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Il calendario del 2 Giugno

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 455 - I Vandali entrano a Roma, e saccheggiano la città per due settimane. Ripartiranno con tesori incalcolabili, spoglie del tempio di Gerusalemme portate a Roma da Tito, e con l'Imperatrice Licinia Eudossia e le figlie Eudocia e Placidia

▪ 1094 - Morte di San Nicola Pellegrino, patrono della città di Trani.

▪ 1379 - Giacomo Orsini conquista il castello di Marino, nello Stato della Chiesa, dopo aver vinto lo scontro campale della battaglia di Marino.

▪ 1537 - Papa Paolo III emette la bolla "Veritas Ipsa" che condanna il commercio di schiavi.

▪ 1615 - I primi missionari della Recolletta arrivano a Quebec City, da Rouen, in Francia

▪ 1751 - Papa Benedetto XIV pubblica l'enciclica Magno cum animi, sul divieto di celebrare la messa in luoghi non autorizzati dal vescovo e nelle case private

▪ 1800 - Prima vaccinazione contro il vaiolo nel Nord America, a Trinity (Terranova)

▪ 1835 - Phineas Taylor Barnum parte per il suo primo giro di spettacoli per gli Stati Uniti.

▪ 1848 - Si tiene a Praga il Congresso Pan-Slavo dove si raccolgono per la prima volta i rappresentanti di tutte le popolazioni slave dell'Europa centrale.

▪ 1858 - Viene avvistata per la prima volta la Cometa Donati.

▪ 1865 - Con la resa delle forze del Generale Edmund Kirby Smith a Galveston (Texas), finisce la guerra di secessione americana

▪ 1876 - Il rivoluzionario e poeta bulgaro Hristo Botev viene assassinato a Stara Planina

▪ 1886 - Il Presidente Grover Cleveland sposa Frances Folsom nella Casa Bianca

▪ 1895 - Italia: si svolgono le Elezioni politiche generali per la 19° legislatura

▪ 1878 - Si apre il Congresso di Berlino

▪ 1897 - Mark Twain, rispondendo alle voci sulla sua morte, viene citato dal New York Journal per aver detto, "La notizia della mia morte è un'esagerazione"

▪ 1912 - Carl Laemmle fonda gli Universal Studios

▪ 1924 - Il governo degli Stati Uniti conferisce la cittadinanza a tutti i nativi Americani nati all'interno dei confini della nazione

▪ 1928 - Arturo Ferrarin e Carlo Del Prete, a bordo di un Savoia-Marchetti S.64, conquistano il record di distanza in volo in circuito chiuso, percorrendo un totale 7.666 km ripetendo per 51 volte il tragitto fra Torre Flavia ed il faro di Anzio.

▪ 1946 - Con un referendum istituzionale gli italiani decidono di trasformare l'Italia da monarchia a repubblica (12.717.923 voti contro 10.719.284). Dopo questo referendum il Re d'Italia Umberto II di Savoia viene esiliato.

* 1948 - Sono eseguite le condanne a morte contro i criminali nazisti (medici) riconosciuti colpevoli di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e appartenenza ad un'organizzazione dichiarata criminale dal Tribunale militare internazionale e condannato a morte tramite impiccagione (Sentenza del Tribunale militare americano n. 1 Norimberga, 20 agosto 1947).

▪ 1953 - Incoronazione della regina Elisabetta II del Regno Unito, la prima trasmessa per televisione

▪ 1954 - Il senatore statunitense Joseph McCarthy asserisce che i comunisti si siano infiltrati nella Central Intelligence Agency

▪ 1965 - Guerra del Vietnam: il primo contingente di soldati combattenti Australiani arriva nel Vietnam del Sud

▪ 1967 - Le proteste a Berlino Ovest, contro l'arrivo dello Scià dell'Iran, si tramutano in scontri, durante i quali il giovane Benno Ohnesorg viene ucciso da un agente di polizia. La sua morte porterà alla fondazione del gruppo terroristico Movimento del 2 giugno

▪ 1979 - Papa Giovanni Paolo II visita la sua natia Polonia, diventando il primo Papa a visitare un paese comunista

▪ 1985 - Papa Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Slavorum Apostoli, ai vescovi, ai sacerdoti, alle famiglie religiose a tutti i fedeli cristiani nel ricordo dell'opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio dopo undici secoli

▪ 1995 - In Bosnia il pilota dell'USAF Scott O'Grady viene abbattuto da un missile terra-aria SA-6 mentre pattuglia con un F-16 la no-fly zone imposta dalla NATO.

▪ 1997

  1. - Un treno merci con un carico di auto, trainato da una coppia di E633, si incendia nella galleria dell'Exilles tra Chiomonte-Salbertrandt. L'incidente non fa vittime ma il rogo causa ingentissimi danni
  2. - Timothy McVeigh viene condannato per 15 capi di omicidio e cospirazione per il suo ruolo nell'Attentato di Oklahoma City all'Alfred P. Murrah Federal Building, nel 1995

▪ 2000 In Italia viene "restaurata" la festa della repubblica

▪ 2003 - L'ESA lancia il Mars Express, la prima missione di esplorazione planetaria europea.

Anniversari

▪ 1882 - Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 – Isola di Caprera, 2 giugno 1882) è stato un generale, condottiero e patriota italiano.
Anche noto con l'appellativo di Eroe dei due mondi, per le sue imprese militari compiute sia in Europa, sia in America meridionale, è la figura più rilevante del Risorgimento, ed è uno dei personaggi storici italiani più celebri nel mondo.
È considerato, insieme a Giuseppe Mazzini, Vittorio Emanuele II e Cavour, uno dei padri della Patria.

La giovinezza
Garibaldi nacque a Nizza, quando la città era parte del Primo Impero (tornata al Regno di Sardegna dopo il Congresso di Vienna (1815), restò sotto il governo dei Savoia fino al 1860). Era il secondogenito di Domenico, capitano di cabotaggio immigrato da Chiavari, e Rosa Raimondi, originaria di Loano. Angelo era il nome di suo fratello maggiore, mentre dopo Giuseppe nacquero altri due maschi, Michele e Felice, e due bambine morte in tenera età.
I genitori avrebbero voluto avviare Giuseppe alla carriera di avvocato, di medico o prete. Ma il figlio amava poco gli studi e prediligeva gli esercizi fisici e la vita di mare, essendo come lui stesso ebbe a dire «più amico del divertimento che dello studio». Vedendosi ostacolato dal padre nella sua vocazione marinara, tentò di fuggire per mare verso Genova con alcuni compagni, ma fu fermato e ricondotto a casa. Tuttavia, si appassionò all'insegnamento dei suoi primi precettori, soprattutto del signor Arena, un reduce delle campagne napoleoniche, che gli impartì lezioni d'italiano e di storia antica. Rimarrà soprattutto affascinato dall'antica Roma.
Convinto il padre a lasciargli seguire la carriera marittima a Genova, fu iscritto nel registro dei mozzi nel 1821. A sedici anni, nel 1824, si imbarcò sulla Costanza, comandata da Angelo Pesante di Sanremo, che Garibaldi avrebbe in seguito descritto come «il migliore capitano di mare». Nel suo primo viaggio si spinse fino a Odessa nel mar Nero e a Taganrog nel mar d'Azov (entrambe ex colonie genovesi), dove si recherà di nuovo nel 1833 ed incontrerà un patriota mazziniano che lo sensibilizzerà alla causa dell'unità d'Italia. Con il padre, l'anno successivo (1825) si diresse a Roma con un carico di vino, per l'approvvigionamento dei pellegrini venuti per il Giubileo indetto da papa Leone XII.

La navigazione
Nel 1827 salpò da Nizza con la Cortese per il mar Nero, ma il bastimento fu assalito dai corsari turchi che depredarono la nave, rubando persino i vestiti dei marinai. Il viaggio comunque continuò, e nell'agosto del 1828 Garibaldi sbarcò dalla Cortese a Costantinopoli, dove sarebbe rimasto fino al 1832 a causa della guerra turco-russa, e dove si integrò nella comunità italiana. Secondo le ricerche compiute dalla sua bisnipote diretta Annita Garibaldi, probabilmente frequentò la casa di Calosso - comandante della cavalleria del Sultano col nome di Rustem Bey - e l'ambiente dei genovesi che storicamente erano insediati nel quartiere di Galata e Pera, e si guadagnò da vivere insegnando italiano, francese e matematica.
Nel febbraio del 1832 gli fu rilasciata la patente di capitano di seconda classe e subito dopo si reimbarcò con la Clorinda per il mar Nero. Ancora una volta la nave fu presa di mira dai corsari, ma questa volta l'equipaggio accolse gli aggressori a fucilate. Garibaldi fu ferito ad una mano, e avrebbe poi ricordato questa scaramuccia come il suo primo combattimento.
Dopo 13 mesi di navigazione ritornò a Nizza, ma già nel marzo 1833 ripartì per Costantinopoli. All'equipaggio si aggiunsero tredici passeggeri francesi seguaci di Henri de Saint-Simon che andavano in esilio nella capitale Ottomana. Il loro capo era Emile Barrault, un professore di retorica che espose le idee sansimoniane all'equipaggio.
Garibaldi, allora ventiseienne, fu molto influenzato dalle sue parole ma Anita Garibaldi ipotizza che appare probabile che quelle idee non gli giungessero del tutto nuove, fin da quando aveva soggiornato nell'Impero ottomano, luogo prescelto da tanti profughi politici dell'Europa e percorso esso stesso da fremiti di autonomia e di libertà.
Tutto ciò contribuì a convincerlo che il mondo era percorso da un grande bisogno di libertà. Lo colpì in particolare Emile Barrault quando affermò: « Un uomo, che, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità come patria e va ad offrire la spada ed il sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato: è un eroe » (Emile Barrault, frase riportata da Garibaldi a Alexandre Dumas in "Memorie di Giuseppe Garibaldi")
Il bastimento sbarcò i francesi a Costantinopoli e procedette per Taganrog, importante porto russo sul Mar d'Azov. Qui in una locanda, mentre si discuteva, un uomo detto il Credente[3], che era con ogni probabilità il giornalista e scrittore Giovanni Battista Cuneo, espose a Garibaldi le idee mazziniane.
Le tesi di Giuseppe Mazzini sembrarono a Garibaldi la diretta conseguenza delle idee di Barrault, e vide nella lotta per l'Unità d'Italia il momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue Memorie scrisse: «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella scoperta dell'America, come ne provai io al ritrovare chi s'occupasse della redenzione patria».

La vita da ricercato
La storia vuole che Giuseppe Garibaldi abbia incontrato Giuseppe Mazzini nel 1833 a Londra, dove quest'ultimo era in esilio protetto dalla massoneria inglese[senza fonte], e che si sia iscritto subito alla Giovine Italia, un'associazione politica segreta il cui scopo era di trasformare l'Italia in una repubblica democratica unitaria.
Sospinto dall'impegno politico, entrò nella Marina Sabauda per fare propaganda rivoluzionaria. Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia Cleombroto, un eroe tebano, fratello gemello di Pelopida che combatté con Epaminonda contro Sparta. Insieme agli amici Edoardo Mutru e Marco Pe cercò a bordo e a terra di fare proseliti alla causa, esponendosi con leggerezza. I due furono segnalati alla polizia e sorvegliati, e per questo vennero trasferiti sulla fregata Conte de Geneys in partenza per il Brasile.
Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio 1834 ci sarebbe stata un'insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con i mazziniani; ma il fallimento della rivolta in Savoia e l'allerta di esercito e polizia fecero fallire tutto. Il nizzardo non ritornò a bordo della Conte de Geneys, divenendo in pratica un disertore, e questa latitanza venne considerata come un'ammissione di colpa. Indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato.
Garibaldi divenne così un ricercato: si rifugiò prima a Nizza e poi varcò il confine giungendo a Marsiglia, ospite dell'amico Giuseppe Pares. Per non destare sospetti assunse il nome fittizio di Joseph Pane e a luglio si imbarcò alla volta del mar Nero, mentre nel marzo del 1835 fu in Tunisia. Il nizzardo rimase in contatto con l'associazione mazziniana tramite Luigi Cannessa e nel giugno 1835 venne iniziato alla Giovine Europa, prendendo come nome di battaglia Borrel in ricordo di Joseph Borrel, martire della causa rivoluzionaria.
Garibaldi decise quindi di partire alla volta del Sud America con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier.

L'esilio in Sud America
Tra il dicembre 1835 ed il 1848 Garibaldi trascorse un lungo esilio in Sud America. Prima a Rio de Janeiro, accolto dalla piccola comunità di italiani aderenti alla Giovine Italia.
Poi, il 4 maggio 1837, ottenne una 'patente di corsa' dal governo della Repubblica Riograndense (Rio Grande do Sul), ribelle all'autorità dell'Impero del Brasile, e prese a sfidare un impero con il suo peschereccio, battezzato Mazzini.
Dopo molti episodi, inclusa una fuga in Uruguay, e poi a Gualeguay, in Argentina, prese parte alle sue prime battaglie sulla terraferma. L'11 aprile 1838 respinse un intero battaglione dell'esercito imperiale brasiliano ("Battaglia del Galpon de Xarqueada"). Partecipò, quindi, alla campagna che portò alla presa di Laguna, capitale dell'attigua provincia di Santa Caterina, il 25 luglio 1839.
Il 15 novembre l'esercito imperiale riconquistò la città, e i repubblicani ripararono sugli altipiani, ove si svolsero battaglie che ebbero esiti alterni. In particolare, Garibaldi fu impegnato per la prima volta in un combattimento esclusivamente terrestre, nei pressi di Forquillas: attaccò con i suoi marinai il nemico e lo costrinse alla ritirata.
«Garibaldi è un uomo capace di trionfare in qualsiasi impresa.» (Alessandro Walewski da J.Duprey, Un fils de Napoleón dans les pays de la Plata au temps de Rosas, Parigi-Montevideo 1937, p. 164.)
Sconfitta la ribellione separatista, nel 1842 Garibaldi riparò in Uruguay, dove comandò la flotta uruguaiana in una battaglia navale contro gli argentini e partecipò quindi alla difesa di Montevideo con i suoi volontari, tutti vestiti con camicie rosse.[4] Qui sposò nel 1842 Ana Maria de Jesus Ribeiro, passata alla storia - e quasi alla leggenda - del Risorgimento italiano con il vezzeggiativo di "Anita".
Giuseppe ed Anita si erano conosciuti a Laguna nel 1839, quando la giovane donna aveva diciotto anni ed era sposata (o fidanzata: la cosa non è storicamente chiarita) a un calzolaio. In circostanze che lo stesso Garibaldi nelle sue Memorie tenne volutamente ambigue, Anita abbandonò il marito (o fidanzato che fosse) probabilmente il giorno stesso in cui incontrò il capitano corsaro. È spesso raccontato il fatto che Anita, abile cavallerizza, insegnò a cavalcare al marinaio italiano, fino ad allora del tutto inesperto di equitazione. Giuseppe a sua volta la istruì, per volontà o per necessità, ai rudimenti della vita militare.
Garibaldi e Anita ebbero quattro figli, tra i quali una femmina che morì durante un'epidemia di vaiolo. Garibaldi rientrò in Italia nel 1848, poco dopo lo scoppio della prima guerra di indipendenza. Qualche mese prima della sua partenza aveva fatto imbarcare Anita e i tre figli su una nave diretta a Nizza, dove furono affidati per qualche tempo alle cure della famiglia di lui.

La prima guerra d'indipendenza
Tornato dunque in Europa per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci, Garibaldi si recò il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova, per offrirsi volontario al re Carlo Alberto che, avvertito dai consiglieri della sua partecipazione all'insurrezione di Genova, lo respinse.[senza fonte]
Partecipò comunque alla guerra come volontario al servizio del governo provvisorio di Milano. Con la Legione che aveva organizzato ottenne due piccoli successi tattici, sugli Austriaci del d'Aspre, a Luino e Morazzone.

La Repubblica Romana
Dopo la sconfitta piemontese di Novara (22-23 marzo 1849), Garibaldi partecipò ai combattimenti in difesa della Repubblica Romana, minacciata dalle truppe francesi e napoletane che difendevano gli interessi del papa Pio IX.

La fuga da Roma e la morte di Anita
Nonostante i numerosi atti d'eroismo dei patrioti e nonostante la strenua opera di difesa organizzata da Garibaldi, l'enorme superiorità numerica dell'esercito francese e di quello napoletano ebbe alla fine la meglio. Roma cadde e Garibaldi, con i suoi, fu costretto alla fuga, che è passata alla storia come "la trafila", una disperata corsa per mezza Italia nel tentativo di raggiungere Venezia, dove la Repubblica di San Marco (l'unica repubblica superstite) ancora reggeva l'urto delle potenze imperiali europee.
La "trafila" rappresentò una delle pagine più drammatiche e dolorose di tutta l'avventura terrena di Garibaldi. Rimasto solo con Anita incinta e con il fedelissimo "Leggero", braccati com'erano dalla polizia papalina e, ancora una volta, dalle truppe del tenente-feldmaresciallo d'Aspre, che comandava il corpo di occupazione austriaco in Toscana, Garibaldi perse la moglie, che morì nelle paludi delle Valli di Comacchio, spossata dalla fuga e dalla gravidanza.
Al pianto disperato di Garibaldi, che non voleva abbandonare il cadavere della donna, "Leggero" lo avrebbe sollecitato a proseguire la fuga e a mettersi in salvo dicendogli: «Generale, per i vostri figli, per l'Italia...»
Alla fine, Garibaldi riuscì a fuggire entrando nel Granducato di Toscana, il cui confine correva tra Forlì e Castrocaro, giungendo infine in Liguria, nel Regno di Sardegna. Qui venne invitato a non fermarsi ed imbarcato per la Tunisia, dove gli fu impedito di sbarcare e, quindi, momentaneamente alloggiato nell'isola della Maddalena, ospite del sindaco per una ventina di giorni. Il governo piemontese, tuttavia, non vedeva l'ora di sbarazzarsi dell'ingombrante figura di Garibaldi e, sul brigantino da guerra Colombo, lo trasferì a Gibilterra, dove il governatore inglese gli concesse di sbarcare, però intimandogli di ripartire entro 10 giorni.
L'Eroe dei due mondi decise di stabilirsi a Tangeri, accompagnato dagli ufficiali "Leggero" e Luigi Cocelli, accettando l'ospitalità dell'ambasciatore piemontese in Marocco Giovan Battista Carpenetti. Passati lì sei mesi, s'imbarcò per New York (agosto 1850) dove lavorò nella fabbrica di candele di Antonio Meucci. Dopodiché si trasferì in Perù dove cercò un ingaggio come capitano di mare.

Il rientro in Italia e la seconda guerra d'indipendenza
Garibaldi tornò in Italia nel 1854. Comprò metà dell'isola di Caprera (isola dell'arcipelago sardo di La Maddalena) con un'eredità di 35 mila lire. Partendo dalla casa di un pastore costruì, insieme a 30 amici, una fattoria.
Si mise a fare il contadino, il fabbro e l'allevatore: possedeva un uliveto con circa 100 alberi d'ulivo, si occupava di un vigneto con cui produceva anche un buon vino e allevava 150 bovini, 400 polli, 200 capre, 50 maiali e più di 60 asini.
Cinque anni dopo partecipò alla seconda guerra d'indipendenza (maggio-giugno 1859) guidando in una brillante campagna nella Lombardia settentrionale, i Cacciatori delle Alpi. Dopo aver sconfitto gli austriaci nella battaglia di San Fermo occupò la città di Como.
In seguito alla vittoria dei franco-piemontesi sull'esercito austriaco, i piemontesi occuparono militarmente la Legazione delle Romagne [6]. Vittorio Emanuele incaricò Garibaldi di controllare il confine tra il Riminese ed il Pesarese, dove cominciava lo Stato della Chiesa. Garibaldi andò oltre i propri compiti, profondendosi nell'attacco di Marche e Umbria. L'iniziativa era prematura ed improvvida (assente il consenso di Napoleone III) e venne bloccata dal generale Manfredo Fanti. Per evitare di creare imbarazzi al governo torinese, Garibaldi fu convinto a dimettersi dal comando in seconda della Lega dell'Italia Centrale.

Il viaggio da Quarto al Volturno
Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il Regno delle Due Sicilie.
Raccolto un corpo di spedizione composto da circa mille uomini (le Camicie rosse), Garibaldi raggiunse via mare la Sicilia partendo da Quarto, presso Genova. Sbarcò nel porto di Marsala proclamandosi dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II, da lui appellato re d'Italia.
Dopo essere sbarcato a Marsala, il 14 maggio si diresse verso Salemi dove venne accolto con grande entusiasmo dalla popolazione. Grazie all'aiuto del barone di Alcamo che si era unito con una banda di picciotti assunse il dominio in nome di Vittorio Emanuele II Re d'Italia. In quell'occasione l'Eroe dei Due Mondi issò, personalmente, sulla cima di una delle tre torri del castello Arabo-Normanno la bandiera tricolore proclamando Salemi la prima capitale d'Italia titolo che mantenne per un giorno.
In seguito, rinforzato da alcune centinaia di volontari batté i borbonici a Calatafimi.
Dopo una avventurosa marcia tutto attorno Palermo, il 27 maggio diede l'assalto alla città, da Porta Termini: assalì le carceri lasciate indifese e liberò i detenuti, dei quali molti si unirono a lui e con le famiglie delle borgate povere della città dettero vita ad una insurrezione popolare, tanto che i borbonici reagirono bombardando i quartieri ribelli. La guarnigione del Regno delle Due Sicilie accettò un armistizio che consentì loro di imbarcarsi e fare ritorno sul continente.
Vinta la resistenza della piazzaforte di Milazzo, il suo luogotenente Nino Bixio, giustiziò per brigantaggio 5 persone sommariamente processate a Bronte [8]. Il 20 luglio, venne pattuita una lunga tregua con la guarnigione di Messina, che accettava di non infastidire i volontari, a condizione di mantenere il controllo della cittadella.
Il 19 agosto la truppa sbarcò in Calabria a Melito. Aggirò e sconfisse i borbonici a Reggio Calabria il 21 agosto. Cominciò una rapida marcia verso nord, che si concluse, il 7 settembre, con l'ingresso in Napoli. La capitale era stata abbandonata dal re Francesco II, che aveva portato l'esercito a nord del fiume Volturno. La battaglia del Volturno fu la più brillante tra quelle combattute da Garibaldi in questa campagna: l'1-2 ottobre le forze garibaldine respinsero brillantemente l'attacco dell'esercito borbonico, riorganizzato a nord di Napoli da Francesco II, dopo gli sbandamenti successivi a Milazzo.
Anche se Francesco II aveva perso le speranze di recuperare Napoli, Garibaldi non disponeva delle forze necessarie a condurre l'assedio delle fortezze in cui l'esercito sconfitto si era ritirato (Capua e, soprattutto, Gaeta). Fu quindi risolutivo l'arrivo dell'esercito del Regno di Sardegna, guidato da Manfredo Fanti e da Enrico Cialdini.
Garibaldi incontrò Vittorio Emanuele II il 26 ottobre 1860, A Teano Ponte S.Nicola e gli consegnò la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. Garibaldi accompagnò poi il re a Napoli il 7 novembre e, il giorno seguente, si ritirò nell'isola di Caprera, rifiutando di accettare qualsiasi ricompensa per i suoi servigi. Tale atteggiamento basta da solo a confermare come egli non avesse mai immaginato di formare una repubblica garibaldina in Sicilia o a Napoli, bensì restare fedele al motto che aveva fatto proprio all'inizio del 1859: Italia e Vittorio Emanuele.

La mancata liberazione di Roma
Per l'intera esistenza Garibaldi colse ogni occasione per liberare Roma dal potere temporale, cacciandone, se possibile, il papa. Egli era infatti un convinto anticlericale: « Se sorgesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolerei nelle sue file » (Giuseppe Garibaldi, Memorie, BUR)
L'odio verso il papato e il clero e, in particolare, verso Pio IX è testimoniato dal nome che Garibaldi diede al proprio asino, "Pionono", e dal fatto che egli si riferisse al pontefice usando la locuzione «un metro cubo di letame», oppure con la frase «la più nociva fra le creature, perché egli, più di nessun altro è un ostacolo al progresso umano, alla fratellanza fra gli uomini e popoli» (Giuseppe Garibaldi, Memorie, BUR)
Al primo tentativo della Repubblica Romana del 1849 era legata la morte della moglie Anita. La spedizione dei Mille avrebbe avuto come obiettivo, nelle sue intenzioni, non Napoli ma Roma, ma vi fu impedito dalla resistenza dell'esercito borbonico durante l'assedio di Gaeta e dalle considerazioni politiche del governo sardo.
Garibaldi aveva, in ogni caso, ottenuto un incredibile successo, e su quell'onda, nel 1862, organizzò una nuova spedizione: imbarcatosi a Caprera, raggiunse Palermo ove venne accolto dal tripudio popolare. Attraversò indisturbato la Sicilia raccogliendo volontari e passò lo Stretto da Giardini Naxos dove aveva trascorso la notte presso la famiglia Carrozza.
Napoleone III, l'unico alleato del neonato Regno d'Italia, aveva posto Roma sotto la propria protezione ed il tentativo era, quindi, destinato a fallire. Esso mise, comunque, in grave imbarazzo il governo italiano, che stabilì di fermare Garibaldi in Calabria, schierando contro di lui l'esercito regolare.
Garibaldi, probabilmente, contava sul proprio prestigio per avanzare indisturbato, certamente cercò di evitare lo scontro, passando per una via discosta nel cuore della montagna dell'Aspromonte. Venne comunque intercettato, i bersaglieri aprirono il fuoco e parimenti risposero alcune camicie rosse.
Garibaldi si interpose, gridando ai suoi di non sparare, ma venne ferito all'anca e al piede sinistro. Cadde e lo scontro a fuoco cessò. L'episodio della sua ferita sarà ricordato in una celebre ballata popolare su un ritmo di una marcia dei bersaglieri.
La cosiddetta giornata dell'Aspromonte fruttò al generale l'arresto. Il 2 settembre Garibaldi venne trasportato alla Spezia e rinchiuso nel carcere del Varignano. Il 20 novembre Garibaldi venne trasportato a Pisa dove fu visitato dal professor Paolo Tassinari e il 23 il professor Ferdinando Zannetti lo operò per estrarre la palla di fucile.
Che il tentativo del 1862 fosse velleitario, lo provarono i successivi eventi del 1867. Garibaldi organizzò una terza spedizione su Roma, partita questa volta da Terni, ai confini con lo Stato Pontificio riconosciuta come "Campagna dell'Agro Romano per la liberazione di Roma" con circa 10.000 volontari al suo inizio al comando del figlio primogenito Menotti: prese il 26 ottobre 1867 la piazzaforte pontificia di Monterotondo, ma non riuscì a suscitare la rivoluzione in Roma malgrado il sacrificio dei fratelli Cairoli (Villa Glori) e il sacrificio a Roma della Tavani Arquati e di Monti e Tognetti decapitati nel 1868. Garibaldi venne sconfitto dalle truppe del papa e dai rinforzi francesi dotati del fucile Chassepot a retrocarica inviati da Napoleone III alla battaglia di Mentana. I Francesi erano sul punto di catturare Garibaldi, ma l'Eroe dei Due Mondi venne salvato da Francesco Crispi, che raggiunse la stazione di Monterotondo in territorio italiano e riuscì a scortarlo in treno fino a Figline dove fu nuovamente arrestato.

La guerra di secessione americana
Nella primavera del 1861 il colonnello Candido Augusto Vecchi, del seguito di Garibaldi, scrisse al giornalista americano Theodore Tuckermann esponendo la simpatia di Garibaldi per l'Unione. L'ambasciatore U.S.A. a Torino, G.P.Marsh, tastò il terreno per una partecipazione dell'eroe alla guerra di secessione americana in qualità di comandante di divisione. Lo stesso Garibaldi rivelò nel 1868 che Lincoln gli avrebbe offerto 40mila dollari per convincerlo a prendere il comando delle forze unioniste.
Garibaldi non volle impegnarsi, ufficialmente poiché voleva un impegno deciso per l'emancipazione degli schiavi, o addirittura perché disponibile solo per il comando supremo. Ma, in effetti, perché assai speranzoso di una imminente iniziativa di Vittorio Emanuele su Roma o il Veneto. Con queste premesse, la trattativa si arenò. Nell'autunno del 1862 Canisius, console U.S.A. a Vienna, riprese i contatti; tuttavia Garibaldi, ferito e reduce dall'Aspromonte, si trovava detenuto a Varignano: in caso di accettazione si sarebbe prospettato un delicato caso diplomatico.
Seguirono passi da parte di Seward, segretario di stato di Abraham Lincoln, per far decadere senza esito la clamorosa proposta.

La terza guerra d'indipendenza
All'inizio della Terza guerra di indipendenza italiana venne riorganizzato il corpo volontario denominato Corpo Volontari Italiani, ancora una volta al comando del Garibaldi. Anche la missione era simile a quella condotta fra i laghi lombardi nel 1848 e nel 1859: agire in una zona di operazioni secondaria, le prealpi tra Brescia ed il Trentino, ad ovest del Lago di Garda, con l'importante obiettivo strategico di tagliare la via fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona. Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via di Tarvisio per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra Mantova ed Udine. L'azione strategica principale era, invece, affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati a La Marmora ed a Cialdini.
Garibaldi operò inizialmente a copertura di Brescia, per poi passare decisamente all'offensiva a Ponte Caffaro il 25 giugno 1866. Il 3 luglio a Monte Suello costrinse al ripiegamento gli austriaci, ma riportò una ferita alla coscia per un maldestro colpo partito ad un suo volontario. Si aprì, con la vittoria nella battaglia di Bezzecca e Cimego del 21 luglio, la strada verso Riva del Garda e quindi l'imminente occupazione della città di Trento. Salvo essere fermato dalla firma dell'armistizio di Cormons. In quest'occasione, ricevuta la notizia dell'armistizio e l'ordine di abbandonare il territorio occupato, rispose telegraficamente "Obbedisco", parola che successivamente divenne motto del Risorgimento italiano e simbolo della disciplina e dedizione di Garibaldi.

Le campagne in Francia
Durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871, Garibaldi guidò un esercito di volontari a sostegno dell'esercito della nuova Francia repubblicana (battaglia di Digione). Dopo la resa francese, nel 1871 Garibaldi prese posizione in favore della Comune di Parigi e dell'Internazionale Socialista e fu eletto deputato alla nuova Assemblea Nazionale francese nelle liste dei repubblicani radicali come deputato della Côte-d'Or, Paris, Algeri e, naturalmente, Nizza: questa quadruplice elezione fu, tuttavia, invalidata dall'Assemblea, col pretesto della contrarietà di Garibaldi all’annessione della Contea di Nizza alla Francia.
Peraltro questa fu la motivazione ufficiale; più realisticamente l'annullamento dell'elezione di Garibaldi fu motivato dalla paura della sua popolarità come eroe "socialista": la stessa assemblea, d'altra parte, si sarebbe presto occupata della repressione della Comune di Parigi. L'atteggiamento dell'Assemblea verso Garibaldi spinse alle dimissioni un deputato del calibro di Victor Hugo.

Gli ultimi anni a Caprera
Nel 1880 ufficializza la sua unione con la piemontese Francesca Armosino, sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe tre figli; di cui la prima Clelia Garibaldi, dedicherà alla sua memoria l'intera sua vita e racconterà in un libro Mio padre gli ultimi anni della sua vita in cui l'eroe dei due mondi si trasforma da condottiero a padre amorevole e marito affettuoso. Fu affetto negli ultimi anni di vita da una grave forma di artrite che lo costringeva su una poltrona a rotelle.
La sua ultima campagna politica riguardò l'allargamento del diritto di voto, nella quale impegnò l'immenso prestigio e la fama mondiale conquistate con le sue incredibili vittorie. Accentuò inoltre la polemica anticristiana intervenendo, come ospite d'onore, a varie riunioni della Società Nazionale Anticlericale.
Si era auto-esiliato nell'Italia che egli aveva costruito perché il regno d'Italia lo aveva preferito in disparte. Morì a Caprera il 2 giugno 1882, con lo sguardo rivolto intenzionalmente verso la Corsica. Nel testamento, una copia del quale è esposta nella casa-museo sull'isola di Caprera, Garibaldi chiedeva espressamente la cremazione delle proprie spoglie. Desiderio disatteso dalla famiglia, pare pressata da Francesco Crispi, che preferì, addirittura, farlo imbalsamare. Attualmente la salma giace a Caprera in un sepolcro chiuso da una massiccia pietra grezza di granito. Sembra che negli anni trenta sia stata effettuata una ricognizione della salma, che sarebbe stata trovata in perfetto stato di conservazione[senza fonte].
Garibaldi, massone ed anticlericale convinto, inserì nel proprio testamento anche alcuni passaggi tesi a sventare eventuali tentativi di conversione alla religione cattolica negli ultimi attimi della vita:
«Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s'inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll'impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d'un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell'Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada»

Cronologia
▪ 1807 Nasce a Nizza.
▪ 1821 È iscritto nei registri dei marinai.
▪ 1824 Primo viaggio in mare verso il Mediterraneo Orientale.
▪ 1833 A Taganrog entra in contatto con i mazziniani.
▪ 1834 Partecipa ai moti di Genova.
▪ 1835 Parte esule da Marsiglia verso il Sud America.
▪ 1839 Combatte con il Rio Grande do Sul contro il Brasile centralista.
▪ 1839 Incontra Anita, che sposerà nel 1842.
▪ 1841 Combatte con l'Uruguay contro l'Argentina rosista.
▪ 1849 Combatte per la difesa della Repubblica Romana.
▪ 1852 Si reca da Lima a Canton per acquistare guano.
▪ 1859 Partecipa alla Seconda guerra d'Indipendenza come generale dell'esercito piemontese, al comando dei Cacciatori delle Alpi.
▪ 1860 Impresa dei Mille.
▪ 1862 Nell'intento di liberare Roma, parte dalla Sicilia con 2.000 volontari, ma è fermato sull'Aspromonte.
▪ 1864 Si reca a Londra, dove è accolto trionfalmente ed incontra Henry John Temple (Terzo Visconte Palmerston) e Mazzini.
▪ 1866 Partecipa alla Terza guerra d'Indipendenza. Comanda un corpo di volontari che combatte in Trentino. Sconfigge gli austriaci a Bezzecca.
▪ 1867
A settembre partecipa a Ginevra al Congresso per la pace.
A ottobre si mette a capo dei volontari che hanno invaso il Lazio, ma viene fermato il 3 novembre a Mentana.
▪ 1870-71 Partecipa alla guerra franco-prussiana a fianco dei francesi.
▪ 1874 viene eletto deputato del Regno.
▪ 1879 fonda a Roma la Lega della Democrazia.
▪ 1882 Muore a Caprera il 2 giugno.

Garibaldi e l'unificazione italiana
La figura di Garibaldi è assolutamente centrale nel quadro del Risorgimento Italiano, ed è stato oggetto di infinite analisi storiografiche, politiche e critiche. La popolarità di Garibaldi, la sua capacità di sollevare le folle e le sue vittorie militari diedero un contributo determinante alla riunificazione dello stato italiano. Solo a titolo di esempio si possono citare le trionfali elezioni (nel 1860, poi nel 1861) al Parlamento subalpino e poi italiano. Ovvero il trionfo che gli venne tributato a Londra nel 1864.
Numerose furono, anche, le sconfitte. Fra i quali particolarmente brucianti furono quelli dell'Aspromonte e Mentana in quanto lo opposero ad una parte rilevante dell'opinione pubblica italiana, che, in tutti gli altri episodi della sua vita, lo aveva grandemente amato.
«(Catania) A Giuseppe Garibaldi che la notte del 18 agosto 1862 pronunziava da questa casa le storiche parole «Roma o Morte» il popolo catanese dedicava questa lapide il 2 giugno MDCCCLXXXIII primo anniversario della morte dell'Eroe, a gloriosa memoria del fatto, ad abborrimento perpetuo di tirannide. Epigrafe di Mario Rapisardi'' »

Garibaldi e Cavour
Garibaldi non ebbe mai rapporti sereni con Cavour. Da un lato, semplicemente non aveva fiducia nel pragmatismo e nella realpolitik di Cavour, ma provava anche risentimento personale per aver ceduto la sua città natale di Nizza alla Francia, nel 1860. D'altro canto si sentiva attratto dal monarca piemontese, che egli credeva l'uomo adatto per liberare l'Italia.
Certo, scrivendo all'ambasciatore sardo in Francia, Cavour prometteva all'imperatore che avrebbe fermato Garibaldi. Ma, in realtà, non ostacolò seriamente la partenza da Quarto della spedizione dei Mille. Permise a diversi ufficiali dell'Esercito sabaudo di raggiungere Garibaldi in Sicilia. Infine, inviò le truppe che permisero la definitiva sconfitta di Francesco II.

▪ 1948
- Karl Brandt (Mülhausen, 8 gennaio 1904 – Landsberg am Lech, 2 giugno 1948) è stato un medico tedesco, accompagnatore personale di Adolf Hitler e responsabile del programma nazista sull'eugenetica.
Giovane medico quando si iscrisse al partito nazista nel 1932; nel 1933 divenne un membro delle SA e nel 1934 divenne SS-Untersturmfürher delle SS. Ancora nel 1934 divenne il "medico accompagnatore personale" del Führer (il medico personale di Hitler fu Theodor Morell). Dal 1939 fu Commissario del Reich per la Sanità. Nel 1943 divenne tenente generale delle Waffen-SS. Fu l'uomo scelto da Hitler come iniziatore del Programma T4 (l'uccisione dei disabili tedeschi) e come su autorità medica suprema. Con queste autorità fu coinvolto con ruoli di massima responsabilità nei tristemente famosi esperimenti "scientifici" su esseri umani. Insieme ad Albert Speer fu fra le persone più vicine al Führer. Il 6 aprile 1945 fu arrestato dalla Gestapo e condannato a morte, ma il 2 maggio fu rilasciato per ordine di Karl Dönitz. Il 23 maggio 1945 fu infine arrestato dagli Inglesi.
Il Processo [modifica]
Fu processato dal 9 dicembre 1946 al 19 agosto 1947 con altri ventidue dottori al Palazzo di Giustizia di Norimberga (si veda: processo di Norimberga). Il processo è conosciuto agli atti con il titolo "United States of America v. Karl Brandt et al.", ma è comunemente conosciuto il "Processo ai dottori". La Corte era composta dai seguenti giudici:
1) Presidente Walter B. Beals, Giudice Supremo dela Corte suprema dello Stato di Washington;
 2) Giudice Harold L. Sebring, Giudice della Corte suprema dello Stato di Florida;
3) Giudice Johnson Tal Crawford, Giudice del tribunale distrettuale di Ada (Oklahoma); 
4) Giudice sostituto Victor C. Swearingen, Capo dell'Ufficio per i crimini di guerra presso il Pentagono.
Brandt, insieme agli altri imputati di questo processo fu accusato di:
1) aver congiurato e essersi accordato illegalmente, intenzionalmente e consapevolmente per commettere, in base ad un piano comune, crimini di guerra e crimini contro l'umanità come quelli definiti nella legge n. 10 del Comitato di controllo.

2-3) dal settembre del 1939 fino all'aprile 1945 tutti gli imputati sono accusati di essere mandanti, complici, istigatori, favoreggiatori, di aver dato il consenso e di essere implicati in progetti ed imprese che prevedevano esperimenti medici senza il consenso dei soggetti da esperimento, commettendo nel corso di questi esperimenti omicidi, violenze, atrocità, torture, crudeltà ed altre azioni disumane.

4) il quarto punto della denuncia accusa gli imputati di aver fatto parte di un'organizzazione che è stata riconosciuta come criminale dal Tribunale Militare Internazionale, in quanto appartenenti alle SS.

Sentenza
Karl Brandt fu riconosciuto colpevole di crimini di guerra, crimini contro l'umanità e appartenenza ad un'organizzazione dichiarata criminale dal Tribunale militare internazionale e condannato a morte tramite impiccagione (Sentenza del Tribunale militare americano n. 1 Norimberga, 20 agosto 1947).
- Viktor Brack, criminale tedesco (n. 1904)
- Rudolf Brandt, avvocato tedesco (n. 1909)
- Karl Gebhardt, medico tedesco (n. 1897)
- Waldemar Hoven, militare e medico tedesco (n. 1903)
- Joachim Mrugowski, medico tedesco (n. 1905)

Émile-Auguste Chartier detto Alain (Mortagne-au-Perche, 3 marzo 1868 – Le Vésinet, 2 giugno 1951) è stato un filosofo, giornalista, scrittore e professore francese.
Nel 1881 iniziò gli studi al liceo d'Alençon, dove passò 5 anni. Il 13 giugno 1956, il liceo d'Alençon ha preso il nome del suo più celebre allievo: liceo Alain.
Dopo la École normale supérieure, fu nominato professore a Pontivy, Lorient, Rouen e a Parigi (dapprima al liceo Condorcet, poi al liceo Michelet). A partire dal 1903, pubblicò su diverse testate giornalistiche (La Dépêche de Lorient, La Dépêche de Rouen et de Normandie) circa 3000 cronache brevi, con la firma Alain. Divenuto professore al liceo Henri-IV nel 1909, esercitò una profonda influenza sui suoi allievi (tra i quali Raymond Aron, Simone Weil, Georges Canguilhem).
Ai primi sentori della guerra, Alain si schierò a favore del pacifismo. Quando la guerra venne dichiarata, senza rinnegare le sue idee, e benché non in grado di spostarsi, non rifiutò la chiamata alle armi. Nel 1917 fu rispedito a casa per una grave ferita al piede. Avendo visto da vicino le atrocità della Grande Guerra, pubblicò nel 1921 il suo celebre pamphlet Mars ou la guerre jugée (“Marzo o giudizio sulla guerra”). Sul piano politico, s’impegnò al fianco del movimento radicale in favore di una repubblica liberale strettamente controllata dal popolo. Fino alla fine degli anni ’30, la sua opera fu ispirata dalla lotta per il pacifismo e contro il sorgere dei fascismi. Nel 1936, un ictus cerebrale lo costrinse sulla sedia a rotelle.
Morì nel 1951 e fu sepolto nel cimitero di Père Lachaise.

I Propos
Alain mise a punto, a partire dal 1906, il genere letterario che lo caratterizza, i "Propos".[1] Si tratta di articoli brevi, ispirati da fatti della vita quotidiana, dallo stile conciso ed invitante, che investono praticamente tutti gli ambiti. Questa forma, apprezzata dal grande pubblico, ha tuttavia allontanato certi critici da uno studio approfondito della sua opera filosofica. I suoi ispiratori furono Platone, Cartesio, Kant e Comte. Il punto d’approdo della sua filosofia è imparare a riflettere e a pensare razionalmente, evitando i pregiudizi. Umanista cartesiano, fu un «risvegliatore di spiriti», appassionato alla libertà, che non propose un sistema o una scuola filosofica, ma insegnò a dubitare di qualsiasi idea. Secondo lui, la capacità di giudizio derivante dalla percezione deve stare a stretto contatto con la realtà e non essere costruita a partire da un sistema teorico.
Alain perse la fede alle scuole superiori, ma senza una vera e propria crisi spirituale. Anche se non credeva in Dio ed era anticlericale, rispettò sempre lo spirito della religione. Fu anche attratto da certi fenomeni religiosi che esaminò con molta perizia. Dalle opere Propos sur la religion e Propos sur le bonheur traspare, un po’ come in Comte, un certo fascino per il Vangelo, nel quale vede un bel poema, e per il cattolicesimo che interpreta, sulla base dell’etimologia propria del termine, come un «consenso universale».

Marzo, o Giudizio sulla guerra (1921)
Alain ha spiegato che ciò che più ha sofferto nel corso della guerra è stato il senso di schiavitù. Egli si scaglia contro il disprezzo degli ufficiali per la truppa, i quali «parlavano agli uomini come a delle bestie». Inoltre egli non sopporta l’idea di questo massacro organizzato, di un simile modo di rapportarsi che gli uomini hanno con gli altri uomini.
Si disgustò quando assistette alla messa a punto di un’enorme macchina finalizzata ad ottenere l’obbedienza dagli uomini, e spiegò anche perché, da militare, non volle mai altro grado che quello di caporale.

▪ 1981 - Rino Gaetano, pseudonimo di Salvatore Antonio Gaetano (Crotone, 29 ottobre 1950 – Roma, 2 giugno 1981), è stato un cantautore italiano.
Nato a Crotone, in Calabria, Rino Gaetano si trasferisce a Roma all'età di dieci anni, per motivi legati al lavoro dei suoi genitori, e nella città capitolina vive per tutto il resto della sua vita, in Via Nomentana Nuova, nel quartiere di Monte Sacro, nei dintorni di piazza Sempione.
Congiuntamente ai suoi studi da Geometra, si avvicina al palcoscenico interessandosi di teatro e solo in seguito tenterà la strada del pop.
Dopo le prime esibizioni al Folkstudio, viene scoperto da Vincenzo Micocci, e il debutto discografico avviene nel 1973: con lo pseudonimo di Kammamuri's, pubblica per la It il 45 giri I Love You Marianna (sul lato B Jaqueline); prodotto da Antonello Venditti, Piero Montanari e Aurelio Rossitto, fonico dello Studio 38, dove venne realizzato il disco (acronimo di RosVeMon, dall'iniziale dei cognomi). I Love You Marianna potrebbe far pensare alla marijuana ma in realtà qui Rino, pur giocando sul doppio senso, si riferisce all'affetto che lo lega alla nonna Marianna, con la quale giocava da bambino. In quegli anni il cantante stringe una particolare amicizia con alcuni dei colleghi sotto contratto con la It di Vincenzo Micocci, alcuni di questi allora ancora poco noti, quali i cantautori Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Lucio Dalla, l'attore Marco Messeri.
Nel 1974 pubblica il suo primo album, Ingresso libero, che non ottiene tuttavia particolari riscontri di vendita né di critica, pur mostrando già i segni dello stile estroso, provocatorio e innovativo che avrebbe caratterizzato tutta la sua carriera. Tra i brani presenti ci sono Ad esempio a me piace il sud, canzone già nota perché incisa l'anno precedente da Nicola Di Bari con un testo leggermente diverso, e I tuoi occhi sono pieni di sale.
Il successo arriva l'anno dopo con il 45 giri Ma il cielo è sempre più blu.
Nel 1978 Rino Gaetano partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Gianna, piazzandosi al terzo posto, alle spalle dei Matia Bazar e di Anna Oxa. Inizialmente Rino Gaetano non vuole presentarsi al Festival, manifestazione nel cui spirito non si riconosce, ma viene poi in qualche modo convinto dalla sua casa discografica, la It. Decide allora di presentarsi col brano Nuntereggae più perché considera Gianna troppo commerciale e perché, a suo parere, si tratta quasi di una brutta copia di Berta filava. Poi però, poco tempo prima dell'inizio del Festival Rino decide di portare sul palco Gianna, un brano che, grazie anche al trampolino di Sanremo, ottiene un grande successo e rimane per quattro mesi in classifica, vendendo oltre 600mila copie. Sul lato B di quel disco c'è il brano Visto che mi vuoi lasciare.
Nello stesso anno conduce un programma radiofonico, intitolato Canzone d'Autore, in onda alle 18.00.
Artista estremamente poliedrico, nel 1981 recita nel Pinocchio di Carmelo Bene a Roma nel ruolo della volpe.
La carriera e la vita di Rino Gaetano si interrompono tragicamente il 2 giugno 1981 a soli trent'anni, in un incidente stradale che avviene a Roma, sulla via Nomentana, nei pressi del quartiere Trieste. Già pochi giorni prima della tragedia, Rino era stato coinvolto in un altro incidente automobilistico, dal quale era uscito miracolosamente illeso. La sua auto, una Volvo 343, è completamente distrutta e lui ne acquista subito un'altra uguale.
Il secondo incidente invece si rivela fatale: la vettura, una nuovissima Volvo 343 grigio metallizzato, finisce sulla corsia opposta e si schianta lungo via Nomentana (all'altezza dell'incrocio con via Carlo Fea) contro un camion, un Fiat 650D. Pur prontamente soccorso, in fin di vita, il cantante viene rifiutato da ben cinque ospedali, una circostanza sorprendentemente simile a quella narrata in uno dei suoi primi testi, La ballata di Renzo, eseguita dal cantautore durante le sue prime esibizioni al Folkstudio. Muore per la gravità delle ferite riportate, per giunta a pochi giorni di distanza dalla data fissata per il suo matrimonio. Inizialmente venne sepolto nel piccolo cimitero di Mentana fino al 17 ottobre quando è trasferito al cimitero del Verano, dove la sua salma si trova tuttora.

▪ 2008 - François Fejtő, nato Ferenc Fejtő, (Nagykanizsa, 31 agosto 1909 – Parigi, 2 giugno 2008), è stato un giornalista e politologo ungherese naturalizzato francese, specialista in questioni politiche dell'Europa orientale.
Fejtő in una famiglia di ebrei ungheresi dedita all'edizione di libri.
Alla caduta dell'Impero austroungarico, la famiglia si smembrò con migrazioni verso Jugoslavia, Italia, Cecoslovacchia e Romania. Ferenc studiò letteratura alle università di Pécs e Budapest, assieme a studenti di origine slava, tedesca e italiana. Nel 1932 venne condannato ad un anno di carcere per aver organizzato un gruppo di studenti marxisti, e nel 1934 aderì al Partito Socialdemocratico. Nello stesso periodo iniziò a collaborare a riviste come Népszava o Szocializmus, e nel 1935, assieme al poeta Attila József ed al giornalista Pál Ignotus, fondò la rivista anti-fascista e anti-stalinista Szép Szó. Su di essa pubblicò opere di autori come Sartre, Mounier e Maritain. Nel 1938, a seguito di una condanna a sei mesi di carcere per un articolo che criticava lo schieramento pro-tedesco del governo ungherese, decise di trasferirsi in Francia prima della scoppio della seconda guerra mondiale. Qui prese parte alla resistenza.
Nel 1945, Ferenc, già noto come François Fejtő, divenne addetto stampa all'ambasciata ungherese a Parigi, posto che abbandonò, in segno di protesta, a seguito della condanna del suo amico László Rajk. Da quel momento, Fejtő troncò ogni relazione con il suo paese di origine, nel quale tornò una sola volta nel 1989, in occasione dei funerali di stato in onore di Imre Nagy. Dopo la guerra, Fejtő aderì al Congrès des intellectuels pour la liberté, assieme a Raymond Aron, François Bondy e David Rousset, fra gli altri. La pubblicazione, nel 1952, del suo libro Una storia delle democrazie popolari lo mise in cattiva luce nei confronti di gran parte degli intellettuali situati nella cerchia del Partito Comunista Francese.
Fra il 1944 e il 1979, lavorò per la Agence France-Presse come giornalista specializzato in questioni relative all'Europa Orientale. Nel 1955 ottenne la cittadinanza francese, e fra il 1972 ed il 1984 insegnò presso l'Institut d'études politiques de Paris. Nel 1973, su proposta di Raymond Aron gli venne conferito il titolo di docteur dès lettres per la sua produzione letteraria. Nel corso della sua lunga attività collaborò con numerosi giornali francesi ed europei come Esprit, Arguments, Contre-Point, Commentaire, Le Monde, Le Figaro, La Croix, Il Giornale, La Vanguardia e Magyar Hírlap.
François Fejtő viene considerato uno dei maggiori intellettuali europei del XX secolo. Amico di figure come Nizan, Mounier e Camus, interlocutore critico di Malraux e Sartre, ebbe modo di conoscere capi del Komintern e del Partito Comunista, dialogò con i capi del Cremlino, con Tito, Fidel Castro e Willy Brandt, ed ebbe un rapporto di ammirazione critica con Charles de Gaulle e François Mitterrand. Alla sua morte, avvenuta il 2 giugno 2008, l'Ungheria dichiarò il lutto nazionale.

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