Il calendario del 20 Marzo

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1602 - Viene fondata la Compagnia delle Indie Orientali Olandesi

▪ 1731 - Terremoto di Foggia

▪ 1739 - Nadir Shah occupa Delhi in India e saccheggia la città rubando i gioielli del Trono del Pavone

▪ 1760 - Il "Grande Incendio" di Boston distrugge 349 edifici

▪ 1800 - Alessandro Volta rende pubblica l'invenzione della sua pila

▪ 1815 - Inizio dei Cento giorni di Napoleone, che entra a Parigi, dopo essere fuggito dall'Isola d'Elba, alla testa di un esercito regolare di 140.000 uomini e di una forza di circa 200.000 volontari

▪ 1852 - Viene pubblicato La capanna dello zio Tom, di Harriet Beecher Stowe

▪ 1883 - Firma della Convenzione di Parigi per la tutela della proprietà industriale

▪ 1899 - Martha M. Place è la prima donna ad essere condannata alla sedia elettrica negli USA

▪ 1913 - Sung Chiao-jen, uno dei fondatori del Partito Nazionalista Cinese (Kuomintang), viene ferito in un tentativo di assassinio e morirà due giorni dopo

▪ 1916 - Albert Einstein pubblica la sua teoria della relatività

▪ 1941 - Durante la repressione nazista, il ghetto di cracovia viene sgomberato e tutti gli ebrei trasferiti nei campi di concentramento

▪ 1944 - Eruzione del Vesuvio

▪ 1952 - Il Senato degli Stati Uniti ratifica il trattato di pace con il Giappone

▪ 1956 - La Tunisia ottiene l'indipendenza dalla Francia

▪ 1964 - L'ESRO (European Space Research Organization, precorritrice dell'Agenzia Spaziale Europea) viene fondata in base ad un accordo del 14 giugno 1962

▪ 1966 - La Coppa Rimet viene rubata dalla Central Hall di Londra

▪ 1969 - John Lennon sposa Yoko Ono

▪ 1974 - Fallito tentativo di rapimento della Principessa Anna e del marito, Capitano Mark Phillips sul Mall, fuori Buckingham Palace, Londra

▪ 1986

  1. - Nel supercarcere di Voghera viene avvelenato Michele Sindona con un caffè al cianuro. Sindona era stato condannato per l'omicidio Ambrosoli. Morirà due giorni dopo
  2. - Jacques Chirac diventa primo ministro di Francia per la seconda volta

▪ 1987 - La Food and Drug Administration statunitense approva il farmaco anti-AIDS, AZT

▪ 1993 - Una bomba dell'IRA esplode a Warrington, nell'Inghilterra nord-occidentale, uccidendo due bambini

▪ 1994 - A Mogadiscio, in Somalia vengono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

▪ 1995 - Un attacco terroristico con gas Sarin alla metropolitana di Tokio provoca 12 morti e oltre 1300 feriti

▪ 2003 - Inizia la Seconda guerra del golfo con l'invasione dell'Iraq da parte delle forze angloamericane

Anniversari

▪ 1413 - Enrico di Bolingbroke in inglese: Henry (of) Bolingbroke (pronounced /ˈbɒlɪŋˌbrʊk/) (Bolingbroke, 3 aprile 1367 – Westminster, 20 marzo 1413) fu re d'Inghilterra dal 1399 alla sua morte.

Re d'Inghilterra
L'incoronazione di Enrico, il 13 ottobre, 1399, fu di notevole importanza perché fatta per la prima volta in lingua inglese dalla Conquista normanna. Durante il primo anno di regno Enrico si consultò frequentemente con il parlamento, ma molte volte si trovava in disaccordo, soprattutto riguardo la materia ecclesiastica. Su consiglio di Arundel, Enrico fu il primo re inglese che permise il rogo per gli eretici, in primo luogo per sopprimere il movimento dei Lollardi. Comunque tra i fautori di Enrico, alcuni si sentirono non gratificati a sufficienza per cui cominciarono ad appoggiare il giovane, Edmondo Mortimer.
Nel 1403, gli zii di Edmondo, il fratello di suo padre, Edmondo Mortimer, col cognato, Enrico Percy, si erano accordati con il principe di Galles, Owain Glyndŵr, per detronizzare Enrico IV, a favore di Edmondo, ma fallirono e Enrico Percy morì in battaglia.
Nel 1405, un gruppo di nobili si ribellò a Enrico IV e riuscì a rapire il giovane Edmondo Mortimer ed il fratello Ruggero che si trovavano a Windsor, per condurli nel Galles, nella contea di March[9], ma i due Mortimer furono ripresi a Cheltenham, prima di giungere in Galles. Comunque, l'opposizione venne sconfitta definitivamente e coloro che erano stati fatti prigionieri vennero processati e giustiziati.

▪ 1619 - Ippolito Galantini (Firenze, 12 ottobre 1565 – Firenze, 20 marzo 1619) è stato una religioso italiano venerato come beato dalla Chiesa cattolica.
Suo padre era un tessitore ed egli stesso venne avviato al telaio, ma forte fu la sua vocazione alla catechesi, che lo portò fin dall'adolescenza a istruire i coetanei su questioni della fede, creando un gruppo di devoti a lui legati.
L'arcivescovo Alessandro de' Medici fu colpito dalla sua figura e lo nominò, sebbene giovanissimo, maestro di dottrina cristiana presso la chiesa di Santa Lucia al Prato, pur essendo laico, come rimase per tutta la vita. A soli 17 anni, dopo essere stato rifiutato dai cappuccini per la salute cagionevole, fu a capo della Congregazione di Santa Lucia e poi di quella del Santissimo Salvatore. Conduceva una vita di grandi sacrifici in nome della religione (digiunava tre volte alla settimana, mangiava solo cose povere e di notte dormiva pochissimo per poter pregare), che destò l'ammirazione di molti, radunado un certo numero di seguaci.
Quando i francescani di Ognissanti gli donarono un terreno che faceva parte dell'orto del loro convento a Firenze, grazie alle coispicue donazioni anche della famiglia granducale e dell'arcivescovo Alessandro de' Medici, poté far costruire un grande oratorio che venne iniziato il 14 ottobre 1602. Qui poté occuparsi della sua attività di catechesi in maniera autonoma. La sua attenzione fu sempre rivolta soprattutto all'istruzione dei ceti più modesti della popolazione e durante gli anni trovò sempre anche il tempo di aiutare il padre nel lavoro. Nel 1604, completato l'oratorio, fondò la Congregazione di San Francesco della Dottrina cristiana, che ebbe un notevole successo fin dall'inizio, diffondendosi anche in altre località toscane e emiliane, dove fu inviato a istruire i suoi seguaci.
La Congregazione venne detta anche popolarmente Compagnia dei Vanchetoni, l'andare silenzioso (cheto) dei confratelli nelle processioni. Raccontò la sua esperienza di apostolato nell'opera Esercizi delle scuole di spirito. Sopravvisse alla peste e ad una caduta in Arno.
Morì nel 1619 a Firenze e la grande fama richiamò un gran numero di persone che, mosse dalla dalla sua fama di miracolatore e taumaturgo, cercarono di toccarne il corpo, minacciando la funzione: allora l'arcivescovo dovette minacciare la comunica per chi toccava il corpo, in modo da proteggerlo da quegli slanci.
raggiunta fece sì che il suo sepolcro divenne da subito meta di pellegrinaggio. Venne dichiarato venerabile nel 1756 da Benedetto XIV e fu beatificato il 19 giugno 1825 da papa Leone XII.
La sua festa è celebrata il 20 marzo, anniversario della morte.

▪ 1865 - Giuseppe Domenico Botto (Moneglia, 4 aprile 1791 – Torino, 20 marzo 1865) è stato un fisico italiano.
Studiò all'Università di Genova e all'École Polytechnique di Parigi.
Nel 1821 era capitano del genio, ma fu costretto a lasciare l'esercito per aver partecipato ai moti anti-austriaci di Alessandria. Nel 1828 fu tuttavia nominato professore alla cattedra di Fisica generale e sperimentale all'Università di Torino, che comportava anche la direzione del laboratorio sperimentale.
Dal punto di vista scientifico si occupò dei fenomeni termici, chimici e magnetici prodotti dalla corrente elettrica. Si occupò di macchine elettriche: nel 1830 descrisse in una nota un prototipo di motore elettrico a cui si stava lavorando e ne pubblicò a Torino la descrizione intorno al 1836, in una Memoria intitolata "Machine Loco-motive mise en mouvement par l'électro-magnétisme".
Un apparecchio costruito sulla base della sua descrizione negli anni 1840 faceva parte della collezione di strumenti scientifici dei granduchi di Toscana, ora conservata nell'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze. Negli anni seguenti pubblicò altri lavori riguardanti il miglioramento dell'efficienza dei motori elettrici.
Ottenne inoltre l'elettrolisi dell'acqua mediante un generatore manuale di scintille elettriche, la "calamita elettrica" ideata da Leopoldo Nobili e Vincenzo Antinori sulla base della scoperta dell'induzione elettromagnetica, fatta da Michael Faraday nel 1831.
Si occupò anche di altre materie e nel 1846 pubblicò una nota per il miglioramento dell'agricoltura in Piemonte ("Catechismo agrologico. ossia principii di Scienza applicati all'Agricoltura"). Nel 1849 propose un nuovo sistema di trasmissione e codifica per il telegrafo elettrico (degli appunti su questo argomento sono stati recentemente scoperti negli archivi del Museo Sanguineti Leonardini di Chiavari.

▪ 1894 - Lajos Kossuth , in Italia noto anche come Luigi Kossuth (Monok, 19 settembre 1802 – Torino, 20 marzo 1894) è stato un politico ungherese.
Fu a capo dell'ala democratico-radicale dei nazionalisti ungheresi che attuò l'indipendenza dell'Ungheria dall'Impero austriaco durante i moti del 1848 e che durò fino all'agosto del '49 sempre di quel secolo.
Famiglia
Lajos Kossuth è nato a Monok, in Ungheria, una piccola cittadina nella provincia di Zemplén, come il primo di quattro figli. Suo padre apparteneva alla piccola nobiltà, aveva una piccola azienda ed è stato un avvocato di professione. Gli antenati della famiglia Kossuth avevano vissuto nella contea di Turóc, nel nord dell'Ungheria, a partire dal XIII secolo.
La madre di Lajos Kossuth, Karolina Weber, è nata da una famiglia luterana.

I primi anni
La madre ha cresciuto i figli con un'altrettanto rigorosa istruzione luterana. Kossuth ha completato la sua formazione presso un collegio calvinista di Sárospatak, e all'Università degli Studi di Pest (oggi Budapest). Poco più che diciannovenne, entrò nella prassi giuridica del padre. Era popolare a livello locale: è stato nominato amministratore per la contessa Szapáry, una vedova con grandi patrimoni.
Poco dopo essersi dimesso dalla contessa Szapàry, Kossuth venne raccomandato come segretario presso il conte Hunyady alla Dieta nazionale.
Considerato un eroe nazionale ungherese una sua statua è stata posta nel colonnato della Piazza degli Eroi in Budapest

▪ 1914 - Giuseppe Mercalli (Milano, 21 maggio 1850 – Napoli, 20 marzo 1914) è stato un geologo, sismologo e vulcanologo italiano.
Proveniente da una famiglia cristiano cattolica (ha una nipote suora, direttrice delle Marcelline) prende gli ordini sacerdotali nel 1872, rimanendo abate per poter proseguire gli studi di sismologia. Allievo del geologo lombardo Antonio Stoppani, nel 1874 consegue la Laurea in Scienze Naturali. Insegna quindi scienze naturali al seminario di Monza. Al periodo 1880-1913 si può circoscrivere la sua attività di ricerca. Studia inizialmente i depositi glaciali alpini in Lombardia, dunque diventa insegnante di scuole secondarie religiose a Monza, per le quali realizza anche testi scolastici.
Nel 1885 insegna a Reggio Calabria, per poi ottere la libera docenza e diventare professore di geologia e mineralogia all'Università di Catania.
A partire dal 1892 insegna vulcanologia e sismologia all'Università di Napoli. Nella stessa città, nel 1911, sostituisce Vittorio Matteucci come direttore dell'Osservatorio Vesuviano. Progetta una riforma dell'Osservatorio stesso, basata su un programma di ricerca che prevedeva lo studio del vulcano partenopeo e delle sue eruzioni, la registrazione dell'attività sismica e presismica (precursori), oltre all'osservazione e valutazione dei risultati di misurazioni sul campo.
Nel periodo che va dal 1892 al 1911, frattanto, insegna al Liceo Vittorio Emanuele di Napoli (maestro, tra gli altri, di Giuseppe Moscati). Fra i suoi collaboratori, Achille Ratti, che sarebbe salito al soglio pontificio come Pio XI, del quale Mercalli era stato professore ai tempi del Seminario di Milano e del quale rimase sempre amico.
Il 20 marzo 1914 muore tragicamente nel rogo che si sviluppa in casa propria, in via Sapienza a Napoli.
Opere
Ha pubblicato circa 115 tra studi, ricerche e osservazioni su pubblicazioni periodiche, ed è stato membro di importanti associazioni scientifiche. Ha realizzato per primo una carta sismica del territorio italiano, dopo aver posto il problema di tale lacuna. Diventato celebre per la scala che porta il suo nome (Scala Mercalli), che misura l'intensità delle scosse sismiche in base agli effetti prodotti, che, inizialmente di dieci gradi, fu modificata con un grado ulteriore prima, nel 1908, a seguito del terremoto di Messina; e successivamente, fino a essere composta di 12 gradi e diventar nota come scala MCS (Mercalli, Cancani, Sieberg).
Viene insignito dell'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia per meriti scientifici. Dà il nome alla Sindrome di Mercalli, detta anche sindrome cenestetica inesplicabile, che è l'insieme di reazioni che colpiscono soprattutto gli animali prima dei sismi (nausea, eccitazione nervosa, tremolio delle membra)

▪ 1962 - Charles Wright Mills (Waco, 28 agosto 1916 – West Nyack, 20 marzo 1962) è stato un sociologo statunitense. È ricordato soprattutto per aver studiato la struttura del potere negli Stati Uniti nel suo libro Le élite del potere. Tale struttura secondo Mills è costituita dalla triade della élite economica, di quella politica e di quella militare.
C.W.Mills era un convinto sostenitore della responsabilità degli intellettuali nella società successiva alla seconda guerra mondiale. Secondo lui erano necessari prese di posizione ed impegno al posto di un disinteressato interesse accademico, in modo da costituire un "apparato di comprensione pubblica" e di "coscienza collettiva" in grado di contrastare le politiche delle elites istituzionali, espresse nella triade economica, politica, militare.
Dal 1941 al 1945 è professore associato di sociologia alla University of Maryland di College Park, Maryland. Dal 1945 al 1948 è direttore del Labor Research Division del Bureau of Applied Social Research (BASR) della Columbia University di New York City, N.Y. coordinato da Paul F. Lazarsfeld (1901-1976). Dal 1945 al 1962 lavora al dipartimento di sociologia della Columbia University prima come lettore (1945-1946), poi come professore assistente (1946-1950), poi ancora come professore associato (1950-1956), infine come Full Professor (1956-1962). Dal 1954 al 1956 è anche lettore esterno al William Alanson White Institute of Psychiatry, Psychoanalysis, and Psychology in New York. Morì prematuramente nel marzo 1962 di un attacco cardiaco.
Sociologo di fama internazionale, considerato da alcuni uno dei maggiori del nostro tempo, ogni sua opera sollevò accese polemiche e scandalo specialmente negli Stati Uniti, la cui società fu esaminata con grande profondità nella sua analisi. Mentre i conservatori lo bollavano come "uomo di sinistra", i liberal si stupivano non avesse tenuto nella debita considerazione l'importanza politica ed istituzionale della Corte Suprema. D'altro canto l'ex Unione Sovietica, pur pubblicando il suo libro Le élite del potere come critica della società americana, concludeva nell'introduzione che l'autore era comunque schierato "nelle speranze e nelle simpatie dalla parte del mondo occidentale".
In realtà l'analisi di Mills prendeva in considerazione i profondi cambiamenti maturati nella società americana anche e soprattutto a causa della seconda guerra mondiale, al punto di arrivare a definirla "post-moderna". Tali cambiamenti spazzavano via le illusioni settecentesche di una possibile divisione dei poteri e vedevano anzi crescere in modo irresistibile la concentrazione dei poteri politico, militare, industriale. Concentrazione che si sarebbe poi chiaramente manifestata in quello che lo stesso presidente Eisenhower definì nel suo ultimo discorso "il pericoloso complesso militare-industriale".
Le élite del potere fu attentamente studiato da Fidel Castro e Che Guevara nelle prime fasi della rivoluzione cubana, che all'epoca Mills vedeva con simpatia come possibile terza alternativa tra capitalismo e comunismo.
Per dare un'idea dell'importanza di C.W. Mills, si pensi che alcuni studiosi (John H.Summers che insegna storia delle idee ad Harvard) sostengono che: "In relazione ai movimenti di rivolta globale del sessantotto, la CIA identificava C.W. Mills come uno dei più influenti intellettuali della Nuova Sinistra a livello mondiale, nonostante fosse morto già da sei anni".

* 1968 - Carl Theodor Dreyer (Copenaghen, 3 febbraio 1889 – 20 marzo 1968) è stato un regista e sceneggiatore danese, considerato tra i maggiori cineasti del mondo.
Sebbene la sua carriera sia durata quasi 50 anni, dagli anni dieci ai sessanta, la sua pignoleria, i metodi dittatoriali, lo stile di ripresa idiosincratico e l'ostinata devozione alla sua arte fecero in modo che la sua produzione fosse poco prolifica; preferendo la qualità, scelta che comunque l'ha portato a produrre alcuni dei maggiori classici del cinema internazionale.

* 1979 - Carmine Pecorelli (Sessano del Molise, 14 giugno 1928 – Roma, 20 marzo 1979) è stato un giornalista, avvocato e scrittore italiano, meglio conosciuto come Mino Pecorelli, che nell'ambito del giornalismo si occupò d'indagine politica e sociale. Da alcuni tacciato come ricattatore, venne assassinato a Roma in circostanze ancora non del tutto chiarite.
Fondò l'agenzia di stampa Osservatorio Politico (OP) che divenne poi anche una rivista.
Pecorelli era affiliato alla loggia massonica segreta P2.

Primi passi nella Roma politica
Dopo la laurea in Giurisprudenza, iniziò la carriera di avvocato, diventò un esperto di diritto fallimentare e fu nominato capo ufficio stampa del ministro Fiorentino Sullo, iniziando così ad entrare nel giornalismo.

Osservatorio Politico
Osservatorio Politico - OP era inizialmente una agenzia di stampa (registrata al Tribunale di Roma nel 1968); Pecorelli, proveniente dall'esperienza del periodico "Nuovo Mondo d'Oggi" - rivista vicina ad ambienti di potere, caratterizzata dalla ricerca e pubblicazione di scoop scandalistici - chiese ai propri referenti all'interno dei Servizi Segreti la possibilità ed il denaro necessario per aprire una attività paragiornalistica. OP trattava di politica, in particolare di scandali e retroscena, e comunque di chi in qualche modo aveva qualche potere in Italia, fornendo notizie in anteprima che Pecorelli stesso raccoglieva grazie alle sue numerosissime aderenze in molti ambienti dello Stato, ed accompagnandovi analisi dello stesso.
La testata (il cui nome coincideva con l'acronimo in uso per "ordine pubblico", locuzione di molte accezioni negli ambienti frequentati) divenne presto molto nota ed ebbe anche una certa centralità in ambiti politici, militari e di intelligence, costituendo una sorta di elitaria fonte di comunicazione o di informazione specializzata: politici, dirigenti statali, militari, agenti segreti (e forse anche criminali d'alto bordo) la leggevano con frenetica costanza per scorgervi acute indicazioni su cosa era successo o sagaci previsioni su cosa stava per accadere.
Di diffusione settoriale, la velina settimanale di OP era destinata ad una selezionata lista di abbonati, che comprendeva le alte sfere militari, politiche ed industriali del Paese. Nel marzo del 1978 Pecorelli annunciò la decisione piuttosto sorprendente di trasformare l'agenzia in un periodico regolarmente in vendita nelle edicole. L'operazione stupì perché il Pecorelli stesso non disponeva del budget richiesto da una simile avventura editoriale - difatti lo stesso giornalista chiese spesso a personaggi di spicco delle sovvenzioni pubblicitarie per la sua rivista - e soprattutto per lo stupefacente e sospetto tempismo tra il primo numero del settimanale "OP" e la strage di via Mario Fani a Roma con cui iniziò il periodo dei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro. Il periodico si occupò a più riprese del rapimento e dell'omicidio dello statista democristiano, arrivando a fare rivelazioni in anteprima sconcertanti - ad esempio sulla falsità del "Comunicato nr. 7", quello del Lago della Duchessa; altri bersagli privilegiati di Pecorelli furono Giulio Andreotti ed in particolare la conventicola di politici, industriali e faccendieri che alimentava la sua corrente: esemplare l'episodio di una cena in cui il braccio destro di Andreotti, l'on. Franco Evangelisti cercò di convincere Pecorelli, con un assegno di lire 300 milioni a non pubblicare un reportage sugli assegni milionari che il bancarottiere Nino Rovelli aveva girato all'uomo forte della DC. Altri scandali rimarcabili regolarmente pubblicati furono quello dell' ital petroli e la presunta presenza di una loggia massonica in Vaticano (scoop pubblicato all'indomani della elezione di Albino Luciani al soglio pontificio).
In sede giudiziale si è ampiamente dibattuto se Pecorelli fosse un ricattatore professionista, visto il tenore e gli argomenti della quasi totalità delle sue inchieste, ma tale tesi è stata bocciata dopo l'esame patrimoniale eseguito dopo il suo assassinio: il giornalista risultava perennemente indebitato con tipografie e distributori del proprio giornale ed il suo spartano tenore di vita non poteva certo essere paragonato con quello di chi stava ricattando. La morte del discusso personaggio segnò anche la fine della breve vita di "OP": l'agenzia prima e la rivista poi erano alimentate esclusivamente dalle notizie che Pecorelli raccoglieva in prima persona dalle sue fonti nel mondo politico, nella P2 ed all'interno dell'Arma dei Carabinieri e dei Servizi.

Giornalista, cronista e storico
Pecorelli aveva una singolare predisposizione, quasi un dono, a scorgere immediatamente fra le righe di uno scarno comunicato o nella banalità di una semplice frase indizi rivelatori di oscuri collegamenti, occulte manovre, recondite intenzioni. Dotato di spiccato senso storico e grandissimo conoscitore della realtà politica, militare, economica e criminale italiana, riusciva a tradurre gli apparentemente innocui avvenimenti in corso in deduzioni che registravano con scabra fedeltà chi faceva cosa in Italia. Va detto che il corpus delle sue edizioni è stato oggetto di una mole impressionante di smentite (soprattutto dopo la sua morte), ma stranamente pochissime accuse hanno resistito in sede giudiziaria di fronte a querele o ad altri procedimenti.
Si è discusso se abbia, nelle sue analisi, inviato talvolta messaggi in codice.
La particolarità del lavoro che svolse, sia per argomenti trattati che per modo di trattarne, fece sì che molte delle sue indicazioni potessero essere sinteticamente definite da altri colleghi "profezie", come ad esempio le note righe sul "generale Amen", nome dietro al quale molti hanno letto la figura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: sarebbe lui che - secondo la narrazione del Pecorelli - durante il sequestro Moro avrebbe informato il ministro dell'interno Francesco Cossiga dell'ubicazione del covo in cui era detenuto (ma, sempre stando a questa ipotesi, Cossiga non avrebbe "potuto" far nulla poiché obbligato verso qualcuno o qualcosa). Il generale Amen, sostenne Pecorelli nel 1978, senza mezzi termini, sarebbe stato ucciso; per il movente, infilò fra le righe un'allusione alle lettere che Moro scrisse durante la sua prigionia.
Dopo l'omicidio dello statista, Pecorelli aveva pubblicato sulla sua rivista, nel frattempo divenuta settimanale, alcuni documenti inediti sul sequestro, come tre lettere inviate alla famiglia. La ricerca lo aveva portato, ormai senza forse, a scoprire alcune verità scottanti, tanto che profetizzò anche il suo stesso assassinio.

Il delitto
La sera del 20 marzo 1979 fu ucciso nel quartiere Prati di Roma, poco lontano dalla redazione del suo giornale, con quattro colpi di una pistola calibro 7,65. I proiettili trovati nel suo corpo sono molto particolari, della marca Gevelot, assai rari sul mercato (anche su quello clandestino), ma dello stesso tipo di quelli che sarebbero poi stati trovati nell'arsenale della Banda della Magliana nascosto nei sotterranei del Ministero della Sanità.
L'indagine aperta all'indomani del delitto coinvolse nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della Banda della Magliana), Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti, tutti poi prosciolti il 15 novembre 1991.
Nei mesi a seguire le ipotesi sul mandante e sul movente nacquero a grappoli: da Gelli e la mafia, fino ad arrivare ai petrolieri ed ai falsari (Antonio Chichiarelli appartenente pure lui alla Banda della Magliana) di De Chirico. La supposta relazione tra l'omicidio Moro e quello di Pecorelli, teoria che attualmente gode del maggior credito, venne fuori solo più tardi.
Effetti giudiziari
Il 6 aprile 1993, il pentito Tommaso Buscetta, interrogato dai magistrati di Palermo, parlò per la prima volta dei rapporti tra politica e mafia e raccontò, tra le altre cose, di aver saputo dal boss Gaetano Badalamenti che l’omicidio Pecorelli sarebbe stato compiuto nell’interesse di Giulio Andreotti.
Si aprì un fascicolo sul caso, ed in questo faldone vennero nel tempo ad accalcarsi, grazie alle deposizioni di alcuni pentiti della banda della Magliana, Andreotti, l'allora pm Claudio Vitalone, Badalamenti, Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera, Carminati e diversi altri personaggi di quella stagione della storia nazionale.
Il 24 settembre 1999 fu emanata la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati "per non avere commesso il fatto".
Il 17 novembre 2002, in appello, Andreotti e Badalamenti furono condannati a 24 anni di reclusione per essere stati i mandanti dell'omicidio. La corte d'appello confermò invece l'assoluzione per i presunti esecutori materiali del delitto.
Il 30 ottobre 2003 la Corte di Cassazione annullò senza rinvio la condanna a 24 anni inflitta al senatore a vita Giulio Andreotti e a Badalamenti dalla corte d’Assise d’appello di Perugia.

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* 1981 - Angelo Penna (Pereto, 22 aprile 1917 – Perugia, 20 marzo 1981) è stato un religioso, teologo e biblista italiano.
Nato a Pereto il 22 aprile 1917. Prese i voti religiosi il 28 agosto 1934 a Gubbio: diviene religioso dei Canonici Regolari Lateranensi (congregazione del biblista abate Giuseppe Ricciotti). Alunno del Vercelli in Roma presso il Pontificio Ateneo Angelico, ora denominato Università di San Tommaso d'Aquino. Divenne sacerdote il 23 giugno 1940 in Roma. All'epoca si era portato allo studio della lingua greca, ebraica e di altre lingue orientali. Per questo, con l'ausilio dell'abate Giuseppe Ricciotti, i superiori gli permisero di frequentare il Pontificio Istituto Biblico di Roma (1941-1944) dove si laureò con il grado di dottore delle Sacre Scritture. Non solo si applicò agli studi biblici, ma anche alla disciplina patristica e alla storia della religione cristiana. Nel 1949 consegue il dottorato in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico.

Attività
La sua attività di studioso ha spaziato in vari campi: da quello propriamente biblico (in particolare i libri Profetici) a quello Patristico (San Girolamo, Sant'Agostino), a quello storico (Storia del Cristianesimo). Così fin dall'anno 1945 pubblicò un libro, San Paolo e poi altri a seguire. Pubblicò anche una ventina di libri minori. Non si devono poi dimenticare una serie di commenti inseriti in varie enciclopedie.
Non solo fu scrittore, ma anche maestro. Ottenuta la libera docenza in lingue semitiche (ebraico, siriaco, ...) insegna dapprima all'Università di Bari per sei anni, e dal 1967 all'Università di Perugia. Per breve tempo nella Pontificia Università Lateranense e per 25 anni in Roma nel Pontifico Instituto "Regina Mundi".
Fu socio della Pontificia Commissione Biblica e della Pontificia Commissione pro Neo Vulgata ed ancora della Associazione Biblica d'Italia. Officiò il ministero per anni nella parrocchia di Santa Agnese e successivamente nella parrocchia di San Eusebio all'Esquilino. Fu vicario generale della sua congregazione.
Morì d'infarto alle 4.30 del mattino del 20 marzo 1981 in Perugia, presso il locale Policlinico. Funerali si svolsero nella parrocchia di san Giuseppe in Via Nomentana. Fu sepolto nel cimitero di Pereto.

* 1992 - Armando Testa (Torino, 23 marzo 1917 – Torino, 20 marzo 1992) è stato un pubblicitario, disegnatore, animatore e pittore italiano.
Armando Testa è stato un noto disegnatore, cartoonist e autore grafico e di testi per il settore della pubblicità. Fece del minimalismo nel segno grafico e dell'immediatezza delle tag line le sue armi vincenti. L'agenzia pubblicitaria da lui creata è ancor oggi fra le prime, per fatturato e attività, operanti in Italia. Vedi Gruppo Armando Testa.
Testa fu avviato alla carriera artistica dal pittore astrattista Ezio D'Errico, conosciuto mentre frequentava la Scuola tipografica Vigliardi-Paravia. In particolare, fu lo stesso D'Errico che lo fece avvicinare all'arte contemporanea.
La sua a volte frenetica attività non trascurò neppure l'aspetto sociale, portato avanti con campagne pubblicitarie di Amnesty International e della Croce Rossa Internazionale.
Fra le molteplici figure da lui ideate nel corso di una lunghissima carriera, degni di particolare menzione sono i famosi Caballero misterioso, pistolero messicano, e Carmencita, sua innamorata, protagonisti di un famoso Carosello televisivo per una marca di caffè della torinese Lavazza, in voga negli anni settanta.
Altre pubblicità alle quali Testa ha legato il suo nome - spesso di aziende della sua città, Torino - sono state quelle per il digestivo Antonetto, la birra Peroni, i televisori Philco, i cappelli Borsalino, l'abbigliamento Facis, l'olio Sasso, il Punt e Mes, la Pirelli, la carne in scatola Simmenthal.
Torino, città natale di Testa, ha dedicato all'artista nel 2001, al castello di Rivoli, una mostra commemorativa dal titolo Less is more, in onore al suo minimalismo.
Alla 66esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, nel settembre 2009, viene presentato fuori concorso un documentario biografico di 50 minuti dal titolo "Armando Testa - povero ma moderno" per la regia di Pappi Corsicato

▪ 1994 - Ilaria Alpi (Roma, 24 maggio 1961 – Mogadiscio, 20 marzo 1994) è stata una giornalista italiana del TG3, uccisa in Somalia assieme all'operatore Miran Hrovatin.
Dopo il diploma conseguito presso il liceo ginnasio "Tito Lucrezio Caro" di Roma, si laureò in Lettere dopo aver seguito i corsi di lingue e cultura islamica presso il Dipartimento di Studi Orientali dell'Università degli studi di Roma "La Sapienza".
Grazie anche all'ottima conoscenza delle lingue (arabo, francese, inglese) ottenne le prime collaborazioni giornalistiche dal Cairo per conto di Paese Sera e de L'Unità.Successivamente vinse una borsa di studio per essere assunta alla Rai.
Ilaria Alpi fu uccisa mentre si trovava a Mogadiscio come inviata del TG3 per seguire la guerra civile somala e per indagare su un traffico d'armi e di rifiuti tossici illegali in cui probabilmente la stessa Alpi aveva scoperto che erano coinvolti anche l'esercito ed altre istituzioni italiane.

Il caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
La perizia della polizia scientifica ricostruì la dinamica dell'azione criminale, stabilendo che i colpi sparati dai kalashnikov erano indirizzati alle vittime, poiché l'autista e la guardia del corpo rimasero indenni.
Secondo alcune interpretazioni, i due giornalisti avrebbero scoperto un traffico internazionale di veleni, rifiuti tossici e radioattivi prodotti nei Paesi industrializzati e stivati nei Paesi poveri dell'Africa, in cambio di tangenti e armi scambiate coi gruppi politici locali. La commissione non ha però approfondito la possibilità che l'omicidio possa essere stato commesso per le informazioni raccolte dalla Alpi sui traffici di armi e di rifiuti tossici, che avrebbero coinvolto anche personalità dell'economia italiana.
Sulla "scena del delitto" erano presenti due troupes televisive: quella della svizzera italiana (RTSI) ed una americana (ABC).
Le immagini che ci sono giunte, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin colpiti ed accasciati nell'abitacolo del loro fuoristrada, sono state girate dall'operatore dell'Abc, di origine greca, trovato ucciso qualche mese dopo a Kabul in una stanza d'albergo. Vittorio Lenzi, operatore della troupe svizzera-italiana è rimasto vittima di un incidente stradale sul lungolago di Lugano (mai chiarito del tutto nella dinamica).

I lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta
Il 23 febbraio 2006 un'apposita commissione d'inchiesta parlamentare, dopo due anni di lavori, concluse i suoi lavori con due relazioni contrapposte.
Il suo presidente Carlo Taormina espresse la tesi che l'omicidio fosse avvenuto dopo un fallito tentativo di rapimento da parte di alcuni abitanti di Mogadiscio per un presunto risentimento dei somali nei confronti del popolo italiano. Queste dichiarazioni fecero eco a quelle del 7 febbraio 2006 quando dichiarò: «I due giornalisti nulla mai hanno saputo e in Somalia passarono una settimana di vacanze conclusasi tragicamente».
Nell'opposizione parlamentare ci si soffermò, invece, su alcune indubbie anomalie del modo di procedere della Commissione d'inchiesta, che potrebbero averne falsato le risultanze. Quella che nella XIV legislatura da uno dei suoi componenti (l'onorevole Vincenzo Fragalà) fu definita “l'unica Commissione parlamentare della storia della Repubblica che svolge sul serio l'attività di inchiesta (le altre hanno sempre fatto salotto)”, nel suo regolamento interno, il 3 marzo 2005 introdusse un articolo 10-bis riguardante le deliberazioni incidenti sulle libertà costituzionalmente garantite. Tale disciplina fu presentata dal Presidente di quella Commissione, Taormina, come la risposta ad un quesito posto da tempo in importanti scritti di costituzionalisti: quello di assicurare che la ricerca di un'azione investigativa fosse condivisa da tutte le forze politiche. In realtà, la ricchissima disamina della materia dell'articolo 82 della Costituzione riscontra un'esigenza di utilizzazione dello strumento numerico essenzialmente ad altro fine (quello dei maggiori o minori quorum da raggiungere per istituire una Commissione di inchiesta). Poco o nulla si rinviene, invece, sulla questione delle deliberazioni della Commissione d'inchiesta, che in tempi di consensualismo antico decidevano all'unanimità le modalità di esercizio dei loro poteri istruttori.
Si tratta di prassi che in tempi di contrapposizioni bipolari – e di impiego delle inchieste come mezzo di lotta politica – sono state abbandonate. Ma all'autosospensione dalla Commissione dell'allora deputato Mauro Bulgarelli, in quella circostanza Taormina rispose chiedendo a tutti di rispondere assicurando la prosecuzione dell'attività dell'organo: ecco perché la norma introdotta nel Regolamento interno tendeva a prevedere che per l'esercizio dei poteri coercitivi la Commissione potesse deliberare all'unanimità dei soli presenti.
La cosa fu accolta con favore dall'allora opposizione, in quanto veniva incontro ad un'esigenza di consacrazione dello statuto delle minoranze in un organo parlamentare. Ma sulla base di quella norma furono emanati dalla Commissione Taormina cinque decreti di perquisizione, presso abitazioni private o uffici pubblici; furono altresì disposte con decreto motivato intercettazioni di numerose utenze telefoniche, fisse e mobili, in un caso anche telematiche, per periodi di tempo anche prolungati.
È innegabile che, sulla scorta di quella norma, ricevette consacrazione di diritto positivo una prassi di esercizio del potere di inchiesta non meramente documentale: una coercizione nell'ingresso a luoghi e nella libertà e riservatezza delle persone, fino a quel momento tutt'altro che pacifica nel lavoro delle Commissioni di inchiesta. La giurisprudenza costituzionale, infatti, è estremamente prudente in ordine al compito delle Commissioni parlamentari di inchiesta, che “non è di giudicare, ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l'esercizio delle funzioni delle Camere” (sentenza n. 231 del 1975). In altri termini, non trattandosi di esercizio di funzioni di polizia né sanzionatorie, l'articolo 82 della Costituzione “pone un limite all'attività delle Commissioni parlamentari di inchiesta nei casi di incidenza su posizioni soggettive giuridicamente protette” (Cassazione penale, sezioni unite, 12 marzo 1983).
Nella relazione conclusiva della Commissione di cui era presidente, Taormina sostenne che la norma regolamentare in questione opera “da un punto di vista dei rapporti con i terzi, il rafforzamento delle garanzie del cittadino attinto da un provvedimento, il quale sarà posto in essere solo in quanto risultato positivo al giudizio di legittimità, di merito nonché di opportunità politica effettuato da tutti i membri dell'organismo parlamentare presenti in seduta”. Ma l'unica, vera garanzia è l'esistenza di un organo terzo cui affidare il controllo, in ordine alla riconducibilità della fattispecie al parametro di riferimento offerto dalla Costituzione.
È ben vero che le medesime sezioni unite dichiarano che il controllo giurisdizionale sulla legittimità di tali atti è ammissibile “solo al fine di accertare l'eventuale sussistenza di illeciti civili o penali, ma non può estrinsecarsi nell'annullamento o modifica dell'atto processuale che avrebbe causato la lesione del diritto”. Ma è altrettanto vero che “il giudice ha il potere di accertare incidentalmente l'eventuale illiceità del singolo atto processuale” della Commissione, cui i terzi hanno il dovere di sottostare. In altri termini, ad un sindacato si può sempre pervenire, e non è un caso che la sapienza giuridica dell'onorevole Taormina ponesse tale disciplina sotto l'usbergo del sistema parlamentare: norma regolamentare interna alla Commissione difficilmente potrebbe essere invocata dal terzo che sindacasse la liceità dell'atto coercitivo di provenienza di una Commissione di inchiesta.
Nella successiva legislatura una norma che seguiva la medesima struttura e finalità – anche se invece dell'unanimità dei presenti prevede la maggioranza dei due terzi dei componenti – fu proposta all'interno della legge istitutiva di una Commissione di inchiesta, quella antimafia. Alla luce della non più tanto recente giurisprudenza di cassazione sul risarcimento del danno inferto contra ius, è prevedibile che il cittadino attinto dal provvedimento possa invocare, dinanzi al giudice, le maggioranze interne alla Commissione (chiedendo il verbale per sapere se fu rispettata quella dei due terzi) o la motivazione dell'atto (per sindacarne l'apoditticità, incompletezza o contraddittorietà) come parametri alla stregua dei quali valutare l'illiceità del provvedimento incidente sui suoi diritti di libertà costituzionalmente garantiti. Pubblicando in Gazzetta ufficiale una norma di rango primario che entra nell'ordinamento generale dello Stato, si offre la possibilità di invocarne i contenuti, nonostante la totale carenza di giurisdizione che disciplina la materia dell'articolo 82 della Costituzione. Ciò con l'aggravante che non è più vero quanto scrivevano le sezioni unite nel 1983, quando sostenevano che la relativa responsabilità ricade “all'infuori della tutela dell'immunità parlamentare assoluta, ma con la consueta esigenza dell'autorizzazione a procedere contro l'imputato parlamentare” (visto che tale autorizzazione a procedere è stata abrogata nel 1993).
Infine, una parola sui numeri: il presidente Taormina sosteneva che “la brutalità dei numeri è certamente qualcosa che cozza con l'esigenza dell'accertamento dei fatti” [2]. Eppure, in materia di diritti pubblici di libertà non è giusto ciò che raggiunge il maggior numero di consensi: la legittimità non si vota, perché un errore di diritto può procedere anche dalla volontà della maggioranza.
È però vero che, nella Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, Leopoldo Elia invitò (consenziente il relatore Mattarella) a rimettere al Regolamento le questioni attinenti alle maggioranze, in ordine a tali Commissioni. Invece, in sede di Assemblea costituente, si ritenne necessario affrontare il problema dei doveri dei cittadini e dei funzionari nei confronti delle Commissioni di inchiesta perché ciò esulava dal campo specifico del regolamento delle Camere, che può interessare solo i rapporti interni.
In data 11 febbraio 2008 la Corte Costituzionale, Sentenza depositata 13 febbraio 2008), n. 26 ha dichiarato:
"...che non spettava alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin adottare la nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV), con la quale è stato opposto il rifiuto alla richiesta, avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, di acconsentire allo svolgimento di accertamenti tecnici congiunti sull'autovettura corpo di reato, ed annulla, per l'effetto, tale atto."
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