Il calendario del 20 Agosto
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Eventi
▪ 479 a.C. - La battaglia di Platea pone fine all'invasione persiana della Grecia, Mardonio viene messo in fuga da Pausania, il comandante spartano dell'esercito greco;
▪ 1794 - Battaglia di Fallen Timbers: truppe americane costringono una confederazione di guerrieri Shawnee, Mingo, Delaware, Wyandot, Miami, Ottawa, Chippewa e Potawatomi ad una fuga disorganizzata
▪ 1860 - Garibaldi sbarca in Calabria
▪ 1914 - Prima guerra mondiale: le forze tedesche occupano Bruxelles
▪ 1920 - La prima stazione radio commerciale, 8MK (WWJ), inizia l'attività a Detroit (Michigan)
▪ 1940 - Il rivoluzionario russo in esilio Leon Trotsky è ferito mortalmente a Città del Messico da un sicario. Morirà il giorno dopo.
▪ 1955 - In Marocco, una forza di Berberi proveniente dalla regione delle Montagne dell'Atlante (Algeria), compie un'incursione in un insediamento rurale, uccidendo 77 francesi.
▪ 1960 - Il Senegal si separa dalla federazione del Mali e dichiara l'indipendenza
▪ 1968 - 200.000 soldati del Patto di Varsavia e 5.000 carri armati, invadono la Cecoslovacchia per porre fine alla Primavera di Praga
▪ 1975 - Programma Viking: la NASA lancia la sonda planetaria Viking 1 in direzione di Marte
▪ 1977 - Programma Voyager: la NASA lancia la Voyager 2
▪ 1981 - Dopo 60 giorni di sciopero della fame, Mickey Devine è il decimo e ultimo detenuto repubblicano a morire nel carcere di Long Kesh, in Irlanda del Nord
▪ 1982 - Guerra civile libanese: una forza multinazionale sbarca a Beirut per supervisionare il ritiro dell'OLP dal Libano
▪ 1991
- - Crollo dell'Unione Sovietica: più di 100.000 persone si radunano fuori dal parlamento sovietico protestando contro il colpo di stato che ha deposto il presidente Mikhail Gorbachov
- - L'Estonia dichiara l'indipendenza dall'Unione Sovietica.
▪ 1998
- - La Corte Suprema del Canada sancisce che il Quebec non può secedere legalmente dal Canada senza l'approvazione del governo federale.
- - Attentati alle ambasciate statunitensi del 1998: l'Esercito statunitense lancia un attacco con missili cruise contro un presunto campo di addestramento di Al Qaeda in Afghanistan e contro una sospetta fabbrica chimica in Sudan, in rappresaglia contro gli attentati del 7 agosto alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. L'impianto farmaceutico di al-Shifa, a Khartoum, è distrutto nell'attacco.
▪ 2008 - Incidente all'aeroporto di Madrid: il Volo Spanair 5022 prende fuoco in fase di decollo: 154 morti e 18 feriti gravi.
Anniversari
▪ 1153 - Bernardo di Chiaravalle - in latino Bernardus Claravallensis, in francese Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153) è stato un religioso, abate e teologo francese, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux e di altri monasteri (ad esempio, in Italia, l'Abbazia di Chiaravalle).
Viene venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Canonizzato nel 1174 da papa Alessandro III, fu dichiarato Dottore della Chiesa, da papa Pio VIII nel 1830. Nel 1953 papa Pio XII gli dedicò l'enciclica Doctor Mellifluus.
Terzo di sette fratelli, nacque da Tescelino il Sauro, vassallo di Oddone I di Borgogna, e da Aletta, figlia di Bernardo di Montbard, anch'egli vassallo del duca di Borgogna. Studiò solo grammatica e retorica (non tutte le sette arti liberali, dunque) nella scuola dei canonici di Nôtre Dame di Saint-Vorles, presso Châtillon-sur-Seine, dove la famiglia aveva dei possedimenti.
Ritornato nel castello paterno di Fontaines, nel 1111, insieme ai cinque fratelli e ad altri parenti e amici, si ritirò nella casa di Châtillon per condurvi una vita di ritiro e di preghiera finché, l'anno seguente, con una trentina di compagni si fece monaco nel monastero cistercense di Cîteaux, fondato quindici anni prima da Roberto di Molesmes e allora retto da Stefano Harding.
Nel 1115, insieme con dodici compagni, tra i quali erano quattro fratelli, uno zio e un cugino, si trasferì nella proprietà di un parente, nella regione della Champagne, che aveva donato ai monaci un vasto terreno sulle rive del fiume Aube, nella diocesi di Langres perché vi fosse costruito un nuovo monastero cistercense: essi chiamarono quella valle Clairvaux, Chiara valle.
Ottenuta l'approvazione del vescovo Guglielmo di Champeaux e ricevute numerose donazioni, l'Abbazia di Clairvaux divenne in breve tempo un centro di richiamo oltre che di irradiazione: già dal 1118 monaci di Clairvaux partirono per fondare altrove nuovi monasteri, come a Trois-Fontaines, a Fontenay, a Foigny, a Autun, a Laon; alla morte di Bernardo le abbazie cistercensi erano 343, di cui 66 fondate o riformate da lui stesso. Per tutta la sua vita Bernardo fu strenuo difensore dell'ortodossia religiosa, della lotta contro le eresie e dell'autorità assoluta della Chiesa. Nel concilio di Sens del 1140, si scagliò contro le dottrine di Pietro Abelardo, che furono condannate; lottò inoltre contro Gilberto Porretano e Arnaldo da Brescia.
La seconda crociata del 1147 fu opera della sua predicazione.
I punti fondamentali della dottrina di Bernardo consistono nella negazione del valore della sola ragione, contrapposta all'esaltazione della vita mistica, considerata come la via dell'umiltà e della rinuncia ad ogni autonomia umana.
Bernardo si pronuncia senza riserve contro la ragione e la scienza: il desiderio di conoscere gli appare come «una turpe curiosità».[2]
Inoltre Il santo nega il valore dell'uomo, spingendolo a riconoscere il proprio nulla, al fine di ottenere la liberazione da tutti i legami corporei e di abbandonare completamente la sua volontà ai voleri divini. [3]
I concetti di Bernardo riguardanti la mistica e l'ascesi, come anche le tematiche politiche della “plenitudo potestatis” del pontefice e delle due spade, hanno profondamente condizionato tutto il Medioevo centrale e ultimo.[4]
Rapporti con gli altri religiosi
Nella Lettera 1, spedita verso il 1124 al cugino Roberto, Bernardo mostra di considerare la vita monastica dei benedettini di Cluny, allora all'apogeo del loro sviluppo, come un luogo che negava i valori della povertà, dell'austerità e della santità; egli rifiuta la teoria della regola benedettina della stabilitas - ossia del legame permanente e definitivo che dovrebbe stabilirsi fra monaco e monastero - sostenendo la legittimità del passaggio da un convento cluniacense a uno cistercense, essendovi in quest'ultimo professata una regola più rigorosa e più aderente alla Regola di San Benedetto, pertanto una vita monastica perfetta. La polemica fu da lui ripresa nell' Apologia all'abate Guglielmo, sollecitata da Guglielmo, abate del monastero di Saint-Thierry, che ebbe una risposta dall'abate di Cluny, Pietro il Venerabile, nella quale l'abate rivendicava la legittimità della discrezione nell'interpretazione della regola benedettina.
Nel 1130, alla morte di Onorio II, furono eletti due papi: uno, dalla fazione della famiglia romana dei Frangipane, col nome di Innocenzo II e un altro, appoggiato dalla famiglia dei Pierleoni, con il nome di Anacleto II; Bernardo appoggiò attivamente il primo che, nella storia della Chiesa, per quanto eletto da un minor numero di cardinali, sarà riconosciuto come autentico papa, grazie soprattutto all'appoggio dei maggiori regni europei (Anacleto secondo verrà considerato un antipapa).
Numerosi furono i suoi interventi in questioni che riguardavano i comportamenti di ecclesiastici: accusò di scorrettezza Simone, vescovo di Noyon e di simonia Enrico, vescovo di Verdun; nel 1138 favorì l'elezione a vescovo di Langres del proprio cugino Goffredo della Roche-Vanneau, malgrado l'opposizione di Pietro il Venerabile e, nel 1141, ad arcivescovo di Bourges di Pietro de La Châtre, mentre l'anno dopo ottenne la sostituzione di Guglielmo di Fitz-Herbert, vescovo di York, con l'amico cistercense Enrico Murdac, abate di Fountaine.
I Templari
Nel 1119 alcuni cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente di Bernardo, fondarono un nuovo ordine monastico-militare, l'Ordine dei Cavalieri del Tempio, con sede in Gerusalemme, nella spianata ove sorgeva il Tempio ebraico; lo scopo dell'Ordine, posto sotto l'autorità del patriarca di Gerusalemme, era di vigilare sulle strade percorse dai pellegrini cristiani. L'Ordine ottenne nel concilio di Troyes del 1128 l'approvazione di papa Onorio II e sembra che la sua regola sia stata ispirata da Bernardo, il quale scrisse, verso il 1135, l'Elogio della nuova cavalleria (De laude novae militiae ad Milites Templi).
L'interesse di Bernardo per le vicende politiche del suo tempo si manifestò anche in occasione dei conflitti che opposero il conte della Champagne, Tibaldo II, da lui sostenuto, al re Luigi VII di Francia e in occasione della repressione, nel 1140, del neonato Comune di Reims, operata dal suo pupillo cistercense, il vescovo Sansone di Mauvoisin.
Il conflitto con Pietro Abelardo
Grande fu la risonanza del conflitto che oppose Bernardo al filosofo Pietro Abelardo.
Nel 1140 Guglielmo di Saint-Thierry, cistercense del convento di Signy, scriveva al vescovo di Chartres, Goffredo di Lèves e a Bernardo, denunciando che due opere di Abelardo, il Liber sententiarum e la Theologia scholarium, contenevano, a suo giudizio, affermazioni teologicamente erronee, elencandole in un proprio scritto, la Discussione contro Pietro Abelardo.
Bernardo, «senza però leggere direttamente i testi incriminati (alcuni dei quali, di fatto, non erano di Abelardo)»[5], scrisse a papa Innocenzo II la Lettera 190, sostenendo che Abelardo concepiva la fede come una semplice opinione; davanti agli studenti parigini pronunciò il sermone de La conversione, attaccando Abelardo e invitandoli ad abbandonare le sue lezioni.
Abelardo reagì chiedendo all'arcivescovo di Sens di organizzare un pubblico confronto con Bernardo, da tenersi il 3 giugno 1140, ma questi, temendo l'abilità dialettica del suo controversista, il giorno prima presentò 19 affermazioni chiaramente eretiche, attribuendole ad Abelardo (seppur «non sempre con scrupolosa aderenza ai testi e al loro significato»[6]), chiamando i vescovi presenti a condannarle e invitando il giorno dopo lo stesso Abelardo a pronunciarsi in proposito.
Al rifiuto di Abelardo, che abbandonò il concilio, seguì la condanna dei vescovi, ribadita il 16 luglio successivo dal papa.
La lotta contro gli eretici
Nel 1144 il monaco Evervino di Steinfeld lo informò di un'eresia, di tipo pauperistico, diffusa in quel di Colonia, alla quale rispose con i Sermoni 63, 64, 65 e 66; l'anno successivo accolse l'invito del cardinale di Ostia, Alberico, a combattere un'eresia diffusa nella regione di Tolosa dal monaco Enrico di Losanna, seguace di Pietro di Bruys, critico nei confronti delle gerarchie ecclesiali e propositore di una vita improntata alla povertà e alla penitenza; in questa occasione, Bernardo ritenne necessario recarsi, insieme con il suo segretario Goffredo d'Auxerre a Tolosa. Ottenuta, dopo molti contrasti, una professione di fede, tornò a Chiaravalle e indirizzò una lettera agli abitanti di Tolosa - la Lettera 242 - nella quale esprimeva la sua convinzione che quelle dottrine fossero state definitivamente confutate.
Richiesto ancora di pronunciarsi sulle tesi trinitarie del vescovo di Poitiers e maestro di teologia a Parigi, Gilberto Porretano, nel 1148, nuovamente Bernardo tentò di far approvare da vescovi da lui riuniti a parte, una preventiva condanna che il sinodo da tenere il giorno successivo a Reims avrebbe dovuto semplicemente ratificare; questa volta, tuttavia, i vescovi non appoggiarono la sua iniziativa, tanto che Bernardo dovette cercare appoggio da papa Eugenio III. La difesa di Gilberto - che affermò di non aver mai sostenuto le tesi a lui contestate, frutto, a suo dire, di interpretazioni erronee dei suoi studenti - fece cadere ogni accusa.
La seconda crociata
Il 15 febbraio 1145, a Roma, nel convento di san Cesario, sul Palatino, il conclave eleggeva nuovo papa Eugenio III, abate del convento romano dei Ss Vincenzo e Anastasio; il nuovo papa, Bernardo Paganelli, conosceva bene Bernardo, per averlo incontrato nel concilio di Pisa del 1135 e per essersi ordinato cistercense proprio a Chiaravalle nel 1138. Bernardo, felicitandosi per l'elezione, gli ricordava curiosamente che si diceva «che non siete voi a essere papa, ma io e ovunque, chi ha qualche problema si rivolge a me» e che era stato proprio lui, Bernardo, ad «averlo generato per mezzo del Vangelo».
Eugenio III incaricò Bernardo di predicare a favore della nuova crociata che si stava preparando, e che avrebbe dovuto essere composta soprattutto da francesi, ma Bernardo riuscì a coinvolgere anche i tedeschi. La crociata fu un completo fallimento che Bernardo giustificò, nel suo trattato La considerazione, con i peccati dei crociati, che Dio aveva messo alla prova.
Questo trattato, finito di comporre nel 1152 si occupava anche dei compiti del papato, e Bernardo lo mandò a papa Eugenio che si dibatteva con le difficoltà procurategli dall'opposizione dei repubblicani romani, guidati da Arnaldo da Brescia.
Le sue condizioni di salute cominciano a peggiorare alla fine del 1152: ha ancora la forza di intraprendere un viaggio fino a Metz, in Lorena, per mettere fine ai disordini che travagliavano quella città. Tornato a Chiaravalle, apprende la notizia della morte di papa Eugenio, avvenuta l'8 luglio 1153 e muore il mese dopo.
Rivestito con un abito appartenuto al vescovo Malachia, del quale aveva appena finito di scrivere una biografia, viene sepolto davanti all'altare della sua abbazia.
Il pensiero di Bernardo - La via mistica
«Quanto più si è buoni, tanto più si è cattivi, se si attribuisce a proprio merito ciò per cui si è buoni.» (San Bernardo di Chiaravalle, Sermones super Cantica Canticorum, LXXXIV)
Bernardo è fondamentalmente propenso non alla speculazione intellettuale, ma alle questioni pratiche, di vita vissuta, e alle riflessioni morali. Secondo Bernardo l'unico modo per giungere alla verità consiste nella pratica della contemplazione e della preghiera e non nell'astratto ragionamento. Nel Sermo 36 super cantica, Bernardo illustra la natura e i limiti del sapere affermando che lo studio può essere giustificato solo se ha una finalità di tipo religioso, mentre se è condotto per il puro desiderio di sapere, per illuminare l'intelletto, per risolvere problemi di ogni genere, esso viene etichettato come “turpis” (vergognoso, immorale).
La più alta conquista umana è, per Bernardo, il volo dell'anima verso la contemplazione: l'unica via attraverso la quale sia possibile conoscere Dio. Attraverso l'assidua meditazione dei misteri del Cristo è possibile giungere alla conoscenza e all'amore nei confronti del crocifisso. Solo la contemplazione mistica è in grado di dare la pace e la gioia del pieno possesso.
Per giungere a questo risultato è però necessaria una limitazione dell'intelletto che, se si spinge troppo oltre e invade i confini della fede, compie una vera e propria profanazione del sacro. Come esempi da non imitare, di curiosità e vanità, Bernardo presenta Aristotele e Platone, ritenuti i due massimi esponenti dell'umana sapienza. Occorre evitare di studiare le curiose sottigliezze del primo e le vane arguzie del secondo. Dice il santo ai suoi monaci che i nostri maestri dovrebbero essere Pietro e Paolo, che ci insegnano invece a vivere.
In occasione della presentazione a Innocenzo II dell'accusa contro Abelardo, Bernardo prende di mira gli “Academici” additandoli come pensatori che vagano qua e là, curiosi e vani, tra opinioni ed errori, che devono accontentarsi di rimanere nell'incertezza e non possono mai giungere a verità certe.[7]
La restaurazione della natura umana
Riguardo il suo pensiero teologico e filosofico, Bernardo esprime sul piano morale un orientamento ispirato, apparentemente, al pessimismo:
«[...] generati dal peccato, noi peccatori generiamo peccatori; nati corrotti, generiamo dei corrotti; nati schiavi, generiamo degli schiavi.»
San Bernardo, dunque, combatte alcune tesi del suo tempo, come la teoria secondo la quale i discendenti di Adamo (cioè noi) non abbiano in sé un «peccato originale» sin dalla nascita, ma solo un «malum poenae», un «male di pena». Bernardo dice anche:
«L'uomo è impotente di fronte al peccato.»
Ciò, evidentemente non è una giustificazione al peccato stesso, ma una spiegazione della miseria umana che nei nostri peccati si rivela, ma che è originata dal peccato originale che in ciascuno è impresso come un marchio. Dunque, la questione fondamentale è restaurare la natura umana, per riportare l'uomo al suo stato di «figlio di Dio», e dunque «essere eterno» nella beatitudine del Padre.
Poiché ognuno porta in sé il peccato originale, però, nessuno può restaurare la propria natura da solo, ma può farlo solamente attraverso la «mediazione» di Cristo, che è «Soter» (cioè «Salvatore»), proprio in quanto per noi è morto, espiando al nostro posto quel peccato originale che nessun altro poteva espiare, essendone sottoposto. Nella sua opera De gradibus humilitatis et superbiae, tuttavia, dice che, per avere la «mediazione» di Cristo, l'uomo deve superare l'«io di carne», deve limitare e poi annullare la superbia e l'amore di sé, attraverso l'umiltà. Contro di sé, dunque, deve porre l'amore di Dio, poiché solo col Suo amore si ottiene anche la Sua vera intelligenza, e solo con esso
«[...] l'anima passa dal mondo delle ombre e delle apparenze all'intensa luce meridiana della Grazia e della verità.»
I quattro gradi dell'amore
Nel De diligendo Deo, San Bernardo continua la spiegazione di come si possa raggiungere l'amore di Dio, attraverso la via dell'umiltà. La sua dottrina cristiana dell'amore è originale, indipendente dunque da ogni influenza platonica e neoplatonica. Secondo Bernardo esistono quattro gradi sostanziali dell'amore, che presenta come un itinerario, che dal sé esce, cerca Dio, ed infine torna al sé, ma solo per Dio. I gradi sono:
1) L'amore di se stessi per sé:
« [...] bisogna che il nostro amore cominci dalla carne. Se poi è diretto secondo un giusto ordine, [...] sotto l'ispirazione della Grazia, sarà infine perfezionato dallo spirito. Infatti non viene prima lo spirituale, ma ciò che è animale precede ciò che è spirituale. [...] Perciò prima l'uomo ama se stesso per sé [...]. Vedendo poi che da solo non può sussistere, comincia a cercare Dio per mezzo della fede, come un essere necessario e Lo ama.»
2) L'amore di Dio per sé:
«Nel secondo grado, quindi, ama Dio, ma per sé, non per Lui. Cominciando però a frequentare Dio e ad onorarlo in rapporto alle proprie necessità, viene a conoscerlo a poco a poco con la lettura, con la riflessione, con la preghiera, con l'obbedienza; così gli si avvicina quasi insensibilmente attraverso una certa familiarità e gusta pura quanto sia soave.»
3) L'amore di Dio per Dio:
«Dopo aver assaporato questa soavità l'anima passa al terzo grado, amando Dio non per sé, ma per Lui. In questo grado ci si ferma a lungo, anzi, non so se in questa vita sia possibile raggiungere il quarto grado.»
4) L'amore di sé per Dio:
«Quello cioè in cui l'uomo ama se stesso solo per Dio. [...] Allora, sarà mirabilmente quasi dimentico di sé, quasi abbandonerà se stesso per tendere tutto a Dio, tanto da essere uno spirito solo con Lui. Io credo che provasse questo il profeta, quando diceva: "-Entrerò nella potenza del Signore e mi ricorderò solo della Tua giustizia-". [...] » (San Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo, cap. XV)
Nel De diligendo Deo, dunque, San Bernardo presenta l'amore come una forza finalizzata alla più alta e totale fusione in Dio col Suo Spirito, che, oltre ad essere sorgente d'ogni amore, ne è anche «foce», in quanto il peccato non sta nell'«odiare», ma nel disperdere l'amore di Dio verso il sé (la carne), non offrendolo così a Dio stesso, Amore d'amore.
Mariologia di San Bernardo
Il 24 maggio 1953 papa Pio XII scrisse la sua venticinquesima enciclica, dal titolo Doctor Mellifluus, dedicata a San Bernardo di Chiaravalle.
"Il dottore mellifluo ultimo dei padri, ma non certo inferiore ai primi, si segnalò per tali doti di mente e di animo, cui Dio aggiunse abbondanza di doni celesti, da apparire dominatore sovrano nelle molteplici e troppo spesso turbolente vicende della sua epoca, per santità, saggezza e somma prudenza, consiglio nell'agire."
Questo è l'incipit dell'enciclica, i cui punti chiave sono il ruolo del papato e la mariologia.
Nei suoi tempi confusi, San Bernardo pregava per l'intercessione di Maria, alla stessa maniera, sostiene il Papa, è necessario nei tempi moderni tornare a pregare Maria per la pace e la libertà della Chiesa e delle nazioni.
Nell'enciclica sono riportati tre temi centrali della mariologia di San Bernardo: come egli spiega la verginità di Maria (la "Stella del Mare"), come pregare la Vergine e come confidare in Maria come mediatrice.
- È detta Stella del mare e la denominazione ben si addice alla Vergine Madre. Ella con la massima convenienza è paragonata ad una stella; perché come la stella sprigiona il suo raggio senza corrompersi, così la Vergine partorisce il Figlio senza lesione della propria integrità.
- Se insorgono i venti delle tentazioni, se incappi negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria. Se sei sballottato dalle onde della superbia, della detrazione, dell'invidia: guarda la stella, invoca Maria.
- Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta.
[..]
San Bernardo taumaturgo
"Le attestazioni di miracoli compiuti dall'abate di Chiaravalle sono numerose, sia nelle Vitae sia in altre fonti; se ne contano più di ottocento...I segni posti da san Bernardo sono guarigioni, esorcismi, conoscenze soprannaturali e poteri sulla natura. La sua attività taumaturgica è quella più presente: guarisce disturbi della motilità, la cecità o disturbi della vista, il mutismo, la febbre, ma interviene anche in casi di malattie nervose...A volte, i segni mirano a ottenere un'adesione, ad esempio durante la predicazione della crociata, o a ricondurre all'ortodossia della fede. Spesso, il loro unico scopo è quello di lenire la miseria e la sofferenza. Si può affermare che è la fede di un popolo sofferente nell'uomo di Dio a stimolare il suo carisma”. [15]
"Questi racconti sono troppo universalmente attestati dai testimoni del XII secolo per essere ridotti a semplici generi letterari:
"Il problema fondamentale non è sapere se i miracoli sono "veri" o "falsi" secondo i criteri scientifici moderni, ma comprendere, con l'ausilio di categorie appropriate, la loro innegabile presenza nella coscienza dei testimoni del tempo". [16]
San Bernardo nella Divina Commedia
Nella Divina Commedia Dante trova San Bernardo in Paradiso, di fronte alla candida rosa dei beati, come guida per l'ultima parte del suo viaggio, in virtù del suo spirito contemplativo e della sua devozione mariana.
Bernardo compare nel Canto XXXI del Paradiso. Dante è stato accompagnato da Beatrice fin nell'Empireo e contempla la Mistica Rosa dei beati e degli angeli. Si volta per porre una domanda a Beatrice ma si accorge che questa è scomparsa e che al suo posto c'è un sene, Bernardo. Egli invita il poeta a osservare la cima della Rosa, nella sede più luminosa di Maria Vergine.
«E volgeami con voglia rïaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.
Uno intendëa, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose.»
Il Canto XXXIII del Paradiso si apre con la preghiera che il santo rivolge alla Vergine Maria (vv. 1-45) perché Dante possa vedere Dio:
«Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
umile ed alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo Fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.» (Incipit, vv.1-6)
Dopo avere descritto il legame intimo della Madonna con il mistero dell'Incarnazione, la supplica, con un ardor maggiore che per se stesso (vv.28-29), perché il sommo piacer della visione divina si dispieghi per Dante; quando la Vergine dimostra di aver accolto la sua preghiera volgendosi Essa stessa verso l'etterno lume, Bernardo con un sorriso accenna al poeta di guardar suso.
«Bernardo m'accennava, e sorridea,
perch'io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea» (vv.49-51)
Note
1. ^ Nicola Abbagnano, Storia della filosofia. Vol. II. La filosofia medioevale, UTET, Torino, 1993
2. ^ Sermones in cantica canticorum, De consideratione, 36,2
3. ^ De diligendo Deo, XIII, 36
4. ^ Pietro Zerbi, «Philosphi» e «Logici», Vita e Pensiero, Perugia, 2002
5. ^ Ambrogio Piazzoni, introduzione a «Bernardo di Chiaravalle, Il dovere di amare Dio», Milano 1990, p. 46. Il Liber Sententiarum è in effetti di un discepolo di Abelardo.
6. ^ Antonio Crocco, Pietro Abelardo. L'altro versante del Medioevo, Liguori Editore, Napoli 1979, p. 66. Cfr. anche: Victor Murray, Abelard and St. Bernard, Manchester University Press-Barnes&Noble, Manchester-New York, 1967, pp. 58 ss. e 72 ss., e Pietro Zerbi, Bernardo di Chiaravalle, in «Biblioteca Sanctorum», vol. III, Roma, 1963, col. 28.
7. ^ Pietro Zerbi, «Philosphi» e «Logici», Vita e Pensiero, Perugia, 2002, pp. 9-37
15. ^ Joel Regnard, in Dizionario dei miracoli e dello straordinario cristiano, AA.VV. (Direzione di Patrick Sbalchiero, prefazione di René Laurentin), vol. 1, EDB (Edizioni Dehoniane Bologna), 2008, pp. 247-248
16. ^ A. Picard - P. Boglioni, "Miracles et taumaturgie", in Vie et légendes de saint Bernard. Commentarii cistercienses, pp. 36-59
• Tomás Luis de Victoria (Sanchidrián, 1548 – Madrid, 20 agosto 1611) è stato un compositore spagnolo del tardo Rinascimento (XVI secolo), il più famoso nel suo paese e nella sua epoca.
• 1799
• Eleonora Pimentel Fonseca (Roma, 13 gennaio 1752 – Napoli, 20 agosto 1799) è stata una patriota e politica italiana. È stata una delle figure più rilevanti della breve esperienza della Repubblica Napoletana del 1799.
Il suo nome completo, in italiano, era Eleonora Anna Maria Felice de Fonseca Pimentel (originariamente, Leonor da Fonseca Pimentel Chaves). Era conosciuta anche come Pimentel Fonseca o Pimentella.
Di famiglia portoghese ma nata a Roma, nelle pubblicazioni tedesche, inglesi e italiane viene ricordata con il nome in lingua italiana; il nome in italiano venne adottato dalla sua famiglia nelle residenze di Roma e Napoli ed è quello con il quale la Pimentel fu tra i protagonisti della scena politica di fine XVIII secolo.
La sua famiglia era originaria di Beja nell'Alentejo. Poco dopo la sua nascita, a seguito della rottura dei rapporti diplomatici fra il Regno del Portogallo e lo Stato Pontificio, la sua famiglia si trasferì da Roma a Napoli.
Intellettualmente precoce e molto vivace, e capace fin dall'infanzia di leggere e scrivere in latino e greco, si dedicò allo studio delle lettere e si cimentò nella composizione di versi (sonetti, cantate, epitalami). Parlava inoltre diverse lingue moderne. Ancor giovane, fu ammessa all'Accademia del Filaleti e all'Accademia dell'Arcadia. Ebbe scambi epistolari con letterati; le sue capacità colpirono in special modo Pietro Metastasio. In seguito si dedicò allo studio delle discipline storiche, giuridiche ed economiche. Scrisse un testo di argomento finanziario e tradusse dal latino all'italiano, commentandola, la dissertazione dell'avvocato napoletano Nicola Caravita (1647-1717) sui pretesi diritti dello Stato Pontificio sul Regno di Napoli.
Nel 1778 sposò Pasquale Tria de Solis, capitano dell'esercito napoletano, da cui ebbe un figlio, Francesco, che morì in tenera età; resterà l'unico figlio da lei avuto. Per lui scrisse cinque sonetti, pervasi di disperato amore materno.
Nel 1786 si separò dal marito, le cui percosse le avevano causato l'interruzione di una seconda gravidanza (il marito sarebbe poi morto nel febbraio 1795).
Nelle confidenze di Maria Carolina d'Austria
Amica della regina Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, divenne la curatrice della sua biblioteca. Con lei frequentò i salotti degli illuminati napoletani, affiliati alla massoneria e in un primo tempo sostenuti dalla stessa regina. Forte fu il legame tra le due donne, ma si interruppe drasticamente con il sopraggiungere, dalla Francia, delle notizie che facevano conoscere i drammatici sviluppi della Rivoluzione.
La regina progressista, che sosteneva il dispotismo illuminato, si sentì tradita da quegli amici che con lei avevano lavorato per una monarchia moderna e che ora propugnavano l'avvento della repubblica, e li combatté inflessibilmente, spinta anche dall'odio verso i giacobini responsabili della morte della sorella.
Nell'ottobre del 1798 Eleonora fu incarcerata con l'accusa di giacobinismo. Fu liberata dopo qualche mese dai "lazzaroni", che avevano aperto le carceri per avvalersi dell'aiuto dei delinquenti comuni. Volle allora cancellare dal suo cognome il "de" nobiliare e divenne una protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana (della quale salutò l'avvento scrivendo l'Inno alla Libertà). In primo luogo partecipò alla formazione del Comitato centrale che favorì l'entrata dei francesi a Napoli. Poi fu il direttore del giornale ufficiale della Repubblica, il Monitore Napoletano, che si pubblicò dal 2 febbraio all'8 giugno 1799, in 35 numeri bisettimanali. Dai suoi articoli emerge un atteggiamento democratico ed egualitario Ultra, contrario ad ogni compromesso con le correnti moderate e volto soprattutto a diffondere nel popolo gli ideali repubblicani, attività nella quale la Pimentel si impegnava attivamente anche della Sala d'Istruzione Pubblica. In realtà, Eleonora non poteva avere una reale conoscenza delle condizioni delle classi inferiori, e i suoi tentativi di rendere popolare il nuovo regime ebbero scarso successo; l'unico effetto palese fu quello di acuire il malanimo dei Borbone nei suoi confronti e di attirarle addosso la loro vendetta, quando la Repubblica, nel giugno del 1799, fu rovesciata e la Monarchia fu restaurata.
Eleonora fu arrestata e portata in una delle navi ancorate nel golfo di Napoli dove furono ammucchiati i rei di Stato in attesa della definizione delle sentenze. In un primo tempo la Giunta di Stato riconobbe ad Eleonora - e sottoscrisse - una "obbliganza penes acta", in sostanza un contratto ed una sentenza insieme, con cui il giudice ed il condannato rinunciavano al processo ed il secondo giurava, pena la morte, di non rientrare nel Regno. Tuttavia la Giunta di Stato, tre giorni dopo, dichiarò di aver commesso un errore formale ed Eleonora fu condotta nel Carcere della Vicaria; disattendendo la firma regia già apposta all'obbligo penes acta (ma di maggiore portata fu il disattendere per tramite dell'Ammiraglio inglese Orazio Nelson - dinanzi a tutte le nazioni d'Europa - la capitolazione stipulata dai Borbone con i Repubblicani), il 17 agosto fu condannata a morte.
Fu impiccata a Napoli, nella storica piazza del Mercato, il 20 agosto 1799. Salì al patibolo con coraggio.
- Gennaro Serra di Cassano (Napoli, 30 settembre 1772 – 20 agosto 1799) è stato un patriota italiano della Repubblica Napoletana del 1799.
Gennaro era figlio del duca Luigi Serra di Cassano e della moglie Giulia Carafa. Studiò, insieme al fratello Giuseppe, nel collegio di Sorèze in Francia durante gli avvenimenti rivoluzionari, ai quali i due fratelli aderirono: infatti Giuseppe venne arrestato nel 1795, perché sospettato di aver fatto parte della Società patriottica, e fu liberato solo il 25 luglio del 1798 insieme a Mario Pagano, Ignazio Ciaja ed altri.
Luigi Serra, padre di Gennaro, venne chiamato a far parte della Municipalità, ma rinunciò a favore del figlio maggiore Giuseppe, mentre Gennaro fu nominato capitano nella Guardia Nazionale ed il 25 febbraio 1799 ne divenne Comandante in seconda. Gennaro si interessava di letteratura ed ebbe frequenti rapporti con Eleonora Pimentel. Gennaro Serra fu tra gli estremi difensori guidando, insieme a Flaminio Scala, gli ultimi patrioti alla resistenza dal presidio di Capodimonte. Il 20 agosto fu decapitato in piazza del Mercato. Il padre fece chiudere in segno di lutto l'ingresso principale del palazzo di famiglia, che si affacciava sulla via Egiziaca a Pizzofalcone a Napoli; l'ingresso del palazzo, sede attualmente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è quello secondario di via Monte di Dio. Nell' anno 1999 nel corso di una solenne cerimonia, alla quale presero parte : il Sindaco di Napoli, il Prefetto e numerose altre alte autorità civili e militari, a 200 anni di distanza fu riaperto il portone del Palazzo Serra di Cassano in via Egiziaca a Pizzofalcone in Napoli.
- Vincenzo Lupo (Caggiano, 15 agosto 1755 – Napoli, 20 agosto 1799) è stato un repubblicano napoletano, tra i maggiori animatori della Repubblica Partenopea del 1799.
- Monsignor Michele Natale (Casapulla, 23 agosto 1751 – Napoli, 20 agosto 1799) è stato un vescovo cattolico italiano, che, avendo aderito alla Repubblica Napoletana del 1799, fu arrestato e imprigionato nel carcere della Vicaria. Dopo essere stato dimesso dallo stato clericale il 19 agosto, fu condannato a morte mediante impiccagione il giorno seguente sulla Piazza del Mercato di Napoli.
* 1823 - Papa Pio VII, nato Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti (Cesena, 14 agosto 1742 – Roma, 20 agosto 1823), è stato il 251° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1800-1823).
«Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo.»(Pio VII all'ufficiale napoleonico che, entrato al Quirinale il 5 luglio 1809, gli intimava di cedere alla Francia i territori dello Stato Pontificio)
Nacque a Cesena, penultimo figlio del conte Scipione Chiaramonti e di Giovanna Coronata dei marchesi Ghini, donna di profonda religiosità che entrerà in seguito tra le monache carmelitane a Fano. Attraverso la famiglia della madre, inoltre, Barnaba era imparentato anche con Angelo Braschi, futuro pontefice col nome di Pio VI.
Al contrario dei suoi fratelli, non completò gli studi nel Collegio dei nobili di Ravenna ma, all'età di 14 anni, entrò nel monastero benedettino di Santa Maria del Monte nella sua città natale, prendendo il nome di Gregorio. I suoi superiori, resisi conto delle capacità del giovane, lo inviarono prima a Padova e successivamente a Roma al collegio di Sant'Anselmo, nell'abbazia di San Paolo fuori le mura, perché si perfezionasse nello studio della teologia.
Divenuto professore di teologia, cominciò a insegnare nei collegi dell'ordine a Parma e a Roma. Nel febbraio 1775, con l’elezione a papa del concittadino Angelo Braschi, fu nominato priore dell’Abbazia benedettina di San Paolo a Roma. Il 16 dicembre 1782, Pio VI lo nominò vescovo di Tivoli. Il 14 febbraio 1785, per l'eccellente condotta tenuta in questa carica, ricevette la porpora cardinalizia e l'episcopato di Imola.
Qui venne ricordato soprattutto per il suo carisma personale e per il suo amore per la cultura. Chiaramonti non faceva mistero di possedere nella sua biblioteca perfino l’Enciclopedia di d'Alembert, del resto erano note le sue aperture alle idee moderne. Nel 1797 suscitò scalpore una sua omelia, pronunciata nella cattedrale di Imola, in cui sosteneva la conciliabilità del Vangelo con la democrazia: “Siate cristiani tutti d’un pezzo e sarete anche dei buoni democratici”.
Il pontificato
Alla morte di Pio VI, il Sacro Collegio convocato dal decano cardinal Giuseppe Albani, si riunì in conclave a Venezia sotto ospitalità austriaca, poiché in quel periodo Roma era occupata dalle truppe francesi. Prima ancora che iniziasse il conclave, la situazione politica a Roma era mutata. Il 19 settembre 1799 i francesi avevano abbandonato l'Urbe; il 30 settembre la città era stata occupata dai napoletani, che avevano posto fine alla Repubblica Romana.
I cardinali, appena 35, quasi tutti italiani, si riunirono il 30 novembre 1799 nel monastero di San Giorgio. Ben presto i voti si concentrarono su due candidati: il card. Mattei, arcivescovo di Ferrara, anti-francese, e il card. Bellisomi, vescovo di Cesena, la cui posizione era più conciliante. Passarono tre mesi interi senza che si delineasse una soluzione. Per uscire dall'empasse, monsignor Ercole Consalvi, il segretario del conclave, propose un terzo candidato: il vescovo di Imola, Barnaba Chiaramonti. In poco tempo i voti convogliarono su di lui. Anche il cardinale e arcivescovo francese Maury ebbe un ruolo decisivo nella sua elezione.
Il 14 marzo 1800 Chiaramonti fu eletto papa all'unanimità. L'imperatore d'Austria chiese al nuovo pontefice la cessione delle Legazioni di Bologna, Ferrara Imola e Ravenna. Pio VII rispose negativamente alle pretese imperiali; decise peraltro di conservare il titolo di vescovo di Imola. Francesco II, contrariato, vietò l'incoronazione del papa nella basilica di San Marco. Pio VII fu incoronato nella Basilica di San Giorgio Maggiore.
Il nuovo pontefice si trattenne nel Veneto per alcuni mesi, durante i quali visitò quasi tutte le chiese e ricevette l'omaggio di tutte le congregazioni religiose; durante tale periodo effettuò una visita a Padova, dove era stato da giovane a Santa Giustina. Malgrado la contrarietà dell'imperatore d'Austria, si impose a questi nel suo desiderio di indipendenza e di andare a Roma.
Fatta rotta da Venezia a Pesaro sulla fregata austriaca "Bellona", raggiunse la città eterna seguendo il percorso della via Flaminia. A Fano rese omaggio alle spoglie di sua madre nel Carmelo. In luglio il pontefice fece finalmente il suo ingresso a Roma, accolto dalla nobiltà romana e dal popolo in tripudio. Trovò le casse dello stato vuote: il poco che i francesi avevano lasciato venne sperperato dai napoletani. In agosto nominò Consalvi, cui in gran parte doveva la tiara, Cardinale diacono e Segretario di Stato, per poi iniziare ad occuparsi alacremente delle riforme amministrative, divenute ormai improrogabili. Nella scelta del nuovo segretario Pio VII non si fece influenzare dalle potenze straniere, specialmente dall'Impero austriaco, che voleva fosse nominato un prelato di suo gradimento.
La sua attenzione si concentrò subito sullo stato di anarchia in cui versava la chiesa francese la quale, oltre ad essere travagliata dal vasto scisma causato dalla costituzione civile del clero, aveva a tal punto trascurato la disciplina che gran parte delle chiese erano stata chiuse, alcune diocesi erano prive di vescovo, mentre altre ne avevano addirittura più di uno, mentre il giansenismo e la pratica del matrimonio degli ecclesiastici si stavano diffondendo e fra i fedeli serpeggiavano l'indifferenza se non, addirittura, l'ostilità. Incoraggiato dal desiderio del Bonaparte di ristabilire il prestigio della Chiesa cattolica in Francia, Pio VII negoziò il famoso Concordato del 1801, sottoscritto a Parigi il 15 luglio e successivamente ratificato il 14 agosto dello stesso anno. L'importanza di questo accordo fu tuttavia notevolmente stemperata dai cosiddetti articoli organici aggiunti dal governo francese l'8 aprile 1803. La Francia, comunque, ritrovò la libertà di culto che la rivoluzione aveva soppresso.
Nel 1804 Napoleone iniziò a trattare con il papà la propria formale e diretta investitura come Imperatore. Dopo alcune esitazioni Pio VII si lasciò convincere a celebrare la cerimonia nella cattedrale di Notre Dame e a prolungare la sua visita a Parigi per altri quattro mesi ma, contrariamente alle sue aspettative, ne ricevette in cambio solo pochissime concessioni, e di secondaria importanza. Rientrato a Roma il 16 maggio 1805, fornì al collegio cardinalizio, convocato allo scopo, una versione ottimistica della sua visita. A proposito di questo episodio, riferendosi alla morte in cattività di Pio VI, Pasquino commentò: per mantener la fede un Pio perdé la Sede, per mantener la Sede un Pio perdé la fede.
Nonostante ciò, lo scetticismo prese presto il sopravvento quando Napoleone cominciò a non rispettare il concordato del 1803, arrivando al punto di pronunciare d'autorità lui stesso l'annullamento del matrimonio del fratello Girolamo con la moglie, un'americana di Baltimora. L'attrito fra la Francia ed il Vaticano montò così rapidamente che il 2 febbraio 1808 Roma fu occupata dal generale Miollis e, un mese più tardi, le province di Ancona, Macerata, Pesaro e Urbino furono annesse al Regno d'Italia. Rotte le relazioni diplomatiche fra Napoleone e Roma, con un decreto emesso a Schönbrunn l'11 maggio 1809 l'imperatore annetteva definitivamente tutti i territori dello Stato Pontificio.
Per ritorsione, Pio VII, pur senza nominare l'imperatore, emise una bolla di scomunica contro gli invasori; nel timore di un'insurrezione popolare il generale Miollis, di propria iniziativa, come sostenne Napoleone in seguito o, più probabilmente, per ordine del generale Radet, prese in custodia il papa stesso. Nella notte del 5 luglio il Palazzo del Quirinale fu aperto con la forza e, in seguito all'ostinato rifiuto di annullare la bolla di scomunica e di rinunciare al potere temporale, il Pontefice fu arrestato e tradotto prima a Grenoble ed in seguito, passando per il colle di Tenda, Cuneo e Mondovì, a Savona. Qui egli si rifiutò con fermezza di convalidare l'investitura dei vescovi nominati da Napoleone e, quando i francesi scoprirono che il papa intratteneva segreti scambi epistolari, gli fu addirittura proibito di leggere e scrivere.
Alla fine, con i nervi scossi dall'insonnia e dalla febbre, gli fu estorta la promessa verbale di riconoscere l'investitura dei vescovi francesi. Nel maggio 1812 Napoleone, con il pretesto che gli inglesi avrebbero potuto liberare il papa se questi fosse rimasto a Savona, obbligò il vecchio e infermo pontefice a trasferirsi a Fontainebleau, vicino a Parigi; il viaggio lo provò a un punto tale che al passo del Moncenisio gli fu impartita l'estrema unzione. Superato il pericolo e giunto in salvo a Fontainebleau, fu alloggiato con tutti i riguardi nel castello per aspettarvi il ritorno dell'imperatore da Mosca. Appena rientrato, Napoleone intavolò immediatamente una serrata trattativa col papa che, il 25 gennaio 1813, accettò un concordato a condizioni tanto umilianti che non riuscì a darsi pace. Tanto che, su consiglio dei cardinali Bartolomeo Pacca e Ercole Consalvi lo rigettò tre giorni dopo, comunicando la sua decisione per iscritto all'Imperatore (che la tenne segreta) e, in seguito, pubblicamente il 24 marzo dello stesso anno. Nel mese di maggio, infine, osò sfidare apertamente il potere dell'imperatore dichiarando nulli tutti gli atti ufficiali compiuti dei vescovi francesi.
Dopo la sconfitta di Lipsia (19 ottobre 1813) e la conseguente entrata in territorio francese degli eserciti della coalizione nel gennaio 1814, Napoleone ordinò che il papa fosse ricondotto nella più sicura Savona, dove giunse il 16 febbraio. Il precipitare degli eventi e l'abdicazione del 17 marzo lo costrinsero il giorno stesso a liberarlo definitivamente ed a consentirgli di rientrare nello Stato Pontificio. Durante il rientro verso Savona, il papa soggiornò in diverse città, tra cui San Remo (in provincia di Imperia), dove fu ospite dei Marchesi Borea d'Olmo. Il 19 marzo Pio VII lasciò Savona e il 24 maggio fu accolto nella Città Eterna da una folla esultante.
Il 7 agosto 1814, con la bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum, il papa ricostituì la Compagnia di Gesù, mentre il Segretario di stato Consalvi, al Congresso di Vienna, si assicurava la restituzione di quasi tutti i territori sottratti allo Stato della chiesa. Successivamente veniva soppressa nello Stato pontificio la legislazione introdotta dalla Francia e venivano reintrodotte le istituzioni dell'Indice e dell'Inquisizione. A Roma gli ebrei, che erano stati liberati dai francesi, vennero di nuovo confinati entro il perimetro del Ghetto capitolino, e vi dovettero restare fino al 1870.
Al suo ritorno da Vienna, il Consalvi introdusse un'amministrazione più snella ed altamente centralizzata, basata in gran parte sul Motu Proprio Quando per ammirabile disposizione, emanato il 6 luglio 1816 da Pio VII. Le novità più rilevanti riguardavano il sistema catastale e la nuova ripartizione territoriale dello Stato, suddiviso in tredici delegazioni e quattro legazioni, oltre al Distretto di Roma ribattezzato Comarca. Nonostante ciò, le casse dello stato erano in condizioni disastrose, mentre il malcontento si aggregava principalmente intorno alla "Società Segreta", di ispirazione liberale, dei Carbonari, messa all'indice dal papa nel 1821.
Il capolavoro diplomatico del Consalvi fu una serie di concordati stipulati a condizioni particolarmente vantaggiose con tutti gli Stati di religione cattolica, ad eccezione dell'Impero austriaco. Negli ultimi anni del pontificato di Pio VII la città di Roma fu molto ospitale verso tutte le famiglie regnanti, i cui rappresentanti si recarono spesso a Roma; il pontefice fu particolarmente benigno verso i sovrani in esilio, dimostrando una notevole e singolare magnanimità anche nei confronti della famiglia di Napoleone.
Notevole fu anche l'accoglienza riservata ai maggiori artisti dell'epoca, fra cui molti scultori. Un anno prima della morte eresse sul Pincio l’obelisco, rinvenuto nel XVI secolo e mai innalzato, che l’imperatore romano Adriano aveva fatto scolpire per l’amato e idolatrato Antinoo, annegato a vent’anni ed in seguito divinizzato. Lo scultore protestante Thorvaldsen fu colui che costruì lo splendido mausoleo in cui furono deposte le spoglie dello stesso pontefice, che spirò il 20 agosto del 1823. I costi furono sostenuti dal Cardinal Consalvi e l'iscrizione ricorda l'affetto del porporato per il "suo" Papa: PIO.VII. CLARAMONTIO.CAESENATI.PONTIFICI.MAXIMO. HERCULES.CARD.CONSALVI ROMANUS.AB.EO.CREATUS.
* 1854 - Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (Leonberg, 27 gennaio 1775 – Bad Ragaz, 20 agosto 1854) è stato un filosofo tedesco, il secondo dei tre grandi esponenti dell'idealismo tedesco, successore di Fichte e predecessore di Hegel, del quale tuttavia era anagraficamente più giovane.
Schelling nacque a Leonberg, in Germania, da un colto sacerdote protestante. Ragazzo precoce, gli fu concesso di entrare a soli quindici anni nel Tübinger Stift, il seminario di Tubinga, dove studiò teologia assieme a Friedrich Hölderlin e Georg W. F. Hegel, coi quali si legò in amicizia. L'entusiasmo suscitato in lui dal rinnovamento culturale che sembrava innescato dal pensiero kantiano e dalla rivoluzione francese, lo spinse ad accogliere e assimilare rapidamente la filosofia di Fichte. Nel 1796 si trasferì come precettore a Lipsia, dove si occupò di scienze naturali. Il successo delle sue prime opere gli fece ottenere nel 1798 una cattedra a Jena, dove frequentò il circolo romantico legandosi ai maggiori esponenti del Romanticismo: Goethe, Novalis, Schiller, Hölderlin, i fratelli Schlegel, e Fichte, della cui cattedra diventò ben presto il successore, dopo che quegli era stato costretto alle dimissioni. Sempre a Jena Schelling ritrovò anche Hegel; insieme, i due collaborarono alla pubblicazione del Giornale critico della filosofia. All'interno del circolo romantico Schelling conobbe Carolina, sposata con Friedrich Schlegel ma da cui ella si separerà per diventare sua moglie. Cominciarono intanto a manifestarsi gravi dissapori e polemiche con Fichte, dovute più che altro all'incapacità di ciascuno dei due di comprendere il punto di vista dell'altro.
Dopo aver ottenuto un'altra cattedra a Würzburg, nel 1806 Schelling si trasferì a Monaco, dove maturò una svolta profonda nella sua filosofia, a cui contribuirono vari eventi: l'incontro con Baader che gli fece conoscere il pensiero di Böhme, la morte di Carolina, gli attacchi alla sua filosofia da parte di Hegel, Jacobi ed altri, ma anche esigenze interne al suo percorso filosofico. Dopo il 1809 si isolò in un lungo silenzio, impegnandosi nella stesura di un'opera mai conclusa, Le età del mondo.
Nel 1812 sposò Paulina Gotter, che gli resterà sempre accanto e gli darà sei figli. Nel 1821 Schelling insegnò a Erlangen e dal 1826 a Monaco, dove l'anno seguente terrà le Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna. Nel 1841 venne chiamato alla cattedra di Berlino che era stata di Hegel. Qui, dove ebbe tra i suoi uditori anche Kierkegaard, sviluppò l'ultima fase del suo pensiero, in aperta polemica contro l'idealismo hegeliano, riaffermando il primato dell'essere attraverso l'auto-negazione della ragione dialettica. Suscitò grande attrazione, ma i suoi richiami caddero nel vuoto. Ritiratosi definitivamente dall'insegnamento, morirà quasi dimenticato a Bad Ragaz, in Svizzera, il 20 agosto 1854.
L'Idealismo estetico
Schelling si occupò inizialmente soprattutto di Immanuel Kant e Johann Gottlieb Fichte. La sua prima dissertazione L'io come principio della Filosofia (1795) era molto vicina alle idee di Fichte.
Schelling mantiene infatti il motivo fichtiano del primato della filosofia pratica, come attività articolata in tre momenti: espansione creativa e infinita dell’Io, produzione inconscia di un limite che vi si contrappone, presa di coscienza e superamento di una tale auto-limitazione tramite l’agire etico; Schelling le dà però una diversa connotazione, nella quale anche il momento del non-Io viene valorizzato. Non più solo l'idealismo, ma anche il realismo viene dunque giustificato, nel tentativo di dare organicità e coerenza al kantismo su un piano ontologico.
Influenzato da Spinoza, finisce così per conciliare il criticismo con il dogmatismo: questi due sistemi filosofici, che a prima vista sembrano inconciliabili, sono in realtà convergenti, perché l'uno parte dal soggetto, l'altro dall'oggetto, mirando entrambi al loro punto di unione. Ma partendo ciascuno da un punto di vista unilaterale, rischiano di smarrire il principio ad esso complementare: soggetto e oggetto infatti sono una realtà sola, visibile ora in un verso, ora nell’altro, ma comunque non scomponibile. Dialetticamente infatti un soggetto è tale solo in rapporto a un oggetto, e viceversa.
Compito della filosofia è allora raggiungere l'Assoluto, inteso alla maniera di Plotino e Cusano come l'Uno nel quale gli opposti coincidono, e situato al di là del processo conoscitivo, cioè di quella conoscenza puramente teoretica che in quanto tale comporta opposizione con l'oggetto reale della propria indagine ed è perciò limitata e finita.
L'Assoluto è inconoscibile perché conoscere significa collegare, relazionare qualcosa con altro da sé; ma poiché l'Assoluto ha già tutto dentro, non ha un termine di riferimento esterno con cui possa relazionarsi; tuttavia va ammesso, con un'autocoscienza immediata che è la fichtiana intuizione intellettuale, perché altrimenti si rimane nella contrapposizione di soggetto e oggetto, che è una contraddizione logica. La reciproca complementarietà di questi due termini opposti, però, si realizza come piena identità solo nell’azione pratica, mentre sul piano teorico si resta nel dualismo tra criticismo e dogmatismo, e il finito può accedere all’infinito solo negando se stesso. Il motivo di questa antitesi tra identità e dualismo, teoria e pratica, finito e infinito, costituisce secondo Schelling il problema centrale di ogni filosofia. Per superarlo, come spiega nel Panorama della più recente letteratura filosofica, occorre postulare che l’assoluto non sia né infinito, né finito, bensì l'originaria unione dell'infinità e della finitezza: il soggetto infatti, cioè lo Spirito infinito, è pura attività soggettiva, ma un’attività è tale solo in quanto produce un’azione, cioè si fa oggetto. E a sua volta l’oggetto, che è spinozianamente la natura, ha bisogno di un soggetto o una ragione che lo ponga. Così da un lato lo Spirito, conoscendo se stesso, risulta condizionato da se stesso, e perciò si auto-limita, diventando finito; d'altra parte, nella sua attività è al tempo stesso incondizionato, non avendo nulla fuori di sé. Lo Spirito si riflette nella Natura che è dunque spirito pietrificato. La loro unione immediata è il vero Assoluto, in quanto ha in sé la soggettività e l’oggettività, l’essere e il pensiero, il finito e l’infinito, spirito e materia, attività e passività; esso è l’Indifferenza di Natura e Ragione.
Per l’importanza attribuita all'arte come punto di fusione di questi due estremi, l'Idealismo di Schelling sarà detto estetico.
La filosofia della Natura
Schelling muove quindi alla ricerca della struttura ontologica dell'assoluto, che in Fichte restava invece irraggiungibile. L'attenzione viene rivolta allo spirito oggettivato, che è «lo specchio finito dell'infinito»: la natura. Tale oggettivazione è pur sempre spirito, e quindi un assoluto che ha le stesse qualità dell'Io, però è inconscio e in quanto oggettivato si rende indipendente. La scienza della natura deve dunque possedere in sé il suo proprio principio (da osservare con le sue discipline quali chimica e fisica), si costituisce cioè in scienza autonoma rescindendo la dipendenza dall'Io fichtiano. Ciò comporta che la natura non può essere un semplice meccanismo eterònomo (soggetto a leggi esterne), ma va concepita come una vita retta interiormente da una profonda unità: come un organismo vivente. Riprendendo un'antica immagine plotiniana, Schelling chiama anima del mondo (Weltseele) la forza unitaria che muove la natura. Poiché l'unità è tale sempre solo in rapporto a un'opposizione, in quanto cioè unifica un dualismo (quale era la dinamica io/non-io), ciò deve valere anche per lo spirito inconscio o natura, nel quale è presente così una polarità, principio attestato anzitutto dal magnetismo. Nella sua visione di totalità della natura, che era propria della filosofia rinascimentale e Schelling recupera in particolare da Giordano Bruno (al quale dedicherà uno scritto, Bruno del 1802), vi è compreso anche l'uomo, che rappresenta il vertice, il punto di passaggio in cui lo spirito inconscio oggettivato prende coscienza di sè. Si tratta di una concezione della natura antitetica al meccanicismo determinista, perché in essa non sono le singole parti a formare e spiegare il tutto, ma, al contrario, è a partire dall’autocoscienza intelligente che è possibile comprendere i gradi inferiori, i quali sono solo aspetti o limitazioni dell’unico organismo universale: nella natura vi è un'intenzionalità, un evoluzionismo finalistico che la fa passare dagli organismi più semplici a quelli più complessi. La natura, dice Schelling, è un'«intelligenza sopita», uno «spirito in potenza». Scrive ad esempio:
«La tendenza necessaria di tutte le scienze naturali è di andare dalla natura al principio intelligente. Questo e non altro vi è in fondo ad ogni tentativo diretto ad introdurre una teoria nei fenomeni naturali. La scienza della natura toccherebbe il massimo della perfezione se giungesse a spiritualizzare perfettamente tutte le leggi naturali in leggi dell’intuizione e del pensiero. I fenomeni (il materiale) debbono scomparire interamente, e rimanere soltanto le leggi (il formale). Accade perciò che quanto più nel campo della natura stessa balza fuori la legge, tanto più si dissipa il velo che l’avvolge, gli stessi fenomeni si rendono più spirituali ed infine spariscono del tutto. I fenomeni ottici non sono altro che una geometria, le cui linee sono tracciate per mezzo della luce, e questa luce stessa è già di dubbia materialità. Nei fenomeni del magnetismo scompare ogni traccia materiale, e dei fenomeni di gravitazione non rimane altro che la loro legge, la cui estrinsecazione in grande è il meccanismo dei movimenti celesti. Una teoria perfetta della natura sarebbe quella per cui la natura tutta si risolvesse in un’intelligenza.»
Questa finalità della natura è risaltata dall'introduzione del concetto di potenza, col quale Schelling designa i tre diversi momenti del rapporto di identità tra realtà e idea: dal regno dell'inorganico, stadio della realtà, al quale appartengono le tre forze del magnetismo, dell'elettricità e del chimismo (che è l'insieme dei legami e dei rapporti derivanti dalla chimica), la natura passa al secondo livello, quello della luce, considerato il momento dell'idealità, in quanto nella luce essa in un certo senso prende coscienza di sé; la terza potenza, unificatrice delle prime due, è il mondo organico, retto dalle tre forze della sensibilità, eccitabilità e riproduzione, al vertice del quale, come si è detto, c'è l'uomo.
I principi fondamentali che reggono la Natura possono essere così sintetizzati:
▪ Polarità: ogni grado della natura è costituito da una coppia antitetica ma complementare;
▪ Coesione: l'interazione delle forze che mirano a riequilibrarsi;
▪ Metamorfosi: la trasformabilità degli elementi gli uni negli altri;
▪ Potenza: ogni grado della scala evolutiva è il risultato della trasformazione dal suo precedente;
▪ Analogia: l'affinità dei fenomeni, con la quale Schelling abilmente utilizza e generalizza alcune importanti scoperte scientifiche.
In questa prima fase del suo pensiero però Schelling rifiuta il principio della forza vitale intesa come origine sconosciuta e oscura delle forze organiche, poiché vi vedeva un'affinità con l'inconoscibilità kantiana della cosa in sè.
L'idealismo trascendentale
Come la natura si evolve verso il principio intelligente, così lo Spirito percorre il processo inverso, che si attua nella Storia: nel Sistema dell'idealismo trascendentale Schelling affronta così la "filosofia della coscienza", parallela alla filosofia della natura, ricostruendo le attività dell'Io, al quale si accede soltanto con un'intuizione immediata e interna, poiché esso non è un semplice sapere oggettivabile dall’esterno, ma è un sapere del sapere.
La prima epoca di sviluppo della Coscienza è il momento dell'oggettività nel quale l'oggetto viene appreso come estraneo al soggetto, perché in realtà esso è frutto di una produzione inconscia, che la coscienza non riconosce ancora come tale. La seconda epoca è invece caratterizzata dal sentimento di sè: l'Io scopre come le sue categorie di pensiero siano i prodotti della sua stessa attività, prendendo consapevolezza della propria produzione inconscia. Nella terza epoca l'Io si innalza al di sopra della conoscenza, costituita dalla corrispondenza tra forme inconsce della natura e forme consce del pensiero, per manifestare la sua spontaneità pura. In quest'ultima fase l'Io pone se stesso ed è essenzialmente volontà, non oggettivabile perché implica un superamento della stessa fase conoscitiva.
Nella Storia agisce e si attua questa volontà. Schelling vede la storia, come già la natura, in un'ottica finalistica, come una progressiva realizzazione del Soggetto trascendentale nell'assoluto; (trascendentale è un termine kantiano per indicare appunto l'attività del soggetto nel suo rapportarsi all'oggetto, attività che si produce nella coscienza critica del filosofare stesso). Ma la libertà dell'Io qui può apparire come arbitrio, perché la legge del dovere non è come la necessità naturale: l'Io può seguirla o non seguirla. E tuttavia la libertà non è qualcosa di irrazionale, ma piuttosto di sovra-razionale, poiché essa si attua nella volontà di scegliere la razionalità stessa dell'etica, divenendo condizione della sua realizzazione. Per cui la storia non è un seguito sconnesso di azioni puramente arbitrarie: essa è paragonata da Schelling a un dramma in cui Dio è autore e l'uomo l'attore che collabora all'invenzione del proprio ruolo. Nell'agire etico così la filosofia pratica da un lato si avvicina progressivamente e indefinitamente all'assoluto, ma come già in Kant e Fichte, ha il limite di non poterlo realizzare compiutamente. Essa è una "dimostrazione" mai conclusa dell'assoluto, che come tale resta quindi ancora (seppure in forme via via minori) oggetto di fede.
A differenza di Fichte però, Schelling, recuperando l'idea kantiana del bello di natura, riconosce nel momento estetico dell'arte il punto in cui lo scarto tra idea e realtà, spirito e natura, attività conscia e inconscia, si annulla in maniera definitiva. Nell'arte agisce infatti quell'intuizione produttiva che la filosofia teoretica può solo riconoscere, ma non realizzare. L’azione estetica è paragonabile a una natura creatrice che obbedisce alle leggi che essa si dà. Il genio cioè non opera in vista di un fine esterno, ma l’unico scopo del suo operare è l’operare stesso; guidato da un’ispirazione profonda, che egli domina lasciandosene dominare, egli è consapevole e inconsapevole nello stesso tempo. L'artista nella sua attività creatrice realizza così l'unità di ideale e reale dopo che questi due, nella coscienza dell'uomo, sono stati separati. Per questo l'intelletto non può mai esaurire la comprensione dell'opera d'arte: essa infatti è un infinito, e non essendo finito non è oggettivabile. Solo con l'intuizione artistica la filosofia raggiunge il suo scopo, perciò l'arte è per Schelling l'organo principe della filosofia.
Con Schelling la teoria romantica dell'arte ha ricevuto così la sua più profonda teorizzazione. Presentando l'arte come manifestazione dell'assoluto in cui cogliere l'indifferenza degli opposti, Schelling è considerato il maggior esponente della corrente dell’Idealismo Estetico.
La filosofia dell'identità assoluta
A fronte delle obiezioni di Fichte, secondo cui dal punto di vista del soggetto e del filosofare critico non può sussistere il supposto parallelismo tra il procedere della filosofia della natura e il procedere dell'idealismo trascendentale (poiché, se dall'autocoscienza è possibile andare alla natura, il percorso che va dalla natura all'autocoscienza si comprende solo in quanto quest'ultima è già presupposta dalla stessa filosofia trascendentale), Schelling nell’Esposizione del mio sistema di filosofia del 1801 chiarisce di volersi porre non dal punto di vista del soggetto trascendentale, ma dal punto di vista dell'assoluto, nel quale la soggettività e l'oggettività sono coessenziali e hanno pari dignità ontologica. Ora egli vuole partire così dal loro punto di unità e identità, nel quale la ragione non ha bisogno di uscire da se stessa e dalla propria visione unilaterale per attingere l'assoluto (com'era nella prospettiva limitata della coscienza critica trascendentale che doveva superarsi nella creazione artistica), ma si identifica immediatamente con l'assoluto stesso. Questa sua filosofia dell'identità vuole essere una "filosofia assoluta" perché identità non significa sintesi e nemmeno indifferenziazione, ma necessaria relazione e unità degli opposti: l'idealità cioè implica il reale e viceversa. Sono due poli dei quali l'uno è la potenza dell'altro. Come spiega nel Bruno, dove emergono chiare ascendenze neoplatoniche, all'assoluto sono essenziali due momenti: l'identità e la differenza, o in altre parole, unità e opposizione. L'assoluto va cioè definito come l'identità di "identità e differenza". L'introduzione della differenza rende possibile la molteplicità. L'esplicazione dell'assoluto nell'infinita molteplicità dell'universo è necessaria proprio perché il momento della differenza è essenziale come quello dell'identità. Tale attività si dualizza così in una polarità di forze opposte, una positiva e una negativa ( + / - ), ma quella positiva (attrazione) la configura come Una, quella negativa (repulsione) la configura come molteplice e polarizzata, tale per cui ogni polo è a sua volta l'unione di un ' + ' e un ' - '. L'Uno si ritrova nei molti, e i molti sono infinite sfaccettature dell'Uno.
Nulla dunque si trova al di fuori dell'assoluto: esso è l'Uno e il Tutto. La natura è in Dio, e poiché ogni realtà è rispecchiamento dell'assoluto, il mondo è perfetto da sempre. Come mai però esso non ci appare affatto così, ma sottoposto alla temporalità e alla contingenza? Questo fatto viene spiegato da Schelling come la conseguenza di una conoscenza inadeguata e ancora allo stadio inconsapevole. Si tratta cioè di una semplice apparenza. Per spiegare come questo punto di vista inadeguato, tipico dell'uomo, sia potuto sorgere, in Filosofia e religione del 1804 egli risale all'assoluto: l'assoluto oggettivandosi pone l'assoluto oggettivato. Quest'ultimo, essendo a sua volta un assoluto (non potendo l'infinito essere logicamente diviso), può porsi in autonomia, ma così facendo perde il vincolo dell'unità fornito dall'assoluto originario e si disperde nella temporalità e nella contingenza. Schelling parla a questo proposito di caduta, introducendo nel sistema un momento di irrazionalità: questa caduta secondo Schelling è legata ad un atto di libertà umana, non spiegabile razionalmente perché essendo libero non è riconducibile a una necessità logica. Una simile lacerazione e dualità in potenza fornisce però una preziosa indicazione: l'universo schellinghiano non è mai esaurito dalla sola razionalità, il che lo colloca in prospettiva in un superamento dell'idealismo assoluto che troverà invece in Hegel il maggiore e definitivo interprete.
La "filosofia dell'identità assoluta" intendeva tuttavia proporsi in quegli anni come un'interpretazione estremamente statica dell'universo, cosa che venne alquanto contestata dall'amico Hegel: questi rimproverava a Schelling di aver in sostanza annullato la storicità e la molteplicità del divenire, annacquandone le diversità e le particolarità nell'unità indifferenziata dell'Assoluto, riducendo tutto a spirito; è rimasta celebre la definizione dell'idealismo estetico da parte di Hegel, che lo paragonò a «una notte in cui tutte le vacche sono nere».
Il secondo Schelling
Assistendo al trionfo di Hegel, che aveva creduto di risolvere l'intera realtà e le sue contraddizioni nella Ragione assoluta, Schelling svilupperà in una fase più matura della sua vita una nuova filosofia, nello sforzo di confutare e superare il pensiero di Hegel e rispondere alle critiche mossegli dal suo ormai ex-amico. Egli reinterpreterà così l'idealismo tedesco non più nell'ottica hegeliana dell'immanentismo logico, ma riaffermando i valori della libertà e della trascendenza. Come già era successo al suo predecessore Fichte, egli si attesterà inoltre su posizioni sempre più vicine al Cristianesimo, quello cattolico in particolare.
L'inizio della seconda fase del pensiero di Schelling è generalmente situato nel 1809, quando vengono pubblicate le sue Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana. Riprendendo alcuni temi già elaborati dai mistici tedeschi, e in particolare da Jakob Böhme, Schelling ripercorre il problema già affrontato in precedenza di come far derivare la molteplicità dall'Uno indifferenziato. Per giustificare la presenza della diversità e della storicità, senza ridurle a semplici inganni e apparenze (che era l'accusa mossagli da Hegel), e per evitare al contempo la caduta in un dualismo insanabile in cui l'unità indistinta di Dio risulti contrapposta alla dispersione e mutevolezza del mondo, secondo Schelling occorrerà ammettere che la storia e il divenire abbiano in Dio stesso il loro fondamento.
Ciò è possibile solo se Dio viene inteso non come un essere statico, ma come un Dio vivo ed esistente, che accolga in sè la storia e la vita, tale per cui Egli non soltanto è, ma diviene. Rifacendosi al precedente bipolarismo spirito/natura, Schelling afferma che la Natura rappresenta l'aspetto oscuro e inconscio di Dio, un abisso profondo a partire dal quale però Dio emerge, rivelando se stesso come Persona e facendo trionfare la luce sull'oscurità. Le tenebre di per sé non sono un principio del male, ma piuttosto il fondamento attraverso il quale Dio si attua come causa sui, cioè causa di sè. È tuttavia in questo fondo oscuro che risiede la possibilità del male, che dunque non è un semplice non-essere, ma una potenzialità, che richiede di essere sconfitta.
Dio, scegliendo il bene, ha testimoniato la vittoria sulla morte, riconciliando e riunificando in sè la natura e lo Spirito, il fondamento e l'esistenza, in maniera definitiva; l'uomo invece, che è un Dio in divenire, dove tutto è ancora provvisorio, può decidere di separare i due princìpi opposti, lacerandone l'unità. Il male è dunque il risultato della libera volontà dell'uomo che ha scelto la strada della ribellione, mettendo in atto quella scissione che in Dio era presente in forma latente, seppure come possibilità già vinta. A causa dell'intrinseca irrazionalità del male, la sola ragione non è sufficiente per sconfiggerlo, ma è necessaria anche la fede. L'uomo, che è fatto a immagine di Dio, è un essere spirituale nel quale si mostra il Creatore, ma è un Dio caduto che ha all'unione ha preferito la via della discordia e della molteplicità. Il tentativo dell'uomo di ricucire la separazione tra il fondo oscuro della Natura e la luce della Ragione, è indice però non solo della sua natura peccaminosa, ma anche di quella divina. Nella caduta Schelling vede già implicita la redenzione.
In questo modo Schelling ha ottenuto tre risultati:
- ha dato vita, in maniera più decisa rispetto alla prima fase del suo pensiero, a una concezione di Dio come Persona e come Dio vivente, molto simile al cristianesimo;
- ha riconosciuto che il male non è soltanto negatività o privazione di essere come sosteneva l'agostinismo filosofico, ma possiede una sua positività, che però non è da intendersi neppure in forma manichea come assoluta contrapposizione al Bene;
- ha risposto alle accuse di Hegel escludendo ogni possibilità di intesa con il suo sistema e il suo panlogismo; la pretesa hegeliana di razionalizzare tutto non teneva conto infatti della presenza del male, che consiste proprio nell'impossibilità di trovare spiegazione ad ogni problema.
Questo non vuol dire che la filosofia non debba cercare in tutti i modi di penetrare il significato dell'irrazionale, compito che Schelling perseguirà fino alla fine.
La filosofia positiva come filosofia dell'esistenza
L'ultimo periodo della filosofia schellinghiana, che giunse dopo un lungo periodo di silenzio, è denominato "filosofia positiva"; questa venne elaborata in due momenti successivi: dapprima con la Filosofia della mitologia, e quindi con la Filosofia della Rivelazione.
Secondo Schelling, se la mitologia viene colta nel suo lato essenziale e non giudicata a prima vista come un insieme di credenze antiche e superate, essa riesce a svelare i segni e le forme in cui si articola la storia umana. Mentre il pensiero logico rimane incapace di afferrare la particolarità e la concretezza della realtà in divenire, quello mitologico ne consente una conoscenza più appropriata. Il mito infatti è tautegorico, non allegorico, nel senso che non va spiegato sulla base di presunte verità ad esso pregresse, ma esprime solo se stesso come nodo particolare di sviluppo del lungo e travagliato cammino della coscienza umana.
Mentre però la mitologia non va oltre una concezione puramente naturalistica di Dio, la filosofia della Rivelazione, resa possibile dall'annuncio cristiano, riesce ad innalzarsi a una conoscenza di tipo soprannaturale. Per Schelling l'essenza del cristianesimo è data dalla sua natura intimamente storica, che si esprime in particolare nell'Incarnazione del Cristo. In ciò sta l'immenso valore della religione cristiana, il cui contenuto fondamentale non dev'essere ridotto, come voleva Hegel, a un insieme di precetti morali dettati dalla ragione, delle quali la vicenda umana di Gesù rappresenterebbe solo l'involucro esteriore: «Il contenuto fondamentale del Cristianesimo è appunto Cristo stesso, non ciò che Egli ha detto, ma ciò che Egli è, ciò che Egli ha fatto. Il Cristianesimo non è immediatamente una dottrina, esso è una realtà».
Una filosofia razionalistica come quella hegeliana avrebbe dovuto limitarsi a studiare l'essenza della realtà da un punto di vista logico-formale, senza pretendere di stabilirne l'esistenza, ossia il contenuto storico e sostanziale. Hegel invece ha avuto la presunzione di costruire un sistema sia razionale che storico. Ma questa è per Schelling una mistificazione: Hegel non ha operato nessuna conciliazione tra Ragione e Realtà, ha soltanto messo la ragione al posto del reale, non avendo voluto distinguere tra filosofia positiva e filosofia negativa, confondendole.
La filosofia negativa può stabilire soltanto le condizioni negative o necessarie (ma non sufficienti) perché qualcosa esista. Essa coglie il dato empirico su un piano concettuale, racchiudendolo in un sistema, senza poterlo in nessun modo farlo venire all'essere, dal momento che l'esistenza nasce da una volontà libera e irriducibile alla mera necessità razionale. Alla filosofia negativa è quindi affidato un compito importante, in vista però di qualcos'altro: essa cioè deve essere integrata da una filosofia positiva, dove anche gli eventi e la storia trovino una loro ragion d'essere.
La filosofia positiva rappresenta così l'aspetto complementare a quello puramente logico-negativo della filosofia. Essa si rende conto che il suo pensare è reso possibile da un Essere sovra-razionale da cui procede, ma poiché la ragione non lo può dedurre da sé in termini logici, ha per questo bisogno di una rivelazione da parte di Dio stesso. Per accoglierla la ragione deve sapersi aprire, con l'estasi, a un sapere trascendente posto fuori di sè, che diventa condizione del dato empirico e dell'esistenza. Si tratta di un sapere "positivo" perché rivelato direttamente da Dio e non per via negativa o indiretta. Gli autori a cui Schelling intende chiaramente rifarsi in quest'ultima fase del suo pensiero sono ancora una volta Plotino e i mistici neoplatonici.
L'eredità
Per quasi tutto l'Ottocento Schelling venne interpretato alla luce di Hegel, come un momento determinante dello sviluppo dell’Idealismo che trovi il suo compimento nel pensiero hegeliano. Tale linea interpretativa tendeva a offuscarne le enormi differenze, e in particolare la sua seconda filosofia, che ebbe influenze profonde, anche se spesso sotterranee, nelle correnti anti-positiviste e anti-marxiste della seconda metà dell’Ottocento (parallelamente a Schopenhauer). L’interesse che Schelling aveva suscitato con l’enunciazione della filosofia positiva era stato peraltro vivissimo; ad ascoltarla convenirono tra gli altri Engels, Bakunin, e Kierkegaard, il quale ne recepì il richiamo all’esistenza, che per lui tuttavia sembrava non tradursi mai concretamente nella scoperta della singolarità dell’uomo. Influssi più o meno sotterranei sono rintracciabili anche nell'antroposofia di Steiner, nonché nelle correnti estetiche decadentiste e nell’irrazionalismo di Nietzsche, sebbene Schelling non volesse fare dell’assoluto e dell’esistenza un fatto soltanto irrazionale e del tutto incomprensibile. Non si può trascurare neppure il rilievo dato da Schelling alla nozione di inconscio, contribuendo alla formazione del contesto culturale in cui sarebbe sorta la psicanalisi, e in particolare quella di Carl Gustav Jung. Dell’idealismo schellinghiano si nutrì inoltre il pensiero francese fino a permeare soprattutto la filosofia di Bergson. La sua filosofia della natura e il concetto di persona sviluppato nell'ultimo periodo ebbe poi un influsso decisivo sull'antropologia filosofica di Max Scheler. A Schelling si ispirò anche la filosofia esistenzialistica di Heidegger, Jaspers e Marcel. Sul piano teologico l’importanza di Schelling sta nell’aver recuperato la Rivelazione nella sua positività e storicità. La recente riscoperta dell’ultimo Schelling, infine, è stata conseguenza dello sforzo di superamento del pensiero di Hegel e di un’interpretazione dell’idealismo tedesco non più nell’ottica hegeliana.
* 1914 - Papa Pio X, al secolo Giuseppe Melchiorre Sarto (Riese, 2 giugno 1835 – Roma, 20 agosto 1914), è stato il 257° vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (1903-1914), l'ultimo a esser stato proclamato santo, nel 1954.
Era figlio di Giovanni Battista Sarto (1792-1852), fattore, e di Margherita Sanson (1813-1894), sarta.
Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese, in provincia di Treviso, secondo di dieci figli in una famiglia modesta. Egli si distinse da molti suoi predecessori e successori proprio per il fatto che il suo cursus honorum fu esclusivamente pastorale senza alcun impegno presso la curia o nell'attività diplomatica della Santa Sede.
Ricevette la tonsura nel 1850 ed entrò nel seminario di Padova. Fu ordinato prete nel 1858, divenendo vicario della parrocchia di Tombolo. Nel 1867 fu promosso arciprete di Salzano e poi, nel 1875, canonico della cattedrale di Treviso, fungendo nel contempo da direttore spirituale nel seminario diocesano, esperienza della quale serberà sempre un ottimo ricordo.
Giuseppe Sarto fu nominato vescovo di Mantova il 10 novembre 1884, e poi ricoprì la carica di patriarca di Venezia. Il governo italiano rifiutò peraltro inizialmente il proprio exequatur, asserendo che la nomina del Patriarca di Venezia spettava al Re e che, inoltre, Sarto era stato scelto su pressione del governo dell'Impero Austro-Ungarico. Giuseppe Sarto dovette quindi attendere ben 18 mesi prima di poter assumere la guida pastorale del patriarcato di Venezia. Con la nomina a Patriarca egli ricevette pure la berretta cardinalizia nel concistoro del 12 giugno 1893. Fu eletto papa nel 1903.
Il conclave
Alla morte di Leone XIII il candidato più probabile al soglio di Pietro era considerato il Segretario di Stato Rampolla. All'apertura del conclave il 1º agosto 1903, la sorpresa: il cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia, comunica che l'imperatore d'Austria-Ungheria Francesco Giuseppe, usando un suo antico privilegio quale "Re apostolico d'Ungheria", pone il veto all'elezione del cardinale Rampolla.
I motivi del veto sarebbero non soltanto politici, in particolare la vicinanza del Rampolla alla Francia e le idee più aperte di questo degnissimo porporato, eccellente diplomatico e uomo di governo, ma anche personali; il Rampolla quale Segretario di Stato avrebbe infatti cercato di influenzare Leone XIII a negare una sepoltura cristiana all'arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, suicidatosi durante i cosiddetti fatti di Mayerling.
Malgrado l'indignazione di molti cardinali, la candidatura di Rampolla sfumò e i suffragi si orientarono sul Patriarca di Venezia, che fu eletto il 4 agosto ed incoronato il 9. Prese il nome di Pio X in onore dei suoi predecessori. Scelse come motto del suo pontificato Instaurare omnia in Christo (Paolo di Tarso) e lo attuò con coraggio e fermezza.
Una delle prime decisioni di Pio X fu proprio l'abolizione (con la costituzione apostolica Commissum nobis) del cosiddetto veto laicale, che spettava ad alcuni sovrani cattolici e a causa del quale egli era divenuto pontefice.
Il pontificato
Il nuovo Papa, consapevole di non avere alcuna esperienza diplomatica né una vera e propria formazione universitaria, seppe scegliere dei collaboratori competenti come il giovane cardinale Rafael Merry del Val y Zulueta, di soli 38 anni, poliglotta e direttore della Pontificia accademia ecclesiastica, che fu nominato Segretario di Stato. Stante la propria inesperienza, Pio X lasciò a Merry del Val sostanzialmente campo libero nella conduzione della diplomazia vaticana.
Come papa Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I, che pure passarono dal Patriarcato di Venezia al soglio di Pietro provenendo da famiglie di origine popolare, egli rimase sempre semplice e umile. In Vaticano visse parcamente, assistito dalle sorelle, in un appartamento fatto allestire appositamente.
Più controversa la valutazione sul profilo politico del pontificato, la cui linea può essere caratterizzata essenzialmente come conservatrice, in particolare per la lotta ingaggiata contro il modernismo. Fu tuttavia Pio X ad avviare la riforma del diritto canonico, che culminerà nel 1917 con la promulgazione del Codice di diritto canonico, e a redigere il catechismo che porta il suo nome. Anche sul piano della gestione patrimoniale fu lui a unificare i redditi dell'obolo di San Pietro e quelli del patrimonio del Vaticano. Ma, soprattutto, riformò la Curia romana con la costituzione Sapienti consilio del 29 giugno 1908, sopprimendo vari dicasteri divenuti inutili. Morì di crepacuore, a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale. La morte lo colse mentre era intento a completare degli studi preparatori di un documento (poi abbandonato dai successori) relativo alle condizioni di liceità dell'esercizio del diritto di sciopero. Gli aspetti politici del suo pontificato non debbono far mettere in secondo piano quelli mistici: a lui si deve la concessione della Prima Comunione ai fanciulli. Sembra che tale provvedimento fu preso dopo aver ricevuto una lettera in tal senso da Joseph Lefebvre, futuro missionario e fratello maggiore del più celebre arcivescovo Marcel Lefebvre, fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX).
La «questione francese»
Pio X ebbe a confrontarsi con il problema della separazione fra Stato e Chiesa, che emerse in Francia con l'entrata in vigore della legge del 9 dicembre 1905, nella quale si concentravano gli intenti fondamentali della politica anti-religiosa e massonica della terza Repubblica e in particolare del governo di Émile Combes.
A partire dal 1880 si erano registrati in Francia una serie di provvedimenti anti-religiosi tendenti alla dissoluzione delle congregazioni religiose, di espulsione dei religiosi regolari: insegnanti, personale infermieristico ecc. Pio X si mostrò assai meno conciliante verso questa politica fortemente anti-clericale rispetto al proprio predecessore, malgrado la maggioranza dei vescovi francesi gli consigliasse di piegarsi alla nuova legge. La legge emanata dal governo francese il 9 dicembre 1905 segnò il culmine di una simile politica, decretando unilateralmente l'abrogazione del concordato del 1801.
Pio X con l'enciclica Vehementer Nos del 11 febbraio 1906, e l'allocuzione concistoriale Gravissimum del 21 febbraio, e l'enciclica Gravissimo Officii Munere del 10 agosto, proibì ogni attività collaborativa all'applicazione della nuova legge. L'ostilità del Pontefice alla nuova normativa francese compromise la creazione delle associations cultuelles, previste dalla legge del 1905, alle quali avrebbe dovuto essere trasferito il patrimonio della Chiesa. Prendendo a pretesto tale opposizione lo Stato francese incamerò gli ingenti beni immobili ecclesiastici. La situazione sarebbe mutata soltanto nel 1923 con la creazione delle "associations diocésaines".
Analoghe tensioni si registrarono con il Portogallo, dopo l'avvento in quel Paese, nel 1910 della repubblica guidata da gruppi di potere anticlericali massonici. Pio X rispose con l'enciclica Iamdudum.
Proprio nei primi giorni della prima guerra mondiale, Pio X morì, si dice, di crepacuore, il 20 agosto 1914. Si dice anche che in punto di morte abbia detto: "Verrà il Guerrone" ossia la Grande Guerra.
La venerazione
Pio X fu beatificato il 3 giugno 1951 e canonizzato il 29 maggio 1954 durante il pontificato di Pio XII, la festa fu fissata al 3 settembre. Il calendario del Novus Ordo Missae la prevede il 21 agosto. Coloro che seguono il calendario antico lo festeggiano dunque il 3 settembre. La sua salma è tumulata all'interno della Basilica di San Pietro in Vaticano. È il patrono della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Pio X nella letteratura
▪ Pio X è anche il nome di un Papa immaginario nel libro di Thomas Hall Caine La Città Eterna
Pio X e il ballo
Ai primi del Novecento il tango, ballo sensuale importato dall'Argentina, cominciava a sottrarre spazio in Europa al valzer e alla polka. Di fronte alle interdizioni richieste dalle autorità ecclesiastiche parigine, si narra che Pio X desse disposizioni affinché una coppia di ballerini di tango gli fornisse un'idea precisa del nuovo ballo, per valutarne direttamente, di persona, gli aspetti scandalosi. Avvenuta l'esibizione riservata di danza, il sommo Pontefice avrebbe detto: [senza fonte]
«Mi me pàr che sia più bèo el bàeo a 'ea furlana; ma nò vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bàeo!» (A me sembra che sia più bello il ballo alla friulana; ma non vedo che gran peccato vi sia in questo nuovo ballo!)
Dispose perciò la revoca della sanzione ecclesiastica prevista per chi lo avesse praticato.
* 1995 - Hugo Eugenio Pratt (Rimini, 15 giugno 1927 – Grandvaux, 20 agosto 1995) è stato un autore di fumetti, romanziere e saggista italiano.
Il suo Corto Maltese è uno dei più noti personaggi del fumetto italiano ed internazionale.
[…]
Il ritorno in Italia: Corto Maltese
Tra il 1959 e il 1960 Pratt si trasferì a Londra; quindi, senza successo, tentò la via degli Stati Uniti, per poi tornare in Sudamerica, da cui ritornò in Italia nel 1962. Qui iniziò a collaborare proficuamente con Il Corriere dei Piccoli per il quale, tra le altre cose, realizzò le riduzioni a fumetti di numerosi romanzi della letteratura per ragazzi, come L'isola del tesoro e Il ragazzo rapito di Robert Louis Stevenson, entrambe sceneggiate da Mino Milani.
La svolta importante nella sua carriera avvenne con l'incontro con Florenzo Ivaldi. Era il 1967 e i due decisero di aprire una rivista dal titolo Sgt.Kirk, dove pubblicare le storie argentine del cartoonist, alcuni classici americani e degli inediti. Sul numero 1, il primo inedito a esordire fu proprio Una ballata del mare salato, la prima avventura di Corto Maltese, il più famoso ed importante personaggio di Pratt. La narrazione, come la maggior parte delle avventure del suo personaggio, rimanda la memoria ai grandi romanzi d'avventura di Conrad, Melville, Lewis, Cooper, Dumas, che tanto successo e tanta fama hanno avuto presso generazioni di lettori. Ma soprattutto, a ispirare Pratt per questa storia fu uno scrittore oggi dimenticato, Henry De Vere Stacpoole, autore di Laguna Blu. Questa prima storia, autentica pietra miliare del fumetto, fu successivamente ristampata anche sulle pagine del Corriere dei Piccoli.
Tre anni dopo Corto ritornò, questa volta sulle pagine della rivista per ragazzi francese Pif, ove vennero pubblicate ventuno brevi storie di cui il malinconico marinaio è l'assoluto protagonista. La prima s'intitola Il segreto di Tristan Bantam (tra i migliori racconti vanno ricordati anche Per colpa di un gabbiano, La laguna dei bei sogni, Concerto in O minore per arpa e nitroglicerina, L'ultimo colpo). A metà degli anni '70, Hugo Pratt strinse grande amicizia con il giovane Lele Vianello che, assorbendone la tecnica e lo stile, diventò suo braccio destro collaborando graficamente alle sue opere.
Nel 1974 Pratt iniziò a disegnare Corte Sconta detta Arcana, operando un primo notevole cambiamento stilistico in direzione della semplificazione: "Vorrei arrivare a dire tutto con una linea", ripeteva - e da allora le storie di Corto ebbero sempre la forma di romanzi grafici più o meno lunghi. Alcuni di loro si affermarono presto come classici assoluti del fumetto (il già citato Corte Sconta, Favola di venezia, La casa dorata di Samarcanda). La serie termina con Mu, disegnato nel 1988 e pubblicato in volume nel 1992. Il "maestro di Malamocco" (come lo definì Oreste Del Buono) aveva però in mente un altro capitolo per la saga del marinaio con l'orecchino e che sarebbe stata la continuazione de La giovinezza, opera del 1981 nella quale si narrava una parte dell'adolescenza del protagonista. La casuale scoperta di un pugno di strisce, tredici in tutto, con dialoghi solo abbozzati, avvenuta nel settembre del 2005 da parte della figlia di Pratt rovistando dentro una rivista, ne è la prova.
Attraverso le avventure del suo marinaio, Pratt si affermò come uno dei più importanti autori di fumetti al mondo. Il suo immaginario così colto e popolare al contempo, la perenne ricerca di uno stile grafico essenziale ed espressivo (tenendo sempre a mente la lezione del maestro Milton Caniff e costeggiando, per certi versi, le soluzioni della "linea chiara" franco-belga), la consumata abilità narrativa lo rendono un punto di riferimento per chi voglia studiare le possibilità espressive della "letteratura disegnata" (orgogliosa definizione data dallo stesso Pratt, che comunque preferiva farsi chiamare "fumettaro").
Nella lunga carriera di Pratt, oltre alla saga di Corto Maltese si possono citare ancora la serie degli Gli scorpioni del deserto, ambientata in Africa durante la seconda guerra mondiale, di cui Pratt scrisse e disegnò cinque storie, e i quattro libri realizzati per Bonelli (allora Editoriale Cepim) nella serie Un Uomo Un'Avventura, dai titoli L'uomo del Sertao, L'uomo della Somalia, L'uomo dei Caraibi e L'uomo del grande nord (quest'ultimo ripubblicato in seguito con il nome Jesuit Joe). Notevoli anche Tutto ricominciò con un'estate indiana ed El Gaucho, scritte per l'amico e allievo Milo Manara.
Oggi sono proprio queste storie che ci restano in eredità: il 20 agosto 1995, infatti, Hugo Pratt muore senza riuscire a vedere la sua creatura, Corto Maltese, finire protagonista in televisione di una serie animata. Le storie di Corto sono ristampate da Lizard Edizioni.
* 2004 - Fratel Ettore Boschini (Roverbella, 25 marzo 1928 – Milano, 20 agosto 2004) è stato un religioso italiano dell'ordine dei Ministri degli Infermi e benefattore, conosciuto a Milano semplicemente come fratel Ettore.
Ettore Boschini nacque da una famiglia di agricoltori benestanti. A quattro anni, a causa di una grave crisi del settore agricolo, si dovettero trasferire nella vicina contrada di Malavicina. Proprio per le nuove esigenze economiche familiari, Ettore, smise di studiare per dedicarsi al lavoro in una stalla.
Perseguendo la sua vocazione religiosa, il 6 gennaio 1952 fu accolto nell'Ordine dei Camilliani come "fratello laico" e dopo alcuni anni emise la sua Professione religiosa solenne consacrando tutta la sua vita al servizio dei malati seguendo l'esempio di san Camillo. Fu inizialmente destinato alla comunità agli Alberoni di Venezia dove rimase per una ventina d’anni, svolgendo mansioni di infermiere.
Nei primi anni settanta fu trasferito alla comunità San Camillo di Milano dove scopre la "crisi delle strade": in pieno boom economico le strade di Milano sono popolate da "barboni" disadattatti ed emarginati, esclusi da ogni vantaggio dell'ambiente urbano. Comincia così, negli ambulatori della clinica san Camillo, ad ospitare i primi "barboni" che trova nelle strade per una prima assistenza. In brevissimo tempo il numero di persone che si rivolgono a lui aumenta enormemente. Così, con il benestare dei suoi superiori, orienta tutto il suo impegno all'assistenza corporale e spirituale del gran numero di persone che gravitano intorno alla Stazione Centrale e dà vita al primo rifugio in un tunnel sotto la Stazione. Il suo impegno lo porta in stretto contatto con iniziative natura aconfessionale.
Molti ambienti hanno criticato le iniziative di Fratel Ettore o sotto l'aspetto che il problema dei diseredati ha bisogno di interventi più radicali, o, addirittura proprio perché la presenza di un rifugio nei sotterranei della Stazione Centrale contribuiva a farli calamitare nella zona.
Negli anni ottanta e novanta ha fondato diverse case di accoglienza in Italia e all'estero sul modello del rifugio della Stazione di Milano.
È morto il 20 agosto 2004 a Milano a causa di un tumore e ha lasciato alla guida delle comunità da lui fondate la sua più stretta collaboratrice, suor Teresa Martino.
La sua testimonianza di straordinaria carità cristiana a favore dei più poveri tra i poveri fu evidente a tutti, credenti e non credenti e "costrinse" molte coscienze ad interrogarsi sul proprio atteggiamento nei confronti del prossimo più emarginato.
È in atto l'istruttoria per il processo di beatificazione.
La sua opera
Fratel Ettore Boschini aprì molti "rifugi" in tutto il mondo, luoghi ove dare accoglienza a barboni, tossicodipendenti, alcolisti e persone in difficoltà. Un aiuto riconosciuto da scrittori (vari volumi sono stati pubblicati sulla sua vita come Fratel Ettore, un gigante della carità di Giuliana Pelucchi), diplomatici, e da Madre Teresa di Calcutta che si inchinò davanti alla sua opera.
Una lapide posta dai cittadini di Greco, quartiere milanese vicino alla stazione centrale, ricorda una visita di madre Teresa al primo rifugio di Fratel Ettore.
Sedi dei Rifugi
▪ Amici del Cuore Immacolato di Maria - Via Sammartini, 114 - 20125 Milano
▪ Villaggio delle Misericordie - Via Assietta, 32 - Affori - 20161 Milano
▪ Casa Betania - Corso Isonzo, 90 - 20030 Seveso
▪ Alleluia, Casa di Spiritualità - Via Trento Trieste, 41 - Novate - Milano
▪ Nostra Signora di Loreto - Collespaccato Bucchianico (Chieti)
▪ Piccola Casa Misericordia - Via Torino - Crescentino - (Vercelli)
▪ Sacra Famiglia - Villaggio Bartolomeo Gosio - Grottaferrata (Roma)
▪ Comunità Nazareth - Carrera 8a No 1f-25 - Bogotà - Colombia
Premi
▪ È stato premiato dal comune di Milano con l'ambrogino d'oro.
▪ Nel 2005 gli è stato attribuito il premio Angeli dell'Anno (alla memoria), la cui giuria è costituita dai caporedattori dei quotidiani Avvenire, Corriere della Sera, La Gazzetta dello Sport, Il Giornale, Il Giorno ed Il Sole 24 Ore
▪ Nel 1973 ha vinto il Premio Bontà Papa Giovanni XXIII
Bibliografia
▪ Giuliana Pelucchi, Fratel Ettore, Un gigante della carità, Casa editrice Paoline, ISBN 88-3152-758-4
▪ Luciano Moia, Fratel Ettore e i suoi amici Edizioni Camilliane