Il calendario del 19 Agosto
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Eventi
▪ 480 a.C. -Battaglia delle Termopoli, L'esercito greco ferma i Persiani alle Termopili (Leonida I)
▪ 1419 - Prima pietra dello Spedale degli Innocenti a Firenze, ritenuto il primo edificio rinascimentale mai costruito
▪ 1458 - Enea Silvio Piccolomini viene eletto Papa con il nome di Pio II
▪ 1573 - Il Capitano bolognese Francesco De Marchi, con un piccolo gruppo di compagni, compì la prima ascensione documentata alla vetta del Gran Sasso
▪ 1692 - A Salem (Massachusetts), cinque donne e un sacerdote vengono giustiziati dopo essere stati condannati per stregoneria
▪ 1744 - Il Papa Benedetto XIV pubblica la Lettera Enciclica Cum semper oblatas, sulla applicazione delle Messe domenicali e festive al popolo; sulla applicazione della Messa conventuale quotidiana ai benefattori
▪ 1848 - Corsa all'oro della California: il New York Herald riporta sulla costa orientale la notizia della corsa all'oro in California (anche se questa era cominciata a gennaio)
▪ 1862 - Guerre indiane: durante la rivolta in Minnesota, i guerrieri Lakota decidono di non attaccare il pesantemente difeso Fort Ridgely, e si rivolgono invece sull'insediamento di New Ulm, uccidendo i coloni bianchi lungo il percorso
▪ 1919 - L'Afghanistan ottiene l'indipendenza dal Regno Unito
▪ 1934 - La creazione della posizione di Führer viene approvata dall'elettorato tedesco con l'89,9% dei voti
▪ 1942 - Seconda guerra mondiale: le truppe alleate effettuano un raid su Dieppe in Francia
▪ 1944 - La resistenza francese libera Parigi dagli occupanti nazisti
▪ 1945 - I Viet Minh guidati da Ho Chi Minh prendono il potere ad Hanoi nel Vietnam
▪ 1953 - Guerra Fredda: la CIA aiuta a rovesciare il governo di Mohammed Mossadegh in Iran e reinsedia lo Scià Mohammad Reza Pahlavi
▪ 1954 - Muore Alcide De Gasperi, statista italiano, nella sua casa in Val di Sella, nel Trentino.
▪ 1954 - Negli Stati Uniti viene vietato il Partito Comunista.
▪ 1960
- - Guerra Fredda: a Mosca, il pilota dell'aereo spia U-2 abbattuto, Francis Gary Powers, viene condannato a dieci anni di prigione dall'Unione Sovietica per spionaggio
- - Programma Sputnik: l'Unione Sovietica lancia la Sputnik 5 con a bordo i cani Belka e Strelka (in russo significano”Scoiattolo”e”Piccola freccia"), 40 topi, 2 ratti e diverse piante. La navetta rientrerà sulla Terra il giorno successivo e tutti gli animali verrano recuperati sani e salvi
▪ 1964 - Viene lanciato dalla base di Cape Canaveral il Syncom III, primo satellite geostazionario per telecomunicazioni.
▪ 1974 - Si apre a Bucarest in Romania, per iniziativa dell'ONU, la Conferenza Mondiale sulla Popolazione, con l'adesione di oltre 140 Paesi. Al centro le tematiche legate a un migliore approccio globale ai problemi dell'umanità
▪ 1981 - Il leader libico Muammar Gheddafi invia due caccia Sukhoi Su-22 ad ingaggiare un paio di caccia statunitensi sul Golfo della Sirte. I jet americani distruggono gli apparecchi libici
▪ 1989 - Il presidente polacco Wojciech Jaruzelski nomina l'attivista di Solidarnosc Tadeusz Mazowiecki come Primo Ministro, che diventa il primo non comunista al potere in Polonia dopo 42 anni
▪ 1991 - Su ordine di alti gradi del Partito, timorosi delle incombenti novità, Gorbaciov veniva trattenuto contro la sua volontà in Crimea, non potendo quindi recarsi alla sigla del nuovo accordo federativo: era l'inizio del tentativo di colpo di stato
▪ 1999 - A Belgrado, decine di migliaia di serbi chiedono le dimissioni da Presidente della Repubblica di Slobodan Milošević
▪ 2002 - Un elicottero russo Mi-26, da trasporto truppe viene colpito da un missile ceceno fuori Grozny, l'elicottero è sovraccarico e muoiono 118 soldati
Anniversari
* 14 d.C. - Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (in latino Gaius Iulius Cæsar Octavianus Augustus; nelle epigrafi: C•IVLIVS•C•F•III•V•CÆSAR•OCTAVIANVS; Roma, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14 d.C.) meglio conosciuto come Ottaviano o Augusto, fu il primo imperatore romano.
Il Senato gli conferì il titolo di Augustus il 16 gennaio 27 a.C., e il suo nome ufficiale fu da quel momento Imperator Caesar Divi filius Augustus (nelle epigrafi IMPERATOR•CAESAR•DIVI•FILIVS•AVGVSTVS). Nel 23 a.C. gli fu riconosciuta la tribunicia potestas e l'Imperium proconsulare a vita, mentre nel 12 a.C. divenne Pontefice Massimo.
Restò al potere sino alla morte, e il suo principato fu il più lungo della Roma imperiale (44 anni dal 30 a.C., 37 anni dal 23 a.C.).
L'età di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia di Roma e il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera economica, militare, amministrativa, giuridica e culturale.
Augusto, negli oltre quarant'anni di principato, introdusse riforme d'importanza cruciale per i successivi tre secoli:
▪ riformò il cursus honorum di tutte le principali magistrature romane, ricostruendo la nuova classe politica e aristocratica, e formando una nuova classe dinastica;
▪ riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale anche grazie alla creazione di numerose colonie e municipi che favorirono la romanizzazione dell'intero bacino del Mediterraneo;
▪ riorganizzò le forze armate di terra (con l'introduzione di milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell'Urbe, come le coorti urbane, i vigiles e la guardia pretoriana) e di mare (con la formazione di nuove flotte in Italia e nelle provincie);
▪ riformò il sistema di difese dei confini imperiali, acquartierando in modo permanente legioni e auxilia in fortezze e forti lungo l'intero limes;
▪ fece di Roma una città monumentale con la costruzione di numerosi nuovi edifici, avvalendosi di un collaboratore come Marco Vipsanio Agrippa;
▪ favorì la rinascita economica e il commercio, grazie alla pacificazione dell'intera area mediterranea, alla costruzione di porti, strade, ponti e ad un piano di conquiste territoriali senza precedenti, che portarono all'erario romano immense e insperate risorse (basti pensare al tesoro tolemaico o al grano egiziano, alle miniere d'oro dei Cantabri o quelle d'argento dell'Illirico);
▪ promosse una politica sociale più equa verso le classi meno abbienti, con continuative elargizioni di grano e la costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme, acquedotti e fori);
▪ diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate.
▪ introdusse una serie di leggi a protezione della famiglia e del mos maiorum chiamate Leges Iuliae.
▪ riordinò il sistema monetario (15 a.C.), che rimase praticamente immutato per due secoli.
▪ 1580 - Andrea Palladio, pseudonimo di Andrea di Pietro (Padova, 30 novembre 1508 – Maser, 19 agosto 1580), è stato un architetto, teorico dell'architettura e scenografo italiano del Rinascimento. Influenzato dall'architettura greco-romana, anzitutto da Vitruvio, è considerato la personalità più influente nella storia dell'architettura occidentale.
Fu l'architetto più importante della Repubblica di Venezia, nel cui territorio progettò numerose ville che lo resero famoso, oltre a chiese e palazzi, questi ultimi prevalentemente a Vicenza, dove si formò e visse. Pubblicò il trattato I quattro libri dell'architettura (1570) attraverso il quale i suoi modelli hanno avuto una profonda influenza nell'architettura occidentale; l'imitazione del suo stile diede origine ad un movimento destinato a durare per tre secoli, il palladianesimo, che si richiama ai principi classico-romani. La città di Vicenza e le ville palladiane del Veneto sono uno dei patrimoni dell'umanità UNESCO.
▪ 1662 - Blaise Pascal (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 – Parigi, 19 agosto 1662) è stato un matematico, fisico, filosofo e teologo francese. Bambino precoce, fu istruito dal padre. I primi lavori di Pascal sono relativi alle scienze naturali e alle scienze applicate. Contribuì in modo significativo alla costruzione di calcolatori meccanici e allo studio dei fluidi. Egli ha chiarito i concetti di pressione e di vuoto per ampliare il lavoro di Torricelli. Pascal scrisse importanti testi sul metodo scientifico. A sedici anni scrisse un trattato di geometria proiettiva e, dal 1654 lavorò con Pierre de Fermat sulla teoria delle probabilità che influenzò fortemente le moderne teorie economiche e le scienze sociali. Dopo un'esperienza mistica, nel 1654, abbandonò matematica e fisica per dedicarsi alle riflessioni religiose e filosofiche. Morì due mesi dopo il suo 39º compleanno, nel 1662, dopo una lunga malattia che lo affliggeva dalla fanciullezza.
«Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. È con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e con il tempo che non potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensar bene: questo è il principio della morale » (Pensieri, 139)
Il pensiero scientifico - Il triangolo, i fluidi, la probabilità, le invenzioni
Tra i suoi apporti matematici vi è il triangolo di Pascal (noto in Italia come Triangolo di Tartaglia), che è un modo di presentare i coefficienti binomiali, e porta appunto il suo nome, anche se i matematici conoscevano tali coefficienti già da tempo.
Inoltre, il suo notevole contributo nello studio dei fluidi (idrodinamica e idrostatica); in particolare si incentrò sul principio di fluido idraulico. Le sue invenzioni comprendono la pressa idraulica (che usa la pressione per moltiplicare la forza) e la siringa. Pascal chiarificò anche concetti quali "pressione" (la cui unità di misura porta il suo nome) e "vuoto": riguardo alla pressione, formulò il cosiddetto principio di Pascal, ovvero il principio secondo il quale la pressione esercitata in un punto qualunque di un liquido incomprimibile, si trasmette inalterata in tutti gli altri punti di tale liquido; riguardo il vuoto, invece, riuscì a dimostrarne l'esistenza, confutando quindi il pensiero della fisica antica, che lo negava. Fece inoltre delle brillanti considerazioni sulla teoria della probabilità, e all'età di sedici anni elaborò anche un trattato sulle sezioni coniche.
Nel 1654, spinto dall'interesse di un amico in problemi legati alle scommesse, avviò una corrispondenza con Fermat e stese un piccolo saggio sulle probabilità.
Pascal è anche considerato uno dei precursori dell'informatica poiché, appena diciottenne, progettò e costruì circa cinquanta esemplari di un calcolatore meccanico, detto Pascalina, capace di eseguire addizioni e sottrazioni (alcuni di questi esemplari originali sono stati conservati fino ad oggi, come quello al Museo Zwinger di Dresda).
Il Teorema di Pascal
Un altro suo importante apporto alla matematica è il Teorema di Pascal, che è uno dei teoremi-base della teoria delle coniche. Premesso che sei punti ordinati A1, A2, A3, A4, A5, A6 di una conica individuano un esagono inscritto in essa, il teorema di Pascal fornisce una condizione grafica caratteristica affinché un dato esagono sia inscrivibile in una conica.
Poiché una conica è individuata da 5 suoi punti, tale teorema fornisce una condizione affinché un sesto vertice dell'esagono appartenga alla conica individuata dagli altri 5 vertici di tale poligono. La condizione è la seguente: siano A1, A2, A3, A4, A5, A6 sei punti dati ordinatamente nel piano e siano B1, B2, B3 i punti comuni, rispettivamente, alle rette A1-A2 e A4-A5, alle rette A2-A3 e A5-A6, alle rette A3-A4 e A6-A1; i sei punti appartengono ad una conica se, e soltanto se, i tre punti B1, B2, B3 appartengono ad una retta, che è chiamata retta di Pascal. Il caso particolare in cui i sei punti sono contenuti in una conica degenere, cioè l'unione di due rette, si traduce nel teorema di Pappo-Pascal.
Per esporre gli elementi del suo pensiero filosofico usiamo il testo di Diego Fusaro (con qualche paragrafazione e sottolineatura mia n.d.r.)
“Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci”. (Pensieri, n° 348)
LA VITA E LE OPERE
Biagio, figlio di Stefano Pascal, autoritario e rigido, nacque a Clermont, in Alvernia (Francia centrale), il 19 giugno 1623 da famiglia altolocata.
La madre morì quando lui aveva tre anni (1626); ebbe due sorelle: Gilberte e Jacqueline. Fu Gilberte a lasciarci una Vita di B. Pascal, scritta poco dopo la morte del fratello, e pubblicata la prima volta nel 1684, a Amsterdam.
Il padre lo educò tenendolo dapprima lontano dalla matematica, per fargli prima ben apprendere le lettere classiche, ma Biagio si rivelò capace di leggere Euclide di nascosto e di capirlo da solo, costringendo il padre ad arrendersi all'evidenza di una vocazione più scientifica che umanistica del figlio.
Così il padre lo condusse regolarmente alle riunioni di scienziati che si tenevano presso il P. Mersenne. Pascal manifestò un vero genio matematico e già a 16 anni scrisse un Traité des Coniques.
Comunque la sua formazione non fu solo scientifica. La stessa sorella Gilberte dice che il fratello continuava a studiare il latino e il greco, ed oltre a ciò,”durante o dopo il pasto, mio padre lo intratteneva ora sulla logica, ora sulla fisica e sulle altre parti della filosofia".
Dunque, prima che filosofo, Pascal fu scienziato e inventore.
Nel 1639 per dare una mano al padre, mandato a riscuotere le tasse nella turbolenta Alta Normandia (a Rouen), inventò una macchina calcolatrice.
A ventitré anni, avendo appreso l'esperienza di Torricelli, fece diversi esperimenti sul vuoto e preparò un Trattato sul vuoto. Non ne uscirono, se non più tardi (nel 1663) che due estratti: De l'équilibre des liqueurs e De la pesanteur de l'air.
Ma ci resta un Frammento del Trattato sul vuoto del 1647, che - sostiene la Vanni Rovighi - ”è interessante perché ci fa vedere l'atteggiamento di Pascal per quel che riguarda la conoscenza scientifica. È il medesimo atteggiamento che troviamo in Galileo, in Bacone, in Cartesio. Quando si tratta di fisica, di studio della natura, è vano rivolgersi agli antichi, per sapere che cosa abbiano pensato: la testimonianza degli altri, degli antichi servirà per le conoscenze storiche, non per la fisica.”
Anche nel suo interesse scientifico fu uomo dal forte attaccamento all'esperienza concreta; Sciacca (cit., p. 24) sottolinea come, a differenza di Cartesio, più astratto e interessato all'algebra, Pascal fosse attratto dalle, più concrete, fisica e geometria.
Nel 1646 il contatto con Guillebert, parroco di Ronville, che poi diventò direttore spirituale di tutta la famiglia Pascal, e che era giansenista, determinò quella che si suole chiamare la prima conversione di Pascal. Pascal era sempre stato religioso, ma da quel momento decise, secondo Gilberte, di rinunciare alle soddisfazioni mondane e di dedicarsi totalmente alla ricerca di Dio.
Continuò però i suoi studi scientifici, a Parigi si incontrò con Cartesio (1647) col quale ebbe discussioni sul vuoto.
Contemporaneamente si recò dai ”solitari” di Port-Royal ed ebbe modo di trattenersi con loro.
Nel 1651 morì il padre di Pascal; la sorella Jacqueline, dopo esserne stata ostacolata dal fratello, entrò come monaca a Port-Royal (1652). Cominciò invece per Biagio un periodo ”mondano", durante il quale Pascal divise il suo tempo fra la ricerca scientifica e le conversazioni, il divertissement, con le persone di mondo.
Uno di questi ”mondani", il Cavaliere di Méré, ci ha lasciato una versione un po’ strana, e probabilmente non del tutto attendibile, del rapido mutamento di Pascal che, dall'atteggiamento di totale astrazione nelle matematiche, sarebbe passato all'apprezzamento delle qualità che fanno l'uomo di mondo, l'honnête homme, nel linguaggio di allora.
”Al di sopra delle regole, della riflessione, Méré pone qualche cosa che egli si rifiuta di definire e a cui dà i nomi di sentimento, di cuore, di esperienza e di istinto, tutti nomi che si ritroveranno con frequenza sotto la penna di Pascal” (Br. min., p. 116).
Essere ”honnête homme” o ”galant homme” vuol dire aver tatto, saper trattare gli uomini, avere senso del concreto. Altro personaggio col quale Pascal ebbe a che fare in questo periodo fu Miton, mondano disincantato e pessimista, che suscitò l'ammirazione di Pascal.
Forse appartiene al periodo mondano di Pascal, se è suo, il Discours sur les Passions de l'amour, nel quale troviamo già la distinzione fra esprit géométrique e esprit de finesse, che sarà ripresa nei Pensieri.
Secondo Gilberte fu la sorella Jacqueline, religiosissima, ad essergli di esempio: ”gli aprì il cuore alla Grazia".
Preparato da tale influsso, un evento molto importante nella sua vita fu la cosiddetta seconda conversione, incentrata nella ”Nuit de feu” del 23 novembre 1654, e testimoniata dal Memoriale, un foglio che Pascal portava cucito nei suoi abiti, e che riportiamo qui di seguito:
”Fuoco Dio di Abramo Dio di Isacco Dio di Giacobbe non dei filosofi e dei dotti. Certezza. Certezza. Sentimento Gioia Pace Dio di Gesù Cristo Deum meum et Deum vestrum. Il tuo Dio sarà il mio Dio. Oblio del mondo e di tutto, tranne Dio. Egli non si trova se non nelle vie indicate nel Vangelo. Grandezza dell'anima umana. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto. Gioia, gioia, gioia, lacrime di gioia. Me ne sono separato”
LA FILOSOFIA ESISTENZIALISTA
Pascal é importante sia come filosofo sia come scrittore e rappresenta uno dei più remoti precursori della filosofia esistenzialista; indubbiamente egli é un pensatore piuttosto anomalo ed isolato nel suo contesto, che é andato a toccare corde non strettamente legate alla fase storica in cui stava vivendo, che vedeva l’affermarsi sempre più netto del meccanicismo.
Egli vive nella generazione immediatamente successiva a Cartesio, il quale aveva appena dato al meccanicismo la veste più netta e radicale.
Pascal é un filosofo anomalo nel 1600 perchè, a differenza di tutti gli altri, non si inserisce nel filone meccanicistico, non perchè non nutra interessi scientifici (egli era anzi bravissimo in matematica e in fisica), ma perchè riconosce una netta differenza tra le due dimensioni, quella filosofica e quella scientifico-matematica.
Ecco allora che la sua filosofia non sarà molto attenta alle questioni gnoseologiche, bensì si occuperà di quelle esistenziali, delle problematiche che riguardano l'esistenza dell'uomo.
La concezione stessa che Pascal ha di Dio é radicalmente diversa da quella dei pensatori del suo tempo: il suo Dio non é quello dei filosofi e degli scienziati, un puro e semplice garante dell'ordine nel mondo (il Dio cartesiano e aristotelico, per intenderci, la cui esistenza é dimostrabile razionalmente e la cui funzione consiste esclusivamente nel dare l’impulso iniziale al mondo); il Dio in cui crede Pascal é quello di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.
Il Dio di stampo aristotelico (il motore immobile), quello dei filosofi e degli scienziati é un Dio che serve esclusivamente per spiegare l’origine del mondo, ma che sul piano religioso é totalmente inutile: non é certo un Dio che si può pregare nè, tanto meno, un Dio con cui si può parlare.
E’ il Dio in cui crederanno, nel periodo illuministico, i cosiddetti deisti, un Dio che rientra nei limiti della ragione e che non necessita di un atto di fede.
Pascal non sente il bisogno di credere in un Dio del genere, e preferisce il Dio delle Scritture, un Dio-persona con cui si può parlare e a cui si possono rivolgere preghiere: egli é quindi teista e non deista.
Va ricordato a proposito un’esperienza personale vissuta da Pascal nel corso della sua vita: egli dice di aver vissuto un’esperienza intensissima, quasi mistica, che l’ha segnato profondamente. Tuttavia non volle pubblicare una vicenda tanto personale e allora, dopo averla messa per iscritto, se la fece cucire all’interno della giacca cosicchè ne siamo entrati in possesso solo dopo la sua morte.
Si tratta di una vera e propria invocazione a Dio, a quello che egli chiama, come accennavamo, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e non il Dio dei filosofi e degli scienziati. D’altronde, se guardiamo alla filosofia di Pascal, un Dio come quello aristotelico non può avere alcun significato esistenziale.
Il Dio di Pascal agisce e credere in lui o meno mi cambia radicalmente il rapporto con il mondo e con la vita; il Dio aristotelico, viceversa, che io ci credessi o meno, non faceva alcuna differenza: egli si limitava a pensare a se stesso e ad agire come oggetto di amore da parte dei pianeti. Certo anche Pascal si cimenta nel dimostrare l’esistenza di Dio, ma il vero problema che lo assilla, più ancora che se Dio esista o meno, é se valga la pena credere in Dio, quale atteggiamento debba assumere l’uomo per dimostrare l’esistenza di Dio.
A lui, più che sapere se Dio esista o meno, interessa sapere quale risvolto abbia sulla vita dell’uomo il crederci o il non crederci.
Bisogna anche qui specificare una cosa sulla vita di Pascal: egli, fin dalla giovinezza, é stato tormentato da mali insopportabili che non l’hanno abbandonato per tutto il corso della vita, conclusasi, in un travaglio fisico e morale, quando egli aveva appena 39 anni.
In un certo senso vale per Pascal lo stesso discorso che si tende a fare per Leopardi: avendo trascorso una vita tra tormenti morali e fisici incessanti, é ovvio che abbiano elaborato una filosofia pessimistica ed esistenzialista. Senz’altro questo é in parte vero.
Tuttavia bisogna prestare attenzione a non commettere l’errore (piuttosto frequente) di dire che essi, per via dei loro tormenti, hanno finito per elaborare una filosofia pessimistica eccessiva, quasi come se avessero deformato la realtà.
A spiegarci il suo atteggiamento filosofico pessimistico ed esistenzialista é Pascal stesso: egli sapeva benissimo di parlare in modo drammatico e pessimistico per via del proprio tormento, tuttavia egli sosteneva di non deformare affatto la realtà: diceva che il suo stesso stato morale e fisico gli avessero impedito di essere distratto (egli usa il termine ”divertito” nel senso etimologico latino: ”devertere”, allontanare) dalla realtà.
Non é che la sua situazione di sofferenza fosse peggiore rispetto a quella degli altri uomini apparentemente felici, egli dice; tutti noi (l’intero genere umano) siamo nella stessa condizione di infelicità e di sofferenza, ma non tutti ce ne accorgiamo; solo chi davvero soffre (Pascal stesso) non si lascerà distrarre e potrà capire fino in fondo come la nostra vita non sia altro che un’ininterrotta sofferenza, una sofferenza che di volta in volta assume sfumature diverse (quando uno desidera qualcosa, ad esempio, e non può averlo, ecco che soffre). Chi vive ”felice”, in mezzo a gioie e a piaceri, in realtà, non si trova in una condizione migliore rispetto a chi soffre: soffre tanto come chi soffre, però non se ne rende neppure conto, é ignaro di ciò che gli sta succedendo.
Secondo Pascal la condizione dell’uomo é intrinsecamente miserabile; certo ci sono quelli messi da Dio in situazione particolarmente pesanti (Pascal stesso), ma essere in tali situazioni disgraziate é positivo perchè anche chi non pensa di esserlo lo é allo stesso modo, ma non riesce a rendersene conto: ci é dentro fino al collo, ma manco sa di esserci, perchè é distratto, divertito da altre cose che non gli permettono di concentrarsi a fondo sulle condizioni umane, che sono assolutamente di sofferenza e di miseria.
Ecco allora che nella filosofia di Pascal é centrale il concetto di divertimento, che va inteso come distrazione (dal latino devertere), come lasciarsi distogliere dalla realtà e dalla vera condizione umana.
Divertimento é qualsiasi attività in cui l’uomo si cala e che lo porta a non riflettere sulla propria condizione miserabile: quando si esce con gli amici, quando si fa qualsiasi cosa che ci distragga.
D’altronde, fa notare Pascal, la cosa che l’uomo maggiormente evita é la solitudine, il trovarsi a faccia a faccia con se stesso a riflettere sulla propria condizione; quando uno si ferma e, da solo, riflette é preso dall’angoscia, che invece non sente quando é indaffarato e si diverte. Pascal é il secondo pensatore ad avvalersi della parola ”angoscia”: già Lutero l’aveva adoperata per indicare la totale perdizione derivante all’uomo da un’esperienza religiosa vissuta fino in fondo, quando l’uomo capisce di non essere nulla: l’angoscia é proprio il sentimento del nulla. Quando si ha paura si teme qualcosa, quando si ha angoscia si teme il nulla.
L’uomo, una volta nato, può sfuggire all’angoscia fin tanto che si divertirà, ossia fin tanto che non rifletterà tra sè e sè. Ma divertirsi non é certo una cosa positiva, proprio perchè ci impedisce di renderci conto della nostra reale situazione di miseria. Pare quindi che la miseria del genere umano sia un vicolo cieco, nel quale l’uomo é destinato a soccombere.
Ma per Pascal la via d’uscita c’é ed é di tipo religioso, ma per poter uscire bisogna conoscere effettivamente la condizione in cui ci si trova e chi si diverte, fin tanto che persiste nel divertirsi, non la saprà mai. La sofferenza fisica e morale di Pascal diventa allora uno strumento conoscitivo che consente di guardare con lucidità alla nostra situazione.
La ragione: esprit de geométrie ed esprit de finesse.
Pascal risulta un pensatore anomalo se inserito nel suo contesto storico anche per il suo particolare rapporto nei confronti della ragione umana.
Siamo negli anni in cui il rigido meccanicismo e il freddo razionalismo cartesiano avevano toccato l’apice e avevano coinvolto mezzo mondo: Cartesio arriva a dire che l’uomo può avere una scienza quantitativamente non grande come Dio, ma qualitativamente precisa come quella di Dio; ecco allora che l’esaltazione della ragione umana trova in questi anni la sua massima espressione.
Pascal si pone invece in una prospettiva diversa; certo egli non disprezza la conoscenza razionale perchè ne capisca poco in merito, perchè, anzi, egli era un matematico eccellente (é l’inventore della calcolatrice) e praticava l’uso della ragione.
Il problema che lui si pone é di ravvisare i limiti del sapere scientificamente argomentato. A suo avviso l’ambito della conoscenza umana in termini razionali si esaurisce tutto nella dimostrazione; può sembrare già tanto, ma comunque, a ben pensarci, rimangono escluse parecchie cose e poi Pascal stesso finisce per escluderne altre all’interno della scienza stessa.
La dimostrazione non é altro che la serie di passaggi da una verità ad un’altra; però, come già aveva notato Aristotele, se si ripercorre la catena argomentativa senza prendere nulla per buono non si arriverà mai da nessuna parte, ma si continuerà a fare passaggi da una verità all’altra per l’eternità.
Bisogna trovare una verità che non derivi da nessun’altra e che faccia derivare tutte le altre. Questo é evidente soprattutto in geometria, ma pure in matematica: facendo una serie di passaggi argomentativi arrivo alla verità 2 + 2 = 4 e la prendo per buona, senza proseguire ulteriormente la catena argomentativa.
E’ come se si cogliesse il principio del ragionamento geometrico e, proprio per questo, é un procedimento non fino in fondo razionale, é una facoltà che ricorda il sentimento: si sente immediatamente che certe cose sono vere e vanno prese per buone: questo é vero perchè é vero. Questo paragone con il sentimento ci fa pensare all’ambito delle problematiche che sfuggono alla ragione: essa può dimostrare, ma non cogliere i principi se non in modo scientifico. Ma buona parte della vita é fatta di relazioni umane e non solo di matematica: questo aspetto Pascal lo colse anche per la sua stessa vita. Finì per dedicarsi con troppo impegno a certi studi che non fecero altro che aggravare le sue condizioni fisiche e il dottore gli consigliò una vita più mondana cosicchè Pascal conobbe molta gente e si accorse che esistono due diversi tipi di intelligenza: quella che mi fa capire la geometria e quella che mi fa capire le persone.
Quindi Pascal elaborò la celeberrima contrapposizione tra spirito di geometria e spirito di finezza, espressioni che rendono bene l’idea: abbiamo da un lato le argomentazioni che riguardano il ragionamento di tipo cartesiano (geometrico) delle verità evidenti (che per Pascal sono di ”carattere intuitivo” e parenti dello spirito di finezza), e, dall’altro lato, lo spirito di finezza che fa cogliere le varie sfumature.
Se prestiamo attenzione ci accorgiamo che é esattamente l’opposto di Cartesio: per lui le verità o sono nette o non sono verità; per Pascal, invece, esiste la capacità di cogliere le sfumature, ossia quelle realtà non chiare e distinte.
C’é poi un altro aspetto da chiarire sui limiti della ragione dimostrativa: nella scienza i princìpi fondamentali derivano, come dicevamo, dall’intuizione, che Pascal accosta al sentimento; ma Pascal fa anche notare come nell’ambito stesso del ragionamento matematico non entra in gioco solo la necessità, ma anche la possibilità.
In una filosofia esistenzialista come quella pascaliana diventa importante non ciò che avviene necessariamente (ossia quello che avviene e basta, senza che si possa cambiare), bensì ciò che avviene nell’ambito della possibilità (ciò che può avvenire) proprio perchè é qui che noi possiamo effettuare le nostre scelte.
Certo per spiegare come vada il mondo entra in gioco il necessario, ma se mi pongo quesiti esistenziali subentra il possibile e assurge ad una posizione predominante.
Pascal non solo rivaluta la possibilità, ma arriva addirittura ad introdurla dove sembra fuori luogo, applicandola in ambito matematico e dando vita al calcolo probabilistico.
Dal punto di vista biografico, questo suo interessamento al calcolo probabilistico venne fuori quando, su consiglio del dottore, egli si diede alla vita mondana, che già gli aveva suggerito l’idea di spirito di finezza.
Durante le sue esperienze di vita mondana, Pascal venne a contatto con il gioco d’azzardo: ci si trova a fare una serie di puntate e, ad un certo momento, quando il gioco non é ancora finito, si decide di smettere di giocare. Ma a chi bisogna dare la posta in palio?
Non si può sapere chi avrebbe vinto, ma si può sapere chi aveva più probabilità in quel determinato momento di vincere. Si può dividere la posta in gioco tra i giocatori calcolando la probabilità di vincere di ciascuno di essi e distribuire la posta in modo proporzionale alla possibilità di vincere. Così fece Pascal quando gli venne posto il problema da alcuni suoi amici che si erano trovati ad abbandonare la partita prima che finisse.
E’ interessante notare come questo procedimento faccia fare un ragionamento matematico non su quello che avverrà necessariamente, ma su quello che potrebbe avvenire. Pascal quindi introduce la possibilità in ambito matematico.
Non dobbiamo assolutamente pensare che egli fosse poco bravo in matematica: egli era bravissimo ed era anche arrivato alla costruzione del primo calcolatore meccanico, che sarà poi rivisto da Leibniz.
Lo stesso sistema del computer ha due padri, Hobbes e Pascal, vissuti grosso modo nello stesso periodo, un’epoca in cui l’indagine del mondo veniva condotta in termini meccanicistici e la matematica era predominante: Hobbes arriverà a dire che pensare significa sempre calcolare (la rana é verde: alla rana aggiungo l’attributo verde; la rana non é verde: alla rana sottraggo l’attributo verde). Ora, i computer funzionano grazie al sistema binario e per quanto siano complessi le operazioni che svolgono sono sempre riconducibili ad un ”bivio”: sì o no.
Ecco che con Hobbes e Pascal nasce l’idea che si possa limitare il pensiero tramite strutture fisiche elementari (il calcolatore). Per Hobbes questo vale per qualsiasi pensiero, per Pascal vale solo per gli spiriti di geometria. Nell’affermazione di Hobbes c’é il presupposto di creare macchine per imitare il pensiero e Pascal lo risolve dal punto di vista pratica dando vita al calcolatore, che opera calcoli in modo meccanico e che, non a caso, nasce nel 1600, il secolo del meccanicismo, che vuole ogni pensiero riconducibile ad una macchina.
LA SCOMMESSA SU DIO
Estremamente importante nella filosofia di Pascal risulta anche l’argomento della scommessa su Dio, riguardante la sua esistenza.
Non é importante dimostrare che Dio esista, ma é fondamentale dire se valga o no la pena puntare sull’esistenza di Dio.
Quando uno ha le carte in mano, non potrà mai sapere se vincerà o perderà, può solo sapere se ha un grado di probabilità di vittoria alto o basso e può sapere se vale la pena giocare con quelle carte o no. Magari in termini di probabilità non mi converrà giocare, tuttavia non é impossibile che io vinca (anche se improbabile); sono poi spinto a giocare dal fatto che il premio in palio é così grande che, se vinco, mi cambia la vita; c’é un rapporto infinito tra quello che possiedo e quello che posso possedere vincendo: é proprio questo che mi fa venir voglia di giocare.
Così vanno anche le lotterie: la possibilità é una su un milione (o anche meno), le probabilità di vittoria sono bassissime, tuttavia gioco perchè c’é un rapporto infinito tra il premio in palio e quello che possiedo: la vittoria mi cambierebbe la vita; in ogni caso vale la pena giocare.
Supponiamo che la posta in gioco sia un infinito guadagno: qualsiasi fosse la posta da giocare e qualsiasi fosse la probabilità di vincere, varrebbe sempre e comunque la pena giocare.
Pascal fa una scommessa del genere puntando sull’esistenza di Dio; nella sua religione di derivazione giansenista e antigesuitica, é chiaro che scegliere Dio comporta una radicale rinuncia al mondo: ecco allora che Pascal sui piatti della bilancia mette da una parte Dio, dall’altra il mondo. A lui, come detto, non interessa dimostrare l’esistenza di Dio, che sa peraltro indimostrabile, come indimostrabile é l’inesistenza di Dio.
Ciascuno di noi, a seconda che creda o no, é capace a portare argomentazioni pro o contra Dio; ma si tratta sempre solo di argomentazioni e non di prove conclusive: il credente dirà che il mondo presenta un ordine che deriva da Dio, l’ateo dirà che se c’é il male non può esserci Dio, e così via.
Pascal spiega, illustrando queste posizioni appena citate, che la fede é una scelta: ci si mette volontariamente in gioco, una scommessa dove ci si gioca tutto.
Non possiamo dire se Dio esista o se non esista, come non possiamo neanche dire che sia più probabile che esista o che non esista, ma una cosa la possiamo dire con certezza: il rapporto tra le probabilità che esista e quelle che non esista sarà sempre un rapporto finito: non so (nè posso sapere) se sia di 5 a 50, di 70 a 30, di 1 a 99, di 1 a un miliardo; in assenza di una prova il rapporto é sempre finito.
Se fosse un rapporto infinito allora sarebbe come avere la certezza che Dio esista o non esista: se dico che il rapporto tra esistenza e non esistenza é di 1 ad infinito, é come se avessi la certezza che non esiste. Nella scommessa su Dio uno può puntare su Dio (rinunciando al mondo) o sul mondo (rinunciando a Dio).
Esaminiamo entrambi i casi: punto sul mondo; Dio non esiste e vivo come se non esistesse, dandomi interamente al mondo e alla vita terrena.
Se punto su Dio, invece, se vinco, vinco una realtà infinita, una felicità infinita (la beatitudine); mettiamo il caso che Dio non esista; io che ho puntato sulla sua esistenza ho perso, ma che cosa ? Perdo l’infinito (Dio) e mi rimane il finito (il mondo).
Pascal gioca tutto sul fatto che il rapporto di probabilità tra esistenza e inesistenza di Dio é finito, mentre infinito é il rapporto tra Dio e mondo (ossia tra le cose puntate). Conviene sempre puntare su Dio perchè se non esistesse avrei comunque sempre a mia disposizione il mondo finito; ma se esistesse oltre al mondo finito, guadagnerei anche l’infinito (Dio). Chi non punta su Dio vince il mondo finito, ma se Dio esistesse, allora perderebbe l’infinito. Qualche possibilità che Dio esista ci deve essere per forza, dice Pascal, (anche solo una), altrimenti chi sostiene che Dio non esista dovrebbe essere in grado di dimostrare in modo razionale che non c’é (ma non é possibile).
Quindi, magari le probabilità che Dio esista saranno bassissime, ma conviene puntare su di lui perchè quello che si vince, nel caso esista, (e quello che si perde nel caso non si punti su di lui e lui esista) é talmente grande (infinito) che vale la pena giocare, qualunque siano le probabilità di vincere.
Ricordiamoci che questa di Pascal é solo una argomentazione a favore della scelta: non mi dimostra nè che Dio esista nè che non esista, mi dice solo che vale la pena credere che esista.
Possiamo fare ancora una volta il confronto tra il Dio cartesiano (quello dei filosofi e degli scienziati) e quello pascaliano (il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe): tutti e due i filosofi giocano in qualche modo sull’idea di infinitezza presente in noi enti finiti.
La differenza però sta nel fatto che Cartesio dimostra l’esistenza di Dio, Pascal argomenta in favore della scelta di credere in Dio, convinto che l’esistenza di Dio non sia dimostrabile razionalmente (Pascal ha meno fiducia nella ragione umana rispetto a Cartesio). Il Dio persona di Pascal (che é poi quello cristiano), non va dimostrato razionalmente, ma va accettato e basta; il Dio teistico non chiede all’uomo di capire tutto, bensì gli chiede di fare l’atto di fede e di compiere scelte: non a caso é il Dio di Abramo, colui che sacrificò, su consiglio di Dio, il proprio figlio Isacco: le vicende di Abramo non sono altro che quelle della scommessa pascaliana vissuta in termini tragici: Abramo punta tutto su Dio, perfino il proprio figlio; scommette tutto su Dio e riesce vincitore cosicchè vince il mondo finito (gli viene restituito il figlio ucciso) e l’infinito (Dio). Pascal scrive:
”Poiché scegliere bisogna, vediamo ciò che vi interessa di meno. Voi avete due cose da perdere: il vero e il bene; e due cose da impegnare nel gioco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. (...) Valutiamo questi due casi: se guadagnate, voi guadagnate tutto; se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che egli esiste, senza esitare”.
Sempre a riguardo della fede in Dio, vi é un altro curioso argomento elaborato da Pascal: egli immagina che un non credente gli si rivolga confessandogli di non riuscire a credere in Dio e, per questo, di vivere male la sua vita. Essere credenti, in fondo, é più facile perchè si ha una speranza in qualcosa e chi non crede, spesso, vive male il fatto stesso di non credere.
Pascal consiglia al non credente di agire in tutto e per tutto come se credesse, quasi come se, abituando il corpo alla fede, anche l’anima, un poco alla volta, si abituasse a credere. Agisci come se credessi e vedrai che la fede viene da sè: può essere così riassunta l’argomentazione pascaliana.
Si deve forzare la macchina corpo ad abituarsi alle cose di Chiesa (messe, processioni e riti vari) finchè anche l’anima si adatterà e arriverà a credere. Dobbiamo fare la nostra scommessa puntando su Dio: se non c’é non ci perdiamo nulla, ma se c’é abbiamo solo da guadagnarci. Con l’idea dell’adeguarsi forzatamente alla fede, prima col corpo e poi con l’anima, Pascal vuole dire che la fede ce l’abbiamo tutti, basta trovarla: chi cerca la fede (come il non credente) in fondo già la possiede proprio perchè la sta cercando. Uno che non avesse l’idea infinita di Dio in sè non si porrebbbe il problema della ricerca della fede. E Abramo stesso, che aveva puntato tutto su Dio, non aveva forse fatto un atto di ricerca della propria fede affidandosi completamente a Dio? La situazione tipica dell’uomo é di essere un ente finito e di avere la consapevolezza di essere un ente finito; ma sapere di essere finiti implica che l’uomo abbia presente in sè l’idea di infinito (Dio): come faccio a sapere di essere finito se non so che cosa sia l’infinito?
Già Cartesio si era servito di quest’argomentazione. Quindi la fede in ultima istanza l’abbiamo tutti, si tratta solo di cercarla, magari anche forzando. Il non credente si sente insoddisfatto proprio perchè non é ancora riuscito a trovare la sua fede.
La concezione dell'uomo
Quello che caratterizza l’uomo é di essere un ente finito e di sapere di essere un ente finito: questo permette a Pascal di elaborare la teoria della miseria del genere umano, miseria che colpisce esclusivamente il genere umano: non ne sono affetti nè Dio nè gli altri esseri del creato. Viene spontaneo controbattere che ci sono esseri assai inferiori e quindi più sventurati dell’uomo: ma essere miseri per Pascal implica non solo avere dei limiti, ma anche esserne coscienti: solo l’uomo si rende conto della sua sofferenza e dei suoi limiti.
Ha dei limiti, ma ha anche una sua grandezza: l’uomo per Pascal é un mostro, un essere ibrido, incomprensibile, una realtà che non é semplice ma che é misera: é piccolo perchè é debole ed é grande perchè sa di essere debole.
Non a caso Pascal diceva: Io esalto l’uomo quando lo si vuole umiliare e lo umilio quando lo si vuole esaltare; soffre e sa di soffrire l’uomo: é allo stesso tempo l’essere più grande e più sventurato.
La più famosa metafora elaborata da Pascal per delineare la condizione dell’uomo é quella del giunco pensante in balìa del vento: l’uomo é una pianta debole soggetta alle intemperie: proprio come un giunco può essere facilmente sradicato e ucciso: il vento (e in generale l’universo che lo attacca) é estremamente più potente di lui, ma lui ha un vantaggio: é pensante.
L’universo che lo schiaccia senza neanche accorgersene é più forte fisicamente, ma proprio perchè non si accorge di cosa fa (non ha coscienza) é infinitamente più debole rispetto al giunco sul piano della coscienza: il giunco pensante fisicamente é debole, ma in ambito di coscienza é fortissimo perchè ha coscienza di essere schiacciato e distrutto dal vento (l’universo), che manco si accorge di ciò che fa. Un secolo dopo Pascal, Kant riprenderà questa concezione ambivalente dell’uomo per elaborare la sua teoria del sublime, quel sentimento che l’uomo prova e che risulta allo stesso tempo piacevole e insopportabile: é l’uomo che si pone di fronte alla natura e se ne compiace, tuttavia sente di essere a lei inferiore e soffre: l’immagine usata da Kant sarà quella del mare in tempesta; l’uomo che lo vede dalla riva prova un sentimento piacevole perchè in effetti é uno spettacolo meraviglioso, tuttavia soffre sentendo la propria impotenza e inferiorità rispetto alla natura, che può schiacciarlo senza neanche accorgersene. Questa é la miseria dell’uomo.
Ecco come esprime Pascal questo concetto:
”L'uomo non è che una canna, la più debole della natura; ma è una canna pensante. Non c'è bisogno che tutto l'universo s'armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d'acqua basta a ucciderlo. Ma, anche se l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe ancor più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità dell'universo su di lui; l'universo invece non ne sa niente. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. E’ con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e il tempo che potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensare bene: questo è il principio della morale” (fr. 347).
▪ 1819 - James Watt (Greenock, 19 gennaio 1736 – Handsworth, 19 agosto 1819) è stato un matematico e ingegnere scozzese.
Nacque a Greenock in Scozia, visse e lavorò a Birmingham. Fu uno dei membri principali della Società Lunare. Molte delle sue carte sono conservate nella Birmingham Central Library. A Glasgow c'è un statua a lui dedicata nella piazza principale.
Cronologia
▪ 1754: Apprende la fabbricazione di strumentazione matematica a Glasgow, dove avvia un'attività.
▪ 1757-1763: Fabbrica strumentazione matematica per la Hammermen's guild, a Glasgow.
▪ 1763-1764: Ripara una macchina a vapore di Newcomen, il che lo fa iniziare a pensare a modi per migliorare il motore.
▪ 1767: Supervisore del canale di Forth e Clyde.
▪ 1774: Si mette in affari a Soho, vicino a Birmingham, assieme a Matthew Boulton per produrre la sua macchina a vapore.
▪ 1781: brevetta l'eccentrico.
▪ 1782: brevetta la macchina rotativa.
▪ 1764: Brevetta la macchina a vapore.
▪ 1788: brevetta il volano regolatore.
▪ 1800: Si ritira a Heathfield Hall vicino a Birmingham.
Conseguimenti ingegneristici
Watt inventò una valvola di regolazione (nota ancora oggi come "regolatore di Watt") per mantenere costante la velocità della macchina a vapore.
Trovò il modo di trasformare il moto rettilineo alternato dello stantuffo nel moto rotatorio continuo di un volano (la cosa di cui andava più orgoglioso).
Introdusse il "doppio effetto" ovvero l'immissione di vapore in maniera alternata alle due estremità del cilindro, in modo da azionare il pistone sia nella corsa di andata che in quella di ritorno. Infine inventò l'indicatore per misurare la pressione del vapore durante tutto il ciclo di lavoro del motore.
Watt fu di grande aiuto nello sviluppo dell'allora embrionale macchina a vapore trasformandola in una sorgente di potenza economica e sfruttabile.
Egli realizzò che la macchina di Newcomen sprecava quasi tre quarti dell'energia del vapore nel riscaldamento del pistone e della camera. Watt sviluppò una camera di condensazione separata, che aumentò considerevolmente l'efficienza. Ulteriori raffinamenti resero la macchina a vapore il lavoro della sua vita.
Introdusse un'unità di misura chiamata cavallo vapore per comparare la potenza prodotta dalle macchine a vapore (la sua unità di misura equivale a circa 745,7 Watt). Il cavallo vapore (CV) fino a qualche anno fa era regolarmente usato per indicare la potenza dei motori degli autoveicoli.
L'unità di misura SI della potenza, il Watt, prende nome da lui così come, in parte, la Heriot-Watt University di Edimburgo.
La macchina a vapore di Watt trovò applicazione sulla prima nave a vapore moderna (1807).
▪ 1923 - Vilfredo Federico Damaso Pareto (Parigi, 15 luglio 1848 – Céligny, 19 agosto 1923) è stato un ingegnere, economista e sociologo italiano.
Vilfredo Pareto, ingegnere, economista e sociologo italiano, nacque a Parigi da padre italiano, Raffaele Pareto (1812-1882), un ingegnere esiliato per motivi politici, e da madre francese, Marie Métenier (1813-1889). Nel 1858 la famiglia si trasferì a Torino. Qui studiò, laureandosi nel 1870 in Ingegneria al Politecnico di Torino.
Dopo un periodo trascorso come ingegnere straordinario, a Firenze, presso la Società anonima delle strade ferrate, nel 1880 divenne direttore generale della Società delle ferriere italiane, a San Giovanni Valdarno. In questo stesso periodo, frequentò i circoli culturali fiorentini e, con articoli su riviste italiane ed europee, partecipò intensamente al dibattito politico su posizioni liberiste e antiprotezionistiche.
Nel 1880 e nel 1882 presentò la propria candidatura come deputato, prima nel collegio di Montevarchi, poi nel collegio Pistoia-Prato-San Marcello, ma non fu eletto. Intanto, coltivò i suoi interessi culturali, approfondendo l'economia, la sociologia, gli studi letterari classici.
Nel 1890 conobbe il già insigne economista Maffeo Pantaleoni, cui restò legato per amicizia per il resto della sua vita. Anche grazie a Pantaleoni, nel 1894 fu nominato professore ordinario di economia politica all'Università di Losanna, dove prima di lui aveva insegnato Léon Walras.
Lavorò allo sviluppo e alla sistemazione della teoria dell'equilibrio economico, tenendo, nel 1901, alcune conferenze a Parigi, invitato da Georges Sorel, con il quale fu in ottimi rapporti. In questo periodo ereditò una grossa fortuna da uno zio e fu abbandonato dalla moglie, una russa di nome Bakounin (non imparentata con l'anarchico rivoluzionario), sposata durante gli anni fiorentini.
Si legò more uxorio con Jeanne Régis, una giovane parigina conosciuta tramite un'inserzione su un giornale. Intanto, diventava sempre più vivo l'interesse per la teoria sociologica. Abbandonò progressivamente l'insegnamento, anche per ragioni di salute, e si dedicò alla redazione del grande Trattato di sociologia generale.
Nel 1910 Pareto pubblicò Il mito virtuista e la letteratura immorale, uno scritto mordace e satirico sul fenomeno Virtuista, nel quale l'autore demitizza in maniera irriverente tutte le razionalizzazioni degli uomini bigotti e ipocriti del suo tempo.
Frattanto proseguì l'attività pubblicistica, che s'intensificò dopo la pubblicazione del Trattato, avvenuta nel 1916. Alla fine del 1922 accettò di rappresentare l'Italia nella commissione per la riduzione degli armamenti della Società delle Nazioni e, il 1º marzo del 1923, su proposta dell'allora governo fascista, fu nominato Senatore del Regno.
La nomina non poté essere convalidata perché Pareto rifiutò di sottoporre alla presidenza del Senato i documenti richiestigli. Il 19 giugno dello stesso anno sposò Jeanne Régis. Morì il 19 agosto successivo.
Nel corso della sua vita, oltre alle personalità già menzionate, intrattenne rapporti d'amicizia e di scambi culturali, spesso polemici, con Galileo Ferraris, Ubaldino ed Emilia Peruzzi, Ernest Naville, Yves Guyot, Gustave de Molinari, Antonio De Viti De Marco, Domenico Comparetti, Augusto Franchetti, Arturo Linaker, Ernesto Teodoro Moneta, William Ewart Gladstone, Filippo Turati, James Bryce, Alfred de Foville, Francis Ysidro Edgeworth, Adrien Naville, Ettore Ciccotti, Arturo Labriola, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Giovanni Papini, Giovanni Vailati, Tullio Martello, Luigi Amoroso, Joseph Schumpeter, L. V. Furlan, Napoleone Colajanni, Gaetano Salvemini, Vittore Pansini, Olinto Barsanti, Robert Michels, Corrado Gini, Dino Grandi e Carlo Placci.
Il resoconto giornalistico di una sua conferenza, tenuta nel giugno del 1891, e sciolta d'autorità per l'intervento della polizia, dice: «La scienza economica non considera la proprietà come un dogma, non ne nega i difetti, la riconosce variabile nel tempo e nello spazio; ma seguendo il metodo sperimentale crede che la sua disparizione farebbe oggi più danni che vantaggi».
Il pensiero economico e sociale - Il contributo al marginalismo
Riguardo al suo contributo alla teoria economica, egli, assieme a Johann Heinrich von Thünen, Hermann Heinrich Gossen, Carl Menger, William Jevons e il già nominato Leon Walras, è stato tra i maggiori rappresentanti dell'indirizzo marginalistico o neo-classico, in contrapposizione alla scuola classica dei primi economisti che ha in Adam Smith e in David Ricardo i suoi capostipiti.
A questa impostazione, fondata sul tentativo di trasferire nella scienza economica il metodo sperimentale delle scienze fisiche, con il conseguente uso delle matematiche, e che poi ha dominato lungo tutto il Novecento, si possono ricondurre concetti tipicamente paretiani come la curva della distribuzione dei redditi, il concetto detto poi di ottimo paretiano, le curve di indifferenza, il concetto di distribuzione paretiana.
Restando al concetto della curva della distribuzione dei redditi, o legge di Pareto, essa è l'estrapolazione statistica operata da Pareto del fatto che, non solo il numero di percettori di reddito medio è più elevato del numero di coloro che percepiscono redditi molto sopra e molto sotto la media, ma anche del fatto che, man mano che si considerano livelli di reddito sempre più alti, il numero dei percettori diminuisce in un modo che è all'incirca uguale in tutti i paesi e in tutte le epoche. Tale legge è stata poi variamente affinata e modificata sia nella sua base empirica che nella formalizzazione matematica, ma è rimasto il problema di sapere se la distribuzione dei redditi è probabilistica, e dunque risultante dalle abilità naturali umane distribuite casualmente in una popolazione, oppure influenzata da fattori ambientali che quindi generano ingiustizie.
In definitiva, come si vede, dal marginalismo, e in particolare dagli sviluppi apportati da Pareto, viene fuori una metodologia utile, al di là dei regimi economici preferiti, ad affrontare problemi di remunerazione e di allocazione delle risorse. L'indice di Pareto è tuttora una misura delle ineguaglianze della distribuzione dei redditi.
Tuttavia, negli ultimi decenni del secolo scorso, l'impostazione marginalistica, e quindi anche quella di Pareto, è stata soggetta a critiche stringenti. Si è infatti obiettato che non sempre ciò che l'agente sceglie è ciò che egli preferisce, nel senso che l'agente economico non è quell'attore perfettamente razionale che l'approccio marginalista presuppone. I neoclassici rispondono che il loro modello non si applica ad ogni individuo ma solo al consumatore rappresentativo o medio. Per quanto concerne l'ottimo paretiano, una critica particolarmente incisiva è stata quella di Amartya Sen che, tra l'altro in un suo lavoro del 1970, argomenta, sulla scorta del Teorema di Arrow, l'impossibilità matematica del liberismo paretiano.
Dall'economia alla sociologia
Proprio sul terreno delle costanti della natura umana e della razionalità dell'agente avviene il passaggio di Pareto dall'economia alla sociologia. Lo studio statistico della distribuzione dei redditi gli aveva fornito una prima evidenza della stabilità della natura umana pur nel variare delle situazioni storico-geografiche. D'altra parte, l'osservazione del comportamento non solo economico, ma più generalmente sociale, lo portava a constatare come l'individuo sociale agisca solo raramente secondo una razionalità strumentale di mezzi adeguati al fine. A suo modo, Pareto anticipa la critica antimarginalista, ma invece di rispondervi restando nel recinto dell'analisi economica, passa a fondare quella che egli chiamava la «sociologia scientifica».
Il punto di partenza di questa nuova sociologia che, secondo Pareto, né Auguste Comte né Herbert Spencer erano stati in grado di concepire, è che nella maggior parte dei casi, l'individuo sociale si comporta in maniera non logica, ovvero senza uno scopo apparente e, comunque, senza una chiara coscienza dello scopo perseguito. Un marinaio dell'antica Grecia che, apprestandosi a navigare, sacrifica agli dei, compie un'azione in nulla adeguata, o utile, al suo scopo di navigare. E quando parliamo, non abbiamo nessuna coscienza esplicita delle competenze grammaticali che utilizziamo per raggiungere lo scopo di enunciare frasi ben formate. Il problema è però che l'individuo sociale, pur agendo in modo non logico, cosa che lo accomuna alle specie animali, rispetto a queste ultime presenta la caratteristica di accompagnare i propri comportamenti con delle formulazioni verbali, la cui funzione è quella di fornire un motivo del comportamento stesso. Si muore in combattimento per qualcosa che chiamiamo patria, e allo stesso tempo si sottoscrive al motto che vuole che sia dolce e meritevole di lode il morire per la patria. La sociologia scientifica dovrà allora spiegare quali sono le costanti del comportamento sociale non logico, e quali sono le caratteristiche e la funzione del discorso sociale.
Da questo nucleo di problemi nasce la sociologia di Pareto, costituita da quattro grandi contrafforti: la teoria dell'azione non logica, la teoria dei residui e delle derivazioni, la teoria delle élites, la teoria dell'equilibrio sociale.
Quanto alla teoria dell'azione non logica, oltre a ciò che si è già anticipato, si può aggiungere che essa costituisce una classificazione dei comportamenti sociali nei suoi aspetti percettivo-motori e linguistico-cognitivi.
Un particolare interesse è rivolto verso i comportamenti linguistici. Per Pareto, il linguaggio in quanto competenza grammaticale è il tipo puro di azione non logica.
La teoria dei residui e delle derivazioni intende spiegare natura e funzionamento delle manifestazioni simboliche, o derivate, che accompagnano il comportamento sociale, e in particolare natura e funzionamento del discorso sociale.
I motivi che l'individuo sociale adduce a giustificazione dei suoi comportamenti, sono, secondo Pareto, arbitrari rispetto alle effettive motivazioni dell'agire. Nonostante ciò, dalla grande varietà di essi, è possibile risalire alle costanti della natura umana - in termini più attuali, della mente sociale. Dai discorsi è possibile, dunque, risalire ai residui, o motivazioni costanti dell'agire, e alle tecniche verbali, o derivazioni, tramite le quali vengono prodotti i discorsi. In questo senso, la teoria dei residui e delle derivazioni è, al tempo stesso, una teoria della cognizione sociale e una teoria delle tecniche argomentative che l'individuo sociale adopera nella costruzione dei suoi discorsi.
Questo schema analitico non sempre è perseguito in maniera limpida. E ciò soprattutto per i residui. Tuttavia, ciò che emerge abbastanza chiaramente è che la cognizione sociale, nei suoi scambi con l'ambiente, incorpora una tendenza alle combinazioni e una tendenza agli aggregati.
La prima genera le novità. La seconda assicura la stabilità. Questo livello psicologico è duplicato da un livello normativo che, a sua volta, presenta due tendenze, il mantenimento dell'ordine e la sua trasformazione sulla base di istanze di giustizia. In questo modo, il comportamento dell'individuo sociale, anche nei suoi aspetti più minuti e ripetitivi, appare sempre cognitivamente marcato e normativamente orientato. Uno dei difetti di questo sofisticato modello della cognizione sociale è, tuttavia, quello di operare con un concetto di norma assai ristretto, che nega l'incidenza pratica di ciò che Pareto chiama gli «equilibri ideali», ovvero ciò che un filosofo come Kant chiamerebbe gli ideali della ragione universale. L'agire dell'individuo sociale appare così rinchiuso entro un rapporto costrittivo di conformismo e di eterodirezione.
Venendo alla teoria delle élites, essa è un'ulteriore conseguenza dell'ipotesi di Pareto circa, non solo la costanza della natura umana, ma anche di una sua preminenza sui fattori ambientali.
In ogni ramo dell'attività sociale, sostiene Pareto, vi sono individui che, sulla base di determinate abilità, eccellono. Pertanto, in forza di questo fatto, costoro entrano a far parte dell'élite corrispondente, pur in presenza di fattori distorsivi.
L'attenzione di Pareto si appunta sull'élite politica, ma la sua teoria delle élites non è solo una teoria del rapporto tra governanti e governati, ma più generalmente una teoria della stratificazione sociale su base naturale.
Questo è sicuramente ciò che la differenzia dalla coeva teoria della classe governante di Gaetano Mosca, fra i fondatori della moderna scienza politica, cui lo si associa ormai acriticamente, benché Pareto, a ragione, abbia sempre rivendicato l'autonomia della sua teorizzazione. Tuttavia, come affermato, vi è in Pareto una particolare attenzione per il rapporto tra l'élite di governo, cioè coloro che eccellono nell'arte del comando politico, e i governati. La storia, egli afferma, è un cimitero di élite, ovvero un susseguirsi di sempre nuovi ma, nella loro struttura, sempre immodificabili rapporti unilaterali di rispetto tra governanti e governati.
Infine, a coronamento di questo grandioso edificio, sta la teoria dell'equilibrio sociale. La quale, tuttavia, è la parte più debole di tutta la sua costruzione. Pareto è conscio dell'impossibilità di una formalizzazione matematica.
Inoltre, la scelta di un concetto di equilibrio come equilibrio meccanico, rende questa parte della sua sociologia una faticosa argomentazione intorno ai vincoli sistemici dell'agire degli individui sociali.
Di notevole vi è sicuramente il tentativo di Pareto di spiegare il divenire sociale senza rinunciare al presupposto della costanza della natura umana. Ne deriva un pessimismo "ondulatorio" che non riesce però a conciliare il susseguirsi dei cicli sociali con il fatto, pur riconosciuto, del progressivo stabilirsi della «ragione» nelle attività umane.
Pur con questo ed altri limiti, che si sono venuti man mano segnalando, Pareto, nel suo tentativo di una «sociologia scientifica», desta ammirazione anzitutto per la creatività e la grandezza di vedute con cui ha saputo districarsi dalle difficoltà del paradigma economico marginalistico, alla cui piena ma problematica maturità aveva contribuito egli stesso; in secondo luogo, per averci assicurato una fra le più originali indagini intorno alla mente dell'individuo sociale, la cui portata è ancora in larga parte da valutare e sfruttare.
Il pensiero politico
Riguardo al suo pensiero politico, Pareto fu il primo ad introdurre il concetto di elite, che trascende quello di classe politica e comprende l'analisi dei vari tipi di elites. È un liberista, insegna per un certo periodo economia politica all'università di Losanna.
La sua teoria delle elites trae origine da un'analisi dell'eterogeneità sociale e dalla constatazione delle disuguaglianze, in termini di ricchezza e di potere, presenti nella società. Pareto intende studiare scientificamente queste disuguaglianze, percepite da lui come naturali. Nel corso del suo sviluppo, ogni società ha dovuto di volta in volta misurarsi con il problema dello sfruttamento e delle distribuzione di risorse scarse. L'ottimizzazione di queste risorse è quella che viene assicurata, in ogni ramo di attività, dagli individui dotati di capacità superiori: l'elite.
È interessato in particolar modo alla circolazione delle elites: "la storia è un cimitero di elites". A un certo punto l'elite non è più in grado di produrre elementi validi per la società e decade; nelle elites si verificano due tipi di movimenti: uno orizzontale (movimenti all'interno della stessa elite) e uno verticale (ascesa dal basso o declassamento dall'elite).
Altro punto cardine della teoria paretiana è che l'umanità agisce principalmente secondo azioni non logiche. Tali azioni non logiche (si badi, è una cosa diversa da illogiche) prendono il nome di residui: manifestazione di qualcosa di non razionale che condiziona la nostra vita. Fra le sei classi di residui individuate da Pareto due sono fondamentali: l'istinto delle combinazioni (propensione al cambiamento) e la persistenza degli aggregati (tendenza alla conservazione delle tradizioni). Se in un'elite prevale l'istinto delle combinazioni essa sarà aperta, propensa all'avvento di nuovi ingressi; se, viceversa, prevale la persistenza degli aggregati sarà chiusa, propensa a scarsa circolazione, etc... Per giustificare a posteriori le proprie azioni e difendere i propri interessi si fa ricorso alle derivazioni: attribuiscono all'agire politico la connotazione di oggettiva necessità sociale (sono perciò, per sommi capi, assimilabili alla nozione di formula politica di Gaetano Mosca). Pareto si dichiara realista e seguace di Machiavelli, la sua è una descrizione della realtà con sfondi piuttosto pessimistici. È conservatore, teme il suffragio universale, in economia ha fiducia nel liberismo e nel libero mercato; è antisocialista, anche alla luce di quanto accade nella Russia della rivoluzione d'ottobre.
Analizzando alcuni brani tratti da "I sistemi socialisti" si possono trarre alcune considerazioni sull'impianto teorico di Pareto:
▪ Chi è al potere è anche, necessariamente, il più ricco: chi sta in alto non gode solo di potere politico, ma di tutta una serie di privilegi,
▪ L'elite svetta per le sue qualità, che possono essere sia buone che cattive,
▪ Le elites sono tutte colpite da una decadenza piuttosto rapida,
▪ Una elite che non si rigenera è destinata a perire brevemente (traspaiono, qui, retaggi tipici del darwinismo sociale),
▪ Elementi di ricambio per le elites possono provenire dalle classi rurali, le quali subiscono una selezione più forte rispetto alle classi agiate; le classi agiate tendono a salvare tutti i loro figli, facendo si che rimangano in vita anche elementi deboli e non adatti. Questo significa che l'elite al potere avrà in sé anche gli elementi peggiori e ciò la destina a peggiorare,
▪ Ricorso alla metafora del fiore: l'elite è come un fiore, appassisce, ma se la pianta, cioè la società, è sana, essa farà subito nascere un altro fiore.
La filosofia della storia di Pareto si fonda sulla circolazione continua delle elites. Non esiste per Pareto un'idea trionfante in politica, vede la storia come un moto ondoso: l'idea che trionfa oggi domani decade, ma dopodomani potrà tornare in auge.
Analizzando alcuni brani tratti da "Trattato di sociologia generale" si possono trarre alcune considerazioni sul pensiero di Pareto:
▪ Non c'è netta separazione tra azione logica e azione non logica: un' azione concreta presenta in misura differente tratti di entrambe le categorie,
▪ I residui fanno si che i comportamenti umani si differenzino e non vi siano piattezza e omologazione: permettono, quindi, la circolazione,
▪ Chi studia l'eticità e la morale di un popolo lo fa sempre con interesse: egli dà una qualifica alla morale perché la vuole imporre.
▪ In realtà la morale è qualcosa di molto difficile da qualificare e da imporre: la morale non è logica ma residuale (questo è certamente un discorso libertario). Chi governa non lo fa per il bene della collettività ma esclusivamente per il proprio interesse: la necessità di giustificarsi agli occhi dei governati lo fa ricorrere alle derivazioni. Le clientele in democrazia hanno un ruolo simile a quello dei vassalli nel feudalesimo. La democrazia così come la intendono i teorici (cioè come governo popolare) non è altro che un "pio desiderio". Clientelismo e consorterie non sono una degenerazione della democrazia: sono invece la realtà della democrazia: non è mai esistita una democrazia non interessata da questi fenomeni e la storia lo dimostra. Ci sarà sempre chi, stringendo un patto con le elites al potere, ne trae personale beneficio a scapito degli altri. "Il governare è l'arte di adoperare i sentimenti esistenti", questa frase dimostra il pragmatismo di Pareto.
▪ 1932 - Leone Wollemborg (Padova, 4 marzo 1859 – Camposampiero, 19 agosto 1932) è stato un economista e politico italiano, ebbe il merito di contribuire notevolmente in Italia alla diffusione dell'idea cooperativa di fine dell’Ottocento.
▪ 1936 - Federico García Lorca (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936) è stato un poeta e drammaturgo spagnolo appartenente alla cosiddetta generazione del '27, un gruppo di scrittori che affrontò le Avanguardie europee con risultati eccellenti, tanto che la prima metà del Novecento viene definita la Edad de Plata della letteratura spagnola.
Apertamente a favore delle forze repubblicane, scoppiata la Guerra civile spagnola viene per questo ucciso dai falangisti seguaci di Francisco Franco.
Nato in una famiglia di piccoli proprietari terrieri nel paesino di Fuente Vaqueros, García Lorca è per vari aspetti un ragazzo prodigio, sebbene non raggiunga mai l'eccellenza - non per incapacità, ma per le pieghe del suo complesso carattere - in ambito scolastico. Nel 1909, si trasferisce assieme alla famiglia a Granada, vicina città dell'Andalusia, dove ben presto rimane profondamente coinvolto nelle attività dei circoli artistici del luogo. La sua prima opera letteraria, Impresiones y paisajes, viene pubblicata nel 1918, ma non ha particolare successo, se non in ambito locale.
Nel 1919, giunge, per proseguire gli studi, a Madrid, dimorando presso la famosa Residencia de Estudiantes. All'Università stringe amicizia con Luis Buñuel e Salvador Dalí, così come con molti altri personaggi che oggi annoveriamo tra i più importanti della storia spagnola.
Tra questi, Gregorio Martínez Sierra, il Direttore del Teatro Eslava, dietro invito del quale Lorca scrive e mette in scena, nel 1919-20, la sua opera d'esordio, El maleficio de la mariposa, che però non viene accolta bene dal pubblico.
Nel giro di pochissimi anni, García Lorca sa però ribaltare questi iniziali insuccessi, divenendo membro di spicco dell'avanguardia artistica del proprio Paese: pubblica ulteriori raccolte di poesie, tra le quali Canciones e Romancero Gitano, forse il suo libro più conosciuto. Sul fronte teatrale, Mariana Pineda, con fondali disegnati da Dalí, debutta con clamoroso trionfo a Barcellona.
Tuttavia, verso la fine del 1929, García Lorca cade vittima di una depressione sempre più profonda, esacerbato frutto dei sensi di colpa per una omosessualità che comunque sempre meno riesce a mascherare con amici e parenti, e tutto questo mentre al contrario la fama del suo Romancero Gitano cresce esponenzialmente. Vedendo il peggiorare delle condizioni psicologiche di Federico, anche se forse ne ignoravano la causa, la famiglia di Lorca organizza per lui - con la complicità di Fernando de los Ríos, amico attraverso il quale si riesce ad ottenere una borsa di studio - un viaggio negli Stati Uniti d'America.
Questo viaggio, ed in particolare il soggiorno a New York, dove Federico frequenta per un breve lasso la Columbia University, assume una importanza fondamentale nella produzione poetica di Lorca, che difatti compone quello che molti giudicano il suo capolavoro, ovverosia Poeta en Nueva York, incentrato sull'alienazione dell'uomo nella società moderna e sui meccanismi che permettono ai pochi di dominare sui molti. Un'opera, come si comprende, molto avanti sul resto del panorama artistico coevo, così come lo sono le pièces teatrali che realizza in questo periodo, Así que pasen cinco años e El público, tanto che quest'ultima verrà pubblicata solo al termine degli anni Settanta del secolo scorso, e mai integralmente.
Dopo un breve ma importante e intenso soggiorno a Cuba, il suo ritorno in Spagna nel 1930 coincide con la caduta della dittatura di Primo de Rivera ed il ristabilirsi della democrazia. Nel 1931, García Lorca viene nominato direttore della compagnia Teatro Universitario la Barraca. Questa compagnia, fondata dal Ministro dell'Educazione, riceve l'incarico di portare in giro la propria produzione nelle più remote aeree rurali del Paese. Lorca non si limita a dirigere, ma ne è anche attore. È durante questo tour con La Barraca, che García Lorca scrive le sue opere di teatro più note, e denominate 'trilogia rurale': Bodas de sangre, Yerma e La casa de Bernarda Alba.
Scoppia la Guerra civile spagnola: García Lorca lascia Madrid per Granada, nonostante debba essere conscio del fatto che si sta praticamente votando alla morte andando a raggiungere una città con la fama di essere abitata dalla oligarchia più conservatrice d'Andalusia. García Lorca e suo cognato, che era anche il sindaco socialista di Granada, sono effettivamente arrestati. Lorca viene fucilato dai Falangisti il 19 agosto 1936 perché di sinistra e omosessuale e gettato in una tomba senza nome a Fuentegrande de Alfacar nei dintorni di Víznar, vicino Granada, anche se va aggiunto che esiste tuttora un' accesa controversia circa i dettagli di questa esecuzione.
Recentemente a Fuentegrande de Alfacar (Granada), tecnici incaricati dalle autorità andaluse di condurre uno studio specifico per l'individuazione della fossa comune, dove si suppone sia stato gettato il corpo, hanno accertato con l'impiego del georadar l'esistenza effettiva di una fossa comune con tre separazioni interne, dove riposerebbero sei corpi.
Il 29 ottobre 2009, sotto la spinta del governo andaluso, sul sito individuato, sono iniziati i lavori di scavo con l'obiettivo di individuare gli eventuali resti del poeta; questi interesseranno un'area di circa 200 metri quadrati e dureranno approssimativamente due mesi. Assieme ai resti di Lorca dovrebbero essere esumati quelli di almeno altre tre persone: i banderilleros (toreri) anarchici Joaquin Arcollas e Francisco Galadì e il maestro repubblicano Dioscoro Galindo. Secondo le autorità della regione autonoma dell'Andalusia, sarebbero stati sepolti nella stessa zona e forse nella stessa fossa comune anche l'ispettore fiscale Fermin Roldan e il restauratore di mobili Manuel Cobo.
▪ 1954 - Alcide De Gasperi [gà-spe-ri] o più propriamente Degasperi [1] (Pieve Tesino, 3 aprile 1881 – Borgo Valsugana, 19 agosto 1954) è stato un politico italiano. Prima esponente del Partito Popolare Italiano e poi fondatore della Democrazia Cristiana con il suo scritto Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, è stato il primo Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. Viene oggi considerato come uno dei padri della Repubblica e, insieme al francese Robert Schuman, al tedesco Konrad Adenauer e all'italiano Altiero Spinelli, dell'Unione Europea.
«Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione.»(Alcide De Gasperi)
De Gasperi nacque in una famiglia povera: infatti i suoi genitori dovettero chiedere un sussidio allo stato per farlo studiare. Era il primo dei quattro figli di Maria Morandini, nata a Predazzo, ed Amedeo De Gasperi. Dopo di lui nacquero Mario, che fu sacerdote, Marcella ed Augusto.
Il periodo austroungarico
Italiano di lingua e cultura, De Gasperi nacque e si formò nel Trentino, regione che all'epoca era parte dell'Impero austro-ungarico. Fin da giovanissimo partecipò ad attività politiche di ispirazione cristiano-sociali: nel periodo degli studi universitari, a Vienna e ad Innsbruck, fu leader del movimento studentesco e protagonista delle lotte degli studenti trentini, che miravano ad ottenere un'università in lingua italiana per le minoranze italofone dell'impero. Dovette scontare per queste sue attività anche un giorno di reclusione ad Innsbruck.
Nel 1905 entrò a far parte della redazione del giornale Il Trentino e in breve tempo assunse la carica di direttore, scrisse una serie di articoli con cui difendeva l'italianità e l'autonomia culturale del Trentino dai tentativi di germanizzazione proposti dalle forze politiche nazionaliste del Tirolo tedesco, ma non mise in discussione l'appartenenza all'Impero austro-ungarico. Nelle elezioni del Parlamento Austro-Ungarico del 13 e 20 giugno 1911 venne eletto tra le file dei Popolari: nel suo collegio elettorale di Fiemme-Fassa-Primiero-Civizzano, di 4275 elettori, ottenne ben 3116 voti. Il 27 aprile 1914 ottenne anche un seggio nella Dieta Tirolese di Innsbruck. Anche il suo impegno di Parlamentare, più che all'irredentismo, fu legato alla difesa dell'italianità e dell'autonomia delle popolazioni trentine. La sua attività propagandistica finì con l'essere tenacemente avversata dagli organi polizieschi in seguito al precipitare degli eventi internazionali: l'attentato di Sarajevo che determinò lo scoppio della prima guerra mondiale e soprattutto l'adesione dell'Italia alla Triplice Intesa. Inizialmente De Gasperi sperò che l'Italia entrasse in guerra a fianco dell'Austria e della Germania sulla base della Triplice Alleanza. Quando ciò non avvenne, si impegnò perché fosse almeno mantenuta la neutralità italiana. In questo modo la politica di De Gasperi era in aspro contrasti con quella di Cesare Battisti, che in quello stesso anno si recò a Roma invitando il re ad entrare in guerra accanto alle potenze dell'Intesa. Prova della sua posizione non ostile agli Asburgo è la dichiarazione in un colloquio con Conrad von Hoetzendorf secondo cui, nel caso di un referendum popolare, i trentini avrebbero optato per l'Austria nell'ambito del 90%. Con l'entrata in guerra dell'Italia, anche "Il Trentino" fu travolto dalla censura: il numero del 22 maggio 1915 venne provocatoriamente stampato con sole pagine bianche; De Gasperi decise di sospendere le pubblicazioni per prevenire il pubblico sequestro.
Durante il periodo in cui il Parlamento di Vienna rimase inoperoso (dal 25 luglio 1914 al 30 maggio 1917), De Gasperi si dedicò soprattutto ai profughi di guerra. A tal fine venne nominato delegato per l'Austria Superiore e per la Boemia occidentale del Segretariato per i profughi e rifugiati. Anche dopo la riapertura del Parlamento continuò a occuparsi del tema, tanto che presentò e fece approvare una legge per regolare il trattamento loro riservato. Quando fu prevedibile il crollo dell'Impero, le sue posizioni politiche cambiarono e si fece fautore del diritto all'autodeterminazione dei popoli: nel maggio 1918 fu tra i promotori di un documento comune sottoscritto dalle rappresentanze dei polacchi, dei cechi, degli slovacchi, dei rumeni, degli sloveni, dei croati e dei serbi. E il successivo 24 ottobre partecipò alla formazione del Fascio nazionale, comprendente popolari liberali trentini e liberali giuliani e adriatici.
Dal primo dopoguerra al fascismo
Nel 1919 aderì al Partito Popolare Italiano promosso da don Luigi Sturzo; solo nel 1921 venne eletto deputato a Roma, in quanto il Trentino fino a quell'epoca era stato sottoposto a regime commissariale.
Nel 1922 si sposa con Francesca Romani nella chiesa arcipretale di Borgo Valsugana. Nasceranno quattro figlie, una delle quali entrerà in monastero.
Al tempo delle dimissioni di Don Sturzo da segretario del PPI De Gasperi era capogruppo alla Camera. Nel 1925 assunse la segreteria del partito popolare.
Dopo l'iniziale sostegno del suo partito nella prima parte del governo Mussolini, tanto che nel 1923 i popolari cercarono inizialmente di trovare un compromesso sulla legge Acerbo,[2] De Gasperi tenne un discorso alla Camera dei Deputati il 15 luglio 1923 esplicando il suo atteggiamento verso quella legge.[3][4] Successivamente si oppose all'avvento del fascismo finché, isolato dal regime, fu arrestato alla stazione di Firenze l'11 marzo 1927, insieme alla moglie, mentre si stava recando in treno a Trieste. Al processo che seguì venne condannato a 4 anni di carcere e ad una forte multa.
Dopo la scarcerazione, alla fine del luglio 1928, venne continuamente sorvegliato dalla polizia e dovette trascorrere un periodo di grandi difficoltà economiche e isolamento sia morale che politico. Senza un impiego stabile, provò a presentare domanda presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. nell'autunno 1928, contando sull'interessamento del vescovo di Trento, mons. Celestino Endrici, e di alcuni amici ex popolari. Lo stesso capo bibliotecario Igino Giordani si adoperò presso padre Tacchi Venturi affinché i pedinamenti della polizia terminassero[5][6]. L'assunzione - come impiegato avventizio - venne soltanto dopo la firma dei Patti Lateranensi (1929).
In quella sede passò lunghi anni di studio e di osservazione degli avvenimenti politici italiani e internazionali, nonché di approfondimento della storia del partito cristiano del Centro in Germania e delle teorie economiche e sociali maturate in seno alle varie correnti della cultura cattolica europea.
Nel 1942-43, durante la Seconda guerra mondiale, compose, insieme ad altri, l'opuscolo Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana in cui esprimeva le idee alla base del futuro partito della Democrazia Cristiana di cui sarebbe stato cofondatore.
Una volta liberato il sud Italia ad opera delle forze anglo-americane, entrò a far parte in rappresentanza della Democrazia Cristiana (DC) nel Comitato di Liberazione Nazionale. Durante il governo guidato da Ivanoe Bonomi fu ministro senza portafoglio, mentre dal dicembre del 1944 al dicembre del 1945 venne nominato ministro degli esteri. Nello stesso anno fonda il Centro Nazionale Sportivo Libertas.
La vicenda De Gasperi - Guareschi
Nel 1954 Giovanni Guareschi pubblicò sul giornale umoristico Candido due lettere attribuite a De Gasperi datate 1944.
In questi documenti, De Gasperi avrebbe chiesto agli Angloamericani di bombardare la periferia della città di Roma, al fine di demoralizzare la popolazione ed indurla ad atti ostili contro i tedeschi.
Guareschi venne condannato per diffamazione e passò un anno e mezzo in carcere. In diverse occasioni è stato affermato che Guareschi dichiarò di essersi sbagliato ma questa dichiarazione, secondo i figli dello stesso Guareschi, non è mai avvenuta.[7]
Nella Repubblica italiana
Nel 1945 fu nominato presidente del consiglio dei ministri, l'ultimo del Regno d'Italia. Durante tale governo fu proclamata la Repubblica e perciò fu anche il primo governo dell'Italia repubblicana, e guidò un governo di unità nazionale, che durò fino alle elezioni del 1948.
Da ricordare che il 12 giugno del 1946, allorché il consiglio dei ministri da lui presieduto procedette alla proclamazione della repubblica prima che la Corte di cassazione proclamasse i risultati definitivi del referendum del 2 e 3 giugno, egli ricoprì la carica di capo provvisorio dello Stato e dunque a lui furono trasmesse le funzioni fino allora esercitate dal re Umberto II: in quelle ore si ebbe il drammatico scambio di battute con Falcone Lucifero, in cui De Gasperi affermò «o lei verrà a trovare me a Regina Coeli, o io verrò a trovare lei»[8].
De Gasperi cumulò nella sua persona le due cariche di capo del Governo (presidente del Consiglio dei ministri) e di capo dello Stato fino al 1º luglio, quando Enrico de Nicola, eletto Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno dall'Assemblea Costituente, prese ufficialmente possesso della carica.
Il 10 agosto 1946 intervenne a Parigi alla Conferenza di pace, dove ebbe modo di contestare, attraverso un elegante e impeccabile discorso, le dure condizioni inflitte all'Italia dalla Conferenza.
«Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me [...]» (Alcide De Gasperi, Parigi 1946)
Nel gennaio 1947 ebbe luogo la celebre missione di De Gasperi negli Stati Uniti, nel corso della quale lo statista conseguì un importante successo politico con l'ottenere dalle autorità americane un prestito Eximbank di 100 milioni di dollari.
L'apertura di un dialogo costruttivo tra i due paesi conferì a De Gasperi la motivazione e il sostegno necessari ad attuare l'ambizioso disegno di un nuovo governo senza le sinistre e con l'apporto di un gruppo di "tecnici" guidati da Luigi Einaudi. La formazione del quarto gabinetto De Gasperi contribuirà a ripristinare la credibilità dell'azione di governo, consentendo l'adozione della strategia antinflazionistica nota come "linea Einaudi".[9].
Nell'occasione fu il terzo italiano ad essere onorato di una ticker-tape parade dalla città di New York, e sarà l'unico a ripeterne l'esperienza, nel 1951.
Le elezioni del 18 aprile del 1948 furono tra le più accese della storia repubblicana, visto lo scontro tra la DC ed il Fronte Popolare, composto da socialisti e comunisti. De Gasperi riuscì a guidare la DC ad uno storico successo, ottenendo il 48% dei consensi (il risultato più alto che qualsiasi partito abbia mai raggiunto in Italia) e fu nominato Presidente del primo Consiglio dei ministri dell'Italia repubblicana.
In un'Italia oberata dal ricordo di vent'anni di dittatura fascista e spaventosamente logorata dalla Seconda guerra mondiale, De Gasperi affrontò con dignità politica le trattative di Pace con le potenze vincitrici, riuscendo a confinare le inevitabili sanzioni principalmente all'ambito del disarmo militare, ed evitando la perdita di territori di confine come l'Alto-Adige e la Valle d'Aosta. Cercò inoltre di risolvere a vantaggio dell'Italia la questione della sovranità di Trieste e dell'Istria, ove ebbe meno fortuna. Finanziò una rivista, Terza generazione, il cui scopo era di unire i giovani al di là dei partiti e superare la divisione tra fascisti e antifascisti.
Sempre in politica estera concluse importanti accordi con le potenze occidentali per finanziare la ricostruzione e il riassetto dell'economia italiana.
La situazione precaria del paese migliorava molto lentamente, provocando il malcontento del movimento operaio e sindacale; ad alimentare la protesta e i disagi fu anche una spaventosa alluvione del Po che fece molte vittime nella zona agricola delle province di Rovigo e Ferrara (1951). Nel 1952, per il timore di una affermazione in Italia delle posizioni marxiste, il Vaticano avallò per le elezioni amministrative del comune di Roma un'alleanza elettorale ad ampia portata che coinvolgesse anche i neofascisti.[10]
La Santa Sede non avrebbe accettato che la "Città Eterna", in quanto sede della Cristianità, potesse essere amministrata da un sindaco socialista. De Gasperi si oppose decisamente a questa ipotesi per motivi morali e per il suo passato antifascista, ed anche per sostenere la sua visione laica dello stato. La coalizione con le destre non venne accettata ed egli seppe resistere sulle sue posizioni sino a quando il Papa si arrese di fronte all'impraticabilità della proposta. L'incidente diplomatico con il Vaticano tuttavia turbò profondamente l'animo di De Gasperi; ai suoi collaboratori scrisse:
«Proprio a me, un povero cattolico della Valsugana, è toccato dire di no al Papa »
Tuttavia lo stesso anno Pio XII non ricevette in Vaticano De Gasperi in occasione del trentennale delle sue nozze con Francesca Romani.[10]
Mantenne la carica di presidente del Consiglio fino all'agosto 1953, dimettendosi a causa del fallimento della legge elettorale, denominata dai suoi avversari legge truffa. Si dice (erroneamente) che tale legge fu voluta da lui stesso, mentre in realtà furono i partiti minori a volerla: infatti questi, grazie alle alleanze che si potevano formare anche dopo le elezioni, potevano recuperare i voti perduti.
Convinto sostenitore della necessità di una integrazione europea, e critico nei confronti dell'ingresso dell'Italia nella NATO, cui avrebbe di gran lunga preferito la creazione di una Comunità Europea di Difesa, Alcide De Gasperi morì il 19 agosto 1954 nella sua casa in Val di Sella (comune di Borgo Valsugana), dove amava trascorrere lunghi periodi assieme alla famiglia. La sua scomparsa improvvisa, lontano dal clamore e dall'attenzione dei palazzi romani, suscitò vasta commozione in tutta Italia; il lungo tragitto in treno con cui la salma raggiunse Roma per le esequie di Stato, fu rallentato da numerose soste impreviste perché le masse erano accorse da ogni parte per rendere omaggio alla salma. Dentro e fuori alla chiesa dove si celebrò il funerale furono presenti rappresentanze di tutti i partiti, fatta eccezione per i deputati del MSI i quali, visto il passato di antifascista di De Gasperi, si rifiutarono di presenziare al suo funerale. Attualmente si trova sepolto a Roma, nel porticato della Basilica di San Lorenzo fuori le Mura.
Il processo di beatificazione
Poco dopo la sua morte, iniziarono le richieste di avviare per lui il processo di beatificazione.
È in corso a Trento la fase diocesana del processo di canonizzazione, che è stata aperta nel 1993, per cui la Chiesa cattolica ha assegnato ad Alcide De Gasperi il titolo di Servo di Dio.
Cinematografia
La figura di De Gasperi è la principale protagonista del film neorealista diretto da Roberto Rossellini Anno uno (1974), ruolo che venne interpretato da Luigi Vannucchi, in cui si trova una ricostruzione del periodo storico che va dalle operazioni del Comitato di liberazione nazionale a Roma, e della fiction RAI De Gasperi, l'uomo della speranza (2004), girata dalla regista Liliana Cavani e trasmessa in due parti su Rai Uno. Interprete dello statista il giovane attore italiano Fabrizio Gifuni, figlio di Gaetano, ex segretario generale della Presidenza della Repubblica.
Note
1. Sulla grafia corretta del cognome sussistono varie discussioni, poiché secondo alcuni sarebbe Degasperi: tesi inoppugnabile dal punto di vista storico, come comprovato dal registro parrocchiale di Pieve Tesino. Lo stesso statista trentino si firmava per l'appunto Degasperi, come risulta, ad esempio, dalla copia originale del trattato noto come Degasperi-Gruber. Tuttavia per consuetudine si tende ad utilizzare la grafia De Gasperi.
2. La "legge Acerbo" e le elezioni politiche del 1924. URL consultato il 25 - 09 - 2007.
3. Testo del discorso
4. Il suo discorso alla Camera dei Deputati il 15 luglio 1923
5. Igino Giordani Alcide De Gasperi, il ricostruttore articolo pubblicato su Historia Aprile 1963 n° 65 pag 20: "Ricordo d'essermi recato io stesso dal padre gesuita Tacchi Venturi, il quale godeva di notevole credito presso il Duce, a pregarlo d'intervenire perché De Gasperi fosse lasciato in pace. Mi fu riferito che, venuta la cosa a conoscenza di Mussolini, costui si era sorpreso che ancora De Gasperi fosse trattato in quel modo; e aveva dato l'ordine che lo lasciassero in pace."
6. L'appunto di un informatore fascista in Vaticano del 22 febbraio 1941 recitava: «È opportuno far vigilare moltissimo l' ex on. Alcide De Gasperi (egli abita in Roma). Egli attualmente riveste la carica di segretario della biblioteca apostolica vaticana. È un protetto di monsignor Montini con il quale ci risulta che si incontra non in Segreteria di Stato» (Dino Messina, Corriere della Sera (8 ottobre 2003) - pagina 35.
7. Così nasce la leggenda di un “errore” (mai riconosciuto ) e di due incontri (mai avvenuti)
8. "L’ultimo monarca gli aveva promesso che in caso di sconfitta avrebbe lasciato immediatamente l’Italia. Così appena il ministro degli Interni Romita la sera del 4 giugno gli comunicò i risultati abbastanza sicuri, con due milioni di vantaggio per la repubblica, il presidente del Consiglio avvertì della situazione il ministro della real casa Falcone Lucifero. (...) Ne nacque un contenzioso giuridico cui si aggiunse il sospetto di brogli e il ricorso alla Cassazione dei monarchici. Il 10, l’11 e il 12 giugno tra De Gasperi e Umberto, che infine il 13 sarebbe partito in aereo per Lisbona, ci fu un vero braccio di ferro. Il re sconfitto, condizionato dal suo entourage, non voleva più partire fino alla pronuncia ufficiale della corte di Cassazione e si dichiarava disposto al massimo a delegare a De Gasperi i poteri di luogotenente. Poteri di capo dello Stato che invece spettavano provvisoriamente per legge al primo ministro fino alla nomina del nuovo Presidente da parte dell’assemblea costituente. In tutta questa vicenda De Gasperi sfoderò la sua calma proverbiale" (Il corriere della sera, 8 ottobre 2003).
9. Juan Carlos Martinez Oliva, "La stabilizzazione del 1947. Fattori interni e internazionali", Banca d'Italia, Quaderni dell'Ufficio Ricerche Storiche n. 13, 2006.
10. a b Contro i clericali, M.Teodori, Longanesi, 2009, Milano
▪ 1964 - Ardengo Soffici (Rignano sull'Arno, 7 aprile 1879 – Forte dei Marmi, 19 agosto 1964) è stato un poeta, scrittore e pittore italiano.
▪ 1977 - Julius Henry Marks, in arte Groucho Marx (New York, 2 ottobre 1890 – Los Angeles, 19 agosto 1977), è stato un attore, comico e scrittore statunitense.
Terzo dei cinque Fratelli Marx, esordì nel mondo dello spettacolo fin dal primo decennio del Novecento, affrontando una lunga gavetta nel vaudeville che lo portò a recitare con i fratelli nei teatri di varietà di tutti gli Stati Uniti. Fu durante questo lungo tirocinio teatrale negli anni dieci e venti che Groucho poté affinare la comicità che lo ha reso celebre nel mondo, basata sulla veloce parlantina, sulla battuta fulminea e sul ricorso ai giochi di parole, con scanzonata irriverenza nei confronti dell'ordine costituito e con un malcelato disprezzo per le convenzioni sociali. Il suo senso dell'umorismo corrucciato, sarcastico e misogino, sintetizzato nel suo soprannome d'arte Groucho ("brontolone", "musone"), si coniugò sulle scene con una eccentrica maschera comica dai tratti divenuti inconfondibili, quali i vistosi baffi e sopracciglia dipinti, lo sguardo ammiccante, il sigaro perennemente tra i denti o fra le dita e la frenetica andatura. Il successo giunse per Groucho nel 1924 con la commedia teatrale I'll say she is, cui seguì - l'anno successivo - The cocoanuts, che venne rappresentato a Broadway per un anno e poi riproposto in una lunga tournée tra il 1927 e il 1928.
L'esordio di Groucho sul grande schermo risale al 1929 con The Cocoanuts - Il ladro di gioielli (1929), trasposizione cinematografica del precedente successo teatrale, cui fece seguito Animal Crackers (1930), tratto anch'esso da uno spettacolo di Broadway dei Marx. Dopo il dissacrante La guerra lampo dei fratelli Marx (1933), Groucho e i fratelli passarono dalla Paramount alla MGM, recitando in due dei loro più celebri film, Una notte all'opera (1935) e Un giorno alle corse (1937). Con il declino del trio all'inizio degli anni quaranta, Groucho proseguì l'attività cinematografica con sporadiche apparizioni in commedie brillanti, intraprendendo invece una carriera di successo dal 1947 come conduttore radiofonico dello show a quiz You bet your life, adattato in seguito per la televisione e andato in onda con vasto consenso di pubblico fino al 1961. Il graffiante humour di Groucho è noto al pubblico anche grazie alla sua attività di scrittore, di cui va ricordata la raccolta epistolare Le lettere di Groucho Marx (1967). A coronamento della sua longevità artistica, nel 1974 Groucho fu premiato con un Oscar alla carriera.
«C'era una grandezza innata in Groucho, che sfida l'analisi più accurata, come succede con tutti i veri artisti. Lui è semplicemente unico, allo stesso modo di Picasso o Stravinskij, e credo che la sua impudente strafottenza verso l'ordine costituito sarà divertente tra mille anni come adesso. Oltre tutto, mi fa ridere» (Woody Allen)
▪ 1982 - Guido Gonella (Verona, 18 settembre 1905 – Nettuno, 19 agosto 1982) è stato un giornalista e politico italiano, ministro della Repubblica italiana e primo presidente dell'Ordine dei giornalisti istituito nel Dopoguerra.
Laureato in filosofia, insegnò filosofia del diritto nelle Università di Bari e Pavia.
Nel 1928 fu direttore della rivista Azione fucina della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).
Negli anni trenta collaborò con L'Osservatore Romano, per il quale Monsignor Montini, il futuro Papa Paolo VI, gli affidò la rubrica Acta diurna, che divenne negli anni dei totalitarismi una vera e propria centrale di notizie da ogni parte del mondo. Gli articoli di Gonella suscitarono sospetti nel regime fascista, tanto che nel 1939 fu arrestato. Liberato dopo pochi giorni grazie all'intervento della Santa Sede, fu comunque costretto a lasciare l'insegnamento.
Durante la seconda guerra mondiale collaborò con De Gasperi e altri esponenti democristiani, dando vita al quotidiano Il Popolo, organo ufficiale della Democrazia Cristiana, di cui fu direttore fino al 1946.
Per la Democrazia Cristiana fu eletto prima deputato e poi senatore e fu più volte Ministro della Pubblica Istruzione dal 1946 al 1951 e Ministro di Grazia e Giustizia negli anni dal 1953 al 1968.
Fu il primo presidente dell'Ordine dei giornalisti istituito con legge 69 del 3 febbraio
▪ 1994 - Linus Carl Pauling (Portland, Oregon, 28 febbraio 1901 – Big Sur, 19 agosto 1994) è stato un chimico statunitense.
Figlio di un droghiere di origini tedesche, Herman Henry William Pauling, e di Lucy Isabelle Darling, anglo-scozzese. Linus Pauling sposò Ava Helen Miller di Beaver Creek, Oregon, nel 1923, anche lei di origini anglo-scozzesi e tedesche. Ebbe quattro figli: Linus (Carl) Jr. (1925), Peter Jeffress (1931), Linda Helen (1932) e Edward Crellin (1937).
Si è dedicato soprattutto alla chimica quantistica e alla fisica; è considerato il padre del legame chimico e uno dei padri di una medicina non convenzionale denominata medicina ortomolecolare, di cui coniò il nome.
Ha ricevuto due premi Nobel, il primo per la chimica nel 1954 e il secondo per la pace nel 1962 (come riconoscimento alla sua incessante azione in favore del disarmo nucleare).
Le altre personalità che hanno ricevuto due premi Nobel sono Marie Curie (fisica e chimica), John Bardeen (entrambi in fisica) e Frederick Sanger (entrambi in chimica). Pauling è l'unico tra essi che non li ha ottenuti in condivisione con altre personalità.
Il suo libro La natura del legame chimico fu pubblicato nel 1937 e rappresenta un classico della letteratura chimica internazionale. Le nuove regole per determinare le lunghezze dei legami chimici e le altre proprietà delle molecole sono state scritte sulla base del nuovo concetto di risonanza, inventato dallo stesso Pauling.
Il grande chimico, nativo dell'Oregon, applicò la meccanica quantistica per determinare la struttura delle molecole e la natura dei legami. Studiò alla Oregon State University (università statale dell'Oregon) e divenne poi professore all'università di Pasadena. I suoi lavori sul legame chimico, a partire dal 1931, hanno risolto tutti gli enigmi sulla formazione di molecole contenenti atomi uguali. Pauling spiegò anche l'affinità chimica e compilò la più nota scala di elettronegatività.
Fu insignito della Medaglia Roebling per la mineralogia nel 1967.
Nel 1979 rivista di divulgazione scientifica inglese New scientist ha incluso Linus Pauling nella sua lista dei 20 più importanti scienziati di tutti i tempi, insieme ad Albert Einstein e Antoine-Laurent Lavoisier.
Medicine non convenzionali: la medicina ortomolecolare
Pauling, insieme allo psichiatra canadese Abram Hoffer, ha contribuito allo sviluppo di una medicina non convenzionale, tuttora priva di riscontri scientifici e oggetto di forti controversie, chiamata medicina ortomolecolare. In particolare, è stato sostenitore dell'ipotesi indimostrata di usare megadosi di vitamina C nella terapia del cancro e delle malattie cardiocircolatorie, così come nella prevenzione e cura del raffreddore comune. Tali studi furono contestati dalla comunità medica internazionale, che considerò ciarlataneria tali teorie sulla vitamina C. Successivamente, due trial clinici randomizzati condotti dall'organizzazione no-profit Mayo Clinic (poi seguiti da un terzo) hanno fallito nel replicare i risultati di Pauling, e varie critiche sono state mosse alla consistenza metodologica dei suoi studi. Tali elementi hanno portato al rigetto delle sue errate tesi sulla vitamina C da parte della comunità scientifica.
▪ 2000 - Luce Fabbri (Roma, 25 luglio 1908 – Montevideo, 19 agosto 2000) è stata una scrittrice e anarchica italiana.
Luce Fabbri nasce a Roma il 25 luglio 1908, figlia di Bianca Sbriccoli e di Luigi Fabbri, insegnante e celebre teorico anarchico - libertario, nonché collaboratore di Errico Malatesta. Dall'età di due anni e per i successivi quattro vive con i nonni, durante il periodo in cui il padre è esule in Svizzera in seguito alla Settimana Rossa. Nel 1926, a causa del consolidarsi del regime fascista, il padre lascia clandestinamente l'Italia per Parigi dove sarà raggiunto dalla moglie nel 1927. Nello stesso anno il fratello minore Vero si trasferisce a Roma per lavoro.
Per i successivi due anni Luce rimane dunque sola a Bologna, ospite in ambienti socialisti. In quel periodo è accolta in casa di Enrico Bassi, socialista turatiano e amico dei fratelli Ugo Guido e Rodolfo Mondolfo; e a Bassi medesimo Rodolfo Mondolfo affiderà poi le proprie carte quando, nel 1939, sarà costretto ad espatriare in Argentina per la legge razziale che gli impedirà di occupare cariche pubbliche poiché ebreo.
Nel 1928 Luce si laurea in Lettere presso l'Università di Bologna con il massimo dei voti, discutendo una tesi su Reclus e la Comune di Parigi. Tra i professori della commissione era presente anche lo stesso Rodolfo Mondolfo, "che è stato quasi un secondo padre per me in quei due anni che ero rimasta sola", che incontrerà nuovamente anni dopo, anch'esso esule antifascista in Sud America.
Dopo un breve soggiorno di venti giorni a Roma a metà novembre del 1928 parte avventurosamente per la Francia, per raggiungere i genitori a Parigi; lo fa aiutata da Peretti, di Bellinzona, che le fa passare la frontiera Svizzera registrandola sul passaporto come sua moglie.
Dalla Francia si sposta presto in Belgio, a causa di un decreto di espulsione contro il padre emesso dal governo francese; e dopo breve tempo, nel 1930, emigra con i genitori a Montevideo in Uruguay, dove per un mese sono ospiti in casa del fiorentino Moscallegra, pseudonimo di Aratari.
A Montevideo Luce fa i primi passi in quella che sarà la sua professione, inizia infatti a dare lezioni private di Italiano, Latino e Greco. In seguito vincerà un concorso per l'insegnamento della storia nelle scuole secondarie, poi sarà lettrice di italiano presso la Facoltà di Lettere appena istituita ed in seguito, nel '49, otterrà la docenza di Letteratura italiana, "per me l'insegnamento era parte del mio lavoro militante, l'ho sempre considerato come un momento del mio lavoro di anarchica".
Qui con la sua collaborazione il padre Luigi si dedica alla rivista "Studi Sociali", curando inoltre la pagina in lingua italiana della rivista "La Protesta" e pubblicando anche, fino al Settembre del 1930, alcuni articoli su altre riviste tra cui "La Pluma". Il colpo di stato militare di Uriburu del 1930 in Argentina ha come conseguenza un esodo di rifugiati politici argentini in Uruguay. In questo primo periodo a Montevideo Luce, poco più che ventenne, frequenta le organizzazioni sindacali, collabora con il Comitato contro la dittatura in America, con un Gruppo anarchico femminile per il sostegno dei detenuti politici e con un Gruppo studentesco giovanile libertario. Con questo partecipa ad un congresso antimilitarista, indetto dai comunisti, contro la Guerra del Chaco. In questo congresso stringe amicizia con Simon Radowitzky da poco sbarcato a Montevideo dopo esser stato espulso dal suolo argentino.
L'intensa attività d’insegnamento non le impedisce di dedicarsi alla militanza e alla cura di "Studi Sociali" che pubblicherà fino al 1946.
Verso la seconda metà degli anni sessanta, mentre in Uruguay si delinea un periodo di forte tensione interna, caratterizzata dalla lotta armata dei Tupamaros e dalla conseguente dura reazione della classe dirigente che avrebbe portato alla dittatura militare protrattasi dal 1974 al 1986, Luce dedica le proprie attività alla militanza nel movimento locale, pur non trascurando contatti con gli ambienti italiani e internazionali.
In particolare s'impegna in un movimento pedagogico per la riforma autonomistica della scuola secondaria; Luce vive questa sua attività come parte integrante e del suo concreto impegno politico in senso libertario, un impegno che la vede critica nei confronti della scelta della lotta armata:
"Conoscevo degli studenti che si erano arruolati nei Tupamaros, volevo loro bene e sapevo che erano la parte migliore della gioventù uruguayana e che si sarebbe bruciata in quell'esperienza. Secondo me si sbagliavano, però è andata così.". Una posizione la sua che riflette il clima di quel periodo, agitato dalle diverse posizioni prese nell'ambito del movimento nei confronti dei Tupamaros e della Rivoluzione Cubana.
Fino al giorno della morte, avvenuta il 19 agosto del 2000, vive a Montevideo in J. J. Rousseau 3659, nella casa costruita dal suo compagno friulano, Ermacora Cressatti, muratore anarchico anch'egli esule dal fascismo.
▪ 2007 - Claudio Chieffo (Forlì, 9 marzo 1945 – Forlimpopoli, 19 agosto 2007) è stato un cantautore italiano.
«È bella la strada per chi cammina, è bella la strada per chi va,
è bella la strada che porta a casa e dove ti aspettano già.» (Claudio Chieffo, La strada)
Legato da sempre a Comunione e Liberazione, Claudio Chieffo nella sua carriera ha composto una lunga serie di canzoni di ispirazione cristiana, cantate in ambito liturgico.
Il padre di Claudio lavorava in un'officina che costruiva aerei; non aveva mai volato, ma quando volavano gli aerei li indicava sempre al figlio, e lui si sorprendeva di vederli spingersi così in alto, oltre le nuvole, e desiderava che anche la sua vita volasse - metaforicamente - alta nel cielo.
Iniziò la carriera musicale nel 1960 cominciando a comporre e partecipando a manifestazioni musicali locali. A 17 anni incontrò don Francesco Ricci e quindi Gioventù Studentesca, il movimento, fondato da don Luigi Giussani, che in seguito diventerà Comunione e Liberazione.
Dopo l'incontro con il movimento, Chieffo scrisse le sue prime canzoni, ispirate all'esperienza che stava iniziando a vivere. Ben presto le sue canzoni diventeranno tra le più cantate all'interno di CL, durante i raduni, le feste e i momenti liturgici.
Già dal 1963 Chieffo iniziò a tenere concerti nelle parrocchie e nelle feste popolari in tutta Italia. Intanto, dopo la laurea conseguita a Bologna nel 1967, intraprese anche la professione di insegnante, che alternò fino alla fine con quella di musicista e compositore.
Nel 1974 venne invitato a Varsavia, unico italiano su mille esecutori, alla più grande manifestazione musicale cattolica dei paesi dell'est europeo, il Sacrosong. Durante la manifestazione, allora clandestina, Chieffo si esibì davanti all'allora cardinal Wojtyła e davanti al cardinal Wyszyński. Si esibì poi per Giovanni Paolo II nel 1980, con la canzone La strada, a lui dedicata.
Nel 1983 Chieffo partecipò, in occasione del Meeting per l'amicizia tra i popoli, al concorso nazionale di musica leggera (prodotto e trasmesso dalla RAI) "Un'isola da trovare", classificandosi al secondo posto, con la sua Canzone degli occhi e del cuore.
Il 30 maggio 1998 si esibì di nuovo in piazza San Pietro, durante l'incontro del Papa con i movimenti, con Stella del mattino. Chieffo partecipò inoltre alla Giornata Mondiale della Gioventù il 19 agosto 2000 nello spettacolo a Tor Vergata in preparazione della veglia con il Papa.
Il cantautore forlivese ammirava il teatro di Diego Fabbri, drammaturgo italiano suo concittadino. Importante per la sua formazione fu anche l'amicizia con il pittore americano William Congdon conosciuto nel 1963 e con Giorgio Gaber, diventato poi suo grande amico. Fu collaboratore della rivista Il Timone.
Claudio Chieffo fu considerato un caso particolare nel mondo della canzone d'autore. Pur avendo potuto, in un certo periodo della sua carriera, imporsi commercialmente nel mondo della musica leggera, scelse di interpretare solo le sue canzoni, ispirate ai valori in cui si riconosceva. Alcune delle sue canzoni sono tradotte in numerose lingue e vengono cantate in tutti i continenti. Ha ricevuto nel 1981 il Premio Internazionale della Testimonianza dei valori umani e cristiani e nel 2005 il premio Internazionale Calice d’oro. Nel dicembre del 2005 scoprì di avere un tumore al cervello che non gli impedì di continuare a esibirsi, anche se in maniera sporadica.
Claudio Chieffo morì domenica 19 agosto 2007, giorno di apertura della 28a edizione del Meeting di Rimini, manifestazione alla quale era particolarmente legato e alla quale partecipò spesso avendone composto in varie occasioni la sigla ufficiale.
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