Il calendario del 19 Maggio

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1535 - L'esploratore francese Jacques Cartier salpa per il suo secondo viaggio in Nord America con 3 navi, 110 uomini e i due figli di Capo Donnacona (che Cartier rapì durante il primo viaggio)

▪ 1536 - Anna Bolena, la seconda moglie di Enrico VIII d'Inghilterra, viene decapitata con la falsa accusa di adulterio

▪ 1568 - La regina Elisabetta I d'Inghilterra fa arrestare Maria I di Scozia

▪ 1643 - Battaglia di Rocroi: Vittoria francese sugli spagnoli nella guerra dei Trent'anni. Partecipa anche Cartesio che ha l'intuizione fondamentale per la sua ricerca filosofica.

▪ 1649 - L'atto che dichiara che l'Inghilterra è un Commonwealth viene approvato dal Lungo Parlamento

▪ 1749 - Re Giorgio II di Gran Bretagna concede alla Compagnia dell'Ohio un contratto di noleggio delle terre attorno alle diramazioni del fiume Ohio

▪ 1769 - Gian Vincenzo Antonio Ganganelli viene eletto papa con il nome di Clemente XIV

▪ 1802 - La Légion d'Honneur viene istituita dal primo console Napoleone Bonaparte

▪ 1848 - Guerra Messicano-Americana: Trattato di Guadalupe Hidalgo - Il Messico ratifica un trattato che pone fine alla guerra e cede Texas, California e gran parte dell'Arizona e del Nuovo Messico agli Stati Uniti per 15 milioni di dollari

▪ 1897 - Oscar Wilde viene rilasciato di prigione

▪ 1919 - Mustafa Kemal Ataturk si sposta a Samsun da Istanbul con una vecchia nave di nome Bandirma, con i suoi pochi amici, per lavorare separatamente dal Governo Ottomano, allo scopo di preparare la nazione alla guerra d'indipendenza

▪ 1941 - A iniziativa del Partito comunista indocinese viene fondato il Fronte per l'Indipendenza del Vietnam

▪ 1944 - Strage del Turchino: le SS uccidono per rappresaglia 59 civili.

▪ 1956 - Viene firmato a Ginevra l'accordo CMR che regola i trasporti internazionali via camion

▪ 1961 - Programma Venera: Il Venera 1 diventa il primo manufatto ad oltrepassare un altro pianeta, superando Venere (comunque la sonda aveva perso contatto con la Terra un mese prima e non mandò indietro alcun dato)

▪ 1968 - Italia: si svolgono le elezioni politiche

▪ 1971 - Programma sonda marziana: Il Mars 2 viene lanciato dall'Unione Sovietica

▪ 1974 - A Brescia muore dilaniato da una bomba che trasportava in moto per un attentato il 19enne Silvio Ferrari, neofascista

▪ 1989 - Si conclude il governo De Mita

▪ 1999 - Star Wars: Episodio I - La minaccia fantasma debutta nei cinema statunitensi, stabilendo un nuovo record di incassi per il primo giorno di proiezioni con 28,5 milioni di dollari

▪ 2001 - Politica del figlio unico: Zhonghua Sun viene uccisa da funzionari del governo cinese dopo essersi rifiutata di farsi sterilizzare

* 2004 - India: dopo la rinuncia di Sonia Gandhi, diventa premier Manmohan Singh

Anniversari

* 804 - Alcuino di York (Alhwin, Alchoin o, in lingua latina, Albinus o Flaccus; Regno di Northumbria, 735 – Tours, 19 maggio 804) è stato un filosofo, docente e teologo britannico.
Proveniente da una nobile famiglia di Northumbria, il suo luogo di nascita è questione controversa. Probabilmente, però, nacque a York o nelle immediate vicinanze. Mentre era ancora bambino, entrò nella scuola della cattedrale ivi fondata dall'arcivescovo Egberto. La sua attitudine presto attirò l'attenzione di Aelberto, maestro nella scuola, nonché quella dell'arcivescovo, che dedicarono particolare attenzione alla sua istruzione. Da giovane, in compagnia del suo maestro, fece numerose visite in continente e, quando nel 767, Aelberto subentrò nella sede di York, il compito di dirigere la scuola fu naturalmente devoluto ad Alcuino.
Durante i quindici anni che seguirono si dedicò alla scuola di York attirandovi numerosi studenti e arricchendone la già preziosa biblioteca. Di ritorno da Roma, nel marzo 781, incontrò Carlo Magno a Parma. Qui, fu invitato dal principe, che ammirava grandemente, a trasferirsi in Francia e stabilirsi a corte come "Maestro della Scuola Palatina". La scuola rimase ad Aachen per la maggior parte del tempo, ma si mosse di luogo in luogo, seguendo la residenza reale. Nel 786, Alcuino ritornò in Inghilterra a causa, a quanto pare, di importanti affari ecclesiastici e nuovamente, nel 790, in missione per conto di Carlo Magno.
Nel 794, Alcuino partecipò al Concilio di Francoforte, dove ebbe una parte molto importante nella definizione dei decreti di condanna dell'Adozionismo nonché negli sforzi compiuti successivamente per la sottomissione dei recalcitranti prelati spagnoli.
Nel 796, dopo aver compiuto il suo sessantesimo compleanno, ansioso di ritirarsi dal mondo, fu nominato da Carlo Magno Abate di San Martino a Tours.
Qui, nella sua vecchiaia, ma con immutato slancio, si dedicò alla costruzione di una scuola monastica modello, raccogliendo libri e attirando studenti, come aveva fatto in precedenza a York e ad Aachen; indicando, tra l'altro, ai suoi confratelli che «fodere quam vites melius est scribere libros», cioè che la via del sapere è migliore di quella dell'agricoltore cui indulgeva ancora una parte piuttosto ampia del movimento monastico.
Poiché nelle sue lettere amava definirsi Albinus, humilis Levita, alcuni studiosi sono convinti che Alcuino sia stato solo un semplice diacono, mentre altri suppongono che in età ormai avanzata sia diventato sacerdote. Il suo sconosciuto biografo, nel descrivere l'ultimo periodo della sua vita, diceva di lui, celebrabat omni die missarum solemnia (Jaffé, Mon. Alcuin Vita, 30).
In una delle sue ultime lettere, Alcuino accettava il dono di una casula, che prometteva di utilizzare nelle missarum solemniis (Ep. 203). È probabile che egli fosse un monaco benedettino, fatto anche questo contestato, poiché alcuni storici hanno supposto che fosse semplicemente membro del clero secolare, anche quando esercitava l'ufficio di abate a Tours.

Alcuino educatore
Alcuino fu uno dei principali artefici del Rinascimento carolingio: insegnò soprattutto grammatica e arti liberali, seguendo una pedagogia dialettica.
Una caratteristica importante del lavoro di educatore svolto da Alcuino a York fu la cura e la conservazione, nonché l'ampliamento, della sua preziosa biblioteca. Intraprese, infatti molti viaggi attraverso l'Europa con il solo scopo di copiare e raccogliere libri.
Riunì intorno a se anche numerosi allievi provenienti da tutte le parti d'Inghilterra e da tutto il continente europeo. Nel suo componimento "Sui santi della Chiesa di York" scritto, probabilmente, prima di trasferirsi in Francia, ci ha lasciato una preziosa descrizione della vita accademica a York, insieme ad un elenco degli autori presenti nella sua raccolta di libri. Il corso di studi abbracciava, secondo le parole di Alcuino, "le arti liberali e le sacre scritture", ovvero le sette arti liberali, che comprendevano il trivium ed il quadrivium, e lo studio delle Scritture e dei Padri per gli studenti più avanzati.
Una caratteristica della scuola che merita di essere citata era la moderna organizzazione degli studi; gli studenti erano separati in classi, secondo gli argomenti ed i soggetti studiati, con un insegnante per ogni classe. Ma fu solamente quando assunse l'incarico presso la Schola Palatina che le abilità di Alcuino risaltarono maggiormente. Nonostante l'influenza di York, in Inghilterra la cultura era in declino. Il paese era scosso da contrasti e da guerre civili, ed Alcuino percepì nella crescente potenza di Carlo Magno e nel suo desiderio per lo sviluppo della cultura un'opportunità che neanche York, con tutta la sua preminenza, poteva permettersi. Non rimase deluso. Carlo contava sull'educazione per completare l'opera di costruzione del suo impero e la sua mente era piena di progetti educativi.
Una rinascita letteraria, in realtà, era già iniziata. Giunsero ad Aquisgrana studiosi provenienti da Italia, Germania ed Irlanda e, quando nel 782 Alcuino si trasferì presso Carlo Magno, presto, insieme ai giovani membri della nobiltà che era stato chiamato ad istruire, si trovò circondato da un gruppo di studenti più anziani, alcuni dei quali erano considerati tra i migliori studiosi del tempo. Sotto la sua guida, la Schola Palatina divenne ciò che Carlo aveva sognato: il centro della conoscenza e della cultura per l'intero regno e per l'Europa intera. Carlo Magno stesso, la sua regina, sua sorella, i suoi tre figli e le due figlie studiarono presso la scuola, un esempio che il resto della nobiltà non mancò di imitare. Il maggior merito di Alcuino quale educatore laico, tuttavia, non fu solamente la formazione di una generazione di uomini e donne, ma, soprattutto, l'ispirare con la sua passione per l'insegnamento e l'apprendimento giovani di talento che accorrevano a lui da tutti le parti.
Le sue opere sull'istruzione, che comprendevano i trattati "Sulla Grammatica", "Sull'Ortografia", "Sulla retorica e le Virtù", "Sulla Dialettica", la "Disputa con Pipino", ed il trattato astronomico intitolato De Cursu et Saltu Lunae ac Bissexto, offrono uno spaccato delle materie e dei metodi di insegnamento impiegati nella Schola Palatina e nelle scuole del tempo in generale, ma non sono rimarcabili né per originalità né per eccellenza letteraria. Essi sono, per la maggior parte, antologie, generalmente in forma di dialoghi, tratte dalle opere degli antichi studiosi ed erano, probabilmente, destinati ad essere utilizzati come libri di testo per i suoi alunni.
Alcuino, come Beda, era un insegnante piuttosto che un pensatore, un produttore e un distributore piuttosto che un originatore di conoscenza e, in questo senso, la predisposizione del suo genio rispose perfettamente alle necessità intellettuali della sua epoca che erano la conservazione e la rinascita al mondo dei tesori di conoscenza ereditati dal passato ed a lungo nascosti per preservarli dalle invasioni barbariche. Disce ut doceas (impara per insegnare) fu il motto della sua vita, ed il valore supremo che dava all'ufficio dell'insegnamento è riconoscibile nell'ammonimento che impartiva sempre ai suoi discepoli: "chi non impara in gioventù, non insegna in vecchiaia" (Qui non discit in pueritia, non docet in senectute, Epistola 27). Anche vivendo nel mondo e quindi molto occupato negli affari pubblici, condusse una vita in completa umiltà; ebbe un infinito entusiasmo per lo studio ed un instancabile zelo per il lavoro pratico in classe ed in biblioteca.
La sua disponibilità ed umanità lo resero universalmente amato ed il vincolo che lega maestro e allievo si evolse spesso in un'intima amicizia che durò per tutta la vita. Molte delle sue lettere che si sono conservate furono scritte ai suoi ex allievi; di queste, più di trenta erano indirizzate al suo amato discepolo Arno, che divenne arcivescovo di Salisburgo. Prima di morire, Alcuino ebbe la soddisfazione di vedere i giovani che aveva preparato impegnati nell'opera dell'insegnamento in tutta Europa. "Ovunque", diceva Wattenbach parlando del periodo che seguì, "in qualsiasi attività letteraria visibile, si può essere certi di trovare un allievo di Alcuino". Molti dei suoi allievi occuparono posizioni di prestigio nella Chiesa e negli Stati e prestarono la loro influenza alla causa della cultura, come il succitato Arno, arcivescovo di Salisburgo; Teodolfo, vescovo di Orléans; Eanbaldo, arcivescovo di York; Adelardo, il cugino di Carlo, che divenne abate di Corvey, in Sassonia; Aldrich, abate di Ferrières, e Fredegiso, il successore di Alcuino a Tours. Tra i suoi allievi ci fu anche il celebrato Rabano Mauro, l'intellettuale successore di Alcuino, che studiò presso di lui a Tours e che, successivamente, nella sua scuola a Fulda, proseguì il lavoro intrapreso da Alcuino ad Aquisgrana ed a Tours.
Lo sviluppo della Schola Palatina, tuttavia, per quanto importante, fu solo una parte dei grandi piani culturali di Carlo Magno. Per la diffusione della cultura, dovevano essere istituiti in tutto il regno altri centri educativi e per questo, in un'epoca in cui l'istruzione era così ampiamente sotto il controllo della Chiesa, era essenziale che il clero dovesse essere composto da uomini di cultura.
Con questo obiettivo bene in vista, furono emanati, a nome dell'imperatore, una serie di decreti o Capitolari, che imponevano a tutto il clero secolare e regolare, a pena della sospensione dall'ufficio, la capacità di leggere e scrivere e il possesso delle cognizioni necessarie per l'intelligente esercizio delle funzioni imposte dallo stato clericale. Dovevano essere istituite scuole di lettura a beneficio dei candidati al sacerdozio ed i vescovi erano tenuti ad esaminare il loro clero di tanto in tanto per accertare il grado della loro conformità con queste disposizioni legislative. Fu stilato anche un programma per l'istruzione elementare universale. Un capitolare dell'anno 802 stabiliva che "tutti avrebbero dovuto mandare il proprio figlio a studiare lettere, e che il bambino doveva rimanere a scuola con la massima diligenza fino a che non fosse stato ben istruito" (West, 54). In virtù dei decreti del Concilio di Vaison, in ogni città e villaggio doveva essere istituita una scuola in cui i sacerdoti avrebbero insegnato gratuitamente.
È impossibile stabilire in che misura Alcuino contribuì all'organizzazione di un così vasto sistema di istruzione basato su una istituzione centrale, la Schola Palatina, un certo numero di scuole subordinate in cui si insegnavano le arti liberali sparse in tutto il paese e su scuole per la gente comune in ogni città e villaggio. La sua mano non è percepibile in alcun provvedimento legislativo che gli si riferisca, ma non vi può essere alcun dubbio sul fatto che egli ebbe molto a che fare con l'ispirazione, se non con la definizione, di queste leggi. "La voce", dice giustamente Gascoino, "è la voce di Carlo, ma la mano è la mano di Alcuino". Fu, comunque, anche su Alcuino ed i suoi allievi che ricadde la responsabilità dell'applicazione delle leggi. È vero che le leggi furono applicate imperfettamente; le misure previste e parzialmente attuate per l'istruzione delle persone non furono un completo successo; il movimento per la rinascita e la diffusione della cultura in tutto l'Impero non giunse a buon fine. Tuttavia, molte cose destinate a durare nel tempo furono fatte. "La saggezza accumulata o il passato, che aveva corso il pericolo di scomparire, era stato preservato e, quando diversi secoli più tardi, giunse una più grande e permanente rinascita culturale, le fondamenta gettate nell'VIII secolo erano ancora lì, pronte a sostenere il peso della più elevata cultura che gli studiosi della nuova rinascita avrebbero costruito"(Gaskoin, 209).
I componimenti di Alcuino spaziavano da brevi versi epigrammatici indirizzati ai suoi amici, o intesi come chiose per i libri, iscrizioni per chiese, altari, ecc, a lunghe storie in metrica di eventi biblici o ecclesiali. I suoi versi raramente assursero al livello di vera poesia e, come la maggior parte delle opere dei poeti del suo periodo, spesso non riuscirono a conformarsi alle regole di qualità, così come la sua prosa, che anche se semplice e vigorosa, mostra qua e là un apparente disprezzo per i canoni accettati della sintassi. La sua opera principale in metrica, il "Poema sui Santi della Chiesa di York", consisteva di 1657 esametri e narrava la storia di quella Chiesa.

Alcuino teologo
L'opera di Alcuino quale teologo può essere classificata come esegetica, morale e dogmatica. Anche in questo campo, il fine principale che perseguì fu quella della conservazione piuttosto che dell'originalità. I suoi nove commentari sulle scritture ("Sulla Genesi", "I Salmi", "Il Cantico dei Cantici", "l'Ecclesiaste", "i Profeti ebrei", "il Vangelo secondo Giovanni", "la Lettera a Tito", "la Lettera a Filemone", "la Lettera agli Ebrei", "i Detti di San Paolo" e "l'Apocalisse") consistono principalmente di frasi tratte dai Padri; l'idea, apparentemente, era di raccogliere in forma conveniente le osservazioni sui più importanti brani scritturali fatte dai migliori commentatori che lo avevano preceduto.
La sua più importante opera biblica fu, comunque, la revisione del testo della Vulgata. All'inizio del IX secolo, questa versione era diffusa in molte varianti, anche diverse dall'originale, in tutta Europa. Di fatto, l'uniformità nel testo sacro era sconosciuta. Ogni chiesa e monastero aveva le sue letture e spesso si trovavano testi diversi anche all'interno delle stesse strutture. Anche altri studiosi cercarono di porre rimedio a questa condizione. Teodolfo di Orléans produsse un testo rivisto della Vulgata che è sopravvissuto nel Codex Memmianus. L'opera originale di Alcuino, però, non è giunta ai nostri giorni; la disattenzione di copisti e la vasta diffusione che raggiunse portarono a innumerevoli, anche se, per la maggior parte, di poco conto, variazioni dallo standard che aveva cercato di creare. Nelle sue lettere, Alcuino citava semplicemente il fatto che era stato incaricato da Carlo Magno in emendatione Veteris Novique Testamenti (Epistola, 136). A Tours, esistono quattro Bibbie che si pensa siano state preparate da Alcuino stesso o sotto la sua stretta supervisione, probabilmente tra il 799 e l'801, grazie a delle poesie di dedica che vi sono scritte. Secondo il parere di Berger tutte le "Bibbie di Tours " ricalcano in maggiore o minore grado, nonostante alcuni dettagli, l'originale testo di Alcuino (Hist. de la vulg., 242).
In ogni caso, qualunque fossero state le esatte modifiche apportate dal Alcuino al testo della Bibbia, il noto temperamento dell'uomo, non meno che i limiti degli studiosi dell'epoca, rendono certo che questi cambiamenti non furono di ampia portata. L'idea era, sicuramente, quella di riprodurre fedelmente il testo di San Girolamo e, per quanto possibile, di correggere i gravi errori che si erano tramandati nelle Sacre Scritture. Pertanto, da questo punto di vista, il lavoro di Alcuino fu molto importante.
Dei tre brevi trattati morali che Alcuino ci ha lasciato, due, il De virtutibus e vitiis" ed il De animæ ratione, sono in gran parte arrangiamenti delle opere di Sant'Agostino d'Ippona, mentre il terzo, "Sulla Confessione dei Peccati", è una sintetica esposizione sulla natura della confessione, indirizzata ai monaci di San Martino di Tours.
Strettamente legati agli scritti morali, per spirito e finalità, sono le sue opere sulla vita di San Martino di Tours, San Vedasto, San Riquiero e San Villibrordo, quest'ultima una biografia di notevole lunghezza.
La fama di Alcuino come teologo, però, è dovuta principalmente alle sue opere dogmatiche. Avendo percepito l'atteggiamento sostanzialmente eretico di Felice ed Elipando sulla questione cristologica, un atteggiamento la cui eterodossia, inizialmente, era stato nascosta persino ai loro occhi dalla pretestuosa distinzione tra figli naturali e adottivi, Alcuino si erse a campione della Chiesa contro l'eresia adozionista. La condanna della nascente eresia da parte del Sinodo di Regensburg (792), avendo fallito nel controllo della sua diffusione, provocò la convocazione di un altro e più grande sinodo, composto dai rappresentanti delle Chiese di Francia, Italia, Gran Bretagna e Galizia, a Francorte da parte di Carlo nel 794. Alcuino era presente a questo incontro e, senza dubbio, ebbe una parte di rilievo nel dibattito e nella stesura della Epistola Synodica, anche se, con la consueta modestia, nelle sue lettere non ne fornì mai alcuna prova. In base agli atti del Sinodo, Alcuino rivolse a Felice, del quale aveva alta stima, una toccante lettera di ammonimento e di esortazione, alla quale ricevette risposta dopo il suo trasferimento a Tours, nel 796. Nella missiva Felice faceva capire che sarebbe stata necessaria qualcosa di più di una supplica amichevole per fermare l'eresia.
Contro gli insegnamenti degli eretici, Alcuino aveva già redatto un piccolo trattato, consistente principalmente in citazioni patristiche, dal titolo Liber Albini contra haeresim Felicis, ma ora intraprese una più ampia e approfondita discussione delle questioni teologiche coinvolte. Questa opera, in sette libri, Libri VII adversus Felicem, era una confutazione delle posizioni adozioniste, piuttosto che l'esposizione della dottrina cattolica e, di conseguenza, seguiva la linea delle loro argomentazioni anziché un rigoroso ordine logico. Alcuino usava contro gli adozionisti l'universale testimonianza dei Padri, le incongruenze insite nella loro stessa dottrina, la sua logica relazione con il nestorianesimo, e lo spirito razionalista che era sempre pronto a chiedere spiegazioni umane per gli imperscrutabili misteri della fede. La disputa tra Alcuino e Felice ebbe luogo nella primavera del 799 nel palazzo reale ad Aquisgrana e si concluse con il riconoscimento da parte di Felice dei suoi errori e la sua accettazione degli insegnamenti della Chiesa. Felice, in seguito, rese una visita amichevole ad Alcuino a Tours.
Dopo aver cercato invano la sottomissione di Elipando, Alcuino redasse un altro trattato intitolato Adversus Elipandum Libri IV, incaricando della sua diffusione gli emissari che Carlo Magno aveva inviato in Spagna. Nell'802 inviò all'imperatore l'ultimo e forse il più importante dei suoi trattati teologici, il Libellus de Sancta Trinitate, un'opera in forma particolare, probabilmente suggeritagli durante le dispute con gli adozionisti. Il trattato contiene una breve appendice intitolata De Trinitate ad Fridegisum quaestiones XXVIII. Il libro è un compendio della dottrina cattolica sulla Trinità basato sulle opere di Sant'Agostino.
Non è certo in quale misura Alcuino condivise gli atteggiamento negativi assunti dalla chiesa franca, su incitazione di Carlo Magno, verso i mal tradotti e malintesi canoni del Concilio di Nicea del 787. Tuttavia, lo stile dei Libri Carolini, che condannavano, in nome del re, i canoni del concilio, porta a favorire l'ipotesi che Alcuino non abbia partecipato direttamente alla loro stesura.

▪ 1249 - Umiliana de' Cerchi (Firenze, 1219 – Firenze, 19 maggio 1249) è stata una religiosa italiana. Un tempo molto venerata a Firenze, fu proclamata beata nel 1634.
Nata nella famiglia dei Cerchi, ricchi mercanti che sorgeranno agli altari delle cronache circa un secolo dopo come capi della fazione dei guelfi bianchi a Firenze, all'epoca della sua nascita si erano da poco trasferiti dal contado in città in cerca di maggior fortuna ed erano nel pieno della loro ascesa sociale, ma non ancora all'apogeo. Suo padre Ulivieri, detto Vieri, era infatti nato ad Acone in Val di Sieve (oggi frazione di Pontassieve) dove la famiglia possedeva un castello. Della madre non si hanno molte notizie, probabilmente morì giovane, tanto che suo padre si risposò una seconda volta, avendo in totale ben diciassette figli. Un fratello di Umiliana ricoprì importanti cariche pubbliche.
A quindici anni andò in sposa a una tale Buonaguisi, tessitore benestante, ricordato per l'avidità e la rozzezza dei costumi, e probabilmente fu il padre a sceglierle il consorte, come alcune sue sorelle che andarono in sposa ad altri importanti uomini di famiglie come gli Adimari o i Donati. Umiliana, secondo i biografi, compensava con numerose opere di carità la cattiva condotta del marito toccatole in sorte.
Un sostegno umano e spirituale le veniva quotidianamente dato dalla cognata Ravenna, con la quale andava a messa, curava la casa e si dedicava a instancabili opere di misericordia verso i poveri. Arrivando a sottrarre il cibo dalla mensa per darlo ai bisognosi, a confezionare paramenti sacri con le stoffe preziose del marito e a questuare elemosine tra le ricche amiche, destò l'ira del marito, che quando la scoprì la percosse e la ingiuriò. Ebbe due figlie (una si sa che si chiamava Regale) e il marito morì verso il 1239, lasciandola vedova. Secondo l'usanza dell'epoca, le vedove erano tenute per un anno dopo la morte del marito nella casa di lui, poi erano costrette a lasciare i figli, che nel caso di Umiliana vennero allevati da Ravenna, e tornare nella famiglia di origine riprendendosi quello che restava della dote. Ci è pervenuto l'atto notarile con il quale il padre incamerò di nuovo la sua dote.
Il padre la voleva maritare di nuovo (aveva poco più di venti anni), ma essa si rifiutò strenuamente, chiedendo di entrare nel monastero femminile accanto alla chiesa di San Pietro a Monticelli. Non potendolo diventare, si rinchiuse nella stanza più alta del palazzo di famiglia, tra Via della Condotta e Via de' Cerchi, uscendo solo per assistere alle funzioni religiose. Si dedicò a pratiche ascetiche, preghiere, digiuni e penitenze anche con il cilicio. Non poté proseguire la sua attività caritatevole, ma non vi rinunciò completamente, aiutando con i suoi miseri mezzi le giovani vedove in difficoltà.
Abbracciò allora la regola francescana (i frati erano a Firenze nel 1252), diventando la prima donna a vestire l'abito del Terz'Ordine nella Chiesa di Santa Croce. Si ammalò ed ebbe visioni ed estasi. Numerose erano le persone che le portavano visita considerandola una "santa vivente". Morì il 19 maggio 1246 a ventisette anni. I suoi funerali furono caratterizzati dalla forte presenza e devozione popolare, che spontaneamente rivolgevano a lei preghiere e suppliche. Fu sepolta nella francescana basilica di Santa Croce, prima in terra, poi dietro a una parete sotto la scala del pulpito, poi in una cappella nel chiostro. Oggi le sue reliquie sono conservate in una cappella del transetto, in un'artistica urna. Un reliquiario delle sue spoglie fu anche realizzato in argento da Lorenzo Ghiberti ed oggi si trova nel Museo di Santa Croce.
Suoi agiografi furono fra Vito da Cortona e il confessore di lei, fra' Michele degli Alberti, che entrambi l'avevano conosciuta. Nelle loro opere raccolsero scrupolosamente testimonianze di persone che l'avevano conosciuta, con trentaquattro testimoni, tra i quali le cognate, una nonna e tre domestiche.
Nei tre anni successivi alla sua morte vennero contati 47 miracoli, registrati da fra Ippolito.
Fu beatificata solo il 24 luglio 1694, da papa Innocenzo XII. Il suo volto è stato ritratto da Giotto. La beata Umiliana è stata rappresentata anche da Taddeo Gaddi nell'Albero della Vita (Cenacolo di Santa Croce a Firenze).

* 1296 - Celestino V, nato Pietro Angeleri e detto Pietro da Morrone (Molise, fra il 1209 ed il 1215 – Fumone, 19 maggio 1296), fu il 192° papa della Chiesa cattolica dal 29 agosto al 13 dicembre 1294.
Fu incoronato ad Aquila (oggi L'Aquila) il 29 agosto del 1294 nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, dove è sepolto. Il 28 aprile 2009 papa Benedetto XVI visitando la basilica duramente colpita dal terremoto pose sulla sua urna (una teca di cristallo) il suo pallio pontificio in ricordo della visita. Celestino V fu il primo Papa che volle esercitare il proprio ministero al di fuori dei confini dello Stato Pontificio, e uno dei pochi, come San Clemente I e Gregorio XII, ad abdicare.
È venerato come Santo dalla Chiesa cattolica che ne celebra la festa liturgica il 19 maggio. È patrono di Isernia e compatrono dell'Aquila, di Urbino e del Molise.

La vita eremitica
Di origini contadine, penultimo di dodici figli, nacque tra il 1209 e il 1215 (la fonte più accreditata è tratta dalla "vita C" che racconta che aveva 87 anni al momento della morte avvenuta il 19 maggio 1296, ciò vorrebbe dire, come dicono altre fonti, che sarebbe nato nel 1209). È certo che nacque in Molise. La sua nascita è rivendicata da due comuni: Isernia e Sant'Angelo Limosano (di cui pure è patrono). Recentemente anche Sant'Angelo in Grotte, frazione di Santa Maria del Molise ne ha rivendicato i natali, dopo il rinvenimento di un documento che parla della nascita di Celestino V "... in un castello di nome Sancto Angelo".
Da giovane, per un breve periodo, ebbe a soggiornare presso il monastero benedettino di Santa Maria in Faifoli, Chiesa abbaziale che, tra le dodici della diocesi di Benevento, era una delle più importanti. Mostrò una straordinaria predisposizione all'ascetismo e alla solitudine, ritirandosi nel 1239 in una caverna isolata sul Monte Morrone, sopra Sulmona, da cui il suo nome.
Qualche anno dopo si trasferì a Roma, presumibilmente presso il Laterano, ove studiò fino a prendere i voti sacerdotali. Lasciata Roma, nel 1241 ritornò sul monte Morrone, in un'altra grotta, presso la piccola chiesa di Santa Maria di Segezzano. Cinque anni dopo abbandonò anche questa grotta per rifugiarsi in un luogo ancora più inaccessibile sui monti della Maiella, negli Abruzzi, dove visse nella maniera più semplice che gli fosse possibile.
Si allontanò temporaneamente dal suo eremitaggio di Morrone nel 1244 per costituire una Congregazione ecclesiastica riconosciuta da papa Gregorio X come ramo dei benedettini, denominata "dei frati di Pietro da Morrone" , che ebbe la sua povera culla nell'Eremo di Sant'Onofrio al Morrone, il rifugio preferito di Pietro, e che soltanto in seguito avrebbe preso il nome di Celestini.
Nell'inverno del 1273 si recò a piedi in Francia, a Lione, ove stavano per iniziare i lavori del Concilio di Lione II, per impedire che l'ordine monastico da lui stesso fondato fosse soppresso. La missione ebbe successo poiché grande era la fama di santità che accompagnava il monaco eremita.
I successivi vent'anni videro la radicalizzazione della sua vocazione ascetica e il suo distaccarsi sempre più da tutti i contatti con il mondo esterno, fino a quando non fu convinto che stesse sul punto di lasciare la vita terrena per ritornare a Dio. Ma un fatto del tutto inaspettato stava per accadere.

Il conclave
Papa Niccolò IV morì il 4 aprile 1292; nello stesso mese si riunì il conclave, che in quel momento era composto da soli dodici porporati:
▪ Latino Malabranca Orsini (o Frangipani Malabranca), vescovo di Ostia e Velletri, Decano del Sacro Collegio.
▪ Matteo d'Acquasparta, vescovo di Porto-Santa Rufina, sub-decano del Sacro Collegio.
▪ Gerardo Bianchi, vescovo di Sabina.
▪ Giovanni Boccamazza (o Boccamiti), vescovo di Frascati.
▪ Hughes Seguin de Billon (o Aycelin), titolare di Santa Sabina.
▪ Jean Cholet, titolare di Santa Cecilia.
▪ Benedetto Caetani, titolare di Santi Silvestro e Martino ai Monti.
▪ Pietro Peregrossi (detto Milanese), titolare di San Marco.
▪ Giacomo Colonna, diacono di Santa Maria in via Lata.
▪ Matteo Orsini Rosso, diacono di Santa Maria in Portico.
▪ Napoleone Orsini Frangipani, diacono di Sant'Adriano.
▪ Pietro Colonna, diacono di Sant'Eustachio.
Numerose furono le riunioni dei padri cardinali nell'Urbe, ma sempre tenute in sedi diverse: a Santa Maria sopra Minerva, a Santa Maria Maggiore e sull'Aventino presso il monastero di Santa Sabina. Nonostante ciò, il Sacro Collegio non riusciva a far convergere i voti necessari su nessun candidato.
Sopravvenne un'epidemia di peste che indusse il Conclave allo scioglimento. Nel corso dell'epidemia il cardinal Cholet, francese, fu colpito dal morbo e ne rimase vittima, per cui il Collegio Cardinalizio si ridusse a 11 componenti.
Passò più di un anno prima che il Conclave potesse nuovamente riunirsi, perché un profondo disaccordo s'era creato sulla sede in cui convocarlo (Roma o Rieti). Finalmente si riuscì a trovare una soluzione condivisa stabilendone lo svolgimento nella città di Perugia. Era il 18 ottobre 1293.
I porporati però, nonostante le laboriose trattative, non riuscivano ad eleggere il nuovo Papa, soprattutto per la frattura che si era creata tra i sostenitori dei Colonna e gli altri cardinali. I mesi si susseguivano inutilmente e il permanere della sede vacante aumentava il malcontento popolare che si manifestava attraverso disordini e proteste, anche negli stessi ambienti ecclesiastici.
Si giunse così, alla fine del mese di marzo del 1294, quando i cardinali dovettero registrare un evento che, probabilmente, contribuì, forse in maniera determinante, ad avviare a conclusione i lavori del Conclave.
Erano in corso, in quel momento, le trattative tra Carlo II d'Angiò, Re di Napoli e Giacomo II, Re d'Aragona, per sistemare le vicende legate all'occupazione aragonese della Sicilia, avvenuta all'indomani dei cosiddetti vespri siciliani, del 31 marzo 1282. Poiché si stava per giungere alla stipula di un trattato, Carlo d'Angiò aveva necessità dell'avallo pontificio, la qual cosa era impossibile, stante la situazione di stallo dei lavori del Conclave.
Spinto da questa esigenza, il re di Napoli si recò, insieme al figlio Carlo Martello, a Perugia dove era riunito il Conclave, con lo scopo di sollecitare l'elezione del nuovo Pontefice. Il suo ingresso nella sala dove era riunito il Sacro Collegio provocò la riprovazione di tutti i cardinali e il re fu cacciato fuori, soprattutto per l'intervento del cardinale Benedetto Caetani.
Questa vicenda, con molta probabilità, indusse i cardinali a prendere coscienza del fatto che si rendeva necessario chiudere al più presto la sede vacante. Nel frattempo, Pietro del Morrone predisse alla chiesa "gravi castighi" se questa non avesse provveduto a scegliere subito il proprio pastore. La profezia fu inviata al Cardinale Decano Latino Malabranca, il quale la presentò all'attenzione degli altri cardinali e propose la persona del monaco come Pontefice; figura ascetica, mistica e religiosissima, del quale si diceva un gran bene da parte di tutti e la cui fama era nota a tutti i regnanti d'Europa. Il Cardinale Decano però, dovette adoperarsi molto per rimuovere le numerose resistenze che il Sacro Collegio aveva sulla persona di un non porporato. Alla fine, dopo ben 27 mesi, emerse dal Conclave all'unanimità, il nome di Pietro Angeleri. Era il 5 luglio 1294.
Occorre chiedersi le ragioni che avevano indotto il Sacro Collegio ad eleggere Papa un semplice frate eremita, completamente privo di esperienza di governo e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede. Per di più, vi è da chiedersi le ragioni di un'elezione avvenuta a voti unanimi.
L'ipotesi più attendibile che si può avanzare è quella di un tacito accordo fra tutti i prelati al fine di rinviare nel tempo la nomina di un Papa vero e nel contempo tacitare l'opinione pubblica e le monarchie più potenti d'Europa, vista l'impossibilità di eleggere un porporato.
Probabilmente, però, i cardinali pervennero a questa soluzione pensando anche di poter gestire, ciascuno a modo suo, la totale inesperienza del vecchio (79 anni) frate eremita, al fine di trarne vantaggi più o meno cospicui. Del resto, la presenza nel Collegio di prelati come il Caetani e il Malabranca, molto scaltri, smaliziati ed esperti di intrighi curiali, autorizza a tanto supporre, e la successiva condotta del Caetani lo conferma.

Il pontificato
La notizia dell'elezione gli fu recata da tre vescovi, nella grotta sui monti della Maiella, dove il frate risiedeva. Sorpreso dall'inaspettata notizia, il frate, forse anche intimorito dalla potenza della carica, inizialmente oppose un netto rifiuto che, successivamente, si trasformò in un'accettazione alquanto riluttante, avanzata certamente soltanto per dovere d'obbedienza.
Appena diffusa la notizia dell'elezione del nuovo Pontefice, Carlo d'Angiò si mosse immediatamente da Napoli e fu il primo a raggiungere il frate. In sella ad un asino tenuto per le briglie dallo stesso Re e scortato dal corteo reale, Pietro si recò nella città di Aquila (oggi L'Aquila), dove aveva convocato tutto il Sacro Collegio. Qui, nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, fu incoronato il 29 agosto 1294 con il nome di Celestino V.
Uno dei primi atti ufficiali fu l'emissione della cosiddetta Bolla del Perdono, bolla che elargisce l'indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si rechino nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, nella città dell'Aquila dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. Fu così istituita la Perdonanza, celebrazione religiosa che anticipò di sei anni il primo Giubileo del 1300, ancora oggi tenuta nel capoluogo abruzzese.
In pratica Celestino V istituì a Collemaggio un prototipo del Giubileo, successivamente copiato dal suo successore.
Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente, nelle mani di Carlo d'Angiò, nominandolo "maresciallo" del futuro Conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d'Angiò e Giacomo d'Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di quest'ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini.
Il 18 settembre 1294 indisse il suo primo e unico Concistoro, nel quale nominò ben 13 nuovi cardinali, di cui nessuno romano:
▪ Simon de Beaulieu, francese, Arcivescovo di Bourges, Francia.
▪ Beraud de Got, francese, Arcivescovo di Lione, Francia, fratello maggiore del futuro papa Clemente V.
▪ Tommaso d'Ocre, italiano e suo seguace, O.S.B.Cel., Abate di San Giovanni in Piano.
▪ Jean Le Moine, francese, Vescovo di Arras, Francia, Vice Cancelliere di Santa Romana Chiesa.
▪ Pietro d'Aquila, italiano e suo figlio spirituale, benedettino, Vescovo di Valva-Sulmona.
▪ Guillaume Ferrier (o de Ferrières), francese.
▪ Nicolas de Nonancour, francese, cancelliere del capitolo della cattedrale di Parigi, Francia.
▪ Robert, francese, Ordine dei Cistercensi, Abbate dei monasteri di Potigny e Citeaux, Superiore Generale del suo Ordine.
▪ Simon, francese, Ordine benedettino cluniacense.
▪ Landolfo Brancaccio, di Napoli.
▪ Guglielmo Longhi, Cancelliere di Carlo II d'Angiò.
▪ Francesco Ronci, di Atri, Abruzzo.
▪ Giovanni Castrocoeli, O.S.B.Cas. (Ordinis Sancti Benedicti, Congregatio Cassinensis), Arcivescovo di Benevento.
In questo modo Celestino V, su consiglio di Carlo, riequilibrò a suo favore il Sacro Collegio, dandogli una forte connotazione monastica benedettina.
Dietro ulteriore consiglio di Carlo d'Angiò, trasferì la sede della Curia da L'Aquila a Napoli fissando la sua residenza in Castel Nuovo, dove fu allestita una piccola stanza, arredata in modo molto semplice e dove egli si ritirava spesso a pregare e a meditare. Di fatto il Papa era così protetto da Carlo, ma anche suo ostaggio, in quanto molte delle decisioni pontificie erano direttamente influenzate dal Re Angioino.
Probabilmente, nel corso delle sue frequenti meditazioni, dovette pervenire, poco a poco, alla decisione di abbandonare il suo incarico. In ciò sostenuto forse anche dal parere del cardinal Caetani, esperto di diritto canonico, il quale riteneva pienamente legittima una rinuncia al pontificato.

La rinuncia al pontificato
Circa quattro mesi dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi per dissuaderlo avanzati da Carlo d'Angiò, il 13 dicembre 1294 Celestino V, nel corso di un Concistoro, diede lettura di una bolla, appositamente preparata per l'occasione, nella quale si contemplava la possibilità di un'abdicazione del Pontefice per gravi motivi. Dopo di che recitò la formula della rinuncia al Soglio Pontificio.
«Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della plebe [di questa plebe], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.» (Celestino V - Bolla pontificia, Napoli, 13 dicembre 1294)
La storia ha chiarito poi, che la bolla pontificia, contenente tutte le giustificazioni per un'abdicazione del Papa, era stata compilata ad hoc proprio dal cardinal Caetani, il quale, vista l'impossibilità di controllare il Papa come aveva auspicato, impedito in questo da Carlo d'Angiò, intravedeva in questa vicenda la possibilità di ascendere egli stesso al soglio pontificio con notevole anticipo sui tempi che egli aveva preventivato al momento in cui aveva aderito all'elezione di Pietro da Morrone.
Undici giorni dopo le sue dimissioni infatti, il Conclave, riunito a Napoli in Castel Nuovo, elesse il nuovo Papa nella persona del cardinal Benedetto Caetani, laziale di Anagni. Aveva 64 anni circa ed assunse il nome di Bonifacio VIII.
Caetani, che aveva aiutato Celestino V nel suo intento di dimettersi, temendo uno scisma da parte dei cardinali filo-francesi a lui contrari mediante la rimessa in trono di Celestino, diede disposizioni affinché l'anziano frate fosse messo sotto controllo, per evitare un rapimento da parte dei suoi nemici. Celestino, venuto a conoscenza della decisione del nuovo Papa grazie ad alcuni tra i suoi fedeli cardinali da lui precedentemente nominati, tentò una fuga verso oriente, ma il 16 maggio 1295 fu catturato presso Santa Maria di Merino da Guglielmo Stendardo II, Connestabile del Regno di Napoli, figlio del celebre Guglielmo Stendardo detto "Uomo di Sangue".

La morte
Le polizie di Carlo d'Angiò e di Bonifacio VIII catturarono Celestino, il quale fuggì da San Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone, e Vieste sul Gargano per tentare l'imbarco per la Grecia.
Fu raggiunto dai soldati che lo rinchiusero nella rocca di Fumone, in Ciociaria, castello nei territori dei Caetani e di diretta proprietà del nuovo Papa; qui il vecchio Pietro morì il 19 maggio 1296, fortemente debilitato dalla deportazione coatta e dalla successiva prigionia: la versione ufficiale sostiene che l'anziano uomo sia morto dopo aver recitato, stanchissimo, l'ultima messa. La teoria secondo la quale Bonifacio ne avrebbe ordinato l'assassinio è priva di fondamento, anche se, di fatto il Papa ne ordinò l'arresto che causò la morte. Il "foro" che si vede nel cranio altro non è che la conseguenza di un ascesso di sangue. Bonifacio portò il lutto per la morte del predecessore, caso unico tra i Papi, celebrò una messa pubblica in suffragio per la sua anima e diede inizio, poco dopo, al processo di canonizzazione.
Il 5 maggio 1313, fu canonizzato da papa Clemente V a seguito di sollecitazione da parte del re di Francia Filippo IV Capeto detto il bello e da forte acclamazione di popolo, accelerando moltissimo l'iter avviato da Bonifacio. Tuttavia Clemente V non lo canonizzò quale martire, come avrebbe voluto Filippo il Bello, ma come confessore.
Fu sepolto nei pressi di Ferentino, nella chiesa di Sant'Antonio sita nell'abazia celestina che dipendeva dalla casa madre di Santo Spirito del Morrone. Nel febbraio 1317, le spoglie furono traslate all'Aquila, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, dove era stato incoronato Papa.
Il 18 aprile 1988 la salma di Celestino V fu rubata. Due giorni dopo, venne ritrovata nel cimitero di Rocca Passa, nel comune di Amatrice. Non si sono mai scoperti i mandanti o gli esecutori. A seguito del terremoto dell'Aquila del 2009, il crollo della volta della basilica ha provocato il seppellimento della teca con le spoglie, recuperate poi dai Vigili del Fuoco, dalla Protezione Civile e con la collaborazione della Guardia di Finanza.

Controversie
Controversi sono i pareri sulle dimissioni di Celestino V. Se si dà credito ad una interpretazione molto popolare, ma contestata dai critici moderni e contemporanei, Dante Alighieri è quello che, forse, si espresse nella maniera più critica nei suoi confronti. Secondo questa ipotesi, infatti, il personaggio nel III Canto dell'Inferno di cui si dice che:
«Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto.» (Dante Alighieri, Divina Commedia: Inf. III, 58/60)
sarebbe proprio Celestino V, ma occorre precisare che per Dante il concetto di viltà era riposto in tutt'altra categoria di personaggi. Tuttavia, vi sono diverse interpretazioni della frase dantesca (ad es. Esaù e Ponzio Pilato).
Francesco Petrarca invece diede di questo gesto un'interpretazione diametralmente opposta, ritenendo che si dovesse considerare «...il suo operato come quello di uno spirito altissimo e libero, che non conosceva imposizioni, di uno spirito veramente divino».
In altri termini, Celestino V, uomo di alti principi morali, non tollerava che la Chiesa nel corso della gestione temporale potesse sottostare a compromessi. Forse la semplice verità non offuscata da visioni parziali moderne è che la persona di Pietro da Morrone non aveva le caratteristiche adatte a svolgere il ruolo di Pontefice del suo tempo, perché in realtà era persona prettamente spirituale, quasi un eremita, che contro la sua volontà si trovò a svolgere un ruolo che non era adatto a svolgere e che gli fu dato perché non si era trovato l'accordo in un Conclave estremamente piccolo. Secondo altri, invece, l'ingenuità di Celestino era solo una maschera. Ancora oggi, la storiografia ufficiale fornisce pareri controversi sul gesto di Celestino V.

Celestino V in letteratura
Oltre al già citato e noto passo de la Divina Commedia, la figura di Celestino V è stata trattata da:
▪ Ignazio Silone, che alla vita di Celestino V ha dedicato il libro: L'avventura di un povero cristiano;
▪ L. Ceccarelli e P. Cautilli, che hanno dedicato ai supposti segreti di Celestino V il libro: La Rivelazione dell'Aquila;
▪ Angelo De Nicola, che alla sua figura ed al suo messaggio di pace, nonché alla Perdonanza, ha dedicato il "romanzo storico virtuale": La missione di Celestino.
▪ Inoltre il titolo di un famoso romanzo new age degli anni '90, La profezia di Celestino, è frutto in realtà di un errore di traduzione dall'inglese The Celestine Prophecy (letteralmente "La Profezia Celestiale").

▪ 1536 - Anna Bolena, in inglese Anne Boleyn (1501 o 1507 – Torre di Londra, 19 maggio 1536), fu la seconda moglie e regina consorte di Enrico VIII, oltre che la madre della regina Elisabetta I d'Inghilterra. Il suo matrimonio con Enrico VIII fu causa di considerevoli sconvolgimenti politici e religiosi.
Anna era la figlia di sir Thomas Boleyn, conte del Wiltshire, ed Elizabeth Howard, figlia del secondo Duca di Norfolk. L'anno di nascita di Anna è incerto, ma le prove circostanziali che sono pervenute indicherebbero l'inizio estate del 1507. La tradizione successiva avrebbe insegnato che la famiglia Boleyn era in pratica di classe media, ma ricerche recenti hanno provato che Anna Bolena nacque "gran signora". I suoi bisnonni comprendevano un Lord Mayor di Londra, un Duca, un Conte, due dame aristocratiche e un cavaliere. Il padre di Anna le assicurò un posto assieme a Margherita, Arciduchessa d'Austria e figlia di Massimiliano I, Sacro Romano Imperatore, per la sua educazione nei Paesi Bassi, dove visse a partire dalla primavera del 1513 e fino all'autunno del 1514. A questo periodo fecero seguito alcuni anni in Francia, fino al 1521.

La Corte inglese
Al suo ritorno in Inghilterra, Anna apparentemente divenne una dama di compagnia di Caterina d'Aragona, la "formidabile" regina spagnola e moglie di Enrico VIII, la cui bellezza era definitivamente svanita ma la cui dignità era ancora intatta.
Durante questo periodo ci fu molto parlare di un matrimonio tra Anna e uno dei suoi cugini, il Conte di Ormande. Questo, ad ogni modo, venne cancellato per motivi incerti. Si presume che il padre di Anna fosse segretamente contro il matrimonio, che era stato architettato dal capo ministro del Re, Thomas Wolsey, il quale si era mostrato essere un nemico dei Boleyn negli anni precedenti.
La personalità di Anna fu complessa, e venne grandemente distorta da quelli che si opposero al suo matrimonio e alle sue opinioni religiose. Ella fu una cristiana devota, che rientrava nella grande tradizione dell'umanesimo rinascimentale (chiamarla una protestante sarebbe troppo); fu anche una donna molto fedele, contrariamente al mito popolare, e una donna estremamente emotiva, che poteva essere ferita facilmente.

Matrimonio con Enrico VIII
Si è spesso pensato che l'infatuazione di Enrico per Anna lo avesse portato a cercare un modo per annullare il suo matrimonio esistente. Ad ogni modo ci sono buone prove che suggeriscono come Enrico possa aver preso la decisione di abbandonare il suo matrimonio con Caterina d'Aragona semplicemente a causa dell'incapacità della coppia di avere un erede maschio. Inoltre Enrico si trovava al tempo in una delicata situazione politica essendo alleato con i francesi e nemico di Carlo V, nipote della regale consorte. Lavorò più di quattro anni al divorzio con Caterina. Enrico riteneva che ciò fosse essenziale per impedire il crollo della dinastia Tudor, che era stata resa stabile da suo padre, Enrico VII d'Inghilterra, vincendo la Guerra delle due rose nel 1485.
Il 25 gennaio 1533, prima di annunciare la decisione che il suo primo matrimonio con Caterina d'Aragona sarebbe stato invalidato, sposò in segreto Anna, o nel Palazzo di Whitehall nello "Studio della Regina" o nel Palazzo di Westminster.
In ogni caso, il matrimonio non venne reso di dominio pubblico per alcuni mesi, ma Anna era già incinta prima dello sposalizio e diede alla luce Elisabetta, la futura Regina Elisabetta I d'Inghilterra, nel settembre di quell'anno. Enrico era ragionevolmente compiaciuto e riteneva che lui e Anna avrebbero potuto avere un altro figlio, anche se il primo era una bambina. L'incoronazione di Anna, nel maggio di quell'anno, venne contrassegnata dall'ostilità del popolo, la gente si rifiutò di levarsi il cappello in segno di rispetto per la sua nuova Regina.
Ci furono anche cittadini che sostennero che si trattasse di uno scherzo del re, indicando come prova a sostegno di questa tesi le iniziali dei neo-sposi, che in inglese formavano una risata (HA-HA-HA) Quando le venne chiesto che impressione avesse avuto di Londra durante l'incoronazione, Anna rispose: "La città mi è piaciuta abbastanza, ma ho visto pochi cappelli in aria, e sentito poche lingue". Il popolo disprezzerà Anna Bolena sin dal primo momento contrapponendo a lei la figura della precedente regina, Caterina D'aragona, simbolo di fede religiosa. "Nan Boullan" viene vista come la "prostituta del re" e il popolo stesso cercherà di ucciderla con rivolte popolari.
Durante tutto il suo periodo come Regina, Anna patrocinò diversi studiosi di religione e salvò la vita di un filosofo francese, Nicolas Bourbon, che era stato condannato a morte dall'Inquisizione a Parigi. Si disse che ogni vescovo riformista d'Inghilterra, a quell'epoca, doveva la sua posizione all'influenza della Regina Anna. La sua Corte venne generalmente vista come estremamente colta e festosa.
Sfortunatamente per Anna, le sue tre gravidanze successive finirono in aborti spontanei o con bambini nati morti. L'ultima di queste gravidanze portò a partorire un neonato maschio già morto, nel gennaio 1536.

L'arresto e il processo
Il 2 maggio 1536 Anna fu arrestata e portata nella Torre di Londra. Sotto tortura cinque uomini confessarono di essere stati amanti della regina. Gli uomini in questione furono: Marc Smeaton, un palafreniere della Camera della Corona; Lord George Boleyn (George Rochford), fratello di Anna; Henry Norris, Francis Weston e William Brereton. Il 15 maggio fu processata per adulterio, incesto, stregoneria e alto tradimento, e condannata, infine, a morte. Oggi è generalmente accettato che nessuna delle accuse fosse valida; anche se ciò non ha fermato il riemergere della teoria in diversi romanzi storici sensazionalistici.

L'esecuzione
Anna passò gli ultimi giorni della sua vita rinchiusa nella torre di Londra alternando crisi nervose a stati di quiete estrema. La leggenda della ritrovata pace spirituale, che per temperamento e vicende circostanti Anna non ebbe mai in vita, è posteriore alla sua morte ed è attribuita ad un poeta anonimo con lo scopo di dipingere Anna come una vittima della bramosia del re. Ella giurò due volte sui sacramenti che era innocente di tutte le accuse portate a suo carico. Il 19 maggio 1536 Anna venne decapitata con un solo colpo di spada nella Torre di Londra. Prima della morte scherzò dicendo che: "Ho sentito dire che il boia è molto bravo, e il mio collo è sottile". Il boia, un esperto spadaccino francese richiesto espressamente dal re, come ultimo dono alla donna che aveva amato, era giunto a Londra d'oltre Manica, ed era ritenuto un giustiziere rapido ed eccellente. Anna scelse un vestito scuro per la sua esecuzione, con una sottoveste cremisi. Sul patibolo perdonò quelli che l'avevano mandata a morte, e pregò per suo marito. Venne bendata, e mentre si stava inginocchiando la sua testa cadde con un solo colpo.
Il suo corpo e la testa recisa furono sepolti in una tomba senza nome nella cappella della Chiesa di San Pietro ad Vincula. Sotto il regno della regina Vittoria il suo corpo fu identificato e sepolto nella cappella sotto il pavimento marmoreo.

La leggenda del fantasma
Si dice che il fantasma di Anna Bolena girovaghi con la testa sotto il braccio per la torre di Londra, dove, successivamente, per breve tempo venne rinchiusa anche sua figlia Elisabetta I d'Inghilterra.

All'opera
Celeberrima è l'opera di Gaetano Donizetti, Anna Bolena (Milano, Teatro Carcano, 26 dicembre 1830), una delle opere più note del maestro bergamasco, scritta in soli 30 giorni. Quest'opera dopo il 1870 venne dimenticata, ma fu riscoperta negli anni cinquanta dopo un allestimento per la regia di Luchino Visconti e con Maria Callas nel ruolo della protagonista.

▪ 1825 - Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (Parigi, 17 ottobre 1760 – Parigi, 19 maggio 1825) è stato un filosofo francese.
È considerato il fondatore del socialismo francese: partecipò alla guerra di indipendenza americana, combattendo agli ordini di La Fayette.
Apparteneva alla famiglia dell'autore delle Memories, ma di un altro ramo. Fin dall'infanzia diede prova di un'energia e di un'indipendenza di carattere fuori dal comune. Fu in relazione con D'Alembert del quale subì l'influenza. Benché abbia avuto dei precursori, prima di lui non era mai stato dichiarato che l'uomo e le società potevano essere diretti nella loro condotta solo iniziando a ridurli a oggetti della scienza e, per di più, che questa scienza non poteva poggiare su altri principi che non fossero le scienze della natura. Teorico della "filosofia positiva" e di un approccio scientifico ai problemi sociali e politici, mirò all'avvento di una nuova società orientata a migliorare le condizioni del proletariato, a suo dire realizzazione del suo modo di guardare il messaggio evangelico. Alla sua morte si sviluppò un movimento politico-religioso, basato sulle sue idee, chiamato Sansimonismo che fu criticato in profondità da Antonio Rosmini ne I Sansimoniani. « Non vanno combattuti i borghesi, vanno combattuti tutti coloro che campano alle spalle del proletariato senza svolgere alcuna attività »
Le sue opere influenzarono notevolmente Auguste Comte.

▪ 1895 - José Julián Martí Pérez (L'Avana, 28 gennaio 1853 – 19 maggio 1895) è stato un politico, poeta e scrittore cubano. Fu un leader del movimento per l'indipendenza cubana; a Cuba è considerato il più grande eroe nazionale, anche più di Che Guevara.
José Martí nacque a L'Avana - quando Cuba era ancora una colonia spagnola - dai genitori spagnoli Mariano Martí e Leonor Pérez Cabrera e fu il più vecchio di otto fratelli (lui e sette sorelle). All'età di quattro anni si trasferì con la famiglia a Valencia, in Spagna, ma i Martí tornarono sull'isola 2 anni dopo, dove il piccolo José frequentò una scuola pubblica del posto.
Oltre ad essere stato un grande scrittore, poeta e giornalista, Martí fu anche pittore e filosofo. Nel 1867 si iscrisse alla Scuola Professionale per la Pittura e la Scultura de L'Avana per prendere lezioni di disegno.
Nel 1869 pubblicò il suo primo testo politico nell'edizione unica del giornale El Diablo Cojuelo. Lo stesso anno pubblicò Abdala, un dramma patriottico in versi, nel monovolume La Patria Libre. Il suo celebre sonetto 10 de octubre fu pure scritto nel 1869 e fu pubblicato poco più tardi nel giornale della sua scuola.
Nonostante questo suo successo, nel marzo di quell'anno le autorità coloniali chiusero la scuola, interrompendo gli studi di Martí. Così, cominciò ad odiare la dominazione spagnola della sua patria. Allo stesso modo, crebbe in lui l'odio per lo schiavismo, che ancora era praticato a Cuba. In questo e in altri aspetti della sua vita intellettuale fu fortemente influenzato dal grande pensatore statunitense Ralph Waldo Emerson.
Nell'ottobre sempre del 1869 fu arrestato e incarcerato nella prigione nazionale, in seguito ad un'accusa di tradimento formulata dal governo spagnolo. Più di quattro mesi dopo, si assunse la responsabilità dei capi d'accusa e fu condannato a sei anni di reclusione. Sua madre tentò arduamente di liberare suo figlio (che a quel tempo aveva solo sedici anni, dunque era ancora minorenne), scrivendo lettere al governo; suo padre andò da un amico avvocato per un supporto legale, ma tutti gli sforzi fallirono. Col tempo Martí si ammalò e le sue gambe subirono gravi lesioni a causa delle catene che lo cingevano. Fu dunque trasferito dal carcere ad un'altra parte di Cuba nota come Isla de Pinos, invece di prolungare il periodo di reclusione. In seguito, il governo decise di rimpatriare Martí in Spagna. Lì studiò legge e scrisse articoli sulle ingiustizie del dominio spagnolo a Cuba.
Dopo aver passato qualche tempo in Spagna, completò gli studi - ottenendo un bachelor in arte - e conseguì il diploma in diritti civili. In seguito si trasferì in Francia, dove trascorse qualche tempo prima di ritornare segretamente a Cuba sotto falso nome, nel 1877. Non riuscì ad ottenere un impiego finché non accettò un lavoro come professore di storia e letteratura a Città del Guatemala.
Nel 1880 Martí sì trasferì a New York svolgendo il ruolo di console aggiunto per Uruguay, Paraguay e Argentina. Mobilitò la comunità di esiliati cubani, specialmente a Tampa e Key West, in Florida, per mettere in atto la rivoluzione e ottenere l'indipendenza dalla Spagna e, contemporaneamente, opporsi all'annessione di Cuba agli Stati Uniti, come desiderava qualche esponente politico americano.
Nel 1894 partì con la volontà di approdare a Cuba e lottare direttamente per la rivoluzione, ma fu intercettato in Florida. Convinse il generale rivoluzionario cubano Antonio Maceo Grajales, esule in Costa Rica, a riprendere la lotta contro gli spagnoli a Cuba. Il 25 marzo del 1895 pubblicò il Manifesto di Montecristi, proclamando l'indipendenza cubana ponendo così fine a tutte le distinzioni giuridiche tra le razze, il contatto con gli spagnoli che non si opponessero all'indipendenza, e alla lotta contro chi approvava la via dell'indipendenza.
L'11 aprile dello stesso anno Martí sbarcò a Cuba con un reparto di esuli ribelli fra cui il Generalísimo Máximo Gómez y Báez. José Martí venne ucciso dalle truppe spagnole durante la Battaglia di Dos Ríos del 19 maggio. È sepolto nel Cementerio Santa Efigenia a Santiago de Cuba.
Durante tutto il corso della sua vita, lo scrittore e poeta cubano si oppose al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra per l'indipendenza di Cuba, riferendosi allo stato americano come al "Golia delle Americhe". La Guerra ispano-americana iniziò (e terminò) all'incirca tre anni dopo la sua morte. I suoi lavori meglio riusciti e più apprezzati furono i libri per bambini: La Edad de Oro (L'età dell'oro) è il più letto. Uno dei poemi della collezione Versos Sencillos fu tempo dopo trasposto in musica in Guantanamera, che è divenuta la canzone cubana più famosa. Inoltre l'aeroporto de L'Avana, il José Martí International Airport, lo celebra portando il suo nome.

▪ 1898 - William Ewart Gladstone (Liverpool, 29 dicembre 1809 – Castello di Hawarden, 19 maggio 1898) è stato un politico inglese. Ha fatto parte del Partito Liberale.
È stato Primo Ministro del Regno Unito quattro volte: dal 3 dicembre 1868 al 20 febbraio 1874, dal 23 aprile 1880 al 23 giugno 1885, dal 1 febbraio al 25 luglio 1886 e dal 15 agosto 1892 al 5 marzo 1894.
In Italia Lord Gladstone è tristemente famoso per la lettera che inviò, nel 1851, a Lord Aberdeen, intrisa di concetti sprezzanti nei confronti dei Borboni, ritenuti addirittura: "Negazione di Dio". La lettera ebbe larga eco in tutta l'Europa, contribuendo in modo sensibile alla campagna diffamatoria nei confronti della Casa Regnante. In realtà essa fu concepita ad arte su iniziativa di Palmerston, come lo stesso Gladstone dichiarò in occasione del suo ritorno a Napoli, nel 1888.

▪ 1928 - Max Scheler (Monaco di Baviera, 22 agosto 1874 – Francoforte sul Meno, 19 maggio 1928) è stato un filosofo tedesco.
Di madre ebrea e padre protestante si convertì al cattolicesimo, anche se nell'ultima fase della sua vita se ne allontanò. Da giovane si appassionò alla lettura di Nietzsche e poi di Bergson. Studiò medicina a München e successivamente filosofia e sociologia a Berlino con Wilhelm Dilthey, Carl Stumpf e Georg Simmel. A Jena venne a contatto con il Neokantismo (soprattutto nelle sue dottrine etiche ed epistemologiche) e completò il dottorato sotto la guida di Rudolf Eucken nel 1897 con una tesi su "Contributi per stabilire le relazioni tra le relazioni logiche ed etiche" (Beiträge zur Feststellung der Beziehungen zwischen den logischen und ethischen Beziehungen"). Nel 1899 ottenne l'abilitazione con la tesi su "Il metodo trascendentale ed il metodo psicologico" ("Die transzendentale und die psychologische Methode"). Dal 1900 al 1913 fu molto vicino alla fenomenologia di Edmund Husserl, ma non si considerò mai un allievo di Husserl. Dal 1913 (uscita del primo volume del Formalismus) fino al 1927 (uscita di Essere e Tempo di Heidegger) fu considerato il maggior filosofo tedesco per le sue analisi sulla persona e sulla sfera affettiva (il fenomeno del risentimento, del pudore, della simpatia, dell'amare e dell'odiare, dell'umiltà, della meraviglia, della sofferenza, dell'angoscia della morte) in cui sviluppa e rivede molte tematiche nietzschiane con una sensibilità profondamente ispirata dal cristianesimo (per questo venne anche soprannominato il "Nietzsche cattolico"). Dopo il disastro della Prima guerra mondiale divenne un importante punto di riferimento del mondo culturale cattolico tedesco anche grazie all'uscita di "L'eterno nell'uomo". Anche successivamente alla presa di distanza dal cattolicesimo continuò a porre al centro dei suoi scritti il problema di Dio e del sacro, contrapponendosi sia al processo di desacralizzazione del mondo e alle varie forme di relativismo sia al dogmatismo etico. Per questo fu sempre di difficile collocazione, ma anche uno dei filosofi più segretamente influenti del XX secolo. Morì prematuramente a 53 anni.

Pensiero - Persona e atto
Il nucleo del suo pensiero è costituito dalla cosiddetta Materiale Wertethik (l'etica materiale dei valori sviluppata fra il 1913 eil 1916 nel Formalismus), come premessa per una teoria della persona e dei rapporti interpersonali. Scheler vede nella riduzione kantiana della persona a soggetto logico della ragion pratica una spersonalizzazione della persona. La persona non è neppure identificabile con l'Io, come soggetto della sfera psichica, o con un'anima dualisticamente contrapposta al corpo. Non coincide neppure con lo spirito in quanto, come portatrice di valori attraverso l'esecuzione di atti, è l'essere che rende concreto lo spirituale in una identità irriducibile: è lo spirituale fattosi visibile nell'individuale.
L'essere della persona fonda l'atto, anzi è «la concreta unità ontologica, in se stessa essenziale, di atti di diversa natura». Ad ogni atto inerisce la persona nella sua totalità, ma senza esaurire nell’atto stesso il suo essere. Nell'esecuzione dell'atto la persona diviene nel rapporto con gli altri. Sempre in contrasto con Kant la persona realizza se stessa nell'atto agapico dell'amare.
Superando il dualismo anima-corpo intende la persona finita come unità bio-psichica dotata di un corpo-vivo (Leib). Tuttavia se nel Formalismus vigeva ancora una completa autonomia della persona nei confronti della vita, nell'ultimo periodo tale autonomia viene ripensata all'interno di un processo di sublimazione delle energie dal basso verso l'alto: la persona assume le proprie energie dalla sfera vitale, ma nella co-esecuzione dell'atto offre loro la possibilità di svilupparsi in una direzione completamente autonoma dalla logica vitale.

Persona e diritto
Un problema molto controverso è quello del rapporto fra persona e diritto in Scheler.
Scheler svolge analisi molto dettagliate su come nelle diverse società e epoche storiche sia stato diversamente considerato l'omicidio. La variazione dell'ethos e la diversità delle varie culture non permettono di far riferimento a un'idea univoca di persona partendo dal diritto vigente (proprio questi motivi avevano indotto Scheler a fondare la persona ontologicamente). Nel Formalismo Scheler nota che il diritto storicamente non ha considerato come omicidio l’uccisione di chi in quel momento non veniva riconosciuto socialmente come persona (schiavi, donne, malati mentali, stranieri, popolazioni nemiche, ecc.). Ma l’essere persona essendo inoggettivabile sfugge ai confini che il diritto ha di volta in volta storicamente tracciato fra persona e non persona a seconda delle più diverse esigenze. Scheler ad es. nota che non si può far coincidere la persona con quello che il diritto definisce un individuo responsabile e quindi imputabile, in questo senso i malati mentali e i bambini sono persone, come rimane persona anche una persona che entra in coma. In questi casi «si può solo affermare che la malattia rende completamente invisibile la personalità e che non è pertanto possibile alcun giudizio su di essa» (Formalismo, tr. it. 594).

Il valore e la gerarchia dei valori
Secondo Scheler non è la volontà buona che definisce il valore, ma al contrario l'altezza del valore scelto che qualifica l'intenzione. Le classi di valore sono ordinate secondo una gerarchia assoluta (da quelli sensibili ai valori vitali, spirituali e del sacro), a cui corrisponde un graduale incremento oggettivo dell'apertura che porta dalla chiusura ambientale all'apertura al mondo (Weltoffenheit), in un processo soterico la cui espressione massima è raggiungibile attraverso il valore del sacro.
Premettendo al volere la materia dei valori e indagando le componenti emozionali della vita morale, Scheler ha inteso operare una revisione critica del formalismo e dell'intellettualismo dell'etica di Immanuel Kant, di cui peraltro egli accetta l'apriorismo anti psicologistico. Infatti, il coglimento del valore non è il contagio affettivo dei comportamenti gregari, ma l'atteggiamento simpatetico, in cui la presenza del valore unisce le persone senza abolire la loro distanza.

La funzionalizzazione dell'ordo amoris e il superamento dell'intuizione dei valori
Scheler non cerca di superare il relativismo dei valori e lo storicismo attraverso la tesi dell'intuizionismo dei valori. La recezione dei valori non avviene nè attraverso l'intuizione intellettuale (l'intelletto è cieco nei confronti dei valori come l'udito nei confronti dei colori) nè l'intuizione sensibile, ma attraverso un "sentire affettivo", il Fühlen indipendente dall'intelletto e dalla sensibilità. Tale recezione dei valori è a priori rispetto alla stessa percezione sensibile (tesi della priorità del "Wert-nehmen" sul "Wahr-nehmen").
Nella prima parte del Formalismus Scheler, ancora sotto l'influsso husserliano, parla del valore come meta intenzionale di una intuizione, tuttavia già nella seconda parte del Formalismus l'intuizionismo viene superato precisando che la recezione del valore non è data in modo apodittico. Il fatto che i valori siano "oggettivi" non esclude che ci si possa ingannare sul loro conto o che si verifichino fenomeni di illusione etica o di distorsione valutativa (fenomeno quest'ultimo indagato esemplarmente da Scheler a proposito del risentimento). Essi inoltre sono colti da diverse prospettive, così come da diverse prospettive può essere vista una montagna. La recezione del valore lungi dall'essere intuitiva richiede pertanto un complesso processo non solo ermeneutico ma pure formativo (problema della Bildung e dell'analfabetismo emozionale): esiste una funzionalizzazione dei valori (ordo amoris) che esprime un prospettivismo unico e irripetibile per ogni persona.
Per Scheler infatti il punto di partenza dell'uomo non è l'ordo amoris ma piuttosto un disordine del cuore che va costantemente rettificato grazie all'esemplarità altrui (Vorbild). Invece l'idea di una intuizione dei valori di tipo apodittico, in cui il valore viene cioè colto con evidenza e senza residui, lungi dal contrastare il relativismo etico, finirebbe con il ritorcersi contro la libertà della persona e quindi risulterebbe incompatibile con il concetto stesso di etica. In tal modo si confonderebbe, come fa Carl Schmitt, l'etica materiale dei valori con la tirannia dei valori, il prospettivismo solidaristico nei confronti dell'infinito mondo dei valori con l'assolutizzazione del proprio ethos.

Linguaggio, parola, strumento
Scheler parte dalla considerazione che l'uomo è qualcosa di così ampio, multicolore e variegato che qualsiasi possibile definizione gli sarà comunque sempre troppo stretta. Nello scritto Sull’Idea di uomo (1914) contesta anzitutto l'interpretazione di origine pragmatista che cerca di definire l'uomo a partire dal linguaggio o dalla capacità di usare gli utensili, ma senza distinguerli adeguatamente dal segno e dallo strumento. Scheler sottolinea che la 'parola' non riporta semplicemente, come l'espressione di un urlo, ad un'esperienza vissuta ma rinvia intenzionalmente attraverso una funzione rappresentativa ad un oggetto nel mondo. La parola viene cioè vivificata da un'intenzionalità che non compare nel segno o nell'urlo di paura o nella pura espressione di dolore. In questo la parola eccede e trascende la rilevanza organica. La stessa differenza viene riscontrata a proposito dello strumento e dell'utensile. L’utensile è qualcosa di essenzialmente diverso da un semplice strumento (ad es. un oggetto ambientale come una pietra usato, anche da certe scimmie, per schiacciare una noce), in quanto è alla base del processo di esonero delle energie verso l'alto che va sotto il nome di civilizzazione. L'utensile, e tutto ciò che appartiene alla civilizzazione, acquista infatti il suo senso ultimo come via alla cultura.

L'ultima fase: la tesi delle ideae cum rebus e del Dio in divenire
L'interpretazione relativa alla percezione dei valori è controvesa. Da un lato si insiste su un intuizionismo dogmatico di un mondo di valori statici. Dall'altro si è messo in luce come questo non sia vero neppure per il periodo intermedio, dove sarebbe più corretto parlare di "prospettivismo" e che in ogni caso nel tardo Scheler la tesi del prospettivismo viene radicalizzata nel contesto della tesi delle ideae cum rebus e dell'impotenza dello spirito: non si tratta solo di una funzionalizzazione e di un divenire della conoscenza umana, ma di un divenire della realtà stessa, in questo senso non esiste un mondo delle idee antecedente il divenire del mondo, ma quelle che venivano chiamate ideae ante res prendono forma cum rebus, solo nel e attraverso il divenire del mondo.
Non esiste di conseguenza nessuna forma di teleologia o di finalismo, ma solo un processo aperto in senso teleocline. Negli scritti postumi pubblicati nel volume XI delle sue opere in tedesco Scheler afferma: «Von Teleologie und Plan ist gar keine Rede» (Scheler GW XI, 211).
Si tratta di una brusca rottura nei confronti del periodo intermedio che trova espressione nella tesi del Dio in divenire. Da cosa venne causata? A partire dal 1923 Scheler si dimostrò molto colpito dal libro di Harnack su Marcione e dallo Scritto sulla libertà di Schelling.
Nella seconda edizione di Essenza e forme della simpatia (1923) vengono aggiunte alcune pagine particolarmente significative su San Francesco, considerato come il vero punto di svolta del cristianesimo nei confronti di Marcione a favore di una riabilitazione della natura e di un nuovo equilibrio fra eros e agape È su queste basi che Scheler sviluppa, in alternativa all'ateismo postulatorio di Nicolai Hartmann, la tesi di un "Dio in divenire": un Dio trascendente, ma che si manifesta nel mondo dalla parte del sofferente. Un Dio tragico che nel contatto con la finitezza non ammutolisce tutti gli interrogativi e non neutralizza all'istante tutte le sofferenze, ma realizza il superamento del male nel mondo solo alla fine della storia attraverso il divenir persona dell'uomo.
Dal 1924 si dedicò inoltre alla fondazione della Sociologia del sapere (Wissensoziologie) conosciuta anche come Sociologia della conoscenza. Sempre in quegli anni iniziò a precisare anche il progetto di una antropologia filosofica, i cui tratti essenziali sono consegnati alla celebre conferenza del 1927 pubblicata poi in forma separata nel 1928 con il titolo La posizione dell'uomo nel cosmo (opera che Maria Zambrano ebbe a definire "immortale") e dal saggio sull 'Ausgleich, in cui definisce in termini di globalizzazione la nuova era dell'umanità. Il principale problema della nuova era della globalizzazione è l'individuazione di una orientatività rettificante come antidoto all'altrimenti inevitabile processo di livellamento e neutralizzazione delle differenze. La nuova concezione dell'uomo all'altezza della nuova era dello Ausgleich è, in opposizione all' Übermensch di Nietzsche, quella di Allmensch o uomo-globale.

La questione del dualismo cartesiano e l'impotenza dello spirito
Uno dei nodi attorno a cui è ruotata l'interpretazione dell'ultimo Scheler è quello relativo al dualismo cartesiano. Scheler a proposito afferma:
«In epoca moderna la teoria classica dell’uomo ha trovato la sua forma più efficace nella dottrina di Descartes, una dottrina che a dire il vero solo recentemente ci siamo impegnati a demolire completamente. Dividendo tutte le sostanze in "pensanti" ed "estese" Descartes ha introdotto nella coscienza occidentale una fitta schiera di errori, del tipo più grave, relativamente alla natura umana. […] Oggi possiamo affermare che il problema del rapporto fra anima e corpo-vivente, che per così tanti secoli non ci ha dato tregua, ha perso per noi la sua importanza metafisica. I filosofi, i medici, gli scienziati che si occupano di questa questione convergono sempre di più verso una visione fondamentale unitaria. [...] Fondamentalmente falsa risulta anche la tesi di Descartes secondo cui lo psichico coincide con la "coscienza" e risulta connesso esclusivamente alla corteccia cerebrale. […] È tutto il corpo-vivente che oggi torna prepotentemente ad essere quel campo fisiologico parallelo dei fenomeni psichici, che finora era stato limitato al cervello. Oggi non si può più parlare seriamente di una connessione esterna fra una sostanza psichica e una sostanza corporea così come era stato ipotizzato da Descartes. Si tratta al contrario di un’unica e medesima vita che nel suo "esser-interno" assume la forma dello psichico e nel suo esser-in-relazione-all’altro assume la forma del corpo-vivente. […] Opponendoci nella maniera più risoluta a tutte queste teorie noi affermiamo che il processo vitale fisiologico e psichico risultano rigorosamente identici da un punto di vista ontologico».
Nonostante la chiarezza di questi passi l'interpretazione che riconduce Scheler al dualismo cartesiano è tuttora quella più diffusa, probabilmente in quanto venne proposta con molta insistenza (e in modo a dir il vero non del tutto disinteressato) sia da Plessner che da Gehlen, ma anche perché autorevolmente teorizzata dallo stesso Cassirer in un articolo del 1930.
Su questa linea in Italia si è espresso F. Bosio che ha parlato di "dualismo ontologico" e più recentemente M. T. Pansera, che vede solo in Plessner, e non in Scheler, un superamento del dualismo cartesiano: «a differenza di quella scheleriana, la prospettiva filosofica di Plessner rifiuta qualsiasi conclusione dualistica che opponga spirito e vita, anima e corpo, res cogitans e res extensa». Critico nei confronti di questo canone interpretativo è invece G. Cusinato, che nota come nell'ultimo periodo, e precisamente dopo il 1923, il termine Geist assuma nel testo scheleriano un significato diverso da quello del periodo intermedio, in cui effettivamente si opponeva alla vita (anche se non nel senso del dualismo cartesiano). Nell'ultimo periodo Scheler teorizza uno spirito completamente impotente: «Certamente lo spirito può acquisire potenza attraverso il processo di sublimazione [..] Tuttavia per sua natura e fin dall’inizio lo spirito non possiede nessuna energia propria». Cusinato si chiede: con quali forze uno spirito originariamente impotente si potrebbe contrapporre dualisticamente alla vita? La proposta è quella di rileggere il rapporto fra spirito e vita nel senso di una progressiva compenetrazione (il termine scheleriano è Durchdringung) a livelli sempre più complessi, di cui la persona rappresenta quello più alto. È solo nella persona che le energie sublimate dalla vita possono dirigersi verso una logica completamente nuova e del tutto irriducibile a quella dei livelli precedenti: la persona diventa il centro reale dotato di forza che inaugura un inizio excentrico rispetto alla chiusura ambientale, è l'ente capace di Weltoffenheit al centro dell'antropologia filosofica. In questo nuovo contesto l'opposizione diventa semmai quella fra vita e intelletto. A questo proposito Scheler è molto chiaro: «non lo spirito, ma solo l'intelletto ipersublimato, che Klages confonde con lo spirito, è in un certo senso ostile alla vita».

L'errore di Cartesio
L'errore di Cartesio consiste secondo Scheler nell'aver misconosciuto la funzione intermediatrice di tutto il sistema fisiologico e pulsionale che unifica psichico e fisico nel corpo-vivente, solo attraverso questo nuovo concetto di corporeità vivente «l’abisso che Descartes ha scavato fra anima e corpo è stato colmato da un’unità della vita divenuta tangibile. Naturalmente il fatto che quando un cane vede un pezzo di carne il suo stomaco inizi a secernere determinati succhi gastrici, risulta, dal punto di vista di Descartes, un miracolo assoluto: egli infatti elimina dalla sfera psichica il complesso della vita pulsionale e affettiva e tenta inoltre una spiegazione puramente chimico-fisica delle manifestazioni vitali anche relativamente alle loro leggi strutturali. […] Che cosa direbbe però Descartes se gli si facesse vedere l’esperimento di Heyder, secondo cui la semplice suggestione del mangiare un cibo sortisce gli stessi effetti che si verificano a proposito di un mangiare effettivo? Qui emerge l’errore, l’errore fondamentale di Descartes: l’aver misconosciuto completamente il sistema pulsionale nell’uomo e nell’animale. È solo tale sistema che costituisce la mediazione e l’unità fra ogni autentico movimento vitale e il contenuto della coscienza».

Le nuove interpretazioni dell'antropologia filosofica
Negli ultimi anni sono emerse alcune nuove interpretazioni sull'antropologia filosofica di Scheler oltre il consueto orizzonte dell'opposizione dualistica fra vita e spirito. Joachim Fischer, noto studioso di Plesser, in un poderoso volume ha messo in evidenza la necessità di superare il doppio pregiudizio interpretativo finora dominante sia nei confronti di Scheler (il dualismo fra spirito e vita) sia nei confronti di Gehlen (il riduttivismo naturalista) come presupposto per una rivalutazione complessiva del ruolo svolto dall'antropologia filosofica nella filosofia del XX secolo. Cusinato ha invece proposto di porre al centro dell'antropologia filosofica di Scheler la persona al posto dello spirito, cioè di passare da un'antropologia filosofica del Geist a un'antropologia filosofica della Bildung. In questo senso si è mossa anche l'iniziativa editoriale che ha portato nel 2009 alla traduzione degli scritti di Scheler raccolti in: Formare l'uomo, che quindi andrebbe letto, assieme a La posizione dell'uomo nel cosmo, come testo fondamentale dell'antropologia filosofica.

▪ 1935 - Thomas Edward Lawrence, agente segreto e militare britannico (n. 1888)
«Per anni abbiamo vissuto a stretto contatto tra di noi, nel deserto nudo, sotto un cielo indifferente.» (T.E.Lawrence, I sette pilastri della saggezza, 1922)
Il tenente colonnello Thomas Edward Lawrence (Tremadog, 16 agosto 1888[1] – Wareham, 19 maggio 1935) è stato un agente segreto, militare, archeologo e scrittore britannico nativo del Galles.
Conosciuto con lo pseudonimo di Lawrence d'Arabia, ebbe diversi altri alias, tra cui quelli di T.E. Smith, T.E. Shaw e John Hume Ross. È ricordato per essere stato uno dei capi della rivolta araba di inizio Novecento. Per la sua attività militare è stato decorato con la Legion d'Onore.

▪ 1960 - Marcello Piacentini (Roma, 8 dicembre 1881 – Roma, 19 maggio 1960) è stato un architetto e urbanista italiano.

Gli esordi e gli anni del fascismo
Figlio dell'architetto Pio Piacentini, conobbe ben presto il successo professionale. A soli ventisei anni, nel 1907 partecipa al concorso per la risistemazione del centro cittadino di Bergamo (sul quale interverrà tra il 1922 e il 1927). Operò intensamente in tutta Italia, ma durante il fascismo fu soprattutto a Roma che ebbe incarichi di particolare rilevanza. Gli edifici e gli interventi urbanistici realizzati da Piacentini nella Capitale non si contano: da una parte ne consolidarono l'immagine di architetto del regime e dall'altra connotarono significativamente l'aspetto della città.
Creò un neoclassicismo semplificato che voleva essere a metà strada tra il classicismo del gruppo Novecento (Giovanni Muzio, Lancia, Gio Ponti ecc.) ed il razionalismo del Gruppo 7 e M.I.A.R. di Giuseppe Terragni, Giuseppe Pagano, Adalberto Libera ecc.. In realtà Piacentini fu distante da entrambi i movimenti, riuscendo tuttavia a creare uno stile originale, con un'impronta spiccatamente eclettica pur nella ricerca della monumentalità tipica delle tendenze estetiche del tempo. I richiami alla tradizione classica saranno, soprattutto a partire dagli anni Trenta numerosi, contribuendo alla fissazione di quello stile littorio così caro a Mussolini ed alle alte gerarchie fasciste.
Fra gli incarichi più prestigiosi spiccano la direzione generale dei lavori e il coordinamento urbanistico-architettonico della Città Universitaria di Roma (1935) e la sovraintentenza all'architettura, parchi e giardini dell'E42, ovverosia l'Esposizione Universale di Roma che si sarebbe dovuta tenere nel 1942 e che costituisce l'attuale comprensorio dell'Eur (nell'incarico fu affiancato dall'allievo Luigi Piccinato, da Giuseppe Pagano, da Luigi Vietti e da Ettore Rossi). Ma se nel caso della Città Universitaria i giovani architetti coinvolti da Piacentini nella progettazione dei singoli edifici (come Giovanni Michelucci, Gaetano Rapisardi ed altri) ebbero la possibilità di esprimersi con una certa libertà, in occasione dei concorsi per i fabbricati dell'E42 prevalsero le soluzioni più monumentali. Anche il piano di sviluppo del futuro quartiere espositivo redatto da Piacentini e dai suoi collaboratori risentì di pesanti compromissioni, e le reiterate revisioni dello strumento urbanistico dell'Eur intervenute nel Dopoguerra, ancorché in gran parte redatte sotto la guida dello stesso Piacentini e del suo collaboratore Giorgio Calza Bini, finirono per rendere del tutto irriconoscibili le idee portanti del suo principale ispiratore.

L'impegno di urbanista
Nei piani di risanamento messi a punto per la città di Livorno seguì i principi dell’architettura razionalista italiana, pensando di lasciare nel centro solamente manufatti con funzione commerciale e governativa e attuando un diradamento delle strade per esaltare gli edifici. Altrove, tuttavia, Piacentini si attestò su posizioni urbanistiche di retroguardia, propugnando alcune discutibili scelte, come lo sventramento brutale di alcuni centri storici, lo sviluppo delle città a macchia d'olio e l'apertura di vie radiali. Fra le operazioni più devastanti emerge tristemente la demolizione della "Spina di Borgo" per l'apertura di Via della Conciliazione a Roma, su progetto elaborato nel 1936 (ma portato a termine nel 1950) insieme all'architetto Attilio Spaccarelli. Antecedenti, fra il 1927 e il 1932, sono i lavori di sventramento del centro storico di Brescia per la creazione di Piazza della Vittoria, per la quale il suo progetto vinse il concorso indetto dal comune. Fu membro influente di numerose commissioni, fra cui quelle per la variante generale al piano regolatore di Roma del 1909 istituita nel 1925, per il piano regolatore del 1931 e per la relativa variante generale del 1942 (quest'ultima non fu mai adottata ma nel Dopoguerra fu resa praticamente operativa).

Gli anni del Dopoguerra
Professore ordinario di Urbanistica alla facoltà di Architettura dell'Università La Sapienza di Roma, della quale fu anche preside, dopo la caduta del regime fascista subì un'effimera epurazione, ma fu riammesso ben presto all'insegnamento, lasciando la cattedra nel 1955 per raggiunti limiti di età. I suoi non pochi progetti architettonici del Dopoguerra risentono di una certa stanchezza, che trova il suo acme nella ristrutturazione del Teatro dell'Opera di Roma completata nel 1960, elegante e accurata negli interni quanto dozzinale e sciatta all'esterno (nel 1983 in un'intervista al quotidiano Il Messaggero Ludovico Quaroni arrivò a sostenere che il progetto della malinconica facciata fosse opera di un suo anonimo collaboratore). La sua ultima opera architettonica è il Palazzo dello Sport dell'EUR (attuale Palalottomatica), progettato nel 1960 insieme a Pier Luigi Nervi, che rappresenta il risultato finale di una sofferta successione di varianti progettuali. Il suo ultimo intervento urbanistico è costituito dal piano regolatore di Bari del 1950, firmato insieme a Giorgio e Alberto Calza Bini. Anche se fece parte di una prima commissione elaboratrice non ebbe alcuna influenza nella redazione del piano regolatore di Roma che sarà adottato nel 1962, ma in qualità di membro della commissione urbanistica del Campidoglio dal 1956 alla morte tentò di mantenere fermi i principi di cui era portabandiera fin dall'anteguerra.

La rivalutazione postuma
Alla sua scomparsa dopo lunga malattia, su di lui cadde l'impietoso giudizio distruttivo di Bruno Zevi, che come architetto lo definì "morto nel 1911". Il tempo e una maggiore riflessione hanno condotto a una rivalutazione di alcune opere di Piacentini successive al 1911. Di recente, è stato sottolineata la riuscita di una delle numerose operazioni urbanistiche da lui realizzate: l'apertura del secondo tratto novecentesco di via Roma a Torino del 1936. Esiste perfino una scuola di pensiero che tende a rivalutare il progetto urbanistico originario per il quartiere dell'Eur a Roma, cui abbiamo fatto brevemente accenno, ma sul punto prevale un certo scetticismo. È comunque fuori dubbio che si trattò di un artista-architetto di regime, che notevolmente contribuì alla costruzione di consenso verso il fascismo, alla stregua di un Albert Speer nella Germania nazista.

* 1991 - Mario Panzeri (Milano, 11 ottobre 1911 – Milano, 19 maggio 1991) è stato un paroliere e compositore italiano.
È entrato nella storia della musica leggera come uno degli autori della prima canzone vincitrice di un Festival di Sanremo, la celebre Grazie dei fiori cantata da Nilla Pizzi; inoltre ha scritto alcune tra le più note canzoni italiane, come Maramao perché sei morto, Pippo non lo sa, Papaveri e papere, Casetta in Canadà, Lettera a Pinocchio, Nessuno mi può giudicare, Fin che la barca va e molte altre.

Gli inizi
Rimasto orfano giovanissimo, viene allevato dallo zio Enrico, il fratello del padre, insieme ai suoi fratelli.
Interessato sin da giovane al mondo dello spettacolo, Mario Panzeri inizia la sua carriera come cantante di varietà, entrando in una compagnia in cui si esibisce in ritmi allegri, nonostante le non eccelse capacità vocali.
È appunto in questa compagnia che inizia a scrivere le prime canzoni: firma così un contratto come paroliere con le Edizioni musicali Melodi, e la prima di esse ad essere incisa è Conosco una fontana, una rumba scritta nel 1937 in collaborazione con Umberto Bertini su musica di Mario Schisa.

Il successo ed i problemi con la censura fascista
Il primo vero successo di Panzeri è però datato 1939: all'inizio di quell'anno infatti la cantante Maria Jottini incide la canzone 'Maramao perché sei morto, che il paroliere ha scritto su musica di Mario Consiglio ispirandosi ad una filastrocca popolare abruzzese (Mara maje, che significa Amara me), e che riscuote subito molto successo.
Qualche settimana dopo la pubblicazione del disco, a Livorno si iniziano i lavori per una statua dedicata a Costanzo Ciano, ex ministro degli esteri morto da poco: nottetempo alcuni ragazzi lasciano sul basamento del monumento alcuni fogli con i versi di questa canzone (Maramao perché sei morto?/ Pane e vin non ti bastava,/ l'insalata era nell'orto/ e una casa avevi tu), che vengono ritenuti offensivi verso un eroe del fascismo, e quindi Panzeri è convocato d'urgenza da Criscuolo, il responsabile della censura, a cui deve dimostrare che il testo della canzone era stato scritto prima della morte di Ciano.
Ormai, però, per l'opinione pubblica Maramao perché sei morto viene considerata una delle cosiddette canzoni della fronda, in cui in maniera non esplicita e con allusioni varie si attaccano alcune figure di primo piano del regime: ed anche l'anno successivo la situazione si ripete, questa volta con un brano scritto con Nino Rastelli su musica di Gorni Kramer, Pippo non lo sa, il cui protagonista, che quando passa fa rider tutta la città, era stato identificato dalla censura fascista con il gerarca Achille Starace.
Panzeri smentì anche in questa occasione, ma la sua reputazione, per il regime fascista, era ormai compromessa, e così, quando nel 1943 Panzeri scriverà sempre con Rastelli il testo per Il tamburo della banda d'Affori, una marcetta di Nino Ravasini, i precedenti dei due brani ricordati gli causeranno difficoltà: la canzone verrà infatti messa sotto accusa, in particolare per i versi in cui si parla del tamburo principale della banda d'Affori,/ che comanda 550 pifferi, poiché i componenti della Camera dei fasci e delle corporazioni erano proprio 550....ed il tamburo principale sembrò un'allusione a Mussolini.
A onor del vero bisogna aggiungere che Panzeri continuò, anche in seguito, a sostenere che le sue erano allusioni involontarie e casuali, ma è anche vero che, nel dopoguerra, continuarono nei suoi testi ad essere riscontrati riferimenti velati ed ironici alla realtà politica italiana (in Papaveri e papere e Casetta in Canadà, ad esempio).
Pippo non lo sa divenne, comunque, un successo anche all'estero: venne inciso in tedesco come Lieber Sonneschein dal saxofonista e direttore d'orchestra Tullio Mobiglia, che in quel periodo viveva a Berlino e che lo incise su un 78 giri che vendette migliaia di copie in Germania (recentemente questa versione è stata ristampata in cd dalla Riviera Jazz Records)
Altri successi di quegli anni da ricordare sono Fiorellin del prato, canzone del 1940 che verrà incisa trentasei anni dopo da una giovane cantante barese, Anna Oxa, nel suo 45 giri di debutto, e Tu cosa farai di me, cover di Vous qui passez sans me voir, successo del 1937 di Charles Trenet, inciso in italiano nel 1942 da Vittorio Belelli; inizia nel frattempo anche a comporre alcune musiche, come Olè la fundeghera e Verrà.

Grazie dei fiori
Anche nel dopoguerra continua la sua attività, con molti successi come Cantando con le lacrime agli occhi per Oscar Carboni o Il re del Portogallo.
Nel 1950 Gian Carlo Testoni invia un testo, scritto insieme a Mario Panzeri, al maestro Saverio Seracini, che dopo aver scritto la musica lo incarica di trovare una casa editrice per affidarla a qualche cantante: tutti i tentativi fatti da Testoni, però, falliscono.
Dopo qualche mese, però, ha modo di leggere il bando per la partecipazione al primo Festival di Sanremo, e decide di inviare la canzone, Grazie dei fiori, che la commissione di lettura decide di accettare e di affidare a Nilla Pizzi: inaspettatamente il brano, che è di proprietà degli autori, arriva al primo posto, ed il disco a 78 giri inciso dalla cantante stabilisce il record di vendite fino a quel momento: ben trentaseimila copie.
Panzeri, così, diventa uno dei più richiesti parolieri italiani del dopoguerra, partecipando con i suoi brani ad innumerevoli edizioni delle principali manifestazioni canore italiane, da Un disco per l'estate al Cantagiro, dal Festivalbar alla Mostra Internazionale di Musica Leggera.

Altri successi sanremesi: Papaveri e papere, Aveva un bavero e Casetta in canadà
L'anno successivo torna a Sanremo con un'altra canzone, che si classifica al secondo posto nell'interpretazione di Nilla Pizzi: si tratta di Papaveri e papere, motivo allegro che sotto l'apparente demenzialità nasconde una satira politica verso i potenti, i "papaveri alti alti", mentre le papere sono coloro che subiscono il potere; la canzone riscuote un successo grandissimo, viene tradotta in quaranta lingue (addirittura in cinese, con il titolo Pappa piccolino) e frutta agli autori la cifra di quaranta milioni di lire in diritti d'autore, e verrà incisa anche da Bing Crosby, Eddie Costantine, Yves Montand e Beniamino Gigli.
Durante l'esecuzione al festival è da ricordare la voce di Mario Bosi, che imita quella di Paperino; secondo Gigi Vesigna, «Le parole vennero lette come riferite alla classe politica e in particolare ad Amintore Fanfani, piccolo di statura, ma potentissimo esponente della Democrazia cristiana; l'immagine dei papaveri svettanti su un campo di grano e simboleggianti il Partito Comunista Italiano attraversati da un grande paio di forbici nell'atto di tagliarli venne usata dai Comitati Civici della Democrazia Cristiana per i manifesti elettorali di quell'anno.
Il 1954 è l'anno di Aveva un bavero, che si stacca dai riferimenti all'attualità per rimpiangere il bel tempo antico, nella descrizione di un racconto fatto dal nonno dell'autore su un episodio del Risorgimento italiano (viene citata anche una canzone popolare dell'epoca, La bella Gigogin); sicuramente una parte del successo è dovuta all'interpretazione del Quartetto Cetra, che armonizza la melodia secondo il suo stile.
Anche Casetta in Canadà, presentata a Sanremo nel 1957, viene vista come una canzone con un messaggio: il racconto del protagonista, che continua a ricostruire la sua casetta nonostante Pinco Panco ogni volta per dispetto la incendi, viene visto come un'esaltazione del darsi da fare, del non farsi abbattere dalle difficoltà; come scrive Gianni Borgna «Risulta evidente non solo l'elogio della positività e del decoro piccolo borghesi (nell'aspirazione a una casa tutta per sè, con fiori, pesciolini rossi ecc.) ma soprattutto l'adesione senza riserve ai principi dominanti: lavorare sodo senza discutere, tollerare illimitatamente il sopruso, e via di questo passo».
Da questo momento in poi Panzeri, che fino a quel momento era stato spesso visto come un autore critico verso il potere e il sistema (come ricordato per Maramao o Pippo non lo sa) diventa invece un esempio di autore reazionario e disimpegnato, accusa che lui non prenderà mai sul serio, continuando anzi a scrivere testi di questo genere come Fin che la barca va o Tipitipiti.
Anche Casetta in Canadà, comunque, diventa un successo (in particolare nella versione a duo di Carla Boni e Gino Latilla (con il coro del Duo Fasano): una curiosità legata a questa canzone è che Claudio Baglioni, all'età di dieci anni, si esibì per la prima volta in pubblico cantando proprio questa canzone, e citerà l'episodio anche in una sua canzone, il frammento Due contenuto in Strada facendo.
Amedeo Minghi nel testo di Vivere vivere (contenuta in I ricordi del cuore cita questo brano insieme a Papaveri e papere nei versi «Alti papaveri e piccola tu,/ edere e piove ed il pianto vien giù,/ la casetta che un Pinco Pallino un giorno incendiò»
La canzone, infine, è stata recentemente citata anche dagli Stadio in Stabiliamo un contatto, contenuta nell'omonimo album ("Io sono bravissimo a chiacchiere/ho anch'io una casetta in Canadà") e da Luciano Ligabue in Vivo morto o X, da Buon compleanno Elvis ("T'han detto che c'è posto per chi sa stare a posto /il posto, tele accesa e la casetta in Canadà"), segno della notorietà che hanno tuttora i versi di Panzeri.

Lettera a Pinocchio
Nel 1959 Panzeri partecipa al concorso dello Zecchino d'Oro, che debutta in quell'anno: la sua canzone, intitolata Lettera a Pinocchio, racconta le vicende di un adulto che, trovando alcuni giocattoli, rievoca la sua infanzia e scrive una lettera al famoso burattino; la musica è tratta da un brano popolare di pubblico dominio, intitolato Canzone romana, ed è firmata dallo stesso Panzeri.
Il brano, cantato dalla bambina Giusi Guercilena e da Loredana Taccani, si classifica al secondo posto (la vittoria se l'aggiudica Quartetto cantata dalla stessa Giusi); ma il brano che viene immediatamente ricordato dal pubblico è invece quello scritto da Panzeri, al punto che l'anno successivo viene ripreso da Johnny Dorelli, che ne fa un classico e lo porta ai primi posti della hit parade. In seguito la canzone verrà ripresa anche da Bing Crosby.

Pace Panzeri Pilat Conti
Nel 1961 Panzeri scrive una canzone insieme a Daniele Pace, giovane voce solista dei Marcellini: il brano è Carolina dai, proposto da Sergio Bruni e Rocco Granata al Festival di Sanremo di quell'anno, e segna l'inizio di una collaborazione che segnerà tutta l'ultima fase della carriera di Panzeri: i due si affideranno spesso per le musiche a Lorenzo Pilat e, a volte, a Corrado Conti, professore di musica del Teatro La Scala di Milano.
Questo gruppo di lavoro produrrà molti successi per cantanti come Orietta Berti e Gigliola Cinquetti (Io tu e le rose, La pioggia, Fin che la barca va, La rosa nera).
Negli anni '80 Panzeri si ritirerà dall'attività.

▪ 1994 - Jacques Ellul (Bordeaux, 6 gennaio 1912 – 19 maggio 1994) è stato un sociologo e teologo francese, autore di svariati saggi sulla c.d. "società tecnologica", sul Cristianesimo e sulla politica; fu sostenitore dell'idea che l'anarchismo e il cristianesimo si prefiggono lo stesso obiettivo sociale; fu al contempo sostenitore di politiche ecologiche e tra i precursori dell'attuale idea di decrescita economica.
La famiglia in cui Ellul nacque aveva origini cosmopolite: il nonno paterno era maltese e quindi cittadino britannico, la nonna serba, il padre Joseph era nato a Trieste, ma aveva conservato la cittadinanza inglese e, messa da parte l'educazione religiosa cristiana-ortodossa impartitagli dalla madre, aveva assunto ferme convinzioni laiche, mentre la madre Marthe Mendes, di religione protestante, era una francese di origini portoghesi.
L'impronta paterna si rivelò nell'infanzia, quando Jacques prese parte nei giardini pubblici di Bordeaux a quei giochi di formazione che erano gli scontri fra opposti gruppi di ragazzi, lui schierato nella fazione dei «laici», contro quella opposta dei «cattolici». Ma anche l'influsso materno non tardò a manifestarsi, facendolo avvicinare al problema religioso fino ad avere, il 10 agosto 1930, la «rivelazione di Dio», come egli stesso disse senza però scendere in particolari.
Conseguita la maturità nel 1929, avrebbe voluto scegliere la carriera di ufficiale di marina, ma il padre gli impose gli studi di diritto nell'Università. Erano gli anni difficili della crisi economica mondiale, aggravati, nella famiglia Ellul, dalla disoccupazione del padre e dalle cattive condizioni di salute della madre.
Importante fu per Jacques l'amicizia con Bernard Charbonneau, con il quale aderì al personalismo, una movimento politico-culturale in cui si univano correnti anche molto diverse tra di loro: il gruppo raccolto intorno alla rivista «Esprit», fondata nel 1932 da Emmanuel Mounier, quello dell'«Orde Nouveau», capeggiato da Alexandre Marc e la «Jeune Droite» vicina al movimento di estrema destra Action Française.
Charbonneau ed Ellul, che aderì al marxismo senza tuttavia iscriversi al Partito comunista, appartenevano alla corrente libertaria ed ecologista, propagandavano le loro idee in conferenze e nel 1935 pubblicarono un loro manifesto, le Directives pour un manifeste personnaliste. Furono vicini alla rivista Esprit e mantennero contatti con il gruppo dell'Orde Nouveau, ma finirono per rompere con il gruppo dell'«Esprit», accusando il cattolico Mounier di autoritarismo.
Intanto, dopo aver frequentato i corsi di diritto all'Università di Bordeaux e poi in quella di Parigi, Ellul ottenne nel 1936 il dottorato in diritto con la tesi Etude sur l'évolution et la nature juridique du Mancipium.
Nel 1937 sposò Yvette Lensvelt, da cui ebbe quattro figli: Jean, Simon, Yves e Dominique. Nello stesso anno iniziò la sua carriera accademica come lettore di diritto all'Università di Montpellier e l'anno dopo in quella di Strasburgo, intanto che collaborava alle riviste protestanti «Le Semeur» e «Foi et Vie»; nel 1939 passò ancora all'Università di Clermont-Ferrand e l'anno dopo gli fu revocata la cattedra dal governo di Vichy, in applicazione della legge appena approvata a luglio, con la quale s'inibiva l'insegnamento pubblico agli stranieri e ai loro figli: suo padre Joseph, infatti, suddito britannico, non aveva mai preso la cittadinanza francese.
Per vivere, si trasferì allora con la famiglia a Martres, nella Gironda, improvvisandosi agricoltore; aderì alla Resistenza e, con la liberazione della Francia, nel 1944 fu nominato professore di diritto nell'Università di Bordeaux, dove rimase fino al pensionamento, avvenuto nel 1980.
Partecipò alla vita politica della nuova Francia: segretario generale del Mouvement de Libération Nationale, alleato dell'Organisation Civile et Militaire sotto la sigla di Union Démocratique et Socialiste de la Résistance si presentò candidato alle elezioni legislative del 21 ottobre 1945, con un programma che prevedeva la sostituzione del Senato con una "Camera dell'economia", il divieto dei monopoli e la nazionalizzazione delle aziende di interesse nazionale. Ma il risultato elettorale fu deludente e nessun candidato dell'Union venne eletto.
Cristiano della Chiesa Riformata di Francia, fu consulente per il Consiglio Ecumenico delle Chiese francesi. Partecipò anche alla vita politica cittadina e fu vicesindaco di Bordeaux.

Stato Moderno
Jacques Ellul definì, nel libro Storia delle Istituzioni, lo Stato Moderno.
Lo stato moderno è una particolare organizzazione del potere che si afferma in Europa tra il XII e il XVII secolo. È un fenomeno di lunga durata.
Ellul elabora tre indicatori che, se presenti in una nazione, la qualificano in termini di stato moderno:
▪ Accentramento
▪ Territorialità
▪ Concezione patrimoniale dinastica.
Ellul individua dei laboratori di stato moderno. I modelli di stato moderno sono fondamentalmente due:
▪ Francia (Laboratorio dell'assolutismo)
▪ Inghilterra (Laboratorio del parlamentarismo).

Anarchia e Cristianesimo
Nella sua opera Anarchie et Christianisme (1988), Ellul cerca di trovare punti di contatto tra Anarchia e Cristianesimo, rifacendosi al processo a Gesù (in cui analizza il suo atteggiamento di opposizione alle autorità costituite) e all'idea generale di ostilità al potere nella Chiesa delle origini. Al fatto che le grandi confessioni cristiane (in complicità con i poteri politici) siano riuscite a ribaltare il messaggio evangelico nel suo opposto, Ellul oppone la sua idea di corrente di religiosità sotterranea, una sorta di chiesa invisibile che sostiene la verità della parola di Cristo dall'esterno e dall'interno delle stesse istituzioni religiose ufficiali, parallelamente al loro "tradimento".
«Io invece sostengo di non essere il solo a dire queste cose, ma che vi è sempre stata una fedele "corrente di religiosità sotterranea" (tanto più invisibile quanto più era fedele!). E sostengo inoltre che ciò corrisponde alla parola biblica.»

▪ 2009 - Mino Bordignon (Bergamo, 1921 – Milano, 19 maggio 2009) è stato un direttore di coro italiano.
Ha iniziato la sua cultura musicale nelle città di Bergamo e Milano, successivamente assieme a Arnold Grossmann e Wolfgang Scheidt a Vienna e Berlino. Ha insegnato ai conservatori di Milano, di Mantova e di Bergamo. È stato anche il direttore per più di trent'anni della RAI di Roma, Milano, Torino, dei Cori del Teatro alla Scala di Milano oltre ad altri complessi.
Nel 1949 ha fondato il coro I.N.C.A.S di Bergamo, un coro composto da voci virili per la trasposizione del canto popolare.
Nel 1961 è il fondatore del coro di voci miste Cantores Mundi di Borgosesia.
Nel 1979 ha fondato i Civici Cori di Milano di cui è stato direttore per 25 anni fino al 2004. Con le diverse formazioni dei Civici Cori ha prodotto oltre 600 concerti attraverso le esecuzioni delle più importanti letterature polifonico - corali del secondo millennio.
Fonda poi nel 2004 con la collaborazione di coristi dei Civici Cori, Un Coro per Milano.
Muore a Milano il 19 maggio 2009