. Infatti ebbe una stretta e lunga amicizia con il fisico serbo Nikola Tesla. Essi passarono molto del loro tempo assieme nei laboratori di Tesla come pure in altri luoghi.
Un americano alla Corte di Re Artù racconta la storia di un contemporaneo di Twain che viaggia nel tempo e che utilizza la sua conoscenza della scienza per introdurre la tecnologia moderna ai tempi di Re Artù.
Twain fu una delle figure di spicco della American Anti-Imperialist League (Lega anti-imperialista Americana) che si oppose all'annessione delle Filippine agli Stati Uniti. Egli scrisse Incidente nelle Filippine pubblicato postumo nel 1924 in risposta al massacro di Moro Crater, nel quale vennero uccisi seicento Moro.
Negli ultimi anni ci sono stati tentativi di "mettere all'indice" Huckleberry Finn da varie biblioteche a causa dell'uso di termini di uso popolare che offendono alcuni. Twain era contro il razzismo e l'imperialismo della maggioranza dei suoi contemporanei, come emerge non solo dalla sua aderenza alla lega anti-imperialista, ma anche da molti passaggi del suo Following the Equator (per esempio, dai suoi commenti sprezzanti su Cecil Rhodes). Solo un'analisi superficiale del suo lavoro potrebbe portare a sospettarlo di razzismo per quella che è in effetti nient'altro che la precisa descrizione del linguaggio di uso comune negli Stati Uniti nel XIX secolo. Twain stesso avrebbe probabilmente sorriso di queste accuse; nel 1885, quando una biblioteca escluse il libro, egli scrisse al suo editore:
"Hanno espulso Huck dalla loro biblioteca come 'spazzatura buona per la periferia'. Questo ci farà vendere 25.000 copie, di sicuro".
Molti dei lavori di Mark Twain sono stati soppressi ai suoi tempi per una ragione o per un'altra. Il 1880 vide la pubblicazione di un piccolo volume 1601: Conversation, as it was by the Social Fireside, in the Time of the Tudors Twain fu indicato come autore da indiscrezioni, ma questo non fu confermato fino al 1906 quando Twain stesso rivendicò la paternità di questo capolavoro escatologico. Twain vide 1601 pubblicato quando era ancora in vita.
Twain durante la guerra Ispano-Americana scrisse anche un articolo contro la guerra intitolato The War Prayer (Pregare in tempo di guerra).
Questo fu inviato alla rivista Harper's Bazaar per la pubblicazione, ma il 21 marzo 1905 venne rifiutato perché "non adatto ad una rivista femminile".
Otto giorni più tardi Twain scrisse al suo amico Dan Beard, il quale aveva già letto l'articolo, "non penso che verrà pubblicato finché vivrò. Solo ai morti è permesso di dire la verità".
A causa di un contratto di esclusività che lo legava alla casa editrice Harper & Brothers, Mark Twain non poté pubblicarlo con altri editori e così rimase inedito fino al 1923.
Alla fine della sua vita la famiglia di Twain distrusse alcuni di quei lavori specialmente quelli irriverenti verso le religioni, per esempio Lettere dalla Terra (in originale Letters from the Earth), che non venne pubblicato fino al 1962, oppure l'anti-religioso The Mysterious Stranger (Lo straniero misterioso) pubblicato nel 1916.
Le più controverse discussioni umoristiche di Mark Twain tenute nel 1879 allo Stomach Club di Parigi intitolate Some Thoughts on the Science of Onanism (Riflessioni sulla scienza dell'onanismo) si concludono con la riflessione "Se ti devi giocare la vita sessualmente, non giocare una mano da solo troppo a lungo". Questo lavoro non fu pubblicato fino al 1943 ed anche allora solo in un’edizione limitata di cinquanta copie.
Ultimi anni, l'amicizia con Henry H. Rogers
La stella di Twain cominciò a declinare, e alla fine della sua vita Twain fu un uomo veramente depresso ma ancora con l'intelletto vivo. Twain fu capace di rispondere "le notizie sulla mia morte sono un'esagerazione" sul New York Journal il 2 giugno 1897. Contribuirono al suo stato le morti di tre dei suoi quattro figli e della sua amata moglie Olivia, avvenute prima della sua morte nel 1910.
Ebbe inoltre sfortuna negli affari. La sua casa editrice andò in bancarotta e lui perse decine di migliaia di dollari in una macchina per la composizione tipografica mai completata. È da dire anche che perse molto dei suoi diritti d'autore per opere plagiate prima che avesse la possibilità di pubblicarle.
Twain collaborò con l'ex presidente degli Stati Uniti Ulysses S. Grant a scrivere la propria autobiografia, vestendosi da soldato Nordista e mettendo insieme un gruppo di uomini vestiti in divisa da Sudisti e Nordisti, andarono porta a porta vendendo la biografia del Presidente per garantire un futuro alla vedova e alle sua famiglia.
Nel 1893 venne presentato al famoso industriale Henry H. Rogers, uno dei maggiori azionisti della Standard Oil. Rogers riorganizzò le finanze disastrate di Twain ed i due divennero stretti amici per il resto della loro vita. La famiglia di Rogers divenne il surrogato di famiglia per Twain e fu un abituale frequentatore della loro casa nella città di New York e nella casa estiva di Fairhaven nel Massachusetts. Essi furono compagni di bevute e nelle partite di poker.
Nel 1907 viaggiarono assieme sullo yacht Kanawha alla volta della Jamestown Exposition, a Sewell's Point nei pressi di Norfolk nello stato di Virginia, tenuta per celebrare il 300° anniversario della fondazione della colonia di Jamestown. Twain era già gravemente ammalato e nell'aprile del 1909 tornò con Rogers a Norfolk dove fu ospite ed oratore alla sera dedicata alle celebrazioni per il completamento della Virginian Railway (Ferrovia della Virginia) la meraviglia dell'ingegneria dei tempi Dalle montagne al mare. La costruzione della nuova ferrovia era stata completamente finanziata dallo stesso Rogers.
Rogers morì improvvisamente a New York meno di due mesi dopo. Twain in treno dal Connecticut per visitare Rogers ebbe la notizia alla Grand Central Station la stessa mattina da sua figlia. La reazione dolorosa è stata largamente descritta. Egli fu uno dei portatori del drappo funebre ai funerali di Rogers alla fine della settimana. Quando declinò l'invito ad accompagnare la salma nel viaggio in treno da New York a Fairhaven per la sepoltura, disse che non avrebbe potuto fare un così lungo viaggio che conosceva bene e nel quale avrebbe dovuto partecipare alla conversazione.
Mentre Twain apertamente ringraziava Rogers di averlo salvato dalla rovina finanziaria, c'è la prova dalla loro corrispondenza pubblicata che la loro stretta amicizia negli ultimi anni fu benefica per entrambi, apparentemente ammorbidendo il duro industriale che si guadagnò il soprannome Hell Hound Rogers (Rogers mastino infernale) al tempo della crescita della Standard Oil. Durante gli anni della loro amicizia aiutò finanziandola l'educazione di Helen Keller e dette contributi sostanziali al Dr. Booker T. Washington. Dopo la morte di Rogers venne alla luce che aveva finanziato la fondazione di molte piccole scuole rurali e istituzioni di educazione superiori nel Sud degli Stati Uniti per il miglioramento della condizione sociale ed educazione dei neri.
Twain stesso morì meno di un anno dopo. Egli scrisse nel 1909 "Sono arrivato con la cometa di Halley nel 1835. Torna l'anno prossimo e penso di andarmene con lei". E così fece.
Musei ed attrazioni
La casa di Twain a Hartford è un museo a lui dedicato e National Historic Landmark (Luogo di interesse storico nazionale). Twain visse l'ultima parte del XIX secolo a Elmira nello stato di New York dove conobbe sua moglie e aveva molti ricordi. Lui e molti membri della sua famiglia sono sepolti in una collina boscosa nel Woodlawn National Cemetery. Un piccolo studio ottagonale regalatogli ai tempi in cui viveva alla fattoria Quarry vicino a Elmira e nel quale scrisse parti di molti lavori è adesso nel college di Elmira.
Nella piccola città di Hannibal sono molte attrazioni che includono la casa della fanciullezza di Twain e le cave che in seguito esplorerà Tom Sawyer nelle sue avventure.
Nel parco di Disneyland un battello a vapore è stato battezzato Mark Twain.
In occasione del centenario della morte l'Osservatore Romano per mano di G.Fiorentino gli dedica il seguente ricordo: Il retrogusto acido del «Signor due».
• 1946 - John Maynard Keynes, primo Barone Keynes di Tilton (/ˈkeɪnz/; Cambridge, 5 giugno 1883 – Tilton, 21 aprile 1946), è stato un economista britannico.
I suoi contributi alla teoria economica hanno dato origine a quella che è stata definita "rivoluzione keynesiana". In contrasto con la teoria economica neoclassica, ha sostenuto la necessità dell'intervento pubblico nell'economia con misure di politica fiscale e monetaria, qualora un’insufficiente domanda aggregata non riesca a garantire la piena occupazione.
Le sue idee sono state sviluppate e formalizzate nel dopoguerra dagli economisti della scuola keynesiana. È inoltre considerato il padre della moderna macroeconomia.
La Teoria generale
La sua opera principale è la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta (The general theory of employment, interest and money, 1936), un volume che ha un notevole impatto sulla scienza economica, e costituisce il primo nucleo della moderna macroeconomia.
In esso Keynes pone le basi per la teoria basata sul concetto di domanda aggregata, spiegando le variazioni del livello complessivo delle attività economiche così come osservate durante la Grande depressione.
Il reddito nazionale sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti; in uno stato di sotto-occupazione e capacità produttiva inutilizzata, sarebbe dunque possibile incrementare l'occupazione e il reddito soltanto passando tramite un aumento della spesa per consumi o con investimenti. L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe inoltre determinato dal reddito nazionale.
Nella Teoria generale, Keynes afferma che sono giustificabili le politiche destinate a stimolare la domanda in periodi di disoccupazione, ad esempio tramite un incremento della spesa pubblica.
Poiché Keynes non ha piena fiducia nella capacità del mercato lasciato a se stesso di esprimere una domanda di piena occupazione, ritiene necessario che in talune circostanze sia lo Stato a stimolare la domanda. Queste argomentazioni trovano conferma nei risultati della politica del New Deal, varata negli stessi anni dal presidente Roosevelt negli Stati Uniti. La teoria macroeconomica con alcuni perfezionamenti negli anni successivi giunge ad una serie di risultati di rilievo nelle politiche economiche attuali.
Gli anni quaranta e la Seconda guerra mondiale
Nel 1942 Keynes, ormai celebre, ottiene il titolo di baronetto, diventando il primo Barone Keynes di Tilton.
Durante la Seconda guerra mondiale, Keynes sostiene con Come pagare per la guerra (How to pay for the war), che lo sforzo bellico dovrebbe essere finanziato con un maggiore livello di imposizione fiscale, piuttosto che con un bilancio negativo, per evitare spinte inflazioniste.
Con l'approssimarsi della vittoria alleata, Keynes è nel 1944 alla guida della delegazione inglese a Bretton Woods, negoziando l'accordo finanziario tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, nonché a capo della commissione per l'istituzione della Banca Mondiale.
Non riesce tuttavia a raggiungere i suoi obiettivi. Keynes sa che il sistema di cambi fissi stabilito dagli accordi può essere mantenuto nel tempo, in presenza di economie molto diverse quanto a tassi di crescita, inflazione e saldi finanziari, solo a patto di costringere gli Stati Uniti, destinati ad avere una bilancia commerciale e finanziaria positiva, a finanziare i paesi con saldi finanziari negativi. Ma incontra l'opposizione americana verso la predisposizione di fondi, che Keynes avrebbe voluto essere assai ingenti, destinati a tale scopo.
I fondi vengono predisposti ma sono, per volere americano e grazie all'azione del negoziatore statunitense Harry Dexter White, di dimensioni contenute. Risulteranno insufficienti a finanziare i saldi finanziari negativi dei paesi più deboli e a fronteggiare la speculazione sui cambi, che nel corso del tempo, e in particolare dopo che la crisi petrolifera degli anni settanta avrà riempito di dollari le casse dei paesi produttori di petrolio, diventa sempre più aggressiva.
Il sistema di Bretton Woods resisterà fino alla prima metà degli anni settanta, quando le pressioni sulle diverse monete causeranno la fine dei cambi fissi ed il passaggio ad un regime di cambi flessibili, ad opera del presidente americano Richard Nixon.
Tra le altre opere di Keynes, meritano di essere ricordate le raccolte Essays in biography e Essays in persuasion; nella prima, Keynes presenta ritratti di economisti e notabili; la seconda raccoglie alcune delle argomentazioni di Keynes volte a influenzare l'establishment politico ed economico negli anni della Grande depressione.
• 1998 - Jean-François Lyotard (Versailles, 10 agosto 1924 – Parigi, 21 aprile 1998) è stato un filosofo francese, generalmente associato al post-strutturalismo e conosciuto soprattutto per la sua teoria della postmodernità. Fu assistente alla Sorbona, professore all'università di Paris-Vincennes e insegnò anche in alcuni atenei statunitensi.
Una prima formulazione della prospettiva filosofica di Lyotard viene elaborata nel 1971 in Discorso, Figura, dove la fenomenologia di Merleau-Ponty incontra la psicoanalisi freudiana. Nel 1979 viene pubblicato il libro La condition postmoderne tradotto in Italia da Carlo Formenti ed edito da Feltrinelli nel 1981 col titolo La condizione postmoderna. Il volume tratta di metanarratività e pragmatica del sapere narrativo e scientifico caratterizzando la fine della modernità come critica della grandi narrazioni sul mondo e sulla realtà.
Sulla linea di Roland Barthes, Jacques Derrida, Gerhard Anna Concic-Kaucic e della critica dell'Autore, Lyotard ha scritto una "favola postmoderna", vera critica del soggetto. Lyotard è sepolto al cimitero del Père Lachaise a Parigi.
Opere principali
• A partire da Marx e Freud: decostruzione e economia dell'opera (Derive a partir de Marx et Freud, 1973).
• Economia libidinale (Économie libidinale, 1974).
• Rudimenti pagani: genere dissertativo (Rudiments paiens: genre dissertatif, 1977).
• La condizione postmoderna (La Condition postmoderne: Rapport sur le savoir, 1979).
• Il dissidio (Le Différend, 1983).
• Nina Simone, nome d'arte di Eunice Kathleen Waymon (Tryon, 21 febbraio 1933 – Carry-le-Rouet, 21 aprile 2003), è stata una cantante, pianista, scrittrice e attivista per i diritti civili statunitense. È stata soprattutto un'interprete jazz, anche se il suo stile variava fra diversi generi, dal soul, al R&B, al folk e al gospel.
Nativa della Carolina del Nord, sesta di otto fratelli, fin da bambina rivela un grande talento che la porta a suonare e cantare in chiesa con le due sorelle, con il nome di "Waymon Sisters". Ma il pregiudizio razziale del profondo sud negli anni quaranta la condizionerà per molto tempo.
Prende lezioni di piano, pagate dalla comunità di colore locale che promuove una fondazione per consentirle di proseguire gli studi musicali a New York. Nei primi anni cinquanta lavora come pianista-cantante in vari club, ispirandosi a Billie Holiday; si orienta verso il jazz, cambia il suo nome in Nina Simone (in onore di Simone Signoret, di cui era ammiratrice) ed esegue I Loves You, Porgy, cover di un brano di George Gershwin (da Porgy and Bess).
Il suo album di debutto, datato 1958, comprendeva I Loves You, Porgy e My Baby Just Cares for Me. Lavora per parecchie case discografiche mentre, a partire dal 1963, inizia a lavorare stabilmente con la Philips. È in questo periodo che registra alcune delle sue canzoni più incisive, come Old Jim Crow e Mississippi Goddam, che sono divenute inni per i diritti civili. Era amica ed alleata di Malcolm X e di Martin Luther King.
Nina Simone lascia gli Stati Uniti verso la fine degli anni sessanta, accusando sia l'FBI che la CIA di scarso interesse nel risolvere il problema del razzismo. Negli anni successivi girò il mondo, vivendo a Barbados, in Liberia, in Egitto, in Turchia, in Olanda ed in Svizzera. In seguito al polemico abbandono degli USA i suoi album vengono pubblicati solo di rado. Nel 1974 la Simone abbandona per qualche anno la discografia lasciando poche notizie di sé. Ritorna nel 1978 con un album che prende il titolo da un brano di Randy Newman. Si eclissa di nuovo fino agli anni ottanta.
Dopo che Chanel ha usato, negli anni ottanta, la sua My Baby Just Cares For Me per una pubblicità televisiva, molti hanno riscoperto la sua musica e Simone è diventata un'icona del jazz. Nel 1987, My Baby Just Cares For Me (brano di quasi trent'anni prima) entra prepotentemente nelle classifiche inglesi. Si moltiplicano antologie e ristampe dei suoi dischi. Dopo i successi ottenuti negli anni ottanta, torna con uno nuovo album, Nina's Back, del 1989, seguito da Live & Kickin, live registrato qualche anno prima a San Francisco.
La cantante si è sposata due volte, ha avuto una figlia nel 1964 e ha vissuto una vita difficile e travagliata. Ha avuto rapporti difficili con uomini potenti e violenti, ed è risaputo che il marito manager la picchiasse. Ha avuto una relazione con Earl Barrowl, Primo Ministro delle Barbados. Nel 1980, un suo amante C.C. Dennis, importante politico locale, è stato ucciso da un criminale.
Nina Simone morì il 21 aprile 2003 nella sua casa a Carry-le-Rouet dopo una lunga lotta contro la malattia, per le complicanze dovute a un tumore al seno.