Il calendario del 19 Settembre
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Eventi
▪ 1356 - Gli inglesi sconfiggono i francesi nella Battaglia di Poitiers
▪ 1692 - Giles Corey viene pressato a morte dopo essersi rifiutato di dichiararsi colpevole durante il Processo alle streghe di Salem
▪ 1778 - Il Congresso Continentale approva il primo bilancio degli Stati Uniti
▪ 1783 - I fratelli Montgolfier presentano l'aerostato detto "ad aria calda" che viene innalzato alla presenza del re Luigi XVI, nei giardini di Versailles. L'aerostato prende poi il nome di mongolfiera
▪ 1796 - Discorso d'addio di George Washington
▪ 1799 - Le truppe francesi abbandonano Roma durante la Prima Repubblica Romana
▪ 1870 - Presa di Roma: completato l'accerchiamento di Roma da parte delle truppe del Regno d'Italia
▪ 1893 - Suffragio femminile: In Nuova Zelanda, il governatore approva la legge elettorale che dà a tutte le donne neozelandesi il diritto di voto.
▪ 1939 - A seguito del patto Patto Molotov-Ribbentrop Vilnius, attuale capitale della Lituania, è invasa dall'Armata Rossa
▪ 1940 - Nell'ambito della Battaglia d'Inghilterra l'Operazione Leone Marino viene rimandata indefinitamente
▪ 1941 - Nell'ambito dell'Operazione Barbarossa ha fine la battaglia di Kiev con la presa da parte della I e II Divisione panzer della città
▪ 1942 - La Sesta armata della Wehrmacht, al comando del generale tedesco Paulus, raggiunge il centro della città di Stalingrado: ha inizio la Battaglia di Stalingrado
▪ 1943 - Eccidio di Boves (primo massacro dei soldati tedeschi sulla popolazione civile italiana durante la Resistenza italiana)
▪ 1944 - Firma dell'armistizio tra Finlandia e Unione Sovietica. (Fine della Guerra di continuazione)
▪ 1945 - Lord Haw Haw (William Joyce) viene condannato a morte a Londra
▪ 1952 - Gli USA vietano a Charlie Chaplin il rientro in patria dopo un viaggio in Inghilterra
▪ 1955 - Juan Domingo Perón viene deposto in Argentina
▪ 1957 - Primo test sotterraneo statunitense di una bomba nucleare
▪ 1959 - A Nikita Khruščёv viene impedito di visitare Disneyland
▪ 1972 - Una lettera bomba spedita all'ambasciata israeliana di Londra uccide un diplomatico
▪ 1978 - Le Isole Salomone diventano membri delle Nazioni Unite
▪ 1983 - Saint Kitts e Nevis ottiene l'indipendenza dal Regno Unito
▪ 1988 - La Apple annuncia il suo Macintosh IIx
▪ 1994 - Viene pubblicata la dimostrazione dell'Ultimo teorema di Fermat ad opera di Andrew Wiles
▪ 1995 - Il Washington Post pubblica il manifesto di Unabomber
▪ 1998 - Per la prima volta in Italia un bambino di un anno, figlio di Testimoni di Geova, viene sottoposto a un intervento chirurgico a cuore aperto, perché affetto da cardiopatia congenita, senza fare ricorso a trasfusioni di sangue: al posto degli emoderivati, l'équipe dell'ospedale di San Donato Milanese utilizza liquidi chiari e senza plasma, centrifugando poi il sangue dell'operazione per restituirlo al piccolo.
▪ 2002 - In Costa d'Avorio truppe di ribelli guadagnarono il controllo di gran parte del paese e l'ex presidente Guéi rimase ucciso nei combattimenti
▪ 2005 - Gloria Gaynor è la prima donna ad essere inserita nella Dance Music Hall of Fame, sia come interprete che come singolo (I Will Survive)
▪ 2006
- - In Thailandia, mentre il capo di Governo è a New York alle Nazioni Unite, i militari prendono il potere.
- - Scoppiano manifestazioni violente in Ungheria, a seguito della scoperta delle menzogne dette dal primo ministro per vincere le elezioni di maggio. Le opposizioni chiedono nuove elezioni
▪ 2008 - Poste Italiane ha emesso un francobollo dedicato alla Biblioteca Malatestiana, sulla serie tematica "Il patrimonio artistico e culturale italiano".
Anniversari
▪ 305 - San Gennaro, vescovo e martire (Caroniti, 272 – Pozzuoli, 19 settembre 305), venerato come santo dalla Chiesa cattolica, è il Patrono principale di Napoli, nel cui Duomo sono custodite due ampolle contenenti sangue allo stato solido, che la tradizione attribuisce al santo e che si liquefà tre volte all'anno.
Le fonti documentarie
Sulla sua vita non si hanno notizie storicamente documentate. La sua storia è stata tramandata da opere agiografiche dove la realtà e la leggenda spesso si intrecciano e mescolano in un unico racconto, i cui elementi storici non sempre sono facilmente distinguibili. Le principali fonti cui si attinge sono:
▪ gli Atti Bolognesi (del VI-VII secolo), più semplici e lineari;
▪ gli Atti Vaticani (del VIII-IX secolo), forse un rimaneggiamento del precedente ma arricchiti di vicende avventurose e favolose.
[….]
Il sangue di san Gennaro - La reliquia
Secondo la leggenda, il sangue di san Gennaro si sarebbe liquefatto per la prima volta ai tempi di Costantino I, quando il vescovo Severo (secondo altri il vescovo Cosimo) trasferì le spoglie del santo dall'Agro Marciano, dove era stato sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con le ampolline del sangue del santo: alla presenza della testa, il sangue nelle ampolle si sarebbe sciolto.[6]
Storicamente, la prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di san Gennaro risale soltanto al 1389, come riportato nel Chronicon Siculum (ma dal testo si può dedurre che doveva avvenire già da molto tempo): nel corso delle manifestazioni per la festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica delle ampolle contenenti il cosiddetto "sangue di san Gennaro". Il 17 agosto 1389 vi fu una grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell'ampolla si era liquefatto "come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo". La cronaca dell'evento sembra suggerire che il fenomeno si verificasse allora per la prima volta. Del resto, la Cronaca di Partenope, precedente di qualche anno (1382), pur parlando di diversi "miraculi" attribuiti alla potenza di san Gennaro, non menziona mai una reliquia di sangue del martire.
Oggi le due ampolle, fissate all'interno di una piccola teca rotonda realizzata con una larga cornice in argento e provvista di un manico, sono conservate nel Duomo di Napoli. Delle due ampolle, una è riempita di 3/4, mentre l'altra più alta è semivuota poiché parte del suo contenuto fu sottratto da re Carlo III di Borbone che lo portò con sé in Spagna. Tre volte l'anno (il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 19 settembre e per tutta l'ottava delle celebrazioni in onore del patrono, ed il 16 dicembre), durante una solenne cerimonia religiosa guidata dall'arcivescovo, i fedeli accorrono per assistere al miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro. La liquefazione del tessuto durante la cerimonia è ritenuto foriero di buoni auspici per la città; al contrario, si ritiene che la mancata liquefazione sia presagio di eventi fortemente negativi e drammatici per la città.
Un analogo fenomeno, anch'esso ritenuto miracoloso, si suppone che avvenga anche a Pozzuoli, dove, nella chiesa di San Gennaro presso la Solfatara, su di una lastra marmorea su cui si afferma che Gennaro fosse stato decapitato e che sia impregnata del suo sangue, ancora oggi c'è chi sostiene che delle tracce rosse diventino di colore più intenso e trasuderebbero in concomitanza con il miracolo più importante che avviene a Napoli.[7]
Secondo studi recenti però sembra che la pietra sia in realtà il frammento di un altare paleocristiano di due secoli posteriore alla morte del martire sul quale vi siano depositate tracce di vernice rossa e di cera e che il tutto sia solo frutto di una suggestione collettiva.[8]
Studi ed indagini scientifiche
A seguito del Concilio Vaticano II, la Chiesa decise di "depennare" alcuni santi dal calendario tra cui anche san Gennaro. Viste però le forti resistenze da parte della comunità napoletana ad abbandonare il culto del santo e delle sue reliquie si decise di mantenere la tradizione. La Chiesa precisò che lo scioglimento del sangue di san Gennaro non era un miracolo: tale evento venne definito come un fatto mirabolante ritenuto prodigioso dalla tradizione religiosa popolare, essendo impossibile, allo stato dell'attuale conoscenza dei fatti, un giudizio scientifico attestante la non spiegabilità scientifica del fenomeno della liquefazione.[9]
Una prima analisi spettroscopica sull'ampolla fu fatta dai professori Sperindeo e Januario (25 settembre 1902) e rivelò lo spettro dell'ossiemoglobina[10].
Tre ricercatori del CICAP (Luigi Garlaschelli, Franco Ramaccini, Sergio Della Sala) hanno fornito una prova scientifica sull'ottenibilità di uno "scioglimento" come quello che è alla base del cosiddetto "miracolo". Lo spirito dell'indagine del CICAP non è stato quello di determinare la composizione della sostanza nell'ampolla, ma l'aver riprodotto i comportamenti più documentati della reliquia è servito a dimostrare che è possibile farlo e che era possibile anche all'epoca della sua comparsa, confutando così le affermazioni sull'irriproducibilità del suo comportamento o sull'impossibilità della scienza di spiegarlo. Il loro lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature ("Working bloody miracles"[11], 10 ottobre 1991). Nell'articolo si avanza l'ipotesi secondo cui all'origine del cosiddetto "miracolo di san Gennaro" vi sia il fenomeno noto come tissotropia, la proprietà di alcuni materiali (detti appunto tissotropici) di diventare più fluidi se sottoposti a una sollecitazione meccanica, come piccole scosse o vibrazioni, e di tornare allo stato precedente se lasciati indisturbati (un esempio di questa proprietà è la salsa ketchup, che si può mostrare in uno stato quasi solido fino a quando delle scosse non la fanno diventare d'un tratto molto più liquida). È sensato formulare l'ipotesi tissotropica poiché, durante la cerimonia che precede lo scioglimento del sangue di San Gennaro, il sacerdote agita e muove l'ampolla tenendola con le mani, come sostenuto da Franco Ramaccini, CICAP[12].
I ricercatori hanno realizzato l'esperimento ottenendo una sostanza tissotropica, dal colore rosso sangue, con il solo utilizzo di sostanze e materiali reperibili all'epoca a cui risalirebbero le ampolle (fine 1300):
▪ cloruro ferrico, sotto forma di molisite, un minerale presente sul Vesuvio come in genere nelle zone vulcaniche;
▪ carbonato di calcio, presente ovunque, per esempio nei gusci d'uovo, che ne sono una fonte pura al 93,7%;
▪ cloruro di sodio, (o sale comune);
▪ acqua
È importante precisare che il gel tissotropico ottenuto da Garlaschelli manteneva le sue proprietà tissotropiche per solo 2 anni [13], quindi resta ancora un mistero come il sangue di san Gennaro possa passare da stato solido a liquido da oltre 700 anni.
All'indomani della pubblicazione dell'articolo del CICAP l'ufficio stampa della curia di Napoli replicò con la seguente domanda: «Già, ma perché allora nel maggio 1976 il sangue non si sciolse affatto, malgrado otto giorni di attesa?».
In altre occasioni, al contrario, il fenomeno della liquefazione si era manifestato già prima dell'apertura della teca che custodisce le ampolle. Un analogo fenomeno avviene senza scuotimenti a Ravello in un'ampolla che contiene il sangue di san Pantaleone.
Alcune recenti analisi spettroscopiche sostengono che nelle ampolle conservate nel Duomo di Napoli sia presente emoglobina umana, anche se una risposta chiara sulla natura della sostanza potrebbe essere data solo da un'analisi diretta. Il CICAP ha espresso perplessità sul metodo con cui tali analisi sono state condotte:
«I risultati di quella spettroscopia non sono stati sottoposti al giudizio di referee di una rivista scientifica; la loro qualità, nella più favorevole delle ipotesi, richiede troppo il contributo dell'interpretazione di chi li osserva, per costituire un argomento convincente. Inesplicabilmente è stato impiegato uno spettrometro a prisma, invece di un moderno spettrometro elettronico. Più spettri, ottenuti a qualche minuto di distanza l'uno dall'altro vengono interpretati come rivelatori ognuno di un diverso derivato dell'emoglobina, e spiegati con un miracolo in progresso, mentre, si noti bene, la sostanza era da tempo in fase liquida, e non in liquefazione.» ([14])
Un esperimento condotto dal dipartimento di Biologia Molecolare dell'Università Federico II di Napoli su un'ampolla di sangue, una reliquia simile a quella conservata nel duomo, ha mostrato che essa contiene effettivamente sangue ed effettivamente può cambiare stato, ma che questa proprietà è posseduta, nelle stesse condizioni di conservazione, dal sangue di qualsiasi persona.[15]
La Chiesa non acconsente al prelievo del liquido sostenendo che un'analisi invasiva potrebbe arrecare danno sia alle ampolle che al liquido in esse contenuto.
Note
6. ^ Per questa leggenda ed il persistere della credenza che la liquefazione avvenga quando le ampolle del sangue si trovino in vista della testa, nel Duomo di Napoli le reliquie sono racchiuse in una nicchia dietro l'altare che è divisa da uno scomparto di marmo affinché il santo non possa vedere il suo sangue e provocare una liquefazione fuori tempo.
7. ^ Bibliotheca sanctorum della Pontificia Università lateranense- pag.141 e seg.
8. ^ Indagine sul sangue di San Gennaro
9. Il giudizio di non spiegabilità scientifica della commissione medica dell'apposita congregazione vaticana è condizione necessaria perché del fatto sia ammesso il culto come "miracolo".
10. ^ Ferdinando Grassi, I Pastori della Cattedra Beneventana, tip. Auxiliatrix, Benevento 1969, pag. 13
11. ^ A Thixotropic mixture like the blood of Saint Januarius (San Gennaro) "Nature", vol.353, 10 ottobre 1991
12. «I movimenti rituali che ci sono stati tramandati dalla tradizione cominciavano in fin dei conti ad assomigliare di più a quelli giusti per liquefare e mantenere liquida una sostanza tissotropica. Sembrava sempre più un trucco molto ben studiato per funzionare automaticamente, da solo.»
13. ^ Il Sangue di San Gennaro A. Ruggeri
14. ^ Franco Ramaccini, CICAP
15. ^ Libero News: Napoli, test su ampolla di San Gennaro confermano, è sangue
* 1920 - Roberto Ardigò (Casteldidone, 28 gennaio 1828 – Mantova, 19 settembre 1920) è stato uno psicologo, filosofo e pedagogista italiano.
Considerato il più sistematico dei positivisti italiani, costruì un sistema che corrispondeva alle idee del positivismo europeo, senza però suffragarle con autentica cultura scientifica.
Frequentò il seminario di Mantova, dove venne ordinato sacerdote nel 1851 e iniziò a insegnare nel locale liceo nel 1856, dove nel 1866 ebbe la cattedra di filosofia: intanto nel 1863 veniva nominato canonico della locale cattedrale.
Smise l'abito ecclesiastico nel 1871.
Insegnò storia della filosofia all'Università di Padova per 28 anni dal 1881. Considerato tra i padri della psicologia italiana per aver promosso una concezione scientifica della psicologia, concepì una complessa teoria della percezione e del pensiero che non ebbe dimostrazione sperimentale. Nel 1870 pubblicò La psicologia come scienza positiva e nel 1876 tentò di istituire presso il Liceo di Mantova un Gabinetto per le ricerche psicologiche.
Morì suicida all'età di 93 anni.
«(Mantova) (in una pergamena). Indagatore sapiente dei fenomeni del pensiero e del sentimento. Assertore impavido della naturale formazione e dell'unità molteplice della vita. La Società magistrale Mantovana, col plauso degl'insegnanti elementari d'Italia, della Società filosofica dei professori di Morale e di Pedagogia, festeggiando l'ottantesimo compleanno del Maestro sublime, augura con fervidi voti che la nuova generazione cresca degna di lui nel culto della scienza, nell'apostolato della verità.»(Epigrafe di Mario Rapisardi)
Pensiero
I suoi contributi nell'ambito delle scienze sono importanti per l'impostazione generale. Interessanti sono le sue idee sull'evoluzione intesa come passaggio dall'indistinto al distinto, ma anche condizionata dal caso e caratterizzata dal ritmo. Non tutto dunque è lineare e meccanico.
Ardigò insistette sulla necessità di una psicologia ed una pedagogia scientifiche, soffermandosi sul ruolo delle abitudini. L'educazione infatti sul piano naturale può essere ricondotta all'acquisizione di comportamenti sedimentati e certi; questo significa il passaggio da una pedagogia metafisica ed astratta ad una pedagogia intesa come scienza dell'educazione.
Egli dice:
«la pedagogia è la scienza dell'educazione, per questo l'uomo può acquisire le abitudini di persona civile, di buon cittadino.»
Per Ardigò dunque non tutte le abitudini sono educative. Dal punto di vista didattico privilegiò l'intuizione, il metodo oggettivo, la lezione delle cose, il passaggio dal noto all'ignoto, insegnando poche cose alla volta, ritornando più volte sulle cose spiegate e facendo continue applicazioni di teorie e casi nuovi. Egli rivalutò la funzione del gioco, il quale permette al bambino l'occasione di vedere e toccare gli oggetti, riconoscerne le proprietà e le somiglianze, favorendo lo sviluppo fisico, il quale va d'accordo con quello mentale. Proprio in riferimento al gioco, Ardigò criticò le idee di Frobel.
Il problema di Ardigò fu quello di coniugare la formazione di giuste abitudini con la libertà e l'autonomia propugnata dai Giardini d'infanzia di Frobel.
▪ 1948 - Pantaleo Carabellese (Molfetta, 6 luglio 1877 – Genova, 19 settembre 1948) è stato un filosofo italiano.
Influenzato da Immanuel Kant e da Antonio Rosmini, elaborò la dottrina dell'"ontologismo critico", in cui l'essere non è oggetto della coscienza ma a essa intrinseco cioè "essere-di-coscienza"
Pensiero
Carabellese generalmente amava definire la sua filosofia "ontologismo critico", definizione con la quale essa viene per lo più ricordata, ma che non ne esaurisce certo la complessità e peraltro potrebbe creare alcune confusioni con la posizione per esempio di Rosmini, la filosofia del quale viene spesso denominata proprio "ontologia critica". In questo senso, nel senso cioè di una irriducibilità della filosofia di Carabellese alla sola definizione di ontologismo critico, ci si trova di fronte ad un’elaborazione che potrebbe con il medesimo diritto chiamarsi metafisica critica, teologia critica, ontocoscienzialismo, critica della concretezza, spiritualismo dell’essere. Pensatore difficile, talvolta astruso, che pochi conoscono e quasi nessuno, anche in Italia, conosce a fondo, Carabellese non è mai stato un pensatore famoso neanche all’apice della sua carriera (anni trenta-quaranta). Non ha fondato alcuna scuola e praticamente non ha avuto "allievi". Si racconta che alcuni corsi, gli ultimi in particolare, erano seguiti al massimo da tre o quattro studenti. Eppure la dimenticanza e le incomprensioni che lo hanno avvolto non rendono giustizia alla vastità e alla complessità delle sue opere, alla rigorosità estrema e alla logica implacabile del suo argomentare e del suo pensare che non concedevano nulla alle "immagini", né alla serietà dei suoi lavori storiografici e alla profondità di un pensiero in continua sfida con gli acritici "luoghi comuni" di una certa filosofia dell’epoca e con l’adesione dogmatica a formule e stilemi stereotipati. Sfida questa che lo ha portato ad assumere posizioni controcorrente, a battere sentieri all’epoca considerati impraticabili se non folli e a cambiare direzione rispetto alle mode passeggere, a ritornare su problemi antichi e considerati già da tempo superati e risolti definitivamente se non addirittura inutili (una delle accuse più frequenti è stata quella di "arcaismo filosofico", come se in filosofia ci fossero problemi nuovi o vecchi e ad ogni problema una risposta). Tutto ciò si è riflettuto nell’impresa di una elaborazione personale che non solo si ergeva solitaria (o con pochi altri: Varisco e/o Castelli il quale però solo più tardi avrebbe dato una fisionomia "forte", o "debole" che dir si voglia, al proprio pensiero) al di là dello storicismo e dell’attualismo, ma persino li combatteva a viso aperto su tutti i fronti. Ed ecco quindi che Carabellese diviene l’autore che riscopre come fondamentali gli scritti precritici kantiani, che propone fin dai primi anni venti un’interpretazione metafisica di Kant e una nuova interpretazione della "cosa in sé" al di là dei travisamenti postkantiani e di quello che si suol chiamare idealismo. Su questi presupposti Carabellese diventa uno dei pochi autori, se non l’unico almeno in campo laico, che tenta una elaborazione in grande stile di una ontologia e sopratutto una metafisica critica nelle quali le categorie di soggettività ed oggettività vengono ridefinite rispetto al classico dualismo (oggetto come essere e soggetto come conoscente che essendo altro dall’essere propriamente "non è") al fine di evitare l’errore di assolutizzare la loro contrapposizione, il loro fronteggiarsi irriducibile, ed ogni loro esteriorità (infatti per Carabellese "l’esterno non esiste") per ricomprenderli in quel "circolo solido" della concretezza dove l’Oggetto - come essere di coscienza puro(Dio) - e i Soggetti - come esistenti "testimoni dell’Oggetto/Essere" a loro immanente e allo stesso tempo trascendente nel preciso senso di una sua irriducibile alterità (come alterità dell’essere) ed inesauribiltà - divengono costitutivi, in un’interdipendenza ontologica, di questa "originaria organicità divisa in se stessa". Battere questa strada ha condotto Carabellese, quasi necessariamente, verso un’"inaudita" riformulazione e rivalutazione dell’argomento ontologico in campo critico e all’elaborazione di una vera e propria teologia apersonalistica se non, come in alcune occasioni egli ha tranquillamente affermato, di un vero e proprio panteismo seppur passato attraverso la mediazione della critica kantiana. Un brunismo formato Kant potremmo ironicamente dire, ma con un’ironia che trova la sua serietà nell’importanza che Carabellese attribuiva al pensiero di Giordano Bruno non soltanto in chiave di attualità storiografica ma, questo sì singolare, anche in quella teoretica, importanza evidente anche nei numerosi motivi e debiti bruniani che ricorrono continuamente nelle sua opere (si veda anche il non certo casuale lavoro di tesi di una sua allieva, Maria Saracista, su La filosofia di Giordano Bruno nei suoi motivi plotiniani, pubblicata nel 1935 con una sua prefazione). Inoltre, la continua ricerca di un concetto di religione, nella sua inscindibile differenza e quindi nel suo rapporto costitutivo con la filosofia, che prescinda dai presupposti realistici come da quelli dogmatici rappresenta una costante del filosofare carabellesiano: la convinzione che soggiace le chef-d’œuvre del ‘31 è proprio quella che il carattere fondamentale del problema oggettivo della filosofia sia eminentemente teologico, ma, naturalmente, di una teologia acentrica. E non solo, ecco in Carabellese l’autore che abbozza un teoria della costituzione e della relazione di una pluralità di soggetti che il termine ultrahusserliano intersoggettività non farebbe altro che confondere, vista l’eterogeneità delle prospettive in questione (in quel periodo in Italia tra i pochi che erano soliti parlare di intersoggettività c’era Gioele Solari). Ma soprattutto ecco l’autore che tenta, pur di non adagiarsi sul "noto", una revisione critica di tutto un determinato lessico filosofico oramai consueto e perfino consunto, revisione nel senso proprio di una decostruzione delle "sedimentazioni filosofiche" che i concetti hanno subito nel corso della storia della filosofia e che li ha resi "irriconoscibili". Teoria, pratica, essere, Io, critica, sapere, cosa in sé, trascendenza, immanenza, implicito, esplicito, idealismo, realismo, spiritualità, esigenza, certezza, concretezza, oggetto, soggetti, coscienza, alterità e relazione sono tutti termini che in Carabellese parlano diversamente. Proprio tale riscrittura di un gergo ormai consolidato ha reso la sua ricezione ardua se non impervia, facendola dipendere da una previa e meticolosa conoscenza di tutte le sue opere e della particolare flessione data ai vari termini, in assenza della quale le incomprensioni si sprecherebbero, e quindi dalla richiesta di un costante sforzo di ascolto e di attenzione alle rigorose sequenze logiche del suo pensiero. Attenzione questa che, per dirla insieme con George Steiner, in un periodo in cui i saltimbanchi del pensiero e del linguaggio venivano,vengono e verranno incoronati d’alloro, oggigiorno viene considerata un tributo troppo alto da versare alla serietà del pensiero.
▪ 1978 - Étienne Gilson (Parigi, 13 giugno 1884 – Cravant, 19 settembre 1978) è stato un filosofo e storico francese di ispirazione cattolica. Assieme a Jacques Maritain e Réginald Garrigou-Lagrange è considerato fra i massimi esponenti del neotomismo.
Nacque a Parigi da una famiglia cattolica originaria della Borgogna, studiò nel seminario di Notre-Dame-des-Champs e terminò gli studi al liceo Enrico IV.
Gilson fu allievo di Bergson al Collège de France nel 1905 e professore di storia della filosofia all'Università di Strasburgo e professore di storia della filosofia medievale alla Sorbona dal 1921 al 1932 e al Collège de France. Insegnò anche per tre anni ad Harvard. Fu ammesso all'Accademia di Francia nel 1947. Intrattenne un fitto ed interessante rapporto epistolare col filosofo cattolico italiano Augusto del Noce.
Si dedicò soprattutto allo studio della filosofia medievale contribuendo alla rinascita del tomismo. Della breve biografia del teologo medievale ad opera dello scrittore e giornalista inglese Gilbert Keith Chesterton disse che era "senza possibilità di paragone il miglior libro mai scritto su San Tommaso. Nulla di meno del genio può rendere ragione di un tale risultato". Notevoli anche i suoi studi sul Discorso sul metodo del filosofo francese Cartesio. Proprio a partire da Cartesio egli elaborò una concezione della storia della filosofia che predilige la continuità a scapito della rottura e delle rivoluzioni.
Scrisse anche saggi su sant'Agostino, Pietro Abelardo, san Bonaventura, Giovanni Duns Scoto, Dante e san Tommaso, riconoscendo in quest'ultimo il primo vero esponente di una metafisica dell'essere.
▪ 1985 - Italo Giovanni Calvino Mameli (Santiago de Las Vegas, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985) è stato uno scrittore italiano.
Intellettuale di grande impegno politico, civile e culturale, è stato forse il narratore italiano più importante del secondo novecento. Ne ha frequentato tutte le principali tendenze letterarie, dal Neorealismo al Postmoderno ma restando sempre ad una certa distanza da esse e svolgendo un proprio coerente percorso di ricerca. Di qui l'impressione contraddittoria che offrono la sua opera e la sua personalità: da un lato una grande varietà di atteggiamenti che riflette il vario succedersi delle poetiche e degli indirizzi culturali nel quarantennio fra il 1945 e il 1985; dall'altro, invece, una sostanziale unità determinata da un atteggiamento ispirato a un razionalismo più metodologico che ideologico, dal gusto dell'ironia, dall'interesse per le scienze e per i tentativi di spiegazione del mondo, nonché, sul piano stilistico da una scrittura sempre cristallina e a volte, si direbbe, classica[1] . I numerosi campi d'interesse toccati dal suo percorso letterario, sono meditati e raccontati attraverso capolavori quali la trilogia de I nostri antenati, il Marcovaldo, Le cosmicomiche, Se una notte d'inverno un viaggiatore, uniti dal filo conduttore della riflessione sulla storia e la società contemporanea.
«L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.» (Italo Calvino, Le città invisibili, 1972)
«Forse è arrivato il momento di ammettere che il tarocco numero uno è il solo che rappresenta onestamente quello che sono riuscito ad essere: un giocoliere o illusionista che dispone sul suo banco da fiera un certo numero di figure e spostandole, connettendole e scambiandole ottiene un certo numero di effetti.» (Italo Calvino, La Taverna dei Destini Incrociati, 1973)
«Dati Biografici: io sono ancora di quelli che credono, con Croce, che di un autore contano solo le opere (Quando contano, naturalmente). Perciò dati biografici non ne do, o li do falsi, o comunque cerco sempre di cambiarli da una volta all'altra. Mi chieda pure quel che vuol sapere, e Glielo dirò. Ma non Le dirò mai la verità, di questo può star sicura» (Italo Calvino, lettera a Germana Pescio Bottino, 9 giugno 1973)
L'infanzia
Italo Calvino nasce nel 1923 a Cuba (esattamente a Santiago de Las Vegas, presso L'Avana), dentro un grande bungalow del coloratissimo giardino botanico tropicale allora diretto dai genitori. Il padre, di nome Giacomo, detto Mario, è un agronomo di origine sanremese, mentre la madre, Dorotea Evelina Mameli, detta Eva, nativa di Sassari in Sardegna, è laureata in scienze naturali e lavora come assistente di botanica all'Università di Pavia. Dopo un uragano che nel 1925 quasi distrugge la loro casa-bungalow, i coniugi Calvino (dopo una sosta di lavoro a Santiago de Cuba) decidono nel 1926 di ritornare in Italia.
A Sanremo, Calvino vive la sua infanzia, che egli ricorda spensierata nel clima amorevole di una famiglia dedita alle attività scientifiche ed alla ricerca. Il periodo fascista non sembra sulle prime segnare in modo particolare la sua personalità né sconvolgere la serenità familiare di quegli anni. Nonostante i genitori siano intimamente e culturalmente contrari al "Regime", la loro posizione (socialista lei, tendenzialmente anarchico lui) sfuma dentro una generale condanna della politica.
Il primo vero contatto con la cultura fascista è vissuto da Calvino negli anni tra il 1929 ed il 1933, quando non può sottrarsi all'esperienza di diventare balilla, obbligo scolastico esteso anche alle scuole valdesi frequentate dal piccolo Italo.
Nel 1934 inizia la frequentazione del ginnasio-liceo "G. D. Cassini", dove coltiva l'amicizia con Eugenio Scalfari e con Eugenio Curia, che più tardi diverrà un importante rapporto per la sua crescita letteraria e politica.
La famiglia Calvino non ha una fede religiosa, e per quei tempi manifestare un certo atteggiamento agnostico comportava almeno l'appellativo di "anticonformisti". Segno che Calvino ricorderà poi quale elemento di formazione importante, per averlo presto svezzato ai sentimenti della tolleranza e della diversità, con la conseguenza di predisporlo al costante confronto con le ragioni dell'"altro".
Sono questi i semi culturali e storici di quella formazione che il giovane Calvino più tardi tradurrà in una scrittura capace di spaziare dalla saggistica politica a quella letteraria e teatrale; dal racconto impegnato, a quello ironico e umoristico; dalla pungente critica sociale, alla sceneggiatura di testi teatrali, finanche alla composizione di testi per poesie.
Ma proprio quando l'età gli darebbe occasione di gustare appieno quella grande ricchezza cosmopolita e culturale che si addensa nel circondario di Sanremo in quegli anni, la guerra sconvolge la serena vita di provincia. Destina Calvino ad una serie di vicissitudini, dai toni anche drammatici, capaci però di saldarsi con l'apertura di vedute già matura nel fisico, forgiando così l'impegno politico e storico che Calvino esprimerà in forma di partecipazione e di scrittura.
Gli anni della guerra
Nel 1943 interrompe gli studi per non essere costretto ad arruolarsi nell'esercito della R.S.I. ed entra come partigiano nelle Brigate Garibaldi vivendo così la guerra in modo diretto.
«Avevamo vent'anni oltre il ponte / oltre il ponte che è in mano nemica / vedevamo l'altra riva, la vita / tutto il bene del mondo oltre il ponte / tutto il male avevamo di fronte / tutto il bene avevamo nel cuore / a vent'anni la vita è oltre il ponte / oltre il fuoco comincia l'amore»(Italo Calvino, Oltre nella battaglia di Baiardo, una delle ultime battaglie partigiane. Ricorderà l'evento nel racconto Ricordo di una battaglia, scritto nel 1974. (Il suo nome da partigiano era "Santiago", dal nome del paesino cubano - Santiago de Las Vegas, vicino all'Avana - dove egli era nato 20 anni prima).)
L'impegno politico e culturale
Dopo la Liberazione, mentre la sua inclinazione anarchica e libertaria non affievolisce, in lui va costruendosi un'ampia e complessa visione del mondo che non cede a semplificazioni politiche e sociali. Non esalta l'idea comunista sotto il profilo culturale e filosofico. Matura, ciononostante, l'esigenza di organizzare forme politiche e strutture sociali a difesa dei diritti, della dignità umana e della libertà. Con questo spirito aderisce al P.C.I. (Partito Comunista Italiano) e ne diviene attivista e quadro, esprimendo la sua partecipazione con interventi di carattere politico e sociale, su quotidiani e periodici culturali, oltre che nelle sedi istituzionali del partito.
Si iscrive alla Facoltà di lettere di Torino, accedendo direttamente al III anno, grazie alla legislazione postbellica in favore dei partigiani ed ex combattenti. Conosce Cesare Pavese che diverrà guida culturale ed umana, oltre che "primo lettore" delle sue opere. Scrive Angoscia in caserma ed inizia una collaborazione con Il Politecnico, periodico diretto da Elio Vittorini. Tra il '46 ed il '47 compone Campo di mine, vincitore di un concorso letterario indetto da "l'Unità", ed una serie di racconti che saranno poi messi assieme ne Ultimo viene il corvo pubblicato nel 1949. Tra l'estate e il 31 dicembre del 1946, per concorrere al Premio Mondadori per un inedito, scrive il primo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno. Dopo la laurea nel 1947, che consegue con una tesi su Joseph Conrad, inizia una collaborazione con l'Einaudi, curandone l'ufficio stampa. Il rapporto con la casa editrice sarà centrale nelle attività di Calvino, anche se talvolta intermittente ma ricco di incarichi sempre diversi e via via più importanti. Durerà fino al 1961, momento in cui si trasformerà in "consulenza editoriale esterna".
Le attività culturali si intensificano assieme alle conoscenze personali. Frequenta Vittorini, Natalia Ginzburg, Delio Cantimori, Franco Venturi, Norberto Bobbio, Felice Balbo. Collabora con l'Unità e con Rinascita. Nel 1949 viene pubblicato Ultimo viene il corvo e resta inedito Il bianco Veliero. Scrive interventi politico-sociali e di saggistica letteraria, su diverse riviste culturali, tra cui Officina, Cultura e realtà, Cinema Nuovo, Botteghe Oscure, Paragone, oltre che su Il Politecnico di Vittorini già citato. Sulle riviste pubblica anche brevi racconti, fra cui La formica argentina e le prime novelle di Marcovaldo.
Nel mese di agosto del 1950 Cesare Pavese si uccide e Calvino perde l'amico e maestro, oltre che il suo "primo lettore". Ne rimane sconvolto poiché Pavese era da lui vissuto come uomo forte di carattere e di temperamento risoluto. Gli resta il profondo rammarico per non aver intuito il dramma dell'amico.
I suoi viaggi sporadici si infittiscono e nel 1951 visita l'Unione Sovietica per un paio di mesi, dandone puntuale resoconto nel Taccuino di viaggio in URSS di Italo Calvino, con cui vince il premio Saint Vincent. Scrive il romanzo I giovani del Po e, quasi di getto, Il visconte dimezzato.
Tra il '53 ed il '54 tenta un romanzo di ampio respiro che resterà inedito La collana della regina, mentre lavora assiduamente ad un progetto nuovo che lo appassiona particolarmente. Si tratta delle Fiabe italiane, rimaneggiamento e raccolta di antiche fiabe popolari, pubblicate nel novembre del 1956.
Sul versante dell'impegno politico, l'idea di società maturata con gli anni non delude il suo spirito anarchico e libertario, anzi lo arricchisce e lo caratterizza nella forma di precisi interventi critici in occasione del XX Congresso del PCUS del 1956. Calvino esprime il dissenso per certi aspetti che la politica sovietica va prendendo, soprattutto in ragione della libera espressione e circa l'importanza della forma democratica. Ma non risparmia critiche neppure ad una certa chiusura culturale dei dirigenti del PCI, né a a talune pratiche interne all'apparato. L'idea di un nuovo PCI riformato e rifondato, che ispira Calvino, è dichiaratamente di matrice giolittiana. La disillusione è però incolmabile solo pochi mesi dopo il Congresso, quando l'armata rossa invade l'Ungheria. Con i fatti di Poznan e Budapest matura in Calvino la decisione di abbandonare il partito.
Il 1º agosto 1957 formalizzerà con una lettera al Comitato Federale di Torino le proprie dimissioni, seguite a quelle di Antonio Giolitti. Spesso interviene su una rivista di intellettuali dissidenti "Città aperta", a conferma che l'amarezza maturata a seguito di certe scelte del partito non degrada in qualunquismo, ma si fa critica puntuale e propositiva.
È poi tra il 1957 e il 1958 che si viene a creare quell'articolato connubio di poesie e musica che fu il Cantacronache, cui Calvino partecipò scrivendo i testi di alcune delle più famose canzoni (Dove vola l'avvoltoio?, Oltre il ponte, Sul verde fiume Po, Canzone triste).
La maturità artistica
Continua a scrivere ed a viaggiare e fonda con Vittorini Il Menabò. Tra il '58 ed il '62 pubblica La gallina di reparto, La nuvola di smog e l'antologia I racconti.
Nel 1959 pubblica il romanzo Il cavaliere inesistente e parte per un viaggio negli Stati Uniti, esperienza che diverrà soggetto del racconto inedito Un ottimista in America . Escono su Il Menabò il saggio La sfida al labirinto ed il racconto La strada di San Giovanni.
La sua fama è ormai affermata. Spesso è chiamato per conferenze e dibattiti in ogni parte d'Europa. Nell'isola di Maiorca riceve il premio internazionale Formentor. Nel 1962, in occasione di un ciclo di incontri letterari, conosce a Parigi la sua futura moglie, la traduttrice argentina Esther Judith Singer, detta Chiquita, che sposerà all'Avana il 19 febbraio del 1964. A Cuba ha anche occasione di incontrare Ernesto Che Guevara. Torna in Italia e si stabilisce a Roma con la moglie ed il figlio di lei Marcello Weil.
Nasce in quegli anni il gruppo '63, corrente letteraria neoavanguardista, che Calvino segue con interesse pur senza condividerne l'impostazione di fondo. Pubblica i racconti La giornata di uno scrutatore e La speculazione edilizia, inclusi in un irrealizzato progetto di trilogia sulla crisi dell'intellettuale negli anni cinquanta. A fine '64 vanno in stampa le prime cosmicomiche La distanza della Luna, Sul far del giorno, Un segno nello spazio, Tutto in punto. Poco dopo pubblica Il barone rampante ed il dittico La nuvola di smog - La Formica argentina.
Sempre nel 1964, lo scrittore torna all’Avana per sposarsi con la sua compagna argentina-parigina Esther Judith Singer (detta "Chichita") in un ufficio notarile di Calle Obispo e con brindisi finale nel bar della piscina del loro "Hotel Avana Libre". In quella occasione egli fu chiamato a fare parte della giuria del Premio Casa Las Americas, e qui conobbe il comandante Ernesto Guevara, al quale poi dedicò due pagine dopo la sua morte in Bolivia, le quali furono pubblicate sul numero speciale dedicato al "Che" della rivista culturale avanera Casa de Las Americas.[2] Quando a fine 1964 Calvino tornò in Italia, a Torino e a Roma, dove lavorava presso la casa editrice Einaudi come addetto stampa, si attivò per co-fondare l'Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba. Poi nel 1965 nacque la figlia Giovanna Calvino, la quale, trent'anni dopo, fu contattata dalle autorità cubane per dare il nullaosta ad una lapide che poi fu da lei inaugurata nel 1996 nella vecchia casa restaurata, nel giardino botanico di Santiago de Las Vegas, a cura dell’Ambasciata Italiana all’Avana, dell’Oficina de l’Historiador de La Habana e del Comune di Sanremo. Ora in questo bel parco caraibico c'è pure un alberghetto per ricercatori botanici e per giornalisti stranieri. Nel vicino museo municipale (dove vi è la "Sala Calvino" dedicata allo scrittore che qui considerano non solo italiano ma anche cubano) è possibile comperare un bel foto-libro a lui dedicato, stampato a Cuba nell’anno 2000, il cui titolo è Las dos mitades de Calvino ("Le due metà di Calvino", parafrasando Il visconte dimezzato per indicare che lo scrittore era per metà italiano e per metà cubano). Il libro è stato scritto dal locale poeta, scrittore, musicista e musicologo Helio Orovio, per le Ediciones Union di La Avana.
Il 12 febbraio del 1966 muore l'amico Elio Vittorini, al quale dedica il saggio Vittorini: progettazione e letteratura. Calvino traccia nel saggio il pensiero d'un intellettuale aperto e fiducioso, in dissonanza col pessimismo letterario di quegli anni, della decadenza e della crisi. All'indomani della morte di Vittorini, Calvino inaugura un periodo di meditazione, necessario forse ad elaborare il proprio vissuto, distante dal frastuono delle città e della vita pubblica. Così egli descrive il cambiamento: Lo stendhalismo, che era stata la filosofia pratica della mia giovinezza, a un certo punto è finito. Forse è solo un processo del metabolismo, una cosa che viene con l'età, ero stato giovane a lungo, forse troppo, tutt'a un tratto ho sentito che doveva incominciare la vecchiaia, sì proprio la vecchiaia, sperando magari di allungare la vecchiaia cominciandola prima.
Nel 1967 si trasferisce a Parigi assieme alla famiglia. Segue il dibattito culturale francese ma conduce una vita pressoché in disparte, pur frequentando alcuni intellettuali parigini come Georges Perec, François Le Lionnais, Jacques Roubaud, Paul Fournel, Raymond Queneau. Di quest'ultimo traduce I fiori blu, da cui la letteratura del maturo Calvino trarrà gli aspetti più umoristici ed i riferimenti cosmologici. Approfondisce la sua passione per le materie scientifiche e per il gioco combinatorio. I frutti di questo nuovo arricchimento già si manifestano nella raccolta di racconti Ti con zero, vincitore del Premio Viareggio 1968. Premio che però Calvino rifiuta, ritenendo ormai tali manifestazioni letterarie semplice espressione retorica, anche se, successivamente, accetterà altri premi letterari. Pubblica la prima edizione dell'antologia scolastica La lettura. Assieme a Guido Neri, Gianni Celati ed altri intellettuali, lavora al progetto per la realizzazione di una rivista sociale e letteraria a larga diffusione, destinata al grande pubblico.
Mentre Calvino era a Parigi il suo amico Che Guevara venne ucciso il 9 ottobre 1967 in Bolivia. Il 15 ottobre 1967 (il giorno del suo 44º compleanno) scrisse un articolo a lui dedicato che fu pubblicato in spagnolo nel gennaio 1968 sulla rivista cubana "Casa de las Americas" (in un numero speciale tutto dedicato al "Che"). Invece il testo originale integrale italiano fu pubblicato in Italia solamente trent'anni dopo, nel 1998, sul primo numero della rivista "Che" della Fondazione Italiana Ernesto Guevara presieduta dall'editore romano Roberto Massari.
Pur non condividendo l'ideologia di fondo del sessantotto francese, Calvino è particolarmente attratto ed affascinato dal valore utopico disseminato di certe rivendicazioni del movimento studentesco e sociale. Tra il '69 ed il '73 lavora ad alcuni progetti letterari e pubblica racconti e saggi su diverse riviste. Escono il racconto I tarocchi ed i saggi Osservare e descrivere e Problema da risolvere, pubblicati nella nuova edizione del testo scolastico La lettura.
Nel 1971 scrive Gli amori difficili per la collana "Centopagine" della Einaudi. Nel 1972 vince il Premio Feltrinelli conferito dalla Accademia nazionale dei Lincei, pubblica Le città invisibili che sarà finalista al XXIII Premio Pozzale 1974 per la letteratura. In quell'anno inizia anche una collaborazione con il "Corriere della Sera" che durerà fino al 1979, quando inaugura la serie di racconti del signor Palomar. Pubblica due lavori autobiografici, il primo, Ricordo di una battaglia, rievoca la dura ed umanamente ricca esperienza da partigiano. L'altro, Autobiografia di uno spettatore, particolare sguardo di Calvino sul cinema, diventa prefazione a Quattro film di Federico Fellini. In questi anni fa costruire la sua villa a Roccamare, presso Castiglione della Pescaia (GR), dove trascorrerà tutte le successive estati della sua vita.
Nel mese di maggio del 1975 inizia un altro periodo di intensi viaggi. A maggio è in Iran dove, per conto della RAI, cura la preparazione di un programma radiofonico. L'anno successivo si reca negli USA, in Messico ed in Giappone, per una serie di incontri e di conferenze. Il signor Palomar in Giappone, racconto che pubblica nelle colonne del Corriere della sera, s'ispira a quei viaggi. A Vienna, nel 1976, viene insignito d'un importante premio letterario europeo, dal Ministero dell'Istruzione austriaco.
Nel 1979 pubblica Se una notte d'inverno un viaggiatore ed inizia la sua collaborazione con il giornale "La Repubblica". Chiude quasi completamente il suoi interventi di carattere politico e sociale, con l'amaro articolo L'apologo sull'onestà nel paese dei corrotti, pubblicato l'anno successivo sul quotidiano diretto da Eugenio Scalfari.
Gli anni ottanta vedono Calvino, ritornato a Roma con la famiglia, prevalentemente alla ricerca lungo quel territorio che è il punto di confine tra letteratura e scienze, sempre ispirato all'amico francese Queneau. Ne cura l'opera Segni cifre e lettere e ne traduce la Piccola cosmologia portatile, redigendone anche la guida. S'impegna altresì nella stesura di testi teatrali, dove tenta d'inserire l'arte cosmologica e combinatoria.
Nel 1983 esce Palomar pubblicato da Einaudi. Per la casa editrice torinese cura anche l'introduzione ad America di Franz Kafka. A causa della seria crisi in cui versa l'Einaudi, nel 1984 è costretto a pubblicare presso Garzanti Collezione di sabbia e Cosmicomiche vecchie e nuove.
Nel 1985, durante l'estate, Calvino lavora ad una serie di conferenze (Lezioni americane, pubblicate postume) che avrebbe dovuto tenere presso l'Università Harvard. Colto da ictus il 6 settembre nella sua villa nella pineta di Roccamare, viene ricoverato all'ospedale Santa Maria della Scala di Siena dove muore nella notte tra il 18 e il 19 settembre. Lo scrittore è sepolto nel cimitero di Castiglione della Pescaia.
Sono usciti postumi anche i volumi Sotto il sole giaguaro, La strada di San Giovanni e Prima che tu dica pronto.
La poetica
In questa prima fase della sua produzione, collocabile all'interno del movimento neorealista, Calvino scrive il suo romanzo breve Il sentiero dei nidi di ragno e numerosi racconti raccolti nel volume Ultimo viene il corvo. Con queste opere Calvino mostra una lucida capacità rappresentativa della realtà che coniuga impegno politico e letteratura in modo spontaneo e leggero.
In queste opere lo scrittore ligure per raccontare le storie della sua esperienza partigiana adotta un punto di vista oggettivo, tramite il quale i suoi ricordi diventano la misura della comprensione del mondo.
In Il sentiero dei nidi di ragno l'intreccio è narrato dal punto di vista di Pin, un ragazzo, il protagonista del romanzo. Questa ricerca di oggettività, comunque, non scade mai in pura cronaca: è sempre presente la dimensione mitico-fiabesca che permette a Calvino di far intravedere la realtà sotto le spoglie del sogno.
È proprio con quest'opera che Calvino dà l'avvio all'operazione di sdoppiamento dei piani interpretativi che contraddistingue la sua produzione: da una parte il livello puramente narrativo, semplice e comprensibile da tutti i lettori, dall'altra quello visibile solo dai lettori più smaliziati.
Questa scelta è compiuta, all'inizio, su precise basi ideologiche, in seguito, con la contaminazione di forme colte e popolari, Calvino mantiene la tecnica dello sdoppiamento dei livelli di lettura.
Il periodo fantastico
Calvino da sempre era stato attirato dalla letteratura popolare, con particolare attenzione al mondo delle fiabe.
Con Il visconte dimezzato percorre sempre di più la strada dell'invenzione fantastica: l'impianto è ormai totalmente abbandonato al fiabesco e la narrazione procede secondo due livelli di lettura: quello di immediata funzione e quello allegorico-simbolico, in cui sono presenti numerosi spunti di riflessione (contrasto tra realtà e illusione, tra ideologia ed etica, etc.). In conclusione il romanzo invita i lettori all'equilibrio, in quanto non è possibile possedere una verità assoluta.
Anche le altre due opere della trilogia I nostri antenati mostrano caratteristiche simili. Il protagonista de Il barone rampante è un alter ego di Calvino che ormai ha abbandonato la concezione della letteratura come messaggio politico. Il cavaliere inesistente invece è velato da un cupo pessimismo, dietro al quale la realtà appare irrazionale e minacciosa.
Accanto alla produzione allegorico-simbolica, Calvino continua comunque un tipo narrazione che descrive la realtà quotidiana. Riprende ad esaminare il ruolo dell'intellettuale nella società, constatando la sua assoluta impotenza di fronte alle cose del mondo.
Sempre a questa fase appartengono i racconti di Marcovaldo, in due serie: più aderente a strutture fiabesche la prima (1958) mentre le seconda (1963) tratta temi urbani con toni che a volte sfiorano l'assurdo.
Nel 1963 esce anche La giornata di uno scrutatore, in cui Calvino narra le vicende di un militante comunista che, scrutatore all'istituto Cottolengo di Torino, entra in contatto con l'irrazionale ed entra in crisi.
Nella pubblicazione Sfida al labirinto (dell'esistenza) Calvino espone le sue idee riguardo la funzione degli intellettuali, i quali, secondo lui, devono cercare di comprendere il caos del reale per tentare di dare un senso alla vita.
Si è molto parlato dei rapporti di Calvino con la scrittura fantascientifica in opere come Le cosmicomiche o Ti con zero. Come lui stesso afferma, ha sempre amato leggere “science-fiction”, ma pensa che le sue storie siano costruite in modo diverso: mentre la fantascienza tratta del futuro, egli si rifà ad un passato remoto, una sorta di mito delle origini. Inoltre mentre lo scrittore ligure si serve del dato scientifico per uscire dalle abitudini dell’immaginazione, la fantascienza tende ad avvicinare ciò che è lontano.
Il periodo combinatorio
Intorno agli anni sessanta Calvino aderisce ad un nuovo modo di fare letteratura, intesa ora come artificio e come gioco combinatorio. Per lo scrittore ligure è necessario rendere visibile ai lettori la struttura stessa della narrazione, per accrescere il loro grado di consapevolezza. In questa nuova fase produttiva Calvino si avvicina ad un tipo di scrittura che potrebbe essere definita combinatoria perché il meccanismo stesso che permette di scrivere assume un ruolo centrale all'interno della produzione; Calvino infatti è convinto che ormai l'universo linguistico abbia soppiantato la realtà e concepisce il romanzo come un meccanismo che gioca artificialmente con le possibili combinazioni delle parole: anche se questo aspetto può essere considerato il più vicino alla Neoavanguardia, egli se ne distanzia per uno stile ed un linguaggio estremamente comprensibili.
Questa nuova concezione di Calvino risente di numerosi influssi: lo strutturalismo e la semiologia, le lezioni parigine di Roland Barthes sull'ars combinatoria e la frequentazione del gruppo di Raymond Queneau (l'Oulipo), la scrittura labirintica di Jorge Luis Borges nonché la rilettura del Tristram Shandy di Sterne, che definirà come il progenitore di tutti i romanzi d’avanguardia del nostro secolo.
Già nel 1967, nella conferenza intitolata Cibernetica e Fantasmi, Calvino affronta la riflessione su un'idea di letteratura come pura combinazione formale, ma il primo prodotto di questa nuova concezione della letteratura è Il Castello dei destini incrociati (1969), al quale in seguito verrà aggiunto La Taverna dei destini incrociati (1973), in cui il percorso narrativo è affidato alla combinazione delle carte di un mazzo di tarocchi. Un gruppo di viandanti si incontra in un castello: ognuno avrebbe un'avventura da raccontare ma non può perché ha perduto la parola. Per comunicare allora i viandanti usano le carte dei tarocchi, ricostruendo grazie ad esse le proprie vicissitudini. Qui Calvino usa il mazzo dei tarocchi come un sistema di segni, come un vero e proprio linguaggio: ogni figura impressa sulla carta ha un senso polivalente così come lo ha una parola, il cui esatto significato dipende dal contesto in cui viene pronunciata. L'intento di Calvino è proprio di smascherare i meccanismi che stanno alla base di tutte le narrazioni, creando così un romanzo che va oltre se stesso, in quanto riflessione sulla propria natura e configurazione.
Questo gioco combinatorio è centrale anche nel successivo romanzo dello scrittore, Le città invisibili (1972), sorta di riscrittura del Milione di Marco Polo in cui è lo stesso mercante veneziano a descrivere a Kublai Khan le città del suo impero. Queste città però non esistono tranne che nell'immaginazione di Marco Polo, vivono solo all'interno delle sue parole. La narrazione quindi per Calvino può creare dei mondi ma non può distruggere l'inferno dei viventi che sta intorno a noi, per combattere il quale, come suggerito nella conclusione del romanzo, non si può far altro se non valorizzare quello che inferno non è.
Ne Le città invisibili l'esibizione dei meccanismi combinatori del racconto diventa ancora più esplicita che nel Castello dei destini incrociati grazie anche alla struttura stessa del romanzo, segmentata in testi brevi che si susseguono dentro una cornice. Le città invisibili infatti è composto da nove capitoli, ognuno all'interno di una cornice in corsivo nella quale avviene il dialogo tra l'imperatore dei Tartari, Kublai Khan, e Marco Polo. All'interno dei capitoli vengono narrate le descrizioni di cinquantacinque città, secondo nuclei tematici. Questa complessa costruzione architettonica è indubbiamente finalizzata alla riflessione da parte del lettore sulle modalità compositive dell'opera: in questo senso Le città invisibili è un romanzo fortemente metatestuale, poiché induce a produrre riflessioni su sé stesso e sul funzionamento della narrativa in generale.
L'opera più metanarrativa di Calvino, però, è sicuramente da considerarsi Se una notte d'inverno un viaggiatore (1979). In questo romanzo, più che altrove, Calvino mette a nudo i meccanismi della narrazione, avviando una riflessione sulla pratica della scrittura e sui rapporti tra scrittore e lettore.
I dieci inizi di racconti da cui è composto il libro corrispondono ognuno ad un diverso tipo di narrazione. Mediante questo "esercizio di stile" Calvino esemplifica quali sono i modelli e gli stilemi del romanzo moderno (da quello della neoavanguardia a quello neo-realistico, da quello esistenziale a quello fantastico surreale). Alla base del racconto c'è dichiaratamente lo schema a incastro delle Mille e una notte, all'interno del quale Calvino colloca i suggerimenti e le sollecitazioni provenienti dal romanzo contemporaneo.
La morte
Italo Calvino morì all'ospedale di Siena il 19 settembre 1985, a causa di un ictus che lo aveva colpito qualche giorno prima nella sua villa di Roccamare. Nel 1995, in occasione del decennale della sua morte, all'Avana sorse il comitato promotore (detto dei "calvinisti") Pro-Fondazione-Calvino, sponsorizzato dall'Arci Nazionale di Roma e dall'Ambasciata Italiana all'Avana. Tale Fondazione nel 1996 dette vita al Premio Letterario Biennale Italo Calvino, riservato a giovani talenti cubani, per teatro, poesia, narrativa e saggistica. Ora Italo Calvino riposa nel panoramico e grazioso cimitero-giardino di Castiglione della Pescaia, in Toscana. L'Ambasciata Cubana a Roma sta progettando di attivare due comitati promotori per realizzare un futuro gemellaggio culturale tra le cittadine di Santiago de Las Vegas (a Cuba) e di Castiglione della Pescaia (in Italia), in omaggio a Calvino "Italo", ma anche "Cubano".
Nel frattempo, l'istituto di botanica diretto un tempo dai genitori è diventato l'Istituto di ricerche di agricoltura tropicale Alejandro Humboldt ed è ora gestito dall'Accademia cubana delle scienze. Tale luogo è in Calle 1, nella prima strada a destra, arrivando dall'Avana, all'ingresso del paesino di Santiago de Las Vegas, a pochi chilometri dall'aeroporto internazionale avanero dedicato a José Martí.
▪ 1995 - Vincenzo Muccioli (Rimini, 6 gennaio 1934 – Coriano, 19 settembre 1995) è stato un filantropo italiano, fondatore della Comunità di San Patrignano dedicata al recupero delle vittime della tossicodipendenza.
Vincenzo Muccioli nasce a Rimini il 6 gennaio 1934 da un’agiata famiglia. Primo di due figli, dopo gli studi, comincia a lavorare con il padre che gestisce un’agenzia di assicurazioni. Sin da ragazzo, coltiva la passione per gli animali e per l’agricoltura. Nel 1962 sposa la coetanea Maria Antonietta Cappelli, con la quale ha avuto due figli.
La fondazione della comunità di San Patrignano
Dopo il matrimonio, Vincenzo compra dei terreni più vicini a Rimini di quelli di famiglia per potersi dedicare più a fondo all’allevamento di pregiate razze canine e all’agricoltura. Questi terreni sono situati a San Patrignano, luogo destinato a diventare negli anni successivi sede della comunità terapeutica più grande d’Europa. Nella prima metà degli anni ’70, dopo essersi interessato insieme ad alcuni amici al problema dell’assistenza ai malati e alla medicina naturale, si avvicina direttamente alle problematiche del disagio e dell’emarginazione.
Nell’Italia degli anni ’70 questo voleva dire soprattutto tossicodipendenza, un problema di fronte al quale non esistevano all’epoca risposte concrete ed efficaci. Nel novembre del 1978 nella casa di campagna di Muccioli entra quella che sarà la prima ospite della comunità, una giovane tossicodipendente trentina, figlia di amici di famiglia. Nel giro di poco tempo vengono accolti molti ragazzi che chiedono aiuto. Il 31 ottobre dello stesso anno, quando il numero degli ospiti è arrivato ormai a trenta, viene costituita la cooperativa di San Patrignano che ha come suo obiettivo principale fornire assistenza gratuita ai tossicodipendenti ed agli emarginati.
Nel 1985 Muccioli ed i familiari rinunciano alle loro proprietà ed ai diritti ereditari, donandoli alla Fondazione San Patrignano costituita quell’anno. Da quel giorno, la comunità, per espressa scelta di Vincenzo Muccioli, appartiene a tutti coloro che vi operano e vivono o che ad essa si rivolgono in cerca di sostegno e di aiuto. L’operato del fondatore della comunità è sempre stato ispirato ai princìpi e valori che facevano parte della sua formazione culturale ed umana, come il rispetto per la vita e la dignità dell’uomo. Non a caso il modello di riferimento attorno a cui è cresciuta e si è sviluppata la comunità è stato quello della famiglia, di un luogo cioè dove la qualità del rapporto e delle relazioni fra le persone riproducesse la profondità e l’intensità di un vero nucleo familiare.
Morte
Vincenzo Muccioli è morto il 19 settembre 1995, dopo un' improvvisa malattia. Il giorno della sua morte, la comunità ospitava 2.000 giovani. Andrea e Giacomo, i due figli di Muccioli, hanno preso il posto del padre alla guida della comunità e attualmente vivono e lavorano a San Patrignano.
Controversie e procedimenti giudiziari
Nel corso della sua vita, Vincenzo Muccioli ha dovuto affrontare due processi. Il primo, nel 1984, detto Processo delle catene, concluso con un’assoluzione in corte d'appello e confermata in cassazione dall’accusa di sequestro di persona e maltrattamenti per avere incatenato alcuni giovani della comunità. Il secondo, nel 1994, ha portato a una condanna a otto mesi di carcere per favoreggiamento e a un’assoluzione dall’accusa di omicidio colposo per l’assassinio, avvenuto in comunità, di Roberto Maranzano. Nella sentenza, la corte mette in evidenza gli alti valori umani e sociali del suo operato.
La figura di Muccioli è stata oggetto di discordanti interpretazioni, talvolta contornate da animate polemiche, che hanno creato, nei media e nel mondo politico, fazioni opposte nella valutazione della sua opera. La controversia verte principalmente sui metodi di Muccioli a proposito di accuse di violenza avvenute all’interno della sua comunità, con eccessi talvolta sfociati in delitti anche gravi.
Durante il 15 Congresso mondiale di psichiatria sociale i professori Sergio De Risio e Mario Cagossi dell' Istituto di psichiatria dell' Università Cattolica del Sacro Cuore, definirono la comunità un paradosso a causa delle elevate dimensioni e del conseguente insorgere di focolai di violenza più o meno visibili e contraddicendo l'idea di comunita' terapeutica, fondata sulle piccole quantità dei suoi membri e con un' organizzazione centrata sulle necessità del singolo e del gruppo.[1].
Muccioli fu accusato di utilizzare un metodo coercitivo per trattenere gli ospiti all'interno della Comunità durante le crisi di astinenza e fu oggetto di procedimenti giudiziari al fine di verificare se tali coercizioni configurassero indebite restrizioni della libertà personale dei soggetti interessati [2]. Durante i processi emersero pubblicamente dettagli sull'uso di catene ed altri analoghi metodi di contenzione [3] [4]. Nel 1993 la rivelazione di un' ex ospite, Franco Grizzardi, diede nuova linfa alle polemiche: questi sosteneva che un ragazzo napoletano, Roberto Maranzano, dato per disperso dal 1989 dopo essersi allontanato in circostanze mai chiarite dalla Comunità, in realtà era stato ucciso dagli eccessi di un pestaggio subito nella porcilaia della struttura perché non si poteva alzare lo sguardo mentre si mangiava.[5][6].
Grazie alla collaborazione di questo pentito il cadavere di Maranzano fu rinvenuto in una discarica presso Napoli. L'autopsia rivelò che quanto denunciato era vero e che vi erano segni di percosse. Inoltre una cassetta registrata dall'autista di Muccioli, Walter Delogu, smascherava il fatto che Muccioli era sin dal primo momento a conoscenza del delitto, anzi cercava in quel dialogo di convincerlo a fare sparire il Grizzardi, diventato pericoloso in quanto continuava a ricattare minacciando di denunciare i fatti. Nella registrazione agli atti del processo ed ascoltata in aula il 2 novembre 1995 Muccioli, riferendosi ad uno dei testimoni dell'omicidio asserì che Ci vorrebbe un'overdose... due grammi d'eroina e un po' di stricnina... bisogna operare come con i guanti del chirurgo. Oppure bisognerebbe sparargli con una pistola sporca[7][8]. Queste denunce spinsero molti altri ospiti a denunciare percosse, violenze, addirittura violazioni della legge elettorale in favore di politici "amici".
Durante gli anni del processo, un ex dipendente di San Patrignano, presentandosi volontariamente al Commissariato di Polizia, dichiarò di aver ricoperto per anni il ruolo preposto al recupero e pestaggio dei fuggitivi [9]. Vennero pure allo scoperto alcuni strani suicidi, come quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola, avvenuti nella primavera dell'89 e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutte e tre le persone si sono suicidate mentre si trovavano in clausura punitiva all'interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano chiuse. Per il caso Maranzano, Muccioli fu poi condannato ad un anno e 8 mesi (con sospensione condizionale) per favoreggiamento, mentre gli esecutori materiali incorsero in condanne dai 6 ai 10 anni.
In una sentenza seguente però la corte di cassazione sancì che fu un errore processare Muccioli per omicidio colposo e sarebbe dovuto essere giudicato di nuovo per l'omicidio di Roberto Maranzano con l'accusa di maltrattamenti seguiti da morte[10].
Note
1. ^ Psichiatri criticano comunità Muccioli dal Corriere
2. ^ Tribunale di Rimini, Sentenza 16/02/1985 ,pag.6
3. ^ parlamentari del 1980 a seguito di ritrovamenti di giovani incatenati
4. ^ Tribunale di Rimini, Sentenza 16/02/1985, pag.14
5. ^ Alzò gli occhi e fu ucciso da Repubblica
6. ^ Corte di Cassazione, Sentenza del 13/05/2000
7. ^ Muccioli: bisognerebbe sparargli
8. ^ Stralcio telefonata Muccioli. Pag.7,
9. ^ "Pestavo i fuggitivi" dal Corriere
10. ^ Muccioli, dopo la morte sentenza sfavorevole dal Corriere