Il calendario del 21 Agosto

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1680 - Gli Indiani Pueblo strappano Santa Fe alla Spagna, durante la Rivolta Pueblo.

▪ 1772 - Il colpo di stato di re Gustavo III viene completato con l'adozione di una nuova Costituzione, ponendo fine a mezzo secolo di governo democratico in Svezia e creando un dispotismo illuminato.

▪ 1831 - Nat Turner guida la rivolta degli schiavi a Southampton County (Virginia).

▪ 1852 - Gli Indiani Tlingit distruggono Fort Selkirk, nel Territorio dello Yukon.

▪ 1858 - Inizia il dibattito Lincoln-Douglas.

▪ 1940 – Il giorno 20 agosto, a Coyoacán (un sobborgo di Città del Messico), Lev Trotsky, mentre era a casa sua, venne aggredito alle spalle da Ramón Mercader, rivelatosi un agente stalinista, che gli sfondò il cranio usando una piccozza. Morì il giorno seguente: 21 agosto.

▪ 1944 - Conferenza di Dumbarton Oaks, preludio alle Nazioni Unite.

▪ 1959 - Le Hawaii vengono ammesse come 50° stato degli Stati Uniti d'America

▪ 1986 - Gas tossici eruttati dal vulcanico lago Nyos nel Camerun, uccidono oltre 1.700 persone

▪ 1991

  1. - La Lettonia dichiara l'indipendenza dall'Unione Sovietica
  2. - Termina il tentato colpo di stato contro Mikhail Gorbachev.

▪ 2001
  1. - La Croce Rossa annuncia che una carestia sta colpendo il Tagikistan, e chiede supporto economico internazionale per Tagikistan e Uzbekistan.
  2. - La NATO decide di inviare una forza di pace in Macedonia.

▪ 2005 - A Colonia in Germania, si tiene la Giornata mondiale della gioventù, dove si stima che un milione di ragazzi abbiano assistito alla messa conclusiva tenuta da papa Benedetto XVI.

▪ 2006 - La NASA pubblica la prima prova diretta della materia oscura, grazie a Chandra.

Anniversari

▪ 1245 - Alessandro di Hales (Winchcombe, ca 1183 – Parigi, 21 agosto 1245) è stato un francescano, filosofo e teologo inglese.
Nato in Inghilterra nell'attuale Winchcombe, nel Gloucestershire, ricevette una prima formazione nel monastero di Hales e compì poi gli studi a Parigi, dove insegnò per molti anni. Entrò nell'ordine francescano nel 1236, così da essere il primo dei filosofi e teologi appartenenti a quest'Ordine, acquistando un prestigio tale che san Bonaventura ammetterà di essersi generalmente basato sulla sua autorità.
L'opera a lui attribuita, la Summa universae theologiae o Summa fratris Alexandri Halensis è in realtà un testo che raccoglie, oltre ai suoi contributi, anche quelli di suoi allievi, Jean de La Rochelle, Oddone di Rigaud e Guglielmo Melitone, venendo così a costituire il resoconto del pensiero teologico francescano della metà del XIII secolo, impegnato a contrastare l'aristotelismo platonizzante di Avicenna e il platonismo di Avicebron.

* 1629 - Camillo Procaccini (Parma, 1561 – Milano, 21 agosto 1629) è stato un pittore italiano.
Nato a Parma nel 1561 - come documenta l'atto di battesimo rinvenuto in occasione della mostra ticinese su "Camillo Procaccini. Le sperimentazioni giovanili tra Emilia, Lombardia e Canton Ticino "(2007) - figlio del pittore Ercole Procaccini e fratello maggiore di Giulio Cesare e Carlo Antonio, entrambi pittori.
Camillo Procaccini apparteneva ad una geniale ed illustre stirpe di pittori; dalla natia Emilia si era trasferito a Milano alla fine degli anni ottanta del Cinquecento al seguito del conte Pirro Visconti Borromeo, colto ed estroso personaggio che gli affidò ben presto l'incarico della decorazione del celebre Ninfeo nella Villa Borromeo Visconti di Lainate. Questo palazzo attualmente, dopo lavori di restauro è ora aperta al pubblico, con il suo parco in cui sono stati restaurati i mosaici di ciottoli, i giochi d'acqua, gli affreschi.
Procaccini fu un artista di incisiva e rilevante importanza per Milano, la Lombardia e, in particolare, per l'Insubria e, ovviamente, per il Ticino che dell'area insubrica è componente essenziale e imprescindibile. Le sue capacità, al di sopra della norma, gli valsero il soprannome di "Vasari della Lombardia".
Egli, anche per il suo originale eclettismo che interiorizzava e rielaborava le precedenti quanto intense esperienze emiliane e romane, fu, quindi, nell'esplosione e nella propagazione del Barocco lombardo una guida sicura per tanti giovani pittori, tanto che la sua bottega rappresentò davvero un laboratorio esemplare al quale, tra gli altri, attinse sapere ed affinamento l'intelligente creatività di artisti del calibro di Giovan Battista Discepoli.
I suoi sforzi per riformare lo stile della pittura religiosa si basano su una esposizione chiara e logica dei principi cattolici dettati dagli artisti della controriforma.

Opere principali
La bravura del Procaccini emerse subito, e tra le sue primissime opere, troviamo già lavori impegnativi come l'affrescatura della chiesa di San Prospero a Reggio Emilia, del 1587.
Altri lavori degni di nota, sono l'affrescatura della navata e dell'abside del Duomo di Piacenza, in collaborazione con Ludovico Carracci lavoro completato tra il 1605 e il 1609, e gli affreschi della volta e del coro della chiesa dei Santi Paolo e Barnaba a Milano del 1625.
A Milano in Sant'Alessandro in Zebedia lascia una natività dipinta su commissione di Federico Borromeo, posta nella cappella cornu Epistolae che è ritenuta se non la migliore sua opera almeno una delle migliori, oltre ad una Madonna Assunta e ad una Crocefissione.
Al Sacro Monte d'Orta è conservata una splendida natività: un tempo dipinta per adornare le pareti della prima cappella del complesso monumentale è stata di recente trasferita nella chiesa dei Santi Nicolao e Francesco al Monte, per preservarne l'integrità. Tra le altre opere dell'artista nel comune di Orta, vi è un suo quadro rappresentante San Carlo Borromeo durante la peste, attualmente conservato nella chiesa parrocchiale.
Per la chiesa di Santa Maria di Canepanova a Pavia eseguì numerose tele, tutt'oggi in situ, insieme al fratello Giulio Cesare Procaccini.
Da segnalare anche un ciclo di tele oggi a Torre Garofoli, dipinto per la chiesa di San Francesco a Tortona su commissione di Giustina Garofoli, vedova di Prospero Visconti.
Nella chiesa di Santa Maria in Calchera a Brescia, primo altare a destra, è conservata una pala raffigurante San Carlo Borromeo, a lui attribuita.
Nella Chiesa di Santa Croce a Riva San Vitale è autore nella Cappella maggiore della pala d'altare con Sant'Elena che adora la croce e, sulle pareti laterali, degli oli su tela con il Sogno di Costantino a sinistra e l'Invenzione della croce, a destra; sulla volta a botte stuccata: quattro riquadri affrescati con Episodi della Passione di Cristo e scena centrale della Resurrezione. A Biasca la chiesa di San Pietro nella Cappella Pellanda conserva suoi grandi oli su tela di raffiguranti San Domenico di Guzmán al cospetto della Madonna, la Madonna del Rosario e la Messa di San Carlo Borromeo.

▪ 1940 - Lev (Lejba) Davidovič Bronštejn "Trockij", traslitterato anche come Trotsky (Janovka, 7 novembre 1879 – Coyoacán, 21 agosto 1940) è stato un politico e rivoluzionario russo.
Fu un influente politico nella neonata Unione Sovietica, dapprima come commissario del popolo per gli affari esteri e in seguito come fondatore e comandante dell'Armata Rossa e commissario del popolo per la guerra, e membro fondatore del Politburo. Fu presidente del Soviet di Pietroburgo durante le rivoluzioni del 1905 e del 1917. Fu anche scrittore di notevoli capacità, soprannominato Penna dai compagni di partito. A seguito della lotta contro Stalin negli anni venti, fu espulso dal partito e deportato: venne assassinato in Messico da un agente sovietico. Le idee di Trotsky formano la base della corrente comunista del trotskismo.
«Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi... Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore.» (Tratto dal testamento di Trotsky, scritto poco prima di essere ucciso)

Prima della Rivoluzione del 1917
Nacque in una agiata famiglia di contadini ebrei a Janovka, nella provincia di Kherson (Ucraina). La sua data di nascita è il 7 novembre – lo stesso giorno della Rivoluzione d'ottobre del 1917 (il calendario giuliano venne abolito in Russia nel 1918).
Si avvicinò agli ambienti ed alle idee rivoluzionarie già durante i suoi studi all'università di Odessa. Venne arrestato per la prima volta nel 1898 mentre lavorava come organizzatore per l'Unione Operaia della Russia Meridionale. Nel 1900 venne condannato a quattro anni di esilio in Siberia. Nel 1902 riuscì a fuggire dalla Siberia, prendendo il nome di Trotsky da un ex-carceriere di Odessa, e raggiunse Londra per unirsi a Vladimir Lenin, all'epoca redattore capo del giornale Iskra (Scintilla), organo del Partito Social Democratico Russo dei Lavoratori (PSDRL, denominazione esatta Partito Operaio Socialista Democratico Russo, sigla esatta dal russo POSDR).
Partecipò al secondo congresso del POSDR nell'estate del 1903, e nella disputa interna che divise il partito, si mise con i Menscevichi contro Lenin. Anche se la sua lealtà ai Menscevichi ebbe vita breve, il danno alle sue relazioni con Lenin sarebbe durato per i quattordici anni successivi.
Nel 1905 tornò in Russia. Il suo coinvolgimento nello sciopero generale di ottobre, con la presidenza del Soviet di San Pietroburgo e il suo appoggio alla rivolta armata, lo portarono all'arresto e a una sentenza di esilio a vita. Nel gennaio del 1907 fuggì sulla strada per l'esilio e ancora una volta trovò la via di Londra, dove partecipò al quinto congresso del partito. In ottobre si spostò a Vienna.
Nel 1912 era stato inviato dal diffuso quotidiano radical-democratico Kievskaja Mysl' nei Balcani, dove fu testimone della guerra del 1912-1913, tragico prologo della Prima guerra mondiale. In quel periodo fu corrispondente di guerra per diversi giornali.
Le sue corrispondenze furono successivamente raccolte nel volume Le guerre balcaniche 1912-1913 (1926).
«D'un tratto la guerra ci rivela che procediamo ancora a quattro zampe e che non siamo ancora usciti dal grembo dell'era barbarica della nostra storia.»
Con l'avvicinarsi della guerra si spostò nella neutrale Svizzera, e quindi in Francia. Fu espulso dalla Francia e viveva a New York quando la Rivoluzione di febbraio rimosse lo Zar. Fece ritorno in Russia nel maggio 1917 dove infine si unì ai Bolscevichi e divenne attivamente coinvolto nei loro sforzi per rovesciare il governo provvisorio guidato da Aleksandr Kerensky, ed anzi ne fu tra i massimi dirigenti.

Dopo la Rivoluzione Russa
Dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi divenne Commissario del popolo per gli Affari Esteri, con lo scopo principale di negoziare la pace con la Germania e i suoi alleati; nella speranza che i soldati tedeschi si ribellassero ai loro ufficiali si ritirò dai colloqui (10 febbraio 1918). Tale speranza fu però delusa e i tedeschi invasero il territorio russo (18 febbraio), costringendo l'Unione Sovietica a firmare l'altamente penalizzante Trattato di Brest-Litovsk il 3 marzo. Trotsky successivamente rassegnò la sua posizione diplomatica e divenne Commissario del Popolo alla Guerra. Come fondatore e comandante dell'Armata Rossa, fu ampiamente artefice del successo contro l'Armata Bianca e della vittoria nella Guerra Civile Russa.

Stalin al potere
Con la malattia e la morte di Lenin, Stalin e il gruppo attorno a lui (che inizialmente, nel periodo della cosiddetta trojka, includeva anche le frazioni di Lev Kamenev e Grigorij Zinov'ev) furono in grado di consolidare il proprio controllo sul Partito e sullo Stato. Il 1924 è l'anno della "lotta contro il trotskismo", un feroce scontro formalmente ideologico in cui, senza risparmio di colpi bassi (con accuse reciproche molto dure sul ruolo avuto dai vari dirigenti nell'Ottobre, negli anni precedenti e negli anni successivi), viene portata avanti l'emarginazione dell'ala trotskista (che inizia a farsi chiamare "Opposizione di sinistra"), fino all'ottenimento delle dimissioni di Trotsky dal posto di Commissario del Popolo alla Guerra e agli Affari della Marina (gennaio 1925).
Trotsky aveva infatti approfondito la sua teoria della Rivoluzione Permanente (che aveva peraltro già preso le mosse subito dopo la fallita rivoluzione del 1905), che si poneva in netto contrasto con la politica stalinista di costruire il "socialismo in un solo paese". I punti decisivi della polemica dell'Opposizione in quegli anni sono la critica al regime autoritario vigente nel Partito, la critica allo sviluppo di deformazioni burocratiche nell'apparato statale sovietico, l'opposizione allo sviluppo di una nuova borghesia in seguito al prolungamento eccessivo delle misure di mercato (NEP); sul piano delle rivendicazioni, il gruppo di Trotsky chiede una politica di forte industrializzazione, un piano di collettivizzazione volontaria nelle campagne (da realizzarsi in tempi lunghi) e, soprattutto, la promozione su scala mondiale di nuove rivoluzioni proletarie (Cina, Germania), viste come unica soluzione ai pericoli di involuzione del regime interno dell'URSS. Trotsky scrive il libro La Rivoluzione Tradita, nel quale denuncia i crimini della burocrazia staliniana.
Dopo la brusca rottura della trojka e la costituzione di un nuovo blocco Stalin-Bucharin che allontana da ogni posizione di potere le frazioni Kamenev e Zinov'ev (forti soprattutto a Leningrado), queste ultime formano nel 1926, insieme ad altri gruppi minori, un'alleanza con il gruppo di Trotsky che sarà conosciuta come Opposizione Unificata.
Si apre una fase di scontri sempre più violenti tra il gruppo al potere e i gruppi oppositori, che contavano su decine se non centinaia di migliaia di sostenitori nel Partito e nel sindacato.
Nell'autunno 1927 l'Opposizione decide di organizzare in forma autonoma la celebrazione del decimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre; è da parte di Trotsky e dei suoi alleati un tentativo di una prova di forza nei confronti del regime staliniano in formazione. In piazza nelle principali città del Paese (e specialmente a Mosca e Leningrado) scendono migliaia di persone sotto le bandiere dell'Opposizione Unificata, che si scontrano con sostenitori di Stalin e con le milizie statali: le dimostrazioni degli oppositori sono disperse con la forza. Pochi giorni dopo, il 12 novembre, Trotsky e Zinov'ev sono espulsi dal partito Comunista Sovietico, lasciando Stalin alla guida indiscussa dell'Unione Sovietica (Kamenev sarà espulso poche settimane dopo e in seguitò sarà liquidato anche l'alleato Bucharin).

L'esilio (1929-1940)
Piegata l'Opposizione e iniziata la persecuzione sistematica dei suoi militanti, Trotsky venne esiliato ad Alma Ata (oggi nel Kazakhistan) il 17 gennaio 1929[3]. Fu poi espulso e si spostò dalla Turchia alla Francia e alla Norvegia, stabilendosi finalmente in Messico su invito del pittore Diego Rivera: visse ad un certo punto nella casa di Rivera, e in un altro momento in quella della moglie del pittore, l'artista Frida Kahlo, con cui ebbe una breve relazione.
Nel 1938, Trotsky fondò un'organizzazione marxista internazionale, denominata Quarta Internazionale, la quale intendeva essere un'alternativa alla Terza Internazionale stalinista.
Ebbe una discussione con Rivera e nel 1939 si spostò in una residenza sua. Il 24 maggio 1940, Trotsky sopravvisse a un raid nella sua casa da parte di assassini stalinisti capitanati dal pittore Siqueiros.
Mentre era a casa sua, a Coyoacán (un sobborgo di Città del Messico), il 20 agosto 1940, venne aggredito alle spalle da Ramón Mercader, rivelatosi un agente stalinista, che gli sfondò il cranio usando una piccozza. Trotsky morì il giorno seguente.
Mercader in seguito testimoniò al suo processo:
«Lasciai il mio impermeabile sul tavolo, in modo tale che fossi in grado di rimuovere la piccozza che si trovava nella tasca. Decisi di non mancare la meravigliosa opportunità che si presentava. Il momento in cui Trotsky iniziò a leggere l'articolo mi diede la chance, estrassi la piccozza dall'impermeabile, la strinsi in pugno e, con gli occhi chiusi, sferrai un colpo terrificante alla sua testa.»
La casa di Trotsky a Coyoacán è stata preservata più o meno nelle stesse condizioni in cui si trovava il giorno del suo assassinio ed è oggi un museo. La tomba di Trotsky si trova nel terreno attorno alla casa.

▪ 1944
Giuseppe Lattanzi, partigiano italiano (n. 1926)
Maria Assunta Lorenzoni, partigiana italiana (n. 1918)

▪ 1964 - Palmiro Michele Nicola Togliatti (Genova, 26 marzo 1893 – Jalta, 21 agosto 1964) è stato un politico italiano.
Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d'Italia e, dal 1927 fino alla morte, segretario e capo indiscusso del Partito Comunista Italiano, del quale era stato il rappresentante all'interno del Comintern, l'organizzazione internazionale dei partiti comunisti. Anche di questo organismo Togliatti fu uno degli esponenti più rappresentativi e, dopo che esso fu sciolto nel 1943 e sostituito dal Cominform nel 1947, rifiutò la carica di segretario generale, offertagli direttamente da Stalin, preferendo restare alla testa del partito in Italia.
Dal 1944 al 1945 ricoprì la carica di vice Presidente del Consiglio e dal 1945 al 1946 quella di Ministro di Grazia e Giustizia nei governi che ressero l'Italia dopo la caduta del fascismo. Membro dell'Assemblea Costituente, dopo le elezioni politiche del 1948 mantenne il partito all'opposizione dei vari governi che si succedettero sotto la guida della Democrazia Cristiana.

Le origini familiari e gli studi
Il padre di Palmiro Togliatti, Antonio, nacque nel 1852 a Coassolo, in provincia di Torino. La famiglia avrebbe voluto destinarlo alla carriera ecclesiastica ma Antonio, dopo il seminario a Giaveno, non volle prendere i voti e si trasferì a Torino, si diplomò maestro e dopo un periodo d’insegnamento s’impiegò dapprima come istitutore e poi come contabile nell’amministrazione dei Convitti nazionali del Regno, sposando una maestra elementare torinese, Teresa Viale, che divenne «la figura centrale della famiglia».[1]
Il lavoro del padre costrinse i Togliatti a frequenti spostamenti in diverse città. La madre dovette lasciare l'insegnamento per occuparsi esclusivamente della famiglia che intanto andava crescendo: il primogenito Eugenio nacque a Orbassano nel 1890, Maria Cristina e Palmiro a Genova, nella casa di via Albergo dei Poveri 9, rispettivamente nel 1892 e nel 1893, mentre l’ultimo figlio Enrico nacque a Torino nel 1900. I genitori erano religiosi senza essere bigotti: «Per abitudine si andava a messa tutte le domeniche, ma non sentii mai il problema religioso con troppa intensità».[2]
Nel 1897, a Novara, dove intanto la famiglia si era trasferita, Palmiro frequentò insieme con la sorella[3] la prima elementare, ma proseguì gli studi a Torino; poi, dal 1902 fu a Sondrio, dove conseguì la licenza ginnasiale, e dal 1908 frequentò il Liceo classico «Azuni» di Sassari, dove risultò con la sorella il migliore dell'Istituto, ottenendo così entrambi la «licenza d'onore», che li esonerava dall'obbligo di sostenere l'esame finale di maturità.[4]
Il padre Antonio, malato di cancro, si era intanto dovuto ricoverare in ospedale a Torino, morendovi il 21 gennaio 1911: la famiglia, già di condizioni modeste, cade in serie ristrettezze economiche. Trasferita la famiglia nell'estate del 1911 nella casa torinese di Lungodora Firenze 55, la madre Teresa si diede a lavorare di cucito mentre Eugenio, studente dell’ultimo anno di matematica, dava lezioni private, unitamente a Palmiro e Maria Cristina, che pure studiavano per superare il concorso con il quale il Collegio Carlo Alberto metteva a disposizione 65 borse di studio di 70 lire mensili per frequentare l'Università di Torino. Nell'ottobre 1911 entrambi superarono gli esami: Palmiro si classificò secondo e Maria Cristina undicesima: al nono posto figurò un giovane venuto dalla Sardegna, Antonio Gramsci, futuro compagno di Togliatti nelle lotte politiche. Gramsci si iscrisse, come Maria Cristina, alla Facoltà di Lettere, mentre Palmiro, che avrebbe voluto seguire i corsi di Filosofia, per decisione dei famigliari dovette iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza.
Non è chiaro il preciso percorso intellettuale del giovane Togliatti: nel clima culturale di quegli anni stavano ormai prevalendo sul vecchio positivismo le correnti neo-idealistiche che andavano dal magistero di Benedetto Croce fino alle espressioni più esasperate di nazionalismo e di spiritualismo. Se a queste ultime Togliatti dichiarerà sempre di essere rimasto estraneo, è certo che il Croce soprattutto, e poi La Voce di Prezzolini, il Salvemini e il Rolland ebbero non poca parte sulla sua formazione giovanile, mentre il primo accostamento al marxismo sarebbe avvenuto soprattutto tramite gli scritti del Labriola. Ma due furono gli elementi decisivi che portarono Togliatti al socialismo marxista: l'amicizia di Gramsci e la concreta realtà sociale torinese, che vedeva allora lo sviluppo di un forte e organizzato movimento operaio.[5]
Togliatti si iscrisse al Partito socialista nel 1914, anche se non frequentò la vita di partito per diversi anni, e allo scoppio della Prima guerra mondiale si dichiarò favorevole all'intervento dell'Italia a fianco dell'Intesa,[6] secondo una considerazione politica, presente anche se minoritaria fra gli stessi socialisti, che portava a distinguere «fra la guerra imperialista e le giuste rivendicazioni nazionali contro i vecchi imperialismi. Non ritenevano giusto che alcune province italiane rimanessero sotto il dominio di uno Stato straniero, per di più reazionario».[7]
Dopo un brillante percorso di studi concluso con la media del 30, Togliatti si laureò nel novembre 1915 con la tesi Il regime doganale delle colonie, discussa con Luigi Einaudi. Seguendo la sua primitiva inclinazione, s'iscrisse anche alla facoltà di Lettere e Filosofia, ma la guerra prima e l'attività politica poi gli impedirono di conseguire la seconda laurea. Infatti, pur riformato per la forte miopia, nel 1915 si arruolò volontario nella Croce Rossa, prestando servizio in diversi ospedali, anche al fronte. Nel frattempo, le necessità belliche indussero i Comandi militari a rivedere i criteri di arruolamento, così che nel 1916 Togliatti fu dichiarato abile e arruolato nel 54° Reggimento Fanteria per poi passare, su sua richiesta, al 2° Reggimento Alpini. Nel 1917 venne ammesso al corso allievi ufficiali di Caserta che superò senza però ottenere la nomina a ufficiale a causa di una grave pleurite intervenuta nel frattempo: caporal maggiore alla sanità, nel dicembre del 1918, allo scadere di una lunga licenza, fu congedato.[8]

L'inizio dell'attività politica - L'Ordine Nuovo
A Torino, Togliatti insegnò diritto ed economia in un Istituto privato e collaborò come cronista nel quotidiano socialista Avanti!: s'impegnò anche nell'attività politica delle sezioni del Partito e tenne il suo primo comizio a Savigliano. Nel 1919 il Partito socialista era in piena espansione di consensi elettorali, particolarmente nel capoluogo piemontese, dove lo sviluppo industriale aveva creato un forte nucleo operaio. Dopo il successo della Rivoluzione russa i giovani socialisti torinesi, Gramsci in testa, avevano avvertito che, di fronte all'inerzia dei dirigenti socialisti nazionali – parte dei quali ritenevano che la rivoluzione socialista sarebbe avvenuta ineluttabilmente per forza propria, mentre altri consideravano strategica una politica esclusivamente riformista - quello torinese poteva essere un laboratorio politico dove sviluppare le premesse di una rivoluzione italiana, per conseguire la quale occorreva però un'azione diretta allo scopo. Per dare voce a tali esigenze, per comprendere i nuovi, enormi problemi creati dalla guerra e dalle rivoluzioni che si sviluppavano in Europa e per fare i conti con la cultura italiana contemporanea, Gramsci, Tasca, Terracini e Togliatti fondarono il settimanale L'Ordine Nuovo, il cui primo numero uscì il 1º maggio 1919.
Togliatti vi tenne la rubrica culturale «La battaglia delle idee», con articoli spesso polemici: ne fecero le spese il già ammirato Prezzolini, ora giudicato un moralista, un «maestro di scuola, predestinato alla sterilità», lo scrittore Piero Jahier, cui rimproverò il dilettantismo politico e Piero Gobetti, un «predicatore del rinnovamento morale del mondo», un «ragazzo d'ingegno» sì, ma dal «frasario nuvoloso che dovrebbe dare l'illusione della profondità».[9] La recensione al libro Polemica liberale del noto giornalista Missiroli gli diede occasione, dopo aver riconosciuto i meriti storici dei principi liberali, di denunciare i limiti del liberalismo politico italiano, «movimento di un'aristocrazia intellettuale e non riscossa di sane e forti energie sociali», rispetto al quale «il socialismo può diventare il vero liberatore del paese nostro».[10]
Da giugno, sotto l'impulso di Gramsci, il settimanale mutò interessi e contenuti: meno rassegne culturali e più attenzione alle forme di organizzazione che il movimento operaio italiano si stava dando, sulla scorta dell'esperienza russa dei Soviet come di quella tedesca dei Revolutionäre Obleute e degli Arbeiterräte austriaci: la creazione dei Consigli operai. La commissione di fabbrica è giudicata da L'Ordine Nuovo non solo un organo di democrazia operaia ma anche il nucleo di un futuro potere proletario, l'«ordinatrice di fatto e di diritto di tutto il regime di produzione e di scambio».[11]
Le valutazioni positive de L’Ordine Nuovo contrastavano con le posizioni critiche, per diversi motivi svolte al riguardo tanto dai sindacalisti della Camera del Lavoro – che rimproverano di anarchismo quegli operai – quanto da Amadeo Bordiga, che dalla rivista Soviet accusava l’iniziativa di «economicismo»: il proletariato non può emanciparsi sul terreno dei rapporti economici «mentre il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico».[12]
Il movimento dei Consigli continuò a svilupparsi, insieme all’estensione dei conflitti sindacali, delle serrate e delle occupazioni delle fabbriche, e gli ordinovisti, come del resto la FIOM, appoggiarono l'occupazione della FIAT, avvenuta il 1º settembre 1920 a seguito della serrata industriale, che fu imitata da quasi tutte le fabbriche della città, e la gestione della produzione attivata dai Consigli operai in assenza dei tecnici e dei dirigenti della fabbrica. Togliatti, che in luglio aveva assunto la carica di segretario della Sezione socialista torinese, era convinto che la dittatura proletaria fosse attuabile «perché era realizzata la sua fondamentale premessa storica: il prevalere del proletariato industriale e rivoluzionario nella vita del paese, e l’imporsi della sua ideologia di conquista a tutte le categorie di lavoratori».[13]

La fondazione del Partito comunista
L'occupazione ebbe termine il 26 settembre con un compromesso tra la proprietà e gli operai favorito da Giolitti. Di fronte all'inerzia del Partito socialista gli ordinovisti si convinsero che «il destino della rivoluzione socialista dipende soprattutto dalla esistenza di un partito che sia veramente un partito comunista»,[14] e la Sezione torinese decise a grande maggioranza di costituirsi in frazione comunista, partecipando con Gramsci al Convegno di Imola che il 29 novembre sancì ufficialmente la frazione comunista del Partito socialista, che vedeva in Amadeo Bordiga il suo leader più prestigioso. Il 15 gennaio 1921 si aprì a Livorno il XVII Congresso socialista e il giorno 21 la minoranza comunista si costituiva in partito, il Partito comunista d'Italia: degli ordinovisti, erano presenti a Livorno Gramsci e Terracini, mentre Togliatti era rimasto a Torino a dirigere L'Ordine Nuovo, ora divenuto quotidiano.
Da tempo erano iniziate le violenze delle squadre fasciste nell'indifferenza delle forze dell'ordine che privilegiavano la sorveglianza dei comunisti. Il fascismo è giudicato «la parte peggiore della borghesia italiana, quella che non ha mai fatto l'abitudine a una scuola di pensiero, quella che è classe dominante unicamente per una specie di diritto di ereditarietà; ma non possiede alcuna delle qualità che occorrono ai dirigenti di uno Stato».[15]
Saluta l'opposizione alle violenze fasciste di Firenze del marzo 1921 scrivendo che «il proletariato non deve mai dare esempio di viltà [...] meglio, cento volte meglio, lasciare cinquanta morti sul lastrico di una città che tollerare senza reazione la violenza e l'offesa», e di fronte all'incendio della Camera del Lavoro di Torino, avvenuto senza incontrare opposizione, scrive il 4 maggio 1921: «Quando ti pentirai, o popolo, di quello che non hai fatto, di quello che non hai ancora saputo fare, di quello di cui gli avversari tuoi hanno dovuto farti la scuola? ... Ma non rallegratevi, borghesi: nell'animo del popolo d'Italia maturano propositi. E non parole, non canti, ma fuoco e cenere d'incendi, e secco scoppiettare di fucilate li fan maturare».[16]
Mentre Gramsci rimase a Torino a dirigere L'Ordine Nuovo, alla fine dell'estate del 1921 Togliatti venne mandato a Roma, «città dei trafficanti e dei burocrati, città del popolo eroico e generoso e della borghesia vile e parassita»,[17] come redattore-capo del quotidiano «Il Comunista», diretto dal deputato Luigi Repossi, che iniziò le pubblicazioni l'11 ottobre: percepiva 1.500 lire al mese e alloggiava in una pensione di via Giovanni Lanza 152; continuò tuttavia a collaborare anche al quotidiano torinese, telefonando alla sera le proprie corrispondenze. A Roma si stampava anche «Compagna», diretta da Giuseppe Berti: fra le redattrici vi era la torinese Rita Montagnana, sorella di Mario, un altro redattore de L'Ordine Nuovo, e tra Rita e Togliatti nacque qualche tempo dopo una relazione che sfocerà nel matrimonio che fu celebrato nel Municipio di Torino il 27 aprile 1924.
Il III Congresso dell'Internazionale Comunista, nel giugno del 1921, di fronte all'esaurirsi della spinta rivoluzionaria in Europa, aveva stabilito la nuova tattica che i partiti comunisti nazionali avrebbero dovuto seguire: quella di un fronte unico con i partiti socialisti per opporsi alla montante reazione della destra. Tuttavia il Partito comunista d'Italia si oppose a quell'indirizzo e nel suo II Congresso, tenuto a Roma nel marzo del 1922, Bordiga e Terracini, per la maggioranza dei congressisti, ribadirono nelle loro tesi il rifiuto a ogni accordo con i socialisti, sottovalutarono il pericolo fascista e previdero uno sbocco socialdemocratico alla crisi italiana: restava operante solo l'intesa con i socialisti sul piano sindacale.[18] Gramsci e Togliatti, che entrò a far parte del Comitato Centrale, si allinearono con la maggioranza di Bordiga, pur non condividendo l'opposizione alle direttive del Comintern, perché temevano una frattura, se non una scissione nel partito.[19]
Il 5 ottobre, commentando la conclusione del XIX Congresso socialista, Togliatti scrisse su L'Ordine Nuovo che l'espulsione dal PSI dei riformisti di Turati rappresentava un segnale positivo per il riavvicinamento dei due partiti,[20] un concetto ribadito il 12 ottobre, in un discorso tenuto al Comitato centrale del Partito.[21]

L'avvento del fascismo
Il 28 ottobre 1922 una squadra fascista penetrò nella tipografia dove si stampava «Il Comunista»: vi era anche Togliatti, che riuscì a fuggire. Il quotidiano cessò le pubblicazioni il 31 ottobre, con un ultimo appello all'attività illegale. A Torino, ci aveva pensato il 29 ottobre il questore Benedetto Norcia a chiudere provvisoriamente L'Ordine Nuovo, imitato dal collega di Trieste che aveva sospeso le pubblicazioni dell'altro quotidiano comunista «Il Lavoratore».
Minimizzava intanto, come la maggioranza del gruppo dirigente del Partito, il significato politico dell'avvento dei fascisti al governo: «non hanno profondamente modificato la situazione interna italiana [...] il governo fascista, che è la dittatura della borghesia, non avrà interesse di liberarsi di alcuno dei tradizionali pregiudizi democaratici».[22]
Togliatti ritornò a Torino dove, 7 novembre, tenne un comizio in celebrazione dell’anniversario della Rivoluzione russa; nel dicembre successivo Torino fu sconvolta dalla strage del 18 dicembre, quando gli squadristi comandati dal console della Milizia Pietro Brandimarte devastarono la Camera del Lavoro e la sede de L'Ordine Nuovo, uccidendo impunemente 22 persone. Dopo questo avvenimento Togliatti si distaccò dall'attività politica, per motivi non chiariti: per una malattia,[23] per una crisi sentimentale,[24] per paura delle rappresaglie fasciste o forse perché «per Togliatti la politica era arte di governo, non milizia rivoluzionaria. Forse gli si presentò in quella e in altre occasioni il problema se dovesse veramente abbandonare i suoi studi per dedicarsi unicamente alla politica».[25] Non fu nemmeno coinvolto dall'ondata di arresti ordinati nel febbraio del 1923 da Mussolini: oltre ai delegati comunisti di ritorno dal IV Congresso dell'Internazionale, che aveva imposto la fusione dei partiti socialista e comunista, furono arrestati più di 5.000 dirigenti comunisti di vario livello;[26] tra le maggiori personalità, sfuggirono all'arresto, a parte Gramsci, rimasto a Mosca, e Tasca, che si trovava in Svizzera, soltanto Terracini, Camilla Ravera e lo stesso Togliatti.
L'operazione poliziesca coordinata da De Bono era del tutto illegale e infatti tutti saranno prosciolti in istruttoria o assolti alla fine dell'anno nel processo da una magistratura non ancora o non tutta asservita al potere politico, ma raggiunse lo scopo di allontanare dal Partito i militanti meno decisi e di sconvolgere l'organizzazione, costringendola all'illegalità. In aprile Togliatti riprese i contatti con il Partito, entrando a far parte del Comitato esecutivo: assunto lo pseudonimo di Paolo Palmi, si trasferì nella nuova sede clandestina costituita ad Angera, sul Lago Maggiore.
Erano i giorni in cui l'Internazionale, con un atto d'imperio, aveva imposto al Partito italiano la formazione di un nuovo esecutivo costituito da tre esponenti della maggioranza di sinistra, Togliatti, Scoccimarro e Fortichiari,[27] e da due della minoranza di destra, Tasca e Vota, con il compito di portare a effetto la fusione con la frazione del Partito socialista aderente all'Internazionale,[28] guidata da Serrati. Togliatti, ancora legato a Bordiga, il quale era nettamente contrario all'operazione, esitava, dichiarandosi disposto ad accettare la carica a condizione di sviluppare «una polemica aperta con l'Internazionale e con la minoranza del partito» e denunciando a Gramsci quello che riteneva essere il tentativo, da parte della minoranza, di liquidare l'«esperienza del movimento politico proletario che ha portato alla creazione del partito comunista».[29]
Una posizione, questa, giudicata un grave errore da Gramsci, il quale considerava una iattura la contrapposizione del debole Partito italiano con l'Internazionale. L'operazione della fusione non andrà in porto - la frazione socialista favorevole all'unificazione con i comunisti fu radiata dal PSI nell'agosto del 1923 - mentre Gramsci s'impegnava a costituire nel Partito una maggioranza di centro, cercando di attrarre a sé gli elementi dell'attuale maggioranza di sinistra per isolare tanto Bordiga - considerato un dottrinario che condannava il Partito all'immobilismo - che la destra di Tasca - che intendeva, secondo Gramsci, liquidare nel Partito ogni prospettiva rivoluzionaria - in modo da mantenere la fisionomia del Partito nato a Livorno senza rompere con l'Internazionale comunista. Togliatti finì con l'allinearsi alla strategia di Gramsci, pur con quelle esitazioni che sembravano essere una tipica espressione del suo carattere.[30]
In Italia la stampa comunista era bersagliata da sequestri motivati dai prefetti con la sua «attività antinazionale» o per l'«istigazione all'odio di classe»: nell'agosto del 1923 Togliatti fondò il settimanale «Lo Stato operaio» a Milano, dove si trovava quando, il 21 settembre, venne arrestato insieme con Tasca, Vota, Leonetti, Gennari, Mario Montagnana, Teresa Noce e Caterina Piccolato.[31] Denunciati per «complotto contro la sicurezza dello Stato», furono assolti in istruttoria dopo tre mesi di carcere preventivo passati a San Vittore.
Nell'agosto del 1923 Mussolini fece approvare dal Parlamento una nuova legge elettorale, la «legge Acerbo» - che assegnava i due terzi dei seggi alla lista che avesse superato il 25% dei voti. Come scrisse Togliatti, «il fascismo vuole, conquistato il potere, disperdere gli aggregati proletari, impedire una loro unificazione su qualsiasi terreno e provocare invece una unificazione attorno a sé dei gruppi politici borghesi»[32]: il 6 aprile 1924, le elezioni confermarono il blocco borghese intorno al «listone» mussoliniano che raccolse il 66,2% dei voti e 375 seggi. L'«Alleanza per l'unità proletaria», la lista unitaria di comunisti e socialisti «terzini», ottenne il 3,8% e 19 deputati, tra i quali Gramsci che così, apparentemente protetto dall'immunità parlamentare, poté rientrare in Italia: Togliatti non era candidato, mentre Bordiga, benché sollecitato, aveva rifiutato di presentarsi alle elezioni. Il risultato elettorale ottenuto, benché oggettivamente modesto, fu accolto dal Partito con soddisfazione, essendo stato superiore al previsto e vicino a quello ottenuto dagli altri due partiti socialisti.

La Conferenza di Como
Il chiarimento interno al Partito si tenne nella conferenza clandestina convocata nella metà di maggio presso Como, nella quale le tre correnti presentarono ciascuna una propria relazione. Togliatti, per il «centro», criticando la concezione bordighiana del partito come un'organizzazione di quadri rivoluzionari isolata dalle masse,[33] sostenne che quello comunista doveva essere sì «il Partito della dittatura del proletariato, ma la dittatura del proletariato sarà una parola d'ordine solo nel momento in cui saremo riusciti a trascinare dietro di noi, a porre sul terreno della lotta per la conquista del potere le grandi masse della popolazione lavoratrice e non solo l'avanguardia che oggi è raccolta nei nostri Partiti. Per giungere a quel momento bisogna saper costruire tutta una catena storica attraverso i suoi successivi anelli e quindi saper lanciare delle parole d'ordine adattate alla situazione in cui ci troviamo e ai rapporti di forze reali che troviamo dinnanzi a noi».[34] Tuttavia i delegati del convegno si espressero ancora in larga maggioranza a favore della sinistra di Bordiga.
Alla fine del mese Togliatti, Bordiga, Grieco, Tasca e altri quattordici delegati italiani, partirono per Mosca per partecipare al V Congresso dell'Internazionale, il primo tenuto dopo la morte di Lenin, convocato per il 17 giugno 1924. Il tema della relazione svolta da Zinov'ev era incentrato sulla necessità di combattere tanto le «deviazioni» di sinistra quanto soprattutto di destra presenti in diversi Partiti comunisti. Ritenendo che vi fossero prospettive rivoluzionarie a medio termine, era necessario non farsi irretire da alleanze con i partiti socialdemocratici: per l'Italia, attraversata da una grave crisi politica a seguito del delitto Matteotti, il compito del Partito comunista doveva consistere nell'«abbattere il fascismo; scartare dalla scena politica [...] i partiti d'opposizione costituzionale e riformista; riunire dietro di sé le masse operaie e contadine per un'azione di classe mirante alla conquista del potere».[35]
Togliatti, che ha ora assunto lo pseudonimo di «Ercoli», nel suo intervento sulla situazione politica italiana, rilevata l'impossibilità dei partiti di sinistra di condurre da soli la lotta contro il fascismo, sostenne la necessità di isolare i fascisti dai loro «temporanei alleati, facendone per un periodo transitorio [...] degli alleati della classe operaia, e di utilizzare tutte le fessure esistenti nell'insieme dei raggruppamenti borghesi e semiborghesi, per favorire contemporaneamente il processo di disgregazione di questo blocco».[36] Stante il rifiuto della sinistra di assumere cariche, vennero eletti al Comitato esecutivo del PCd'I Gramsci, il quale dall'agosto fu investito anche della nuova carica di segretario generale del Partito,[37] Togliatti, dallo stesso periodo responsabile anche del settore agitazione e propaganda, Scoccimarro, Mersù e Maffi.
Durante la crisi del Regime fascista nella seconda metà del 1924, il Partito comunista aumentò il numero dei suoi iscritti e la diffusione della sua stampa, ma non riuscì a incidere sulla crisi: la proposta della creazione di un Antiparlamento fu respinta sia dai socialisti che dalle altre forze aventiniane che temevano il radicalismo rivoluzionario dell'iniziativa. Il «nullismo»[38] dell'Aventino si concretò nel manifesto dell'11 novembre che chiedeva l'intervento di un Re che era in realtà solidale con lo stesso Regime: i comunisti decisero allora di rientrare in Parlamento e dopo il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925, la repressione, mai cessata nei confronti dei comunisti, si estese anche alle altre opposizioni. Il 3 aprile Togliatti venne arrestato con cinque capi d'imputazione, tra i quali quello di «far sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato». Anche questa volta, essendo intervenuta un'amnistia, non si arrivò al processo e il 29 luglio venne scarcerato: poté così conoscere il figlio Aldo, nato durante la detenzione. Un successivo mandato di cattura, emesso in settembre, non ebbe effetto perché Togliatti, rientrato nella clandestinità, riuscì a far perdere le proprie tracce.

Il Congresso di Lione
Nell'autunno si tennero clandestinamente i Congressi provinciali di partito: Gramsci, appoggiato da Togliatti e dagli altri esponenti del centro e della destra, vi svolse un'intensa attività allo scopo di strappare alla sinistra il controllo delle Federazioni in vista del III Congresso nazionale da tenersi a Lione. Qui, dal 20 gennaio 1926 vennero presentate e discusse le tesi congressuali, che «sono il prodotto più maturo dello sviluppo teorico leninista di Gramsci e di Togliatti».[39]
Il fascismo viene visto come un’espressione della politica tradizionale delle classi dirigenti italiane, e della lotta del capitalismo contro la classe operaia che ha la sua base sociale «nella piccola borghesia urbana e in una nuova borghesia agraria». Rispetto al tradizionale programma di conservazione e di reazione della classe politica italiana, fatta di accordi e di compromessi, il fascismo ha inteso «realizzare una unità organica di tutte le forze della borghesia in un solo organismo politico sotto il controllo di una unica centrale che dovrebbe dirigere insieme il partito, il governo e lo Stato». Destinato, per le sue stesse premesse, a svolgere un’aggressiva politica imperialistica, «nel campo economico agisce come strumento di una oligarchia industriale e agraria per accentrare nelle mani del capitalismo il controllo di tutte le ricchezze del paese. Ciò non può fare a meno di provocare un malcontento nella piccola borghesia la quale, con l’avvento del fascismo, credeva giunta l’era del suo dominio».
È questo un primo elemento di contraddizione nel blocco reazionario creato dal fascismo, al di fuori del quale restano altri centri di opposizione borghese, come il gruppo giolittiano. «Questo gruppo si collega a una sezione della borghesia industriale e, con un programma di riformismo laburista, esercita influenza sopra strati di operai e piccoli borghesi».
Occorre inserire il proletariato come terzo elemento della lotta politica italiana e l’alleanza tra la classe operaia del Nord e il proletariato agricolo del Sud è la condizione per la creazione di prospettive rivoluzionarie nel paese. Occorre però che il Partito sia in costante contatto con la classe operaia e per questo deve «bolscevizzarsi», ossia organizzarsi sullo stesso luogo di lavoro, creandovi cellule comuniste, senza per questo essere un partito di soli operai: «la classe operaia e il suo partito non possono fare a meno degli intellettuali e devono essere in grado di raccogliere e guidare tutti gli elementi che per una via o per un’altra sono spinti alla rivolta contro il capitalismo», come i contadini, possibile tramite politico tra il proletariato e le classi rurali. Si trattava della conferma della necessità di sviluppare un partito di massa.
Il Congresso si concluse il 26 gennaio: le Tesi di Gramsci e Togliatti raccolsero più del 90% dei consensi dei delegati e la sinistra di Bordiga perdette il controllo del Partito. Gramsci fu confermato segretario generale, mentre Togliatti fu confermato all'Esecutivo, all'Ufficio di segreteria e al Comitato centrale.[40]

A Mosca, in Svizzera e a Parigi
Il 10 febbraio 1926 Togliatti lasciò l’Italia con la moglie e il figlio per Mosca, essendo stato nominato capo della delegazione[41] del Partito italiano per il VI Plenum dell’Internazionale comunista: certamente non immaginava che sarebbe rientrato in Italia soltanto diciotto anni dopo. Nel precedente dicembre, nel Partito russo era avvenuto uno scontro interno tra i maggiori dirigenti: quasi emarginato Trockij, erano stati Zinov'ev e Kamenev ad attaccare Bucharin e Stalin, contestando loro l’impossibilità di costruire il socialismo nella sola Russia, ma erano rimasti in minoranza. L'Internazionale aveva concordato di non affrontare i problemi interni del Partito russo, ma Bordiga aveva insistito e, dopo uno scontro con Stalin, nella seduta del Plenum criticò il predominio esercitato dal Partito russo e la politica di bolscevizzazione dei Partiti comunisti.
Nel suo discorso del 25 febbraio, Togliatti attaccò Bordiga, accusandolo di aver portato il Partito italiano sull'orlo della distruzione, difese l'attuale politica del gruppo dirigente italiano, volta a individuare e approfondire gli eventuali contrasti del blocco reazionare al potere in Italia e manifestò dubbi sulle possibilità - avanzate dalla relazione di Zinov'ev - di svolte rivoluzionarie in Europa. Togliatti, al termine del Plenum, venne eletto all'Esecutivo dell'Internazionale con Stalin, Zinov'ev, Bucharin, Trockij, Thälmann, Kuusinen, Manuil'skij e altri.[42]

La lettera di Gramsci
Dall'estate del 1926 Trockij, Zinov'ev, Kamenev, Radek, Antonov-Ovseenko e altri dirigenti bolscevichi tentarono un'ultima opposizione contro la maggioranza capeggiata da Stalin - vista come una pericolosa autocrazia - costituendosi apertamente in frazione comunista di sinistra. Conducendo un'agitazione tra gli stessi operai, criticarono il burocratismo e la mancanza di democrazia interna nel Partito, la persistenza di gravi sperequazioni sociali a favore dei contadini proprietari, avvantaggiati dalla NEP a danno degli operai, la rinuncia a una politica rivoluzionaria all'esterno - ne era un esempio la recente collaborazione con le laburiste Trade Unions in Inghilterra - e l'intenzione di costruire il socialismo nella sola Russia, da loro giudicata fonte di degenerazione di tutto il processo rivoluzionario.
Il dibattito nel Comitato centrale russo portò alla riaffermazione della politica seguita da Stalin e alla condanna della frazione trockista e all'esclusione di Zinov'ev dall'Ufficio politico. L'eco del conflitto tra i maggiori dirigenti comunisti russi giunse anche in Italia, dibattuto dagli stessi giornali, sia i fascisti che i superstiti quotidiani liberali - i quali, elogiando la «prudenza» di Stalin, videro nella sua politica la fine della rivoluzione comunista e la sua trasformazione in rivoluzione borghese, insieme con lo sviluppo di un capitalismo di Stato.
Gramsci, dalle colonne de L'Unità, difese la politica economica seguita in URSS che, se pur creava privilegi tra le classi, era necessaria alla creazione di quell'accumulazione primitiva che doveva essere la premessa dell'industrializzazione del Paese. A nome del Partito, Gramsci scrisse - probabilmente il 14 ottobre - anche una lettera indirizzata al Comitato Centrale del Partito sovietico, lamentando il pericoloso scontro politico in corso, elogiando i meriti rivoluzionari di Zinov'ev, Trockij e Kamenev ma appoggiando la linea politica della maggioranza, che però veniva invitata, nel condurre la sua lotta, a non oltrepassare «certi limiti che superiori a tutte le democrazie formali». Nella lettera si indicava anche «il rischio di annullare la funzione dirigente che il Partito comunista dell'URSS aveva conquistato per impulso di Lenin».
La lettera giunse a Mosca il 16 ottobre, quando l'opposizione aveva dichiarato di rinunciare a ogni attività frazionistica, anche se la pubblicazione avvenuta il 18 ottobre sul «New York Times» del cosiddetto Testamento di Lenin contenenti serie critiche a Stalin provocherà a partire dal 23 ottobre un nuovo durissimo scontro nel Partito sovietico. Per intanto Togliatti, d'accordo con Bucharin e Manuil'ski, decise di non inoltrare la lettera al Comitato Centrale, spiegando i motivi all'Ufficio politico del Partito italiano e, più diffusamente, in una lettera a Gramsci del 18 ottobre, che «quando si è d'accordo con la linea del CC, il miglior modo di contribuire a superare la crisi è di esprimere la propria adesione a questa linea», ricordando che «probabilmente d'ora in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo», ma che «non è tanto l'unità del gruppo dirigente (che poi non è mai stata così assoluta) che ha fatto del partito russo l'organizzatore e il propulsore del movimento rivoluzionario mondiale del dopoguerra, quanto piuttosto il fatto che il partito russo ha portato la classe operaia a conquistare il potere». La lettera di Gramsci, nel giudizio di Togliatti, avrebbe fornito argomenti e giustificazioni alla polemica della sinistra.
L'Ufficio politico del Partito italiano accettò la decisione di Togliatti ma Gramsci, risentito, replicò con una lettera personale a Togliatti il 26 ottobre, accusandolo di «burocratismo» e dispiacendosi «sinceramente che la nostra lettera non sia stata capita da te [...] la nostra lettera era tutta una requisitoria contro le opposizioni». L'arresto di Gramsci, avvenuto l'8 novembre e la successiva detenzione prolungatasi tutta la vita, posero forzosamente fine alla discussione.[43]

Alla guida del Partito comunista
Dopo l'attentato di Bologna del 31 ottobre 1926 Mussolini decise di eliminare le ultime parvenze di democrazia e la sera dell'8 novembre 1926, in violazione dell'immunità parlamentare[44], furono arrestati tutti i deputati comunisti, tranne Grieco, Bendini e Gennari, che sfuggirono alla cattura, e la repressione poliziesca, estesa alle altre forze di opposizione, proseguì per due giorni facendo un migliaio di arresti, accompagnata dalle violenze delle squadre fasciste che provocarono una dozzina di morti.[45]
L'organizzazione del Partito fu così sconvolta e tutti i suoi militanti dovettero entrare nell'illegalità: Camilla Ravera dirigeva il Centro interno clandestino del Partito, operante a Genova, e a Mosca si decise la costituzione di un Centro estero, guidato da Togliatti a Parigi, dove si sarebbe stampata la rivista teorica «Lo Stato operaio», mentre a Luigi Longo veniva affidata la Federazione giovanile. Formalmente Gramsci rimaneva il segretario, ma di fatto la guida del Partita veniva affidata a Togliatti, che pure rimaneva membro dell'Esecutivo del Comintern: come ricorderà Silone, «la successione di Togliatti a Gramsci è naturale, la sua preminenza è un dato di fatto [...] nessuno poteva stargli alla pari. Aveva un suo modo di ascoltare a lungo, ma quando prendeva la parola era come se leggesse, veniva fuori la lunga riflessione, sapeva collegare fatti apparentemente secondari a cui nessuno di noi pensato».[46]
Togliatti e Silone dovettero recarsi nel maggio del 1927 a Mosca, dove era convocato l'VIII Plenum dell'Internazionale: la svolta a destra del Comintern, rappresentata dalla politica del fronte unico con le socialdemocrazie non aveva dato alcun frutto e la frazione di Trockij aveva buoni motivi per alimentare la polemica anti-staliniana, specie dopo l'esito disastroso dell'alleanza dei comunisti cinesi con il Kuomintang, voluta da Stalin, lo scioglimento dell’accordo sindacale tra sindacati comunisti e Trade Unions in Inghilterra, paese che ha rotto le relazioni diplomatiche con l’URSS e dove una parte dei conservatori, guidati Churchill, vorrebbe giungere alla guerra. La maggioranza dell'Esecutivo aveva preparato una risoluzione di condanna di Trockij sulla base di un documento di quest'ultimo, del quale non si dava tuttavia conto, e pretendeva che i delegati l'approvasse senza venirne a conoscenza. L'opposizione italiana, alla quale si unirono i rappresentanti francesi e svizzeri, fece ritirare la risoluzione.[47]
Pur opponendosi a sanzioni contro la frazione di Trockij, Togliatti ne rigettava la linea politica e quando Trockij e Zinov’ev, avendo manifestato pubblicamente il loro dissenso tra la popolazione, il 14 novembre vennero espulsi dal Partito russo come controrivoluzionari, appoggiò la decisione come inevitabile, scrivendo che essi, avendo negato la possibilità della costruzione del socialismo in Russia, si erano messi contro tutta la storia politica scaturita dalla Rivoluzione.[48]
Il fallimento della strategia delle intese con le socialdemocrazie produsse una nuova svolta «a sinistra» dell'Internazionale, solo parzialmente accolta da Togliatti, che nel suo Rapporto sulla situazione internazionale tenuto nel gennaio del 1928 alla II Conferenza organizzativa del PCI qualificò la socialdemocrazia «un partito della borghesia il quale conserva una base tra gli oerai, difende in seno alla classe operaia l'ideologia della borghesia e si sforza di arrestare gli sviluppi dell'ideologia rivoluzionaria»,[49] ma si oppose a che la CGL, ricostituita illegalmente in Italia dai comunisti dopo il suo scioglimento decretato dai dirigenti riformisti, rompesse i legami con la Federazione sindacale internazionale di Amsterdam, controllata dai socialisti.
Rifiutata l'assunzione della direzione dell’Ufficio dell’Internazionale aperto a Berlino, Togliatti diresse il Centro estero del Partito, già costituito a Parigi e trasferito nel 1927 a Lugano e poi, nel 1928, a Basilea. Contrastò l’insofferenza dei giovani comunisti, come Longo, Secchia e D’Onofrio, che ritenevano che la lotta al fascismo, con la scomparsa delle altre opposizioni democratiche italiane, dovesse essere radicalizzata proponendo, contro il fascismo, l’obbiettivo dell’immediato passaggio al socialismo. Togliatti spiegava che per abbattere il fascismo con un’azione rivoluzionaria occorreva una saldatura tra operai e contadini che nella situazione italiana non esisteva affatto, e che se non esistevano più organizzazioni antifasciste borghesi, continuava a esistere una piccola borghesia che poteva essere conquistata all’antifascismo con una politica di rivendicazioni democratiche. Di qui, la necessità di indicare obiettivi politici intermedi, come il ripristino delle libertà civili soppresse dal fascismo: assumere queste iniziative non voleva dire rinunciare al socialismo, ma significava conquistare l’egemonia nella lotta antifascista.[50]
Si preoccupò anche di rendere più «facili» gli articoli della rivista teorica «Lo Stato Operaio», e curò l’istruzione teorica e pratica dei giovani militanti, da mandare in Italia per l’azione clandestina: uno di essi, Gastone Sozzi, che doveva costituire un nucleo comunista all’interno delle forze armate, venne subito arrestato a Milano nel novembre del 1928 e morì in carcere a seguito delle torture subite.
Il 17 luglio 1928 si aprì a Mosca il VI Congresso del Comintern, preceduto dalla consueta lotta interna fra i dirigenti del PCUS: ora i dissidenti comprendevano, oltre Kamenev e Zinov'ev, anche il «destro» Bucharin, che accusava Stalin di mettere a rischio la Rivoluzione e di essere «un intrigante senza principi, capace di tutto pur di conservare il potere».[51] Da parte sua, Stalin intendeva attuare una svolta a sinistra per mettere in difficoltà la destra del Partito sovietico dove, già indebolita la corrente di sinistra, avrebbe potuto così assumere il ruolo di dominatore unico: il tema del Congresso divenne la lotta che i Partiti comunisti avrebbero dovuto condurre contro la socialdemocrazia e le analogie esistenti tra questa e il fascismo.
Nel suo discorso, Togliatti rifiutò tale assimilazione: il fascismo è «come movimento di massa, un movimento di piccola e media borghesia, dominato dalla grande borghesia e dagli agrari, che non ha basi in un'organizzazione tradizionale della classe operaia», mentre la socialdemocrazia «è un movimento che ha una base operaia e piccolo-borghese e trae la sua forza principalmente da un'organizzazione che è riconosciuta da grandi masse operaie come l'organizzazione tradizionale della loro classe». Ciò non toglie che la socialdemocrazia possa attuare metodi fascisti - come era avvenuto in Germania - e perseguire una cosciente politica imperialistica, come dimostrava il recente Congresso socialista di Bruxelles che, favorevole al «buon colonialismo», visto come presunta fonte di progresso per i paesi sfruttati, dava una copertura ideologica all'imperialismo.
Togliatti attaccò anche il sistema in vigore in altri Partiti comunisti, nei quali il dibattito politico si svolgeva spesso in oscure lotte intestine e le discussioni si concludevano con condanne, misure disciplinari ed espulsioni: un sano centro dirigente si forma attraverso il dibattito aperto e il lavoro comune, e non con il metodo della «lotta senza princìpi e dei compromessi tra gruppi diversi [...] non possiamo chiudere gli occhi che fenomeni simili si presentano oggi».[52]
Ma la lotta interna al PCUS continuava: in settembre Bucharin criticò, nelle sue Note di un economista, l'accelerazione dell'industrializzazione, voluta dalla maggioranza staliniana, che comprometteva, a suo dire, il necessario equilibrio tra industria ed economia. Lo scontro proseguì in dicembre in seno all'Internazionale, dove il delegato italiano Tasca difese apertamente Bucharin, arrivando a una violenta polemica con Stalin, malgrado le raccomandazioni di Togliatti di «non lasciarsi trascinare, in alcun modo, sopra il terreno ardente e malsicuro della lotta di un gruppo contro l'altro».[53] Nelle riunioni del Comitato Centrale del PCI, che si tennero dal 23 febbraio al 2 marzo del 1929 a Parigi, a motivo dell'espulsione dei comunisti italiani decretata dalle autorità svizzere, Tasca condusse una critica a fondo dei dirigenti russi, della loro politica interna ed estera, e della funzione dell'Internazionale, senza indicare tuttavia «alcun tipo di prospettiva alternativa» per il Partito italiano.[54] Le posizioni di Tasca furono considerate «opportunistiche», ma le sue dimissioni dall'Ufficio politico furono respinte.

L'attentato
Alle 11.30 del 14 luglio 1948 Palmiro Togliatti viene colpito da tre[55] colpi di pistola sparati a distanza ravvicinata mentre esce da Montecitorio in compagnia di Nilde Iotti.
L'autore dell'attentato a Togliatti è Antonio Pallante, un giovane iscritto al blocco liberale qualunquista, spaventato dagli effetti che la presunta politica filo-sovietica del "Migliore" avrebbe potuto avere sul Paese. I proiettili sparati da una pistola calibro 38 colpiscono il leader del PCI alla nuca e alla schiena, mentre una terza pallottola sfiora la testa dello statista. Ricoverato d'urgenza, Togliatti viene operato dal chirurgo Pietro Valdoni.
Poche ore dopo il ferimento si verificano incidenti a Roma, La Spezia, Abbadia San Salvatore (SI) e morti a Napoli, Genova, Livorno e Taranto nel corso di violentissime manifestazioni di protesta. Gli operai della FIAT di Torino sequestrano nel suo ufficio l'amministratore delegato Vittorio Valletta. Buona parte dei telefoni pubblici non funzionano e si blocca la circolazione ferroviaria. Il democristiano Mario Scelba, ministro degli interni, impartisce disposizioni ai prefetti per vietare ogni forma di manifestazione, e l'intero paese sembra sull'orlo della guerra civile. Gli accordi di Yalta e la presenza di truppe americane sul territorio italiano sconsigliavano un'insurrezione armata, che non avrebbe avuto alcuna speranza di riuscire.
Nelle ore in cui si attende l'esito dell'intervento chirurgico si diffusero le più diverse voci sullo stato di salute di Togliatti: circola addirittura la notizia della morte del segretario comunista. Il clima politico del paese era caldissimo: soltanto due mesi prima, il 18 aprile 1948, le prime elezioni della storia della repubblica avevano sancito la vittoria della Democrazia Cristiana sul fronte delle sinistre (Partito Comunista e Partito Socialista).
L'operazione a Togliatti andò a buon fine e fu proprio il dirigente del Partito Comunista Italiano a imporre ai membri più importanti della direzione del PCI, Secchia e Longo, di sedare gli animi e fermare la rivolta. L'insurrezione di massa delle organizzazioni militanti comuniste si arresta davanti all'ordine di Togliatti. A detta di molti si ritiene che abbia contribuito a moderare gli animi anche l'inaspettata vittoria di Gino Bartali al Tour de France.
Durante le proteste, la polizia antisommossa uccide in alcuni scontri una ventina di manifestanti e fa decine di feriti. Nei giorni successivi all'attentato il Paese ritorna alla normalità, grazie alla precisa volontà dei vertici comunisti che si adoperano per recuperare il controllo della base e prevenire nuovi scontri.

Dopo la sconfitta del Fronte
Sotto la sua segreteria, il PCI divenne il più grande partito comunista europeo tra quelli non al potere, il più importante politicamente del mondo occidentale anche se non raggiunse mai un consenso elettorale tale da conquistare il primato tra le forze politiche nazionali. I due maggiori successi elettorali vennero raggiunti soltanto anni dopo, sotto la segreteria di Enrico Berlinguer: il picco massimo di consensi in occasione delle elezioni politiche del 1976 (34,4% alla Camera dei deputati) e il sorpasso ai danni della DC (33,3% contro 33,0%) alle elezioni del Parlamento europeo del 1984, attribuibile in larga misura alla generale commozione per la recente scomparsa del segretario generale del PCI.
La sua azione, decisiva per il radicamento del PCI nella società italiana ma altrettanto risoluta nel difendere l'URSS ad ogni costo, divenne più autonoma dopo la morte di Stalin nel 1953. Alle elezioni di quell'anno il PCI ottenne il 22,6% dei voti. Man mano che in URSS il nuovo segretario del partito promuoveva la sua linea innovatrice, facendo pace con Tito e denunciando i crimini di Stalin, secondo un'opinione diffusa negli ultimi anni Togliatti assunse una linea a lui ostile, che sarebbe stata abilmente camuffata come ricerca di una "via nazionale" al socialismo. Allo scoppio della rivoluzione ungherese (ottobre 1956), Togliatti tenne a bada il dissenso ed emarginò gli stalinisti più irriducibili, incalzando al tempo stesso i dirigenti del PCUS affinché schiacciassero il "fascismo" che secondo lui era risorto in terra ungherese.
L'azione di rinnovamento svolta da Togliatti in Italia dal marzo 1956 in avanti prese le mosse dal XX Congresso del PCUS e dalle riforme avviate da Chruscev, di cui Togliatti dichiarò ripetutamente di condividere l'impostazione. La "via italiana al socialismo" consisteva in una presenza convinta nelle istituzioni rappresentative, abbandonando ogni scorciatoia rivoluzionaria, e al tempo stesso mirava ad accompagnare l'azione istituzionale con l'estensione delle lotte sociali e sindacali. La via italiana al socialismo prevedeva una lunga marcia nelle istituzioni parlamentari per trasformarle progressivamente in senso socialista, conquistando però pacificamente il consenso degli elettori. Si trattava di una profonda modifica del leninismo, che suscitò molte resistenze nei paesi socialisti e anche in URSS.
Togliatti cercò anche di persuadere i sovietici ad adottare una visione più flessibile del leninismo, ma la sua proposta fu respinta alla Conferenza di Mosca del novembre-dicembre 1957. In quell'occasione, Togliatti venne probabilmente messo a conoscenza della decisione presa dal regime fantoccio di Budapest[senza fonte], sottoposta alla consultazione dei principali partiti comunisti al potere, di mettere a morte Imre Nagy, il comunista che aveva guidato la rivoluzione dell'anno prima e il cui carattere democratico e pluralista nessuno studioso mette in dubbio.
Nel frattempo Togliatti ordinava l'estromissione dal partito delle componenti rivoluzionrie e oltranziste, facenti capo alla figura di Pietro Secchia. Sempre nell'ottica di attuare un deciso repulisti del partito dagli elementi indesiderati o scomodi, l'VIII congresso segna la liquidazione dell'ala "di destra" del partito, nelle persone di Fabrizio Onofri e Antonio Giolitti. Se l'eliminazione politica di Onofri è poca cosa, per Giolitti il "Migliore" deve attuare una tattica più cauta. Spalleggiato da Pietro Longo, Togliatti controbatte affannosamente alle richieste di effettiva libertà di opinione e discussione nel partito e alla solidarietà espressa nei confonti della rivolta popolare in Ungheria da parte di Giolitti. Quest'ultimo è costretto comunque a lasciare il partito non trovando eco alle sue parole nel blocco granitico del PCI, che perde così una personalità politica e un intellettuale di primissimo piano tra la generazione dei politici "nuovi". Segna inoltre l'incrinarsi di una lunghissima fase che aveva visto gli intellettuali e la cultura italiana identificarsi nel PCI, in una sua identificazione con le forze più dinamiche e innovative del Paese (ruolo guida che sarà assunto di lì a poco dal centro-sinistra dei primi anni 60').
Alle elezioni del 1963 il PCI ottenne il 25,3% dei voti in entrambe le Camere, fallendo tuttavia l'assalto alla maggioranza relativa. Togliatti, che considerava l'allievo Enrico Berlinguer come il suo "delfino" (ossia il suo erede politico), morì a Jalta in URSS (oggi Ucraina) per una emorragia cerebrale. Il 25 agosto, a Roma, si tennero i funerali, con una presenza stimata di un milione di persone e che furono immortalati nel celebre quadro di Renato Guttuso I funerali di Togliatti[56].
Si era recato in quella località per trascorrere una breve vacanza con la compagna Nilde Iotti subito dopo un viaggio a Mosca dove aveva discusso con Brežnev (allora numero due del Cremlino) circa l'opportunità di una conferenza internazionale comunista per ricucire i rapporti con la Cina di Mao Zedong, deteriorati da Chruščёv.

I rapporti Cina-URSS
Le ricerche condotte sugli archivi del PCI dimostrano che Togliatti stava da alcuni mesi combattendo coi sovietici per impedire la conferenza internazionale che avrebbe dovuto condannare la Cina. Togliatti temeva fortemente la rottura del movimento comunista in due tronconi e fece di tutto per ottenere la cancellazione della conferenza. La documentazione e le testimonianze di Nilde Iotti e di Boffa, il corrispondente de L'Unità a Mosca, sono concordi nel dire che Togliatti polemizzò con Breznev e Ponomariov, che invece volevano la condanna dei cinesi. Il Memoriale di Yalta, il documento che Togliatti aveva appena finito di scrivere quando fu colto dall'emorragia cerebrale, criticava la politica estera sovietica e il modo di impostare i rapporti coi cinesi, ma al tempo stesso ribadiva la fede del PCI nel socialismo.

Aspetti controversi - Polemiche
Alla morte di Stalin, Togliatti lo commemorò alla Camera dei deputati il 6 marzo 1953 affermando che «Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, è un gigante dell'azione. Col suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi della storia faticosa e gloriosa del genere umano [...]»[57] per poi adeguarsi alle conclusioni del XX Congresso del PCUS che sancì la destalinizzazione, dichiarando[58]: «Stalin divulgò tesi esagerate e false, fu vittima di una prospettiva quasi disperata di persecuzione senza fine, di una diffidenza generale e continua, del sospetto in tutte le direzioni».
- Nel febbraio 1992, durante la campagna elettorale per le imminenti elezioni politiche, lo storico ex-comunista Franco Andreucci pubblicò nel settimanale Panorama lo stralcio di una lettera di Togliatti proveniente dagli archivi del Comintern di Mosca. In risposta a una lettera del dirigente comunista Vincenzo Bianco che chiedeva di intercedere presso le autorità sovietiche per evitare la morte dei prigionieri italiani in Russia, il 15 febbraio 1943 Togliatti aveva tra l’altro scritto: «Io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in un altro modo»[59], alludendo al possibile ruolo dei sopravvissuti come testimoni della disfatta dell'aggressione fascista all'Urss o come acquisiti alla militanza comunista.
Nella versione falsificata dall’Andreucci il passo diventava: «Io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano assassinare, tanto più che possiamo ottenere certi risultati in altro modo», dove si fa apparire che per Togliatti fosse un bene far morire, qualunque fosse il modo, i soldati spediti dal fascismo in Russia[60].
Un altro passo della lettera, dove Togliatti aveva scritto: «Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione contro altri paesi significa rovina e morte per il proprio, significa rovina e morte per ogni cittadino individualmente preso, tanto meglio sarà per l' avvenire d' Italia», sostenendo così che l’Italia, fatta consapevole della rovina rappresentata da una politica d’imperialismo guerresco, dovesse scegliere per l’avvenire una politica di pace e non di aggressione, diveniva nella manipolazione dell’Andreucci: «Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione e il destino individualmente preso di tante famiglie è tragico, tanto meglio sarà per l’avvenire d’Italia», dove il passo completamente inventato «il destino individualmente preso di tante famiglie è tragico», sopprimeva ogni riferimento alla politica imperialista fin lì seguita dall’Italia fascista per alludere a un generico e inevitabile destino di morte riservato agli Italiani. Altre parole della lettera erano equivocate, tra i quali un «vecchio Hegel», divenuto un grottesco «divino Hegel»[61].
La falsificazione fu scoperta dieci giorni dopo: l’Andreucci si dimise dall’incarico di consulente rivestito nella casa editrice «Il Ponte alle Grazie» che, a causa della perdita di credibilità subita[62], in breve subì un crollo di vendite e fu assorbita nel 1993 dalle «Edizioni Salani». Il risultato politico dell'operazione era comunque in parte raggiunto: l’attacco a Togliatti, oltre a influire sul risultato delle elezioni, servì anche a mettere fuori gioco Nilde Iotti da una possibile elezione alla Presidenza della Repubblica.[63]
- Nel corso del 1956, dopo il XX Congresso del PCUS, Togliatti criticò il modo in cui Chruščёv condusse la critica al "culto della personalità" di Stalin. In un'intervista sulla rivista Nuovi argomenti propose in modo molto cauto e per certi versi ambiguo una revisione più profonda della storia dell'URSS, secondo cui andavano cercate nel PCUS degli anni Venti le radici di squilibri manifestatisi con la pianificazione guidata da Stalin. Al tempo stesso rimase nell'alveo dei fedeli di Mosca e condannò la rivolta di Poznan e quella di Budapest nel 1956, ritenendole pericolose per la stabilità e le prospettive del socialismo. Vide però negli errori dei partiti al potere le cause delle rivolte, criticando la tesi secondo cui esse avessero matrici "esterne" al socialismo.
- A partire dalla sollecitazione lanciata nell'ottobre 1986 dallo storico magiaro-francese François Fejto, sono stati trovati i documenti inediti che comprovano al di là di ogni ragionevole dubbio l'accusa che egli abbia sollecitato l'intervento armato sovietico contro la rivoluzione ungherese [64]. Inoltre nel 1957 alla I Conferenza mondiale dei partiti comunisti tenuta a Mosca egli votò, insieme agli altri leader comunisti a favore della condanna a morte dell'ex presidente del Consiglio ungherese Imre Nagy e del generale Pal Maleter, ministro della Difesa, arrestati con due diverse imboscate l'anno prima dalle truppe sovietiche d'occupazione, rispettivamente il 3-11 nel quartier generale sovietico di Tokol e il 22-11 appena uscito dall' ambasciata jugoslava con il salvacondotto del governo Kadàr, con l'accusa di aver aperto «la strada alla controrivoluzione fascista».[65].
- Nel corso del XVI Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, tenutosi a Mosca nel 1930, quando in Italia governava ancora Mussolini, dalla pag. 185 del resoconto stenografico emerge questa dichiarazione di Palmiro Togliatti: «È per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più. Come cittadino sovietico sento di valere dieci volte più del migliore italiano».[66]

Tito e la Jugoslavia
Significativo è anche il rapporto con Tito e la gestione della questione triestina, che mostra una continua e completa sintonia con Mosca:
- Tra il 1945 ed il 1948 il PCI esalta Tito, che definisce il nuovo Garibaldi, e solidarizza con lui fino ad appoggiare le sue pretese sulla Venezia Giulia. Il 7 novembre 1946 Palmiro Togliatti va a Belgrado e rilascia a L'Unità la seguente dichiarazione: Desideravo da tempo recarmi dal Maresciallo Tito per esprimergli la nostra schietta e profonda ammirazione...
- Tra il 1948 ed il 1956, dopo la condanna del Cominform, il PCI si allinea immediatamente e L'Unità del 29 giugno 1948 pubblica: La direzione del Partito Comunista Italiano, udito il rapporto dei compagni Togliatti e Secchia, esprime all'unanimità la propria approvazione completa e senza riserve delle decisioni del Cominform... Durante questo periodo Tito viene criticato in modo assai veemente dal PCI, e i seguaci del maresciallo chiamati spregiativamente titini.
- Nel 1956 il vento cambia. Khruščёv si reca a Belgrado riabilitando Tito affermando: deploriamo ciò che è avvenuto e respingiamo tutti gli errori accumulati in questo periodo...
Il PCI si adegua immediatamente ed in occasione di un nuovo viaggio di Palmiro Togliatti a Belgrado, L'Unità del 28 maggio 1956 pubblica un'intervista in cui il segretario afferma: (...) Scopo della mia visita a Belgrado è di riannodare relazioni regolari con i comunisti jugoslavi dopo la grave frattura provocata dall'erronea decisione del Cominform (...).

Note
1. ^ P. Togliatti, intervista a «Noi donne», 20 agosto 1964.
2. ^ P. Togliatti, intervista a «Noi donne», cit.
3. ^ Avendo anticipato di un anno l’inizio degli studi.
4. ^ G. M. Cerchi, Togliatti studente a Sassari nel 1908; Togliatti inedito, in «Rinascita sarda», 1-15 aprile 1971 e A. Agosti, Togliatti, 2003, p. 6.
5. ^ A. Agosti, cit., pp. 10-11.
6. ^ Il fratello Eugenio affermò che Togliatti e Gramsci «erano entrambi ipercritici nei confronti dell'atteggiamento neutralista del governo e duramente antigiolittiani», in G. Bocca, Palmiro Togliatti, p. 32.
7. ^ Battista Santhià, militante socialista e poi comunista, in G. Bocca, cit., p. 34.
8. ^ G. Bocca, cit., pp. 37-40.
9. ^ P. Togliatti, Opere, I, pp. 28-72.
10. ^ P. Togliatti, Opere, I, pp. 63-67.
11. ^ P. Togliatti, Opere, I, p. 108.
12. ^ A. Agosti, cit., p. 22; sul problema generale cfr. F. De Felice, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia. 1919-1920, 1971.
13. ^ P. Togliatti, Opere, I, p. 273
14. ^ P. Togliatti, Avanti!, 10 ottobre 1920.
15. ^ P. Togliatti, Opere, I, pp. 279-280.
16. ^ A. Agosti, Palmiro Togliatti, cit., p. 37.
17. ^ P. Togliatti, Opere, I, p. 303.
18. ^ P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, 1990, I, 10, pp. 178-183.
19. ^ «Al Congresso di Roma, votando, sia pure a titolo consultivo, le tesi che l'Internazionale comunista ha disapprovate, abbiamo aperto una crisi internazionale per evitare una crisi interna che avrebbe avuto conseguenze ben più gravi»: Togliatti al V Congresso dell'Internazionale comunista, 25 giugno 1924, in P. Spriano, cit., p. 189.
20. ^ P. Togliatti, Dopo la scissione, in L'Ordine Nuovo, 5 ottobre 1922.
21. ^ P. Spriano, cit., p. 217.
22. ^ A. Agosti, 1996, p. 44.
23. ^ P. Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924, 1974, p. 52.
24. ^ Con la fidanzata di allora, Elda Banchetti: cfr. T. Noce, Rivoluzionaria professionale, 1974, p. 53.
25. ^ Così Camilla Ravera, in G. Bocca, cit., p. 86. Anche Maria Cristina Togliatti testimonia la volontà del fratello di riprendere gli studi di filosofia all’Università, ivi, p. 78, mentre Andrea Viglongo, dopo la sua espulsione dal Partito, insinuò una sua mancanza di coraggio, ivi, p. 79.
26. ^ Lettera di Terracini alla Federazione italiana comunista negli Stati Uniti, 13 febbraio 1923, in Paolo Spriano, cit., I, 18, p. 262.
27. ^ Togliatti a Scoccimarro accetteranno la carica, non Fortichiari, che sarà sostituito da Egidio Gennari: cfr. P. Spriano, cit., I, 19, p. 287.
28. ^ Per questo motivo chiamata «terzina»
29. ^ Lettera a Gramsci e a Scoccimarro, 16 luglio 1923.
30. ^ «Togliatti non sa decidersi, com'era un po' sempre nelle sue abitudini: la personalità vigorosa di Amadeo lo ha fortemente colpito»: lettera di Gramsci a Leonetti, 28 gennaio 1924, e Piero Gobetti scrive della «sua inquietudine, che pare cinismo inesorabile e tirannico ed è indecisione, che fu giudicato equivoco e forse è soltanto un ipercriticismo invano combattuto», in La Rivoluzione liberale (1924), 1998, p. 136.
31. ^ Curiosa la nota informativa su Togliatti dell'anonimo delatore della polizia: «È il despota del Part. Com. d'Italia. Unico e assoluto Membro del Comitato Esecutivo [...] Tutto era nelle sue mani. Denaro, ordini, cifrari, ecc. Lo segnalai ripetutamente ma sempre riuscì a sfuggire [...] Degli arrestati odierni è il più scaltro e il più agguerrito. Lo conosco perfettamente da molti anni e posso affermare e fargli l'onore di riconoscerlo come il più furbo dei comunisti italiani»: in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione Generale di PS, 1923, K 1 b 68.
32. ^ P. Togliatti, Dopo la riforma elettorale, in «Lo Stato operaio», 16 agosto 1923.
33. ^ Già Gramsci aveva giudicato il Partito comunista di Bordiga «qualcosa di campato in aria che si sviluppa in sé e per sé e che le masse raggiungeranno quando la situazione sarà propizia», Lettera a Togliatti e Terracini, 9 febbraio 1924, in P. Togliatti, La formazione, cit., p. 195.
34. ^ Paolo Spriano, cit., I, 19, p. 359
35. ^ Lo Stato operaio, Il programma d'azione del PCI, 21 agosto 1924.
36. ^ Citato in A. Agosti, Togliatti, pp. 65-66.
37. ^ P. Spriano, cit., I, 24, p. 401
38. ^ Così definito da Gramsci su L'Unità del 12 novembre 1924.
39. ^ P. Spriano, cit., I, 29, p. 497.
40. ^ Sul Congresso di Lione, cfr. P. Spriano, cit., I, 30, pp. 498-513.
41. ^ Comprendente Grieco, Gennari, Roveda, Berti e altri cinque. Bordiga era giunto a Mosca direttamente da Lione: cfr. P. Spriano, II, 1, p. 9.
42. ^ P. Spriano, cit., II, pp. 10-17
43. ^ Sulla questione della lettera di Gramsci, cfr. P. Spriano, Storia, cit., II, 3, pp. 51-56; A. Agosti, Togliatti, pp. 86-90.
44. ^ Spettante a norma dell'art. 45 dello Statuto Albertino
45. ^ P. Spriano, Storia, cit., II, 4, pp. 65-70.
46. ^ Ignazio Silone in G. Bocca, cit., 7, p. 136.
47. ^ G. Bocca, cit., pp. 138-144.
48. ^ «Lo Stato operaio», Rottura necessaria, I, 9-10, novembre-dicembre 1927.
49. ^ P. Togliatti, Opere, II, pp. 287-328.
50. ^ A. Agosti, Togliatti, pp. 104-108.
51. ^ Secondo una relazione di Tasca: cfr. P. Spriano, Storia, cit., II, 9, p. 169.
52. ^ Sul VI Congresso dell'Internazionale, cfr. P. Spriano, Storia, cit., II, 9; G. Bocca, Togliatti, 8, pp. 152-160; A. Agosti, Togliatti, pp. 111-117.
53. ^ Lettera del 6 ottobre 1928: cfr. A. Agosti, Togliatti, p. 119.
54. ^ A. Agosti, Togliatti, cit., p. 122.
55. ^ Secondo AA.VV., Storia d'Italia, DeAgostini 1991, Pallante esplose due colpi di rivoltella contro il segretario del PCI. L'episodio è rivissuto anche nel filmUna vita difficile di Dino Risi.
56. ^ Funerale di Togliatti in Corriere della Sera. URL consultato il 15-12-2009.
57. ^ (PDF) Camera dei deputati, Discussioni in Assemblea (resoconti stenografici),Seduta di Venerdì 6 marzo 1953, p. 46858.
58. ^ L'Unità, 15 marzo 1956
59. ^ La lettera di Togliatti in cuneense.it. URL consultato il 15-12-2009.
60. ^ Gianna Fregonara. «a Togliatti servivano i morti in Russia». Corriere della Sera, 02-02-1992, p. 2. URL consultato in data 15-12-2009.
61. ^ «Manipolata la lettera di Togliatti». La Repubblica, 14-02-1992, p. 13. URL consultato in data 15-12-2009.
62. ^ Paolo Vagheggi. «Spgnol conquista Firenze». La Repubblica, 24-06-1993, p. 38. URL consultato in data 15-12-2009.
63. ^ Luciano Canfora, Togliatti e i critici tardi, 1997, p. 24.
64. ^ Lettera di Togliatti del 30 ottobre 1956 al CC del PCUS pubblicata su La Stampa l'11 settembre 1996. Riportata anche in: Csaba Bekes, Malcom Byrne, Janos M. Rainer (eds.), The 1956 Hungarian Revolution: A History in Documents, Central European University Press, Budapest-New York 2002, p. 294; Adriano Guerra, Comunismi e Comunisti, Dedalo, Bari 2005, pp. 190-91; Federigo Argentieri Ungheria 1956. La rivoluzione calunniata, Marsilio, Venezia 2006, pp. 135-36. La più recente e documentata biografia togliattiana, quella di Agosti citata in Bibliografia, riedita nel 2003, quindi dopo la pubblicazione della citata lettera, nelle pagine 450-56 dedicate agli avvenimenti ungheresi, la ignora, riportando però un brano di una lettera pensosa e dubitativa, quanto inefficace sul piano pratico, del 29 ottobre all'editore Giulio Einaudi. Quindi è molto significativo che la sera del 30 ottobre, quando nella direzione del PCI Togliatti enuncia il celebre principio: "Si sta con la propria parte anche quando questa sbaglia", egli ha già scritto ai sovietici, all'insaputa di tutti gli altri dirigenti.
65. ^ La condanna a morte sarebbe stata sancita l'anno successivo, alla Conferenza mondiale dei partiti comunisti, e non è certo solo colpa di Togliatti, ma soprattutto di pressioni della Cina. Ma ciò che è affermato dallo stesso Kadàr in un verbale di riunione del CC del POSU, il partito comunista ungherese, del 29 novembre 1957, pubblicato dall' Archivio Nazionale Ungherese di Budapest nel 1997 in volume coi verbali del CC del POSU del biennio 1957-58, tradotto da Argentieri in Federigo ArgentieriUngheria 1956, op. cit., pp. 142-46, testimonia ampiamente l'accusa secondo cui Togliatti avrebbe ottenuto di spostare quelle ingombranti esecuzioni capitali a dopo le elezioni politiche italiane del 25 maggio 1958, perché il PCI non ne fosse troppo danneggiato, come già riportato sopra. Infatti esse furono eseguite il 16 giugno 1958.
66. ^ Citato in: Paolo Granzotto, tratto da «Il Giornale» del 1º maggio 2002. Riportato il 21 febbraio 2007.

▪ 1971 - Gianni Bosio (Acquanegra sul Chiese, 23 ottobre 1923 – Mantova, 21 agosto 1971) è stato uno storico italiano, membro del Partito Socialista Italiano.

Infanzia e giovinezza
Dopo aver frequentato le elementari ad Acquanegra, Bosio studia a Brescia e a Cremona, dove accede ai corsi dell'Istituto tecnico Botti Binda. A 13 anni comincia ad allontanarsi dalla chiesa, recandosi all'oratorio solo per conversare col parroco. A partire dal quarto anno di frequentazione dell'Istituto tecnico comincia a mostrare un particolare attaccamento alla propria terra d'origine, e nello stesso periodo si fa in lui più forte l'interesse per la politica. Comincia inoltre a leggere libri d'interesse politico-sociale. Nel 1939, ad Acquanegra, persuade i giovani del '22 a non arruolarsi nei battaglioni della Gioventù italiana Littorio. Nel 1940 decide di studiare al liceo classico e si prepara da solo nel corso dell'estate, con l'unico aiuto del parroco di Mariana Mantovana per lo studio del greco antico. Studia a Bergamo, dove pubblica tre poesie sul giornalino di classe da lui diretto e si dimostra antifascista. Nel 1943 ottiene il diploma e si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova.

Il Partito Socialista, la guerra e l'antifascismo
A Padova, nel 1943, Gianni Bosio s'iscrive al Partito Socialista. Nello stesso anno pubblica sull'"Eccoci!" di Cremona un racconto, intitolato L'avvenimento. Ad Acquanegra cerca di rappresentare La verità dei pazzi, pubblicata su "Eccoci!" il 1° aprile da Renato Saita; lo spettacolo, velatamente antifascista, viene censurato prima di andare in scena. Nel 1944 contribuisce ad organizzare un gruppo di giovani socialisti ad Acquanegra, uniti alla cellula comunista del paese, cosa che porterà Bosio a scontrarsi proprio con uno dei dirigenti delle brigata Garibaldi. Nell'estate del '44 Bosio subisce una prima perquisizione da parte dei fascisti. Il suo gruppo, intanto, si allarga a comprendere altre località vicine (Canneto sull'Oglio, Asola). Il 30 luglio diversi antifascisti della zona vengono arrestati, alcuni saranno poi fucilati a Verona il 31 agosto (Arini e Accorsi). Bosio si salva nascondendosi a casa di sua zia Speranza. Poco dopo il gruppo di giovani socialisti acquanegresi si distacca dai comunisti ed assume un'impronta apartitica. L'organizzazione militare del gruppo si affina sempre di più, creando sottogruppi, ciascuno con un suo capo. Gli antifascisti acquanegresi compiono diverse azioni di disturbo ai danni dei mezzi nazifascisti. A causa di un attentato al vicebrigadiere della Gnr, ad opera del gruppo Boninsegna (indipendente dal gruppo di Bosio), su Acquanegra si riversano numerose forze fasciste e naziste, costringendo Bosio a fuggire dal paese e a rifugiarsi a Brescia, dove tenterà di prendere contatti con le formazioni partigiane della Val Trompia, e in seguito a Parabiago, dove assumerà l'incarico di coordinamento fra i giovani socialisti e gli intellettuali. A Natale viene condotto a Bizzozzero di Varese, nascosto presso un commerciante amico dello zio. Nel febbraio 1945 torna alla sua attività di antifascista fra Parabiago e Milano, che porterà avanti fino alla Liberazione.

Dopo la guerra
Fra il 1945 e il 1947 Bosio collabora al giornale socialista mantovano "Terra nostra". La sua attività nel partito si intensifica. Ad Acquanegra fonda l'università popolare, a cura della quale pubblica un numero unico intitolato "La ciüsa". Nel 1946 passa alla rivista "Quarto Stato", organo dell'omonima corrente del partito. Nel1947 comincia la collaborazione con l'Avanti! di Milano ed incontra Gioetta Dallò, con la quale avrà una lunga relazione sentimentale. Nello stesso anno si laurea all'Università statale di Milano, dove si era trasferito da Padova. Nel 1948 entra in polemica con Franco Fortini sulle pagine dell'Avanti! riguardo a Il lungo viaggio diRuggero Zangrandi. Nel 1949 pubblica l'importante L'arresto di Carlo Cafiero a Milano e nello stesso anno fonda "Movimento operaio", una rivista di studi storici. Nel 1950 viene eletto presidente della sezione Vittoria del Psi a Milano. Nel 1953 viene estromesso dalla rivista "Movimento operaio" su decisione dell'editoreGiangiacomo Feltrinelli e assume la direzione delle Edizioni Avanti!. Nel 1955 pubblica in 1000 copie gli scritti italiani di Marx ed Engels. Nel 1956 inaugura la collana Biblioteca Socialista ed entra a far parte di Mondo Operaio. Nel 1959 apre la collana "La condizione operaia in Italia"; sulle pagine dell'Avanti comincia a mostrare i suoi interessi per la musica popolare. Nel suo paese natale, Acquanegra, organizza una mostra di vedute ad acquerello dipinte da Riccardo Musoni.Cura il lunario per l'anno successivo.

Gli anni Sessanta
Nel 1960 le edizioni Avanti! pubblicano Canti della Resistenza italiana, a 33 giri. Bosio coordina anche l'Almanacco socialista 1960 e pubblica insieme ad altri «I quaderni del Labriola». Nel 1961 comincia a registrare i canti popolari, recandosi a Carrara per incidere i canti anarchici con il magnetofono. Nel 1962 comincia a produrre dischi di canto popolare; comincia anche a raccogliere testimonianze orali su Acquanegra e in generale sul Cremonese e sul Mantovano. Nello stesso anno cura anche la Bibliografia essenziale dei canti sociali italiani. Nel 1964, a Milano, organizza, dal 6 marzo al 15 maggio, «L'altra Italia». Prima rassegna italiana della canzone popolare e di protesta vecchia e nuova, in otto serate. Presenta uno spettacolo al Festival dei Due Mondi di Spoleto, in seguito al quale riceverà, insieme a Roberto Leydi, Filippo Crivelli, Franco Fortini e Michele L. Straniero, una denuncia per vilipendio all'esercito. Comincia a registrare i canti popolari dellaSardegna, sempre col magnetofono. Nel 1968 cura la pubblicazione di I giorni cantati. Ricerche, riproposte, verifiche del Gruppo Padano di Piàdena.

La morte
Gianni Bosio muore improvvisamente all'ospedale di Mantova, in seguito a due interventi chirurgici. La sua salma riposa nel cimitero di Acquanegra sul Chiese.
Molto bella per il suo significato è l’intervista su di lui di Ivan Della Mea. Leggi qui.

▪ 1979 - Giuseppe Meazza (Milano, 23 agosto 1910 – Rapallo, 21 agosto 1979) è stato un calciatore e allenatore di calcio italiano, di ruolo attaccante. Considerato uno dei miglior calciatori italiani di tutti i tempi, è stato Campione del Mondo con la Nazionale italiana nel 1934 e nel 1938.

«Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario[» (Gianni Brera)

▪ 1983 - Benigno Simeon "Ninoy" Aquino Jr. (Conception, 27 novembre 1932 – Manila, 21 agosto 1983) è stato un politico filippino, marito dell'undicesimo Presidente delle Filippine, Cory Aquino.
Eroe nazionale e molto amato dal popolo filippino, è morto nel 1983 nell'Aeroporto Internazionale di Manila (che ora si chiama Ninoy Aquino International Airport, proprio in suo onore) mentre stava scendendo dall'aereo che ha utilizzato per tornare dagli Stati Uniti, dopo il suo esilio. I suoi assassini non sono ancora stati scoperti e la sua morte è ancora oggi misteriosa. Secondo alcune voci venne ucciso da agenti militari, altre dicono che sia stato Ferdinand Marcos a farlo uccidere, visto il notevole prestigio che Ninoy aveva tra le varie frange dell'opposizione politica. Aquino è stato anche senatore e governatore della provincia di Tarlac. La sua vedova, Cory Aquino, ha preso il posto di Marcos dopo 20 anni di regime dittatoriale. Dal 2004, ogni anniversario della sua morte viene considerato giorno di festa nazionale e ha preso il nome di Ninoy Aquino Day.

Origini
Benigno Servillano Aquino nacque a Conception, Tarlac, da una ricca famiglia di hacienderos (ricchi proprietari di terre). Suo nonno, Servillano Aquino, fu generale nell'armata rivoluzionaria di Emilio Aguinaldo, mentre il padre, Benigno Aquino Sr. (1894-1947), fu un ufficiale dell'esercito filippino (sponsorizzato dal governo giapponese) sotto il comando di José P. Laurel. Sua madre, Aurora Aquino, era cugina di terzo grado di suo padre. Benigno Sr. morì quando Ninoy era ancora un ragazzo e mentre circolava voce che stesse collaborando con i giapponesi durante la loro occupazione.
Ninoy frequentò scuole private di prestigio, come il St. Joseph's College, l'Ateneo de Manila e il De La Salle. Finì le scuole medie al San Beda College, per poi proseguire all'Ateneo de Manila per ottenere un bachelor nelle arti, ma interruppe i suoi studi.

▪ 1995 - Subrahmanyan Chandrasekhar (Lahore, 19 ottobre 1910 – Chicago, 21 agosto 1995) è stato un fisico, astrofisico e matematico indiano naturalizzato statunitense.
Nacque a Lahore in Pakistan (all'epoca India Britannica). Resse la presidenza del college di Madras (l'attuale Chennai, in India), ove si era laureato in fisica.
Divenne celebre in tutto il mondo semplicemente come Chandra. Non fu solo nel campo della matematica che egli eccelse. In gioventù frequentò anche un master in Germania, divorò ogni cosa, da Shakespeare a Hardy, e poteva leggere 100 pagine in un'ora "molto facilmente". Chandrasekhar era nipote del fisico Chandrasekhara Venkata Raman, vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1930.
Anch'egli fu premiato con il Nobel per la Fisica nel 1983 per i suoi studi riguardanti importanti processi fisici sulla struttura e sulla evoluzione delle stelle, in riferimento soltanto ai suoi primi studi e rendendo quindi riduttive le imprese di tutta la sua vita. Queste possono essere intraviste nelle note a piè pagina nella sua Lezione Magistrale alla cerimonia di consegna del Nobel.
Lavorò presso la facoltà di fisica dell'Università di Chicago dal 1937 fino alla sua morte nel 1995 all'età di 84 anni. Fu naturalizzato cittadino degli Stati Uniti nel 1953.

Limite di Chandrasekhar
Uno dei maggiori contributi dati alla causa dell'astrofisica prende il nome di "Limite di Chandrasekhar". Esso costituisce un valore critico nelle scale di grandezza delle stelle. In particolare il Limite di Chandrasekhar (pari a circa 1,44 volte la massa solare) segna la massa complessiva oltre o in corrispondenza della quale una stella, al termine della propria "Main sequence", della fase cioè di bilanciamento tra forza gravitazionale ed energia termonucleare sprigionata dalla fusione degli atomi di idrogeno, è destinata a collassare sotto il peso di tale massa e ad assumere la forma di un buco nero. Una stella invece con una massa complessiva al di sotto del Limite è destinata a tramutarsi in nana bianca.