Il calendario del 18 Maggio

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1593 - Le accuse di eresia al commediografo Thomas Kyd portano ad un mandato di arresto per Christopher Marlowe

▪ 1652 - Il Rhode Island approva la prima legge che rende la schiavitù illegale nel Nord America

▪ 1743 - Il Papa Benedetto XIV pubblica la Lettera Nimiam licentiam, sulla deplorevole facilità con cui si deroga alle norme sulla celebrazione dei matrimoni

▪ 1803 - Guerre Napoleoniche: Il Regno Unito revoca il Trattato di Amiens e dichiara guerra alla Francia

▪ 1804 - Napoleone Bonaparte viene proclamato imperatore dal senato francese

▪ 1848 - Apertura della prima Assemblea Nazionale Tedesca (Nationalversammlung) a Francoforte sul Meno, Germania

▪ 1863 - Guerra di secessione americana: Ha inizio l'assedio di Vicksburg (finirà il 4 luglio)

▪ 1900 - Il Regno Unito proclama un protettorato su Tonga

▪ 1910 - La Terra passa attraverso la coda della Cometa di Halley. Avviene ogni 75,3 anni.
L'arrivo del 1910 è stato particolarmente rilevante per molte ragioni: non solo è la prima orbita della cometa per cui esistono fotografie, ma è stato anche un passaggio relativamente ravvicinato alla Terra (0,15 UA il 20 maggio del 1910), ha creato spettacolari vedute, e la Terra è passata attraverso la sua coda.
L'incontro del 1986 è stato meno favorevole per le osservazioni: la cometa non ha raggiunto la luminosità degli incontri precedenti, e, con l'aumento dell'inquinamento luminoso dell'urbanizzazione, molte persone non l'hanno vista affatto. Comunque, lo sviluppo del viaggio spaziale ha dato agli scienziati l'opportunità di studiare una cometa da vicino, e molte sonde furono lanciate con tale obiettivo. La più spettacolare è stata la sonda Giotto, lanciata dall'Agenzia Spaziale Europea, che è passata vicino al nucleo della cometa. Altre sonde sono state Vega 1 e Vega 2 dell'Unione sovietica, le due sonde giapponesi, Suisei e Sakigake e la sonda statunitense ICE.
La cometa di Halley ritornerà nell'estate del 2061.

▪ 1917 - Prima Guerra Mondiale: Il Selective Service Act viene approvato dal Congresso degli Stati Uniti e dà al Presidente il potere di arruolare soldati di leva

▪ 1933 - New Deal: il Presidente Franklin Delano Roosevelt firma l'atto di creazione della Tennessee Valley Authority

▪ 1944

  1. - Seconda guerra mondiale: Battaglia di Monte Cassino - I tedeschi evacuano Monte Cassino e le forze alleate catturano la roccaforte dopo una lotta che ha richiesto il tributo di 20.000 vite.
  2. - Seconda guerra mondiale: Inizia la deportazioni dei Tartari di Crimea da parte delle governo sovietico

▪ 1948 - Il primo Yuan legislativo della Repubblica Cinese si riunisce ufficialmente a Nanchino

▪ 1951 - Il Consiglio di sicurezza dell'ONU condanna Israele per l'attacco alla Siria, e ingiunge allo Stato ebraico di far rientrare gli abitanti espulsi

▪ 1958 - Un F-104 Starfighter stabilisce il record mondiale di velocità a 2.259,82 km/h

▪ 1969 - Programma Apollo: Lancio dell'Apollo 10

▪ 1974 - Nell'ambito del progetto Buddha sorridente, l'India fa detonare con successo la sua prima arma nucleare, diventando la sesta nazione a disporre di tale tipo di armamento

▪ 1976 - Si accentua il clima di terrore in Argentina dopo il colpo di stato; ritrovati centoventisei cadaveri crivellati da raffiche di mitra; le persone sequestrate e scomparse (desaparecidos) salgono a diverse centinaia

▪ 1980 - Il Mount St. Helens, nello stato di Washington erutta uccidendo 57 persone e causando danni per 3 miliardi di dollari

▪ 1986 - Papa Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Dominum et Vivificantem, sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo

▪ 1990 - Il TGV Atlantique n.25 (TVG325) conquista il record di velocità per mezzi ferroviari convenzionali raggiungendo i 515,3 km/h

▪ 1993 - Dopo undici anni di latitanza, all'alba viene arrestato il boss mafioso Nitto Santapaola. Si nascondeva in Sicilia, nelle campagne di Mazzarone (Catania)

▪ 1998
  1. - Caso antitrust Microsoft: Il Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti e 20 stati americani, aprono un procedimento dell'antitrust contro la Microsoft.
  2. - seconda Conferenza Ministeriale a Ginevra (Svizzera) dell'Organizzazione Mondiale del Commercio

▪ 1999 - Carlo Azeglio Ciampi inizia il suo mandato di presidente della Repubblica

▪ 2000 - Viene istituita la fondazione Craxi

▪ 2005 - Durante una spedizione italiana sull'Annapurna, una valanga travolge gli alpinisti, causando la morte di Christian Kuntner, originario dell'Alto Adige

▪ 2006 - Il Nepal con una risoluzione del parlamento si dichiara stato laico

▪ 2010 - Vengono cambiati i loghi Rai

Anniversari

▪ 1525 - Pietro Pomponazzi, noto anche col soprannome di Peretto Mantovano, (Mantova, 16 settembre 1462 – Bologna, 18 maggio 1525), è stato un filosofo e umanista italiano.

La vita e l'opera
Di famiglia agiata, nasce a Mantova nel 1462. A sedici anni si iscrive (1484) all'Università di Padova, dove frequenta la lezioni di metafisica del domenicano Francesco Securo da Nardò, le lezioni di medicina di Pietro Riccobonella e quelle di filosofia naturale di Pietro Trapolino, laureandosi come Magister Artium nel 1487. Dal 1488 al 1496 è professore di filosofia nello stesso ateneo e ottiene la cattedra di filosofia naturale dopo la morte del suo maestro Nicoletto Vernia (1420-1499), massimo esponente dell'averroismo locale, di spirito laico e spregiudicato sino alla miscredenza.
A Padova pubblica il trattato De maximo et minimo, in polemica con le teorie di Guglielmo Heytesbury. Passa poi a Carpi nel (1496) per insegnare logica alla corte di Alberto III Pio, principe di Carpi, seguendolo nel 1498 nel suo esilio a Ferrara e restandovi fino al 1499. Nel frattempo, nel 1497, sposa a Mantova Cornelia Dondi, dalla quale ha due figlie.
Morto il Vernia, e succeduto a lui nel 1499, il Pomponazzi rimane poi vedovo nel 1507 e si risposa con Ludovica di Montagnana. Chiude lo studio di Padova nel 1509 e si trasferisce a Ferrara dove redige un commento al De anima aristotelico. Questo avviene in seguito all'occupazione di Padova nel giugno 1509 da parte della Lega di Cambrai nella guerra con la Repubblica veneziana. Quando Venezia rioccupa la città il mese dopo, le lezioni universitarie vengono sospese ed egli, con altri insegnanti, lascia la città trasferendosi, come si è visto, a Ferrara su invito di Alfonso I d'Este per insegnare nella locale università. Chiusa anche questa nel 1510, si trasferisce fino al 1511 a Mantova e dal 1512 all'università di Bologna. Nuovamente vedovo, si risposa con Adriana della Scrofa.
A Bologna scrive le opere maggiori, il Tractatus de immortalitate animae, il De fato e il De incantationibus, oltre a commenti delle opere di Aristotele, conservati grazie agli appunti dei suoi studenti.
Il Tractatus de immortalitate animae, del 1516, in cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può essere dimostrata razionalmente, fece scandalo: attaccato da più parti, il libro è pubblicamente bruciato a Venezia. Denunciato dall'agostiniano Ambrogio Fiandino per eresia, la difesa del cardinale Pietro Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze ma nel 1518 è condannato da papa Leone X a ritrattare le sue tesi. Pomponazzi non ritratta ma si difende con la sua Apologia del 1518 e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum del 1519, una risposta al De immortalitate libellus di Agostino Nifo, in cui sostiene la distinzione tra verità di fede e verità di ragione.
Queste controversie gli impediscono di pubblicare due opere che aveva completato nel 1520: il De naturalium effectuum causis sive de incantationibus e i Libri quinque de fato, de libero arbitrio et de praedestinatione, pubblicati postumi rispettivamente nel 1556 e 1557, con alcune modifiche, a Basilea, da Guglielmo Gratarol. Evita ogni problema teologico pubblicando nel 1521 il De nutritione et augmentatione, il De partibus animalium nel 1521 e il De sensu nel 1524.
Malato di calcoli renali, stende il proprio testamento nel 1524 e muore l'anno dopo. Secondo i suoi allievi Antonio Brocardo ed Ercole Strozzi egli si sarebbe suicidato.

Il De immortalitate animae
Per Aristotele l'anima è l'atto (entelechia) primo di un corpo che ha la vita in potenza, è la sostanza che realizza le funzioni vitali del corpo. Tre sono le funzioni dell'anima: la funzione vegetativa per la quale gli esseri vegetali, animali e umani si nutrono e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gli esseri animali e umani hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gli esseri umani comprendono.
L'intelletto è la capacità di giudicare le immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto intellegibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità.
Aristotele distingue l' intelletto potenziale o possibile o passivo, che è la capacità umana di intendere, dall' intelletto attuale o attivo o agente, che è la luce intellettuale. Quest'ultimo contiene in atto tutti gli intellegibili, e agisce sull'intelletto potenziale come - l'esempio è di Aristotele - la luce mostra, mette in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono in potenza: l'intelletto agente mette in atto le verità che nell'intelletto potenziale sono soltanto in potenza. L'intelletto agente è separato, non composto, impassibile, per sua essenza atto…separato, esso è solo quel che è realmente, e questo solo è immortale ed eterno.
Che ne è dunque dell'anima? Nella Metafisica Aristotele dice solo che "Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la dissoluzione del composto; per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima intera".
L'aristotelismo a Padova si era diviso in due correnti fondamentali, gli averroisti e gli alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni aristoteliche di Alessandro di Afrodisia.
Averroè, secondo una concezione influenzata dal platonismo, sosteneva l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche dell'intelletto potenziale, che per lui non appartiene ai singoli uomini ma è unico e comune all'intera specie umana. .
La dottrina di Alessandro mantiene l'unicità dell'intelletto agente, che egli fa coincidere con Dio, ma attribuisce a ciascun uomo un intelletto potenziale individuale, mortale insieme con il corpo.
Infine, va ricordato che per Tommaso d'Aquino nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura (simpliciter) immortale, ma per un certo aspetto (secundum quid) mortale, in quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere umano.
Il Trattato dell'immortalità dell'anima, terminato il 24 settembre 1516 ed edito a Bologna il 6 novembre 1516, trae spunto da una discussione con il domenicano Girolamo Raguseo il quale, avendo il Pomponazzi sostenuto che la teoria di Tommaso sull'anima non si accorda con quella aristotelica, lo aveva pregato di provare le sue affermazioni mediante prove puramente razionali.
"Fecero bene gli antichi a porre l'uomo tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché egli, né puramente eterno né semplicemente temporale, partecipa delle due nature e stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie. Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del corpo."
L'uomo dunque, "è di natura non semplice ma molteplice, non determinata ma bifronte (ancipitis), media fra il mortale e l'immortale" e questa medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e l'altra spirituale, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della reale unità dell'uomo: "La natura procede per gradi: i vegetali hanno un poco di anima, gli animali hanno i sensi e una certa immaginazione…alcuni animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro…vi sono animali intermedi fra la pianta e la bestia, come la spugna…della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente l'anima intellettiva è media fra il temporale e l'eterno."
Polemizza con Averroè che ha scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello sensitivo e con Tommaso d'Aquino, rilevando che l'anima, essendo unica, non può avere due modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni del corpo; la dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta dai sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso destino di morte. È capovolta la tesi fondamentale di Tommaso: per Pomponazzi l'anima è per sé mortale e secundum quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario, perché "nobilissima fra le cose materiali e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma non in senso assoluto" (aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter). E ricorda che per Aristotele l'anima non è creata da Dio ma generata perché sono il sole e lo stesso uomo a generare l'uomo.
Riguardo al problema del rapporto fra ragione e fede, per Pomponazzi solo la fede, non le ragioni naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e "coloro che camminano per le vie dei credenti sono fermi e saldi", mentre per quanto attiene i problemi etici che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e alle ricompense ultraterrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena provoca comportamenti servili contrari alla virtù.
Il Tractatus provocò clamore e polemiche alle quale rispose nel 1518, ribadendo le sue tesi con l'Apologia, dove nel primo libro risponde alle critiche amichevoli del suo allievo e futuro cardinale Gaspare Contarini e negli altri due al domenicano Vincenzo Colzade e all'agostiniano Ambrogio Fiandino. Nel 1519 replica con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di Agostino Nifo, professore di filosofia nell'università di Padova.

La critica dei miracoli
Nel 1520 il medico mantovano Ludovico Panizza avrebbe chiesto a Pomponazzi se possono esserci cause soprannaturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di Aristotele, e se si debba ammettere l'esistenza di demoni, come sostiene la Chiesa, anche per spiegare molti fenomeni che si sono verificati.
Per Pomponazzi "dobbiamo spiegare questi fenomeni con cause naturali, senza ricorrere ai demoni…è ridicolo lasciare l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile". D'altra parte, poiché l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non potrebbe esercitare un'azione qualunque su qualcosa di materiale: gli spiriti non possono entrare in contatto con il nostro mondo; "in realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere opera di santi o di maghi, com'è successo con Pietro d'Abano o con Cecco d'Ascoli…altri, ritenuti santi dal volgo che pensava avessero rapporti con gli angeli…erano magari dei mascalzoni…io credo che facessero tutto questo per ingannare il prossimo".
Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che fenomeni mirabolanti abbiano la loro causa nell'influsso degli astri: "È assurdo che i corpi celesti, che reggono tutto l'universo…non possano produrre effetti che di per sé sono nulla considerando l'insieme dell'universo". Cause naturali, comunque, secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa anche le religioni: "al tempo degli idoli non c'era maggior vergogna della croce, nell'età successiva non c'è nulla di più venerato...ora si curano i languori con un segno di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non era giunta la Sua ora".
Ogni religione ha i suoi miracoli "quali quelli che si leggono e si ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono essere profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissimi".
Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali: l'astrologo che abbia colto la natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che sembrano soprannaturali che realizzare opere straordinarie che il popolino considererà miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione, presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura inviati da Dio stesso.
Inoltre Pomponazzi sostiene la sua tesi conducendo un discorso di questo tipo:"se Dio ha creato l'universo ponendo su di esso leggi fisiche precise, sarebbe paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli". Per Pomponazzi appunto l'universo è controllato e determinato dall'agire degli astri e Dio agisce indirettamente muovendo questi ultimi; Pomponazzi sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica.

Il destino dell'uomo
Se tali sono le forze che governano il mondo, se anche i fenomeni soprannaturali hanno una spiegazione nell'esistenza di forze naturali così potenti, esiste ancora una libertà nelle scelte individuali dell'uomo? In Dio, conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero; l'uomo si esprime invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo di Alessandro di Afrodisia, che salva la libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né contingenza né libertà umana, Pomponazzi è costretto dalla sua concezione strettamente deterministica, ove tutto è regolato da forze naturali superiori all'uomo, a propendere per l'impossibilità del libero arbitrio:"...l'argomento è per me difficilissimo. Gli stoici sfuggono facilmente alle difficoltà facendo dipendere da Dio l'atto di volontà. Per questo l'opinione stoica appare molto probabile".
Nel cristianesimo c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della predestinazione: "Se Dio odia ab aeterno i peccatori e li condanna, è impossibile che non li odi e non li condanni; e questi, così odiati e reietti, è impossibile che non pecchino e non si perdano. Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro Dio? E questa è una posizione molto peggiore di quella stoica. Gli stoici dicono infatti che Dio si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono. Secondo il cristianesimo il fato dipende invece dalla cattiveria di Dio, che potrebbe fare diversamente ma non vuole, mentre secondo gli stoici Dio fa così perché non può fare altrimenti".

Conclusioni
Chiamato anche Peretto per la piccola statura, secondo Matteo Bandello (Novelle, III, 38) Pietro Pomponazzi "era un omicciolo molto piccolo, con un viso che nel vero aveva più del giudeo che del cristiano e vestiva anco ad una certa foggia che teneva più del rabbi che del filosofo, e andava sempre raso e toso; parlava anche in certo modo che parea un giudeo tedesco che volesse imparar a parlar italiano". Ma lo storico Paolo Giovio dirà che egli "esponeva Aristotele e Averroè con voce dolce e limpidissima; il suo discorso era preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato nella polemica; quando poi giungeva a definire e a trarre le conclusioni, era così grave e posato che gli studenti dai loro posti potevano annotarsi le spiegazioni".
Per nulla tenero con gli uomini di chiesa, "isti fratres truffaldini, domenichini, franceschini, vel diabolini" riassumeva il suo spirito ironico e motteggiante consigliando "alla filosofia credete fin dove vi detta la ragione, alla teologia credete quel che vogliono i teologi e i prelati con tutta la chiesa romana, perché altrimenti farete la fine delle castagne" ma fu serio e senza compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel De fato che "Prometeo è il filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la loro ricompensa". Epperò i filosofi sono per lui "come Dei terreni, tanto lontani dagli altri come gli uomini veri lo sono dalle figure dipinte" e lui sarebbe pronto, per amore della verità, anche a "ritrattare quel che ho detto. Chi dice che polemizzo per il gusto di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere eretico".

▪ 1781 - José Gabriel Condorcanqui, detto Túpac Amaru II (Tinta, 19 marzo 1738 – Cusco, 18 maggio 1781), è stato il capo di una rivolta indigena contro gli spagnoli del Perù coloniale.
Nonostante la rivolta non ebbe successo, divenne simbolo della battaglia per i diritti delle popolazioni indigene dell'America latina e della lotta, anche armata, contro i governi di quei paesi.

I primi anni
Nato a Tinta (nella provincia di Cusco, Perù) il 19 marzo 1738 con il nome di José Gabriel Condorcanqui. Aveva origini sia spagnole sia Inca e faceva parte della nobiltà peruviana. Discendeva, per linea materna, da Túpac Amaru, l'ultimo imperatore Inca giustiziato dagli spagnoli nel 1572.
Rimase orfano di padre quando era ancora un bambino e si occuparono di lui due suoi zii. Grazie a questi, ricevette un'educazione gesuita alla scuola San Francisco de Borja, istituto fondato per i nativi con nobili origini. Nel 1760 si sposò con Micaela Bastidas Puyucahua di Abancay, nobildonna spagnola da cui ebbe tre figli: Hipólito, Mariano e Fernando.

La rivolta
Uomo di ferrei principi morali, era indignato della situazione nella quale vivevano le popolazioni native e supplicò il governo spagnolo di migliorare le condizioni di vita nelle miniere, nelle fabbriche tessili e nei villaggi.
Passò dalle parole ai fatti e, ispirandosi al suo trisavolo Túpac Amaru, che resistette fino alla morte contro gli spagnoli a Vilcabamba, prese il suo nome ed organizzò una rivolta, la prima sollevazione anti-colonialista contro gli spagnoli dalla fine dell'Impero Inca.
L'insurrezione fu stroncata e Túpac Amaru II fu catturato. Venne condannato alla tortura e alla pena di morte per squartamento. Venne ucciso nel 1781 a Cusco nella Plaza de Armas dove anche Túpac Amaru I era stato decapitato. Inoltre venne ordinato lo sterminio della sua discendenza, fino alla quarta generazione.
Alla sua morte seguirono altre sollevazioni che vennero però tutte stroncate e i ribelli catturati. La maggior parte fu condannata a morte e una parte (circa 90 persone) vennero trasferite nelle carceri in Spagna dove morirono. Fu comunque solo l'inizio delle battaglie che portarono all'indipendenza del Perù.

Riferimenti culturali
▪ Durante la fase in cui in Perù ci fu il Governo Rivoluzionario delle Forze Armate (1968-1980), Túpac Amaru II fu scelto dai militari come capo simbolico per gli ideali della Rivoluzione Peruviana.
▪ Il Movimiento Revoluzionario Túpac Amaru (MRTA) era un gruppo armato peruviano di estrazione marxista-leninista che combatteva contro il governo militare di allora.
▪ I Tupamaros (noti anche come Esercito di Liberazione Nazionale) erano un gruppo armato insurrezionalista attivo tra gli anni sessanta e gli anni settanta contro il regime militare in Uruguay. Il nome si rifaceva ad una contrazione di "Túpac Amaru", ispirandosi di fatto a Túpac Amaru II.
▪ Il rapper Tupac Shakur - nato Lesane Parish Crooks - prende il nome da Túpac Amaru II, tale nome fu registrato all'anagrafe quando aveva 1 anno.

▪ 1911 - Gustav Mahler (Kalischt, 7 luglio 1860 – Vienna, 18 maggio 1911) è stato un compositore e direttore d'orchestra austriaco, di origine boema.
Gustav Mahler nacque nel 1860 a Kalischt (Boemia, oggi in Repubblica Ceca) da Bernhard e Marie Hermann. La sua famiglia era di origine ebraica-ashkenazita e di lingua tedesca. A pochi mesi dalla nascita, si trasferì ad Iglau. La sua infanzia fu molto triste, costellata dalla morte di diversi dei suoi fratelli. Aiutato dal padre (e dal maestro Epstein), che in giovinezza strimpellava il violino, nel 1875 riuscì ad entrare al conservatorio di Vienna, che frequentò tre anni, ottenendo consensi e suscitando gelosie probabilmente a causa del suo brutto carattere. In questo clima strinse una buona amicizia con Hugo Wolf, Hans Rott, i fratelli Rosè, il violinista Krizianovskij. Il sodalizio intellettuale e artistico con il compositore Anton Bruckner, si rivelò "utile" anche in campo lavorativo.
La prima composizione conosciuta di Gustav Mahler, risalente al 1876 è un Klavierquartett in la minore, nato come saggio per il conservatorio, di cui si possiede il primo tempo e 27 battute del secondo. A parte le composizioni distrutte o incomplete del periodo giovanile, ci sono pervenuti lieder per tenore e pianoforte su testi composti dallo stesso Mahler, dedicati alla giovinetta Josephine Poisl. Del 1880 è Das Klagende Lied (Canto di lamento), ancora su testo proprio. A seguire compose i cinque Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit (Canti della giovinezza, 1880-1883 e 1887-1890) e i Lieder eines fahrenden Gesellen (Canti di uno in cammino o "Canti di un viandante", 1884).
Dopo aver completato gli studi al conservatorio Mahler ebbe le prime esperienze nella direzione d'orchestra a Bad Hall nel 1880, negli anni seguenti continuò la sua carriera di direttore presso altri importanti teatri d'opera dell'Europa centrale: Lubiana nel 1881, Olomuc nel 1882, Vienna e Kassel nel 1883, Praga nel 1885, Lipsia nel 1886 e Budapest nel 1888. Nel 1887 Mahler fu chiamato a sostituire il celebre direttore Arthur Nikisch per il ciclo l'Anello del Nibelungo di Richard Wagner; il grande successo ottenuto contribuì ad accrescere la sua fama ed il suo prestigio come direttore sia fra i critici musicali sia presso il pubblico. Analoga fortuna non ottennero invece le sue composizioni: risalgono a questo periodo il completamento dell'opera teatrale Die Drei Pintos di Carl Maria von Weber, che riscosse critiche altalenanti e non è riuscita ad entrare stabilmente nel repertorio operistico, e la Prima sinfonia in re maggiore Il Titano, ispirata all'omonimo romanzo di Jean Paul, che fu più volte riveduta dall'autore anche a causa della fredda accoglienza ricevuta.
Dal 1893 al 1896 Mahler trascorse i periodi di vacanza estivi a Steinbach am Attersee in Alta Austria, località in cui continuò la revisione della Prima Sinfonia (la prima esecuzione era stata nel 1889), compose la Seconda Sinfonia, abbozzò la Terza Sinfonia, e scrisse la maggior parte dei lieder del ciclo Des Knaben Wunderhorn (in italiano Il corno magico del fanciullo), basato su un famoso ciclo di poesie curato da Achim von Arnim e Clemens Brentano.
Nel 1897 Mahler, che aveva allora 37 anni, ricevette l'incarico di direttore della K. u K. Hofoper (Imperial Regia Opera di Corte), vale a dire la posizione musicale più prestigiosa dell'Impero austriaco; poiché si trattava di un "ufficio imperiale" secondo la legge austro-ungarica in vigore l'incaricato non poteva essere di religione ebraica. Mahler, che mai era stato un ebreo devoto e praticante, si era già convertito per tempo al cattolicesimo, religione che comunque non gli era estranea: da ragazzo infatti era stato corista in una chiesa cattolica, dove il maestro del coro gli aveva anche insegnato a suonare il pianoforte[1].
Con il passare degli anni Mahler continuò ad essere attratto dal cattolicesimo, ed elementi ed influenze cattolici si possono osservare nei suoi lavori, ad esempio l'uso dell'inno Veni Creator Spiritus nella sua Ottava Sinfonia. In ogni caso la presenza dello spirito e dello stile ebraico rimane ampiamente presente in tutta la sua musica, per esempio l'uso di temi in stile Klezmer nel terzo movimento della Prima Sinfonia.
Nel 1899 e nel 1910 egli diresse le versioni da lui rivedute della Seconda e della Quarta Sinfonia di Robert Schumann.
Nei dieci anni di direzione all'Opera di Vienna, Mahler rinnovò profondamente il repertorio di quell'istituzione musicale e ne migliorò la qualità artistica, riuscendo a piegare sia gli esecutori sia gli ascoltatori alla sua visione della musica e dell'arte. Quando egli ricevette l'incarico, le opere più popolari erano il Lohengrin, la Manon di Massenet, e Cavalleria rusticana; il nuovo direttore decise un nuovo corso più concentrato verso il repertorio del periodo classico, cominciando dalle opere di Christoph Willibald Gluck e di Wolfgang Amadeus Mozart, avvalendosi anche della collaborazione del pittore Alfred Roller per la messa in scena di originali produzioni del Fidelio, di Tristan und Isolde, e del ciclo L'anello del Nibelungo.
Agli inizi del Novecento Vienna era una delle città più grandi ed importanti del mondo, capitale di una grande impero multinazionale nell'Europa Centrale e centro molto vivace dal punta di vista artistico e culturale; Mahler conosceva molti fra gli intellettuali ed artisti che a quel tempo vivevano a Vienna, fra gli altri i pittori Gustav Klimt ed Egon Schiele.
Mahler lavorava per nove mesi l'anno all'Opera di Stato, gli restava così solo il periodo estivo per dedicarsi alla composizione; egli era solito passare le estati a Maiernigg sul lago Wörthersee ed in questa località idilliaca compose quattro sinfonie (dalla Quinta all'Ottava), i Rückert Lieder, i Kindertotenlieder (Canti per la morte dei fanciulli), entrambi basati su poesie di Friedrich Rückert, e Der Tamboursg'sell, l'ultimo dei suoi lieder per Des Knaben Wunderhorn.
Nel giugno del 1901 Mahler si trasferì in una nuova villa sul lago sempre a Maiernigg in Carinzia. Il 9 marzo 1902 Mahler sposò Alma Schindler, di vent'anni più giovane e figliastra del noto pittore viennese Carl Moll. Alma era musicista e compositrice, tuttavia il marito le proibì di continuare a cimentarsi con la composizione, anche se appartengono alla mano di Alma delle copie manoscritte di alcune partiture di Gustav. Mahler interagì in modo creativo anche con altre donne, fra cui la violista Natalie Bauer-Lechner, di due anni più vecchia, che aveva conosciuto durante il periodo di studi a Vienna. Alma e Gustav ebbero due figlie: Maria Anna (detta Putzi, 1902-1907), che morì a quattro anni di difterite, ed Anna (detta Gucki; 1904-1988), che divenne una scultrice.
Nel 1910 Mahler, colpito dalla scoperta del tradimento della moglie, fu consigliato di rivolgersi a Sigmund Freud, il quale lo incontrò una sola volta e quindi poté dargli solo alcuni consigli, i biografi (Quirino Principe e altri) riferiscono di un lungo colloquio di tre, quattro ore; Freud, durante l'incontro, una lunga passeggiata, seppe da Mahler che egli chiamava a volte la moglie Alma col nome della madre: Marie, e quindi formulo l'ipotesi (non la diagnosi) che Mahler fosse affetto dal cosiddetto complesso della Vergine Maria. Alma smentì questo fatto, fortificando la sua tesi con la prova che Mahler aveva difficoltà a pronunciare la "r", e quindi sarebbe stato scomodo per lui chiamarla Marie. Freud tempo dopo, ricordando l'episodio dichiarò: «Ebbi la possibilità di ammirare le capacità di penetrazione psicologica di quell'uomo di genio. Nessuna luce illuminò ad un certo punto i sintomi della sua nevrosi ossessiva. Era come scavare con un bastoncino in un edificio misterioso».
Malato gravemente di cuore all'incirca dal 1907, Mahler fu più volte costretto a sottoporsi a delicate terapie mediche, e si rivolse invano a celeberrimi specialisti che, però, non poterono far altro che constatare la gravità del suo male, una endocardite maligna ed incurabile. Tra i vari specialisti in cardiologia a cui si rivolse, va ricordato il celebre batteriologo Andrè Chantemesse, il quale fu un pioniere della scienza ma anche un uomo assolutamente privo di tatto, che molto rudemente informò il suo paziente dello stato del suo male dicendo: "Non ho mai visto degli streptococchi svilupparsi in una maniera così meravigliosa, guardi questi filamenti, sembrano alghe marine!", lasciando letteralmente Mahler ammutolito per l'orrore. Tornato apposta a Vienna dall'America (dove risiedette per circa un anno e dove ottenne strepitosi successi concertistici), Mahler morì nel sanatorio Loew di Vienna nell'anno 1911. I contributi alla sua biografia ci sono dati dalla moglie Alma e dall'amica Natalie Bauer-Lechner.

Lo stile
La musicologia ha avuto a lungo difficoltà ad inquadrare lo stile di Mahler. È risaputo che nelle sue composizioni il profondo si unisce spesso al banale. E proprio l'accusa di banalità è la più frequente fra i suoi detrattori:[senza fonte] nella prima sinfonia, il tema, noto a tutti, di Fra Martino, trasformato in una marcia funebre affidata ai contrabbassi, e in Sant'Antonio di Padova predica ai pesci (uno dei lieder da Das Knaben Wunderhorn, che Mahler trascrive poi per orchestra facendone lo Scherzo della Seconda Sinfonia) si rileva un carattere grottesco e in molte altre opere il materiale tematico deriva dalla musica popolare o addirittura bandistica, genere che il compositore lamentava di non aver indagato a fondo.
Tra i più noti apologeti di Mahler ricordiamo Arnold Schoenberg e Anton Webern, che diresse varie volte le sue sinfonie (è ricordata in particolare la direzione della ottava).
Mahler non rompe il linguaggio tonale, ma lo spinge fino ai limiti delle possibilità. Quirino Principe indica un passo della terza sinfonia: ad un certo punto appare una triade di re minore dei corni che tocca la sensibile. Il do diesis sale alla tonica, ma con molta attesa, e nella nostra mente non c'è la tonica ma la sensibile: addirittura lo stesso passaggio viene riproposto e senza risoluzione. Non è forzato soltanto il sistema tonale, ma anche il lato tecnico: è stato acutamente detto che Mahler ottiene risultati con mezzi che non si adattano affatto a ciò che vuole ottenere. È stata fatta una interessante similitudine: Mahler raggiunge un paese vicino non per la strada più semplice, ma facendo tutto il giro del mondo.
Bisogna considerare che Mahler era separato dal classicismo brahmsiano e dalla musica a programma neotedesca; nelle sinfonie egli inseriva un "programma interiore", basato sui suoi sentimenti. Il linguaggio sinfonico è consapevolmente legato alla tradizione di cui però piega al massimo le possibilità (aumentando a dismisura anche la strumentazione orchestrale), creando percorsi ricchi di una logica dispersiva e ambigua che trova una disperata conciliazione nella perdita di un centro tematico in mezzo a una caotica molteplicità. Il suo stile nasce soprattutto dal dibattito sul "problema sinfonico" aperto insieme all'amico Bülow.

▪ 1986 - Giuseppe Lazzati (Milano, 22 giugno 1909 – Milano, 18 maggio 1986) è stato un politico e intellettuale italiano. Proclamato Servo di Dio dalla Chiesa cattolica, è in corso la causa di beatificazione.
Nato nel 1909 a Milano da Carlo e Angela Mezzanotte, vive adolescenza e giovinezza nel clima di drammatico radicalismo e violenza del primo dopoguerra italiano che porta all'ascesa e all'affermazione del fascismo.
Nel 1927 si iscrive al corso di Lettere classiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano diretta da padre Agostino Gemelli e nel 1931, a soli 22 anni, si laurea con lode. Nello stesso anno matura la decisione di rimanere celibe e chiede la "consacrazione secolare". Dal 1934 al 1945 è presidente diocesano della Gioventù Cattolica (GIAC) e comincia la carriera universitaria. Dal 1939 è docente incaricato di letteratura cristiana antica alla Cattolica e in quello stesso anno fonda l'organizzazione di laici consacrati "Milites Christi".
Partecipa alla seconda guerra mondiale come tenente del 5º Reggimento alpini, divisione "Tridentina", e dopo l'8 settembre 1943, avendo rifiutato il giuramento alla Repubblica Sociale Italiana, viene arrestato a Merano e internato nei campi di concentramento nazisti: prima a Rum nei pressi di Innsbruck, poi a Dęblin in Polonia, infine in Germania, a Oberlangen, Sandbostel e Wietzendorf.
Rientra in Italia nell'agosto del 1945 ed è immediatamente coinvolto, con Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira, nell'opera di ricostruzione della vita civile del Paese, prima nella fase costituente, poi in quella più direttamente politica. Nel 1946 entra nella direzione nazionale della Democrazia Cristiana ed è eletto all'Assemblea costituente (1946-1948) e alla Camera dei deputati nella I Legislatura (1948-1953).
Rientrato a Milano si dedica alla formazione del laicato, ma l'arrivo del nuovo arcivescovo Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, lo porta ad accettare una serie di nuove diaconie, la più onerosa ed impegnativa delle quali è la direzione del quotidiano cattolico L'Italia (1961-1964).
Tornato all'insegnamento nel 1968 (aveva ottenuto l'ordinariato nel 1958), nel pieno dei sommovimenti che agitavano il mondo universitario, è chiamato a sostituire Ezio Franceschini come rettore dell'Università Cattolica, carica che mantiene per cinque mandati triennali, fino al 1983.
Gli ultimi anni della sua vita sono dedicati, in una fase di grave crisi della politica italiana, al rilancio di un'idea alta della politica, proposto con la fondazione dell'associazione «Città dell'uomo» (1984), i cui contenuti riprendevano quanto già proposto fin dal dopoguerra con "Civitas Humana".
Il 18 maggio 1986, festa di Pentecoste, si spegne a Milano all'età di 77 anni.
Nel 1991 l'Istituto secolare Cristo Re si è fatto promotore della causa di beatificazione, di cui si è poi conclusa l'inchiesta diocesana nel 1996, grazie al sostegno e all'incoraggiamento del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano.

Opere
▪ La verità vi farà liberi, ed. In Dialogo, 2006, p.128
▪ Chiesa, cittadinanza e laicità, ed. In Dialogo, 2004, p.96
▪ Per una nuova maturità del laicato, ed. AVE, 1987, p.84

* 1988 - Enzo Tortora (Genova, 30 novembre 1928 – Milano, 18 maggio 1988) è stato un giornalista, conduttore radiofonico, conduttore televisivo e politico italiano.
Insieme a Corrado, Mike Bongiorno, Pippo Baudo e Raimondo Vianello è stato tra i volti più noti della televisione italiana fin dalla sua nascita.

Gli inizi
Nato da Salvatore e Silvia, originari di Acerra in provincia di Napoli ma trasferitisi a Genova molto giovani, con la sorella Anna, futura autrice televisiva, collabora da giovanissimo con propri testi con la Compagnia goliardica Mario Baistrocchi. Dopo aver conseguito la laurea all'Università degli studi di Genova, lavora per alcuni spettacoli con Paolo Villaggio, prima di entrare in RAI a ventitré anni. In quello stesso periodo fanno il loro ingresso nella radio di stato Piero Angela, Luigi Marsico e, come direttore del giornale radio, Vittorio Veltroni. Al giovane Enzo viene affidato lo spettacolo radiofonico Campanile d'oro.
Il 26 dicembre 1953 Tortora si sposa a Rapallo con Pasqualina Reillo, unione dalla quale nascerà Monica. La coppia si separerà nel marzo del 1959 e successivamente il loro matrimonio verrà dichiarato nullo dalla Sacra Rota.
La prima apparizione in video è del 1956, quando presenta, in coppia con Silvana Pampanini, Primo applauso.
Le sue prime trasmissioni di grande successo, risalenti alla seconda metà degli anni 50 anni cinquanta, sono Telematch e soprattutto Campanile sera, in cui è spesso inviato esterno. Dopo un breve periodo passato alla Televisione Svizzera (a causa dell' allontamento dalla RAI nel 1962 per un'imitazione di Alighiero Noschese di Amintore Fanfani in un suo programma) in cui presenta Terzo grado, torna nell'azienda radiotelevisiva di stato per condurre in radio Il gambero.

La Domenica Sportiva e l'allontanamento dalla Rai
Dal febbraio 1965 conduce La Domenica Sportiva, trasformandola radicalmente, anche attraverso gli ospiti per la prima volta presenti in studio. Nel maggio dello stesso anno tiene a battesimo la prima edizione di Giochi senza frontiere, di cui è il primo presentatore italiano.
Il 19 dicembre 1964 a Fiesole si unisce in matrimonio a Miriana Fantacci, un'insegnante ventisettenne incontrata 3 anni prima a Firenze.Da questa unione nasceranno Silvia nel 1962 e Gaia nel 1969. Il matrimonio si concluderà nel 1972, a motivo della relazione che Tortora avrà con la giornalista Anna Angelini.
Con Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo diviene uno dei presentatori televisivi più noti e popolari di quegli anni. I quattro appaiono insieme in televisione una sola volta, in "Sabato Sera" del 1967, in un siparietto in cui Mina li invita a cantare e ballare con lei.
A fine 1969, all'apice della sua popolarità (in contemporanea a La Domenica Sportiva Tortora conduce il gioco a premi Bada come parli! alla televisione e il quiz alla rovescia Il gambero alla radio), Enzo Tortora viene licenziato in tronco dalla RAI a causa della pubblicazione di un'intervista sul settimanale Oggi in cui definisce l'ente radiotelevisivo come un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy-scouts che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne. Inizia così a lavorare per alcune emittenti private e testate giornalistiche tra le quali La Nazione e Il Nuovo Quotidiano. Diventa vicepresidente della prima tv via cavo italiana, Telebiella e partecipa alla fondazione di Telealtomilanese e di Antenna 3 Lombardia. Lavora pure molto per la TSI, Televisione della Svizzera italiana, dove conduce programmi seguitissimi come "Si rilassi" e "La domenica sportiva".

Il ritorno e Portobello
Con la riforma RAI del 1976 e la nascita delle reti concorrenti, a differente impronta politica, diversi personaggi fanno ritorno al piccolo schermo dopo anni di assenza. Tra questi, sulla socialista Rete 2, Dario Fo ed Enzo Tortora. Nella primavera del 1977 il presentatore genovese assume la conduzione di Portobello. La trasmissione, inizialmente prevista in seconda serata e successivamente spostata in prima dato il gradimento del pubblico, batterà ogni record di share mai realizzato fino a quel momento.
Ispirata nel nome al celebre mercatino londinese verrà poi considerata la madre della televisione degli anni novanta. In essa si vede già buona parte delle idee che saranno poi protagoniste dei successivi format tv come Stranamore, Carràmba che sorpresa, I cervelloni, Chi l'ha visto?.
Il 3 novembre del 1977 Tortora tiene a battesimo l'emittente Antenna 3 Lombardia di Legnano.

Gli anni ottanta: il "caso Tortora"
L'attività lavorativa di Tortora prosegue fino al 1982 in RAI con programmi quali Portobello e L'altra campana (1980) e su Antenna 3 Lombardia; durante quell'anno passa a Retequattro per condurre Cipria. Conduce infine con Pippo Baudo alcune puntate della rubrica Italia parla.
La carriera di Tortora viene bruscamente interrotta il 17 giugno 1983, quando viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli.
Le accuse si basano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso detto "Gianni il bello", Pasquale Barra, noto come assassino di galeotti quand'era detenuto e per aver tagliato la gola, squarciato il petto e addentato il cuore di Francis Turatello, uno dei vertici della malavita milanese; infine altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, tra cui Michelangelo D'Agostino pluriomicida, detto "Killer dei cento giorni", accusano Tortora. A queste accuse si aggiungeranno quelle, rivelatesi anch'esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini, i quali dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.
L'accusa si basa, di fatto, unicamente su di un'agendina trovata nell'abitazione di un camorrista con su scritto a penna un nome che appare essere, all'inizio, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono; nome che, a una perizia calligrafica, risulterà non essere il suo, bensì quello di tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risulterà appartenere al presentatore. Si stabilirà, per giunta, che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che erano stati indirizzati al presentatore perché venissero venduti all'asta del programma Portobello.
La redazione di Portobello, oberata di materiale inviatole da tutta Italia, smarrisce i centrini ed Enzo Tortora scrive una lettera di scuse a Pandico. La vicenda si conclude poi con un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire.
In Pandico, schizofrenico e paranoico, crescono sentimenti di vendetta verso Tortora. Inizia a scrivergli delle lettere, che pian piano assumono carattere intimidatorio con scopo di estorsione.
Il presentatore sconta sette mesi di carcere - ottenendo tre colloqui con i magistrati inquirenti Lucio Di Pietro e Felice Di Persia - e continua la sua detenzione agli arresti domiciliari per motivi di salute. Nella sua autobiografia, relativamente al suo periodo carcerario, racconterà di un suo sogno in cui assieme ai suoi compagni di cella diviene ladro di appartamenti.
Nel giugno del 1984 Enzo Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito Radicale, che ne sosterrà le battaglie giudiziarie.
Il 17 settembre 1985 Tortora viene condannato a dieci anni di carcere, principalmente grazie alle accuse di altri pentiti.
Il 9 dicembre 1985 il Parlamento Europeo respinge all'unanimità la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'eurodeputato Enzo Tortora per oltraggio a magistrato in udienza. I fatti contestati sono relativi all'udienza del processo alla N.C.O. del 26 aprile 1985, in occasione della quale il pubblico ministero Diego Marmo afferma:
«Il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra!»
accusa dinanzi alla quale Tortora grida:
«È un'indecenza!»
Nella motivazione della decisione del P.E. si legge tra l'altro:
«Il fatto che un organo della magistratura voglia incriminare un deputato del Parlamento per aver protestato contro un'offesa commessa nei confronti suoi, dei suoi elettori e, in ultima analisi, del Parlamento del quale fa parte, non fa pensare soltanto al «fumus persecutionis»: in questo caso vi è più che un sospetto, vi è la certezza che, all'origine dell'azione penale, si collochi l'intenzione di nuocere all'uomo e all'uomo politico.»
Il 31 dicembre 1985 si dimette da europarlamentare e, rinunciando all'immunità parlamentare, resta agli arresti domiciliari.
Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla Corte d'Appello di Napoli e i giudici smontano in tre parti le accuse rivolte dai camorristi, per i quali inizia un processo per calunnia: secondo i giudici, infatti, gli accusatori del presentatore - quelli legati a clan camorristici - hanno dichiarato il falso allo scopo di ottenere una riduzione della loro pena. Altri, invece, non legati all'ambiente carcerario, avevano il fine di trarre pubblicità dalla vicenda: era, questo, il caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri.
Così, in una intervista concessa al programma La Storia siamo noi, in una puntata dedicata specificamente al caso Tortora, il giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d'indagine che ha portato all'assoluzione del popolare conduttore televisivo:
«Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all'ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po' sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell'altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell'imputato. Anche i giudici, del resto, soffrono di simpatie e antipatie... E Tortora, in aula, fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani perché non si fidava di loro e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte , lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.»

Enzo Tortora torna in televisione il 20 febbraio del 1987, quando ricomincia con il suo Portobello.
Il ritorno in video è toccante, il pubblico in studio lo accoglie con una lunga standing ovation. Tortora, leggermente invecchiato e fisicamente molto provato dalla terribile vicenda passata, con evidente commozione pronuncia serenamente la famosa frase:
«Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo sono anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi; sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta.»

L'accoglienza del pubblico non è tuttavia unanime. Sono in molti a dubitare dell'innocenza del conduttore che, a loro parere, si sarebbe avvalso della notorietà e dell'elezione a parlamentare europeo per scagionarsi.
Una trasmissione di Giuliano Ferrara, "Il testimone" del 1988, documenta per la prima volta la vicenda giudiziaria di Tortora, chiarendo l'infondatezza degli indizi che indussero gli inquirenti al suo arresto.
Tortora sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 giugno 1987, a quattro anni esatti dal suo arresto.
Il caso Tortora porterà, in quello stesso anno, al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: in quella consultazione voterà il 65% degli aventi diritto, l'80% dei quali si esprimerà per l'estensione della responsabilità civile anche ai giudici.
Nessuna azione penale o indagine di approfondimento venne mai avviata, né alcun procedimento disciplinare verrà mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani, che proseguiranno le proprie carriere, senza ricevere censure per il loro operato nel caso Tortora.

La morte
Conclusa in anticipo, causa malattia, la conduzione del suo ultimo programma televisivo intitolato Giallo andato in onda nell'autunno 1987, Enzo Tortora muore la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare.
A Tortora è stata dedicata la Biblioteca Enzo Tortora a Roma e la Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora, presieduta dalla compagna, Francesca Scopelliti.
Molte associazioni dei Radicali Italiani e alcuni club dei Riformatori Liberali (scissione di questi ultimi) sono intitolati a Tortora, che è ritenuto un simbolo dal mondo Radicale e liberale italiano.
Ad Enzo Tortora è intitolata la biblioteca comunale del Municipio I a Testaccio (Roma).

Monumenti
A San Benedetto del Tronto per ricordarlo gli è stata intitolata "piazza Enzo Tortora" che si trova di fronte al palazzo di giustizia in via Palmiro Togliatti.
Nel 2008 il Comune di Genova ha intitolato ad Enzo Tortora una galleria.
La cerimonia d'inaugurazione[4] viene svolta il 27 giugno, alla presenza di Marco Pannella, Marta Vincenzi ed Alfredo Biondi.
Nel 2009 il comune di Napoli ha intitolato una strada ad Enzo Tortora grazie a una proposta, presentata dal Consigliere Raffaele Ambrosino, supportata da un gruppo sul social network Facebook con circa 4.000 iscritti.

Cinema
▪ Sulla vicenda di Tortora nel 1999 è stato girato il film Un uomo perbene, per la regia di Maurizio Zaccaro e con Michele Placido nel ruolo del protagonista.

▪ 2003 - Alfredo Cattabiani (Torino, 26 maggio 1937 – Santa Marinella, 18 maggio 2003) è stato uno scrittore e giornalista italiano.
Nacque da Leonildo, musicista, e Anna Maria Borletto, maestra sarta. Studiò dalla prima elementare alla terza liceo all'Istituto Sociale dei Padri Gesuiti e si laureò con Luigi Firpo alla facoltà di Scienze politiche con una tesi sul pensiero politico del conte Joseph de Maistre.
Determinante per la sua formazione spirituale e politica fu l'incontro con scrittori come Mircea Eliade, Augusto del Noce, Simone Weil, René Guénon, Joseph de Maistre. Ma non meno determinante è l'aver vissuto in una Torino la cui temperie culturale Cattabiani percepiva egemonizzata «dalle contraddizioni totalitarie della cultura marxista-leninista» e dall'«intolleranza di quelle neo-illuminista e neo-positivista». Nel 1962 fondò a Torino, con altri amici che gravitavano intorno ad Augusto del Noce, le Edizioni dell'Albero, per opporsi a quello che riteneva essere il monopolio della cultura allora dominante. Contemporaneamente collaborò a quotidiani e riviste letterarie e pubblicò un'antologia degli scritti politici di Georges Bernanos con un ampio saggio introduttivo.
Nel 1965 è relatore al convegno dell'Hotel Parco dei Principi sulla guerra rivoluzionaria.
Nel 1966 assunse la direzione editoriale della casa editrice Borla di Torino dove restò fino al 1969 creando nuove collane fra cui "Documenti di cultura moderna", a cura di Augusto del Noce ed Elémire Zolla, dove pubblicò autori allora "dimenticati" come Hans Sedlmayr, Abraham Joshua Heschel, Simone Weil, Mircea Eliade o Chogyam Trungpa.
Nel 1969 si trasferì a Milano dove Edilio Rusconi gli affidò la direzione editoriale della neonata Rusconi Libri, che in breve tempo s'impose sul mercato con opere letterarie quali Il Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, Difesa della luna di Guido Ceronetti, che segnò l'esordio dello scrittore, Il flauto e il tappeto di Cristina Campo, poi ripubblicato con grande successo da Adelphi negli anni ottanta con il titolo Gli imperdonabili, Heliopolis e Eumeswil di Ernst Jünger e Il quinto evangelio di Mario Pomilio.
Ma è soprattutto nelle collane saggistiche che la Rusconi, sotto la direzione di Cattabiani, propose una cultura di ispirazione metafisica e sapienziale con autori come il teologo Hans Urs von Balthasar, il filosofo Augusto del Noce, di cui pubblicò Il suicidio della rivoluzione e Il cattolico comunista, gli storici delle religioni Mircea Eliade, Seyyed Hossein Nasr, Ananda Coomaraswamy, René Guénon, l'etno-musicologo Marius Schneider, lo storico dell'arte Hans Sedlmayr, il biologo Giuseppe Sermonti, Simone Weil, Abraham Heschel, Seyyed Hossein Nasr, Titus Burckhardt, Fausto Gianfranceschi. A sua volta Giuseppe Prezzolini iniziò l'ultima sua intensa attività come scrittore pubblicando vari libri presso la Rusconi, dal Manifesto dei conservatori alla ormai celeberrima antologia della "Voce". Vennero anche riproposti classici del pensiero tradizionale, da Joseph de Maistre a Pavel Florenskij, a Donoso Cortes.
Cattabiani impostò anche una fortunata collana musicale diretta da Piero Buscaroli e Paolo Isotta e un'altra di classici di filosofia, diretta da Vittorio Mathieu, Giovanni Reale, Giovanni Santinello e Adriano Bausola, che continua ancora oggi presso la Bompiani col nuovo titolo di "Il pensiero occidentale" e ha pubblicato con successo commerciale i classici da Platone a Plotino, da Filone d'Alessandria a Dionigi Areopagita a Maestro Eckart.
Contemporaneamente tradusse opere di Simone Weil, Jules Barbey d'Aurevilly, Pierre Drieu La Rochelle; e collaborò alle pagine culturali di vari giornali.
Nel 1979 abbandonò l'editoria e cambiò professione: si trasferì a Roma, dove divenne giornalista professionista dirigendo fino all'autunno del 1981 le pagine culturali e degli spettacoli del Settimanale e collaborando contemporaneamente alle terza pagina de Il Tempo, curata da Fausto Gianfranceschi.
Con la chiusura del Settimanale lasciò il giornalismo attivo, limitandosi soltanto a collaborazioni a quotidiani e settimanali, preferendo rimanere indipendente da qualunque partito ed orientamento politico.
Cominciò allora a ideare e condurre programmi radiofonici per la Rai e nello stesso tempo a scrivere vari libri sugli argomenti di cui fu studioso: storia delle religioni, tradizioni popolari e simbolismo. Esordì con una raccolta di racconti, Bestiario, con protagonisti animali reali, simboli e incarnazioni di "energie cosmiche", e con un dialogo filosofico e teologico su alcune piante, Erbario, ambientato sull'isola Bisentina del lago di Bolsena.
Sul simbolismo pubblicò:
▪ Bestiario di Roma, sugli animali dipinti e scolpiti nella capitale, scritto con Marina Cepeda Fuentes;
▪ Simboli, miti e misteri di Roma;
▪ Florario, dedicato al mondo delle piante e dei fiori;
▪ Planetario, dedicato alle stelle e ai pianeti,
▪ Volario sugli esseri alati, dagli uccelli agli insetti alle creature fantastiche;
▪ Acquario, sugli esseri delle acque: gli ultimi quattro, primi di una serie in preparazione, dedicata ai miti, simboli, leggende e tradizioni ispirate dai mondi vegetale, animale, minerale e astrale, che formerà, completata, una Storia dell'immaginario.
Alle tradizioni italiane dedicò una trilogia:
▪ Calendario, un viaggio nel calendario per spiegare l'origine, il significato e il simbolismo delle sue feste liturgiche e profane, delle tradizioni, delle usanze;
▪ Santi d'Italia;
▪ Lunario, un viaggio tra le varie feste e tradizioni dell'Italia, contributo alla memoria e conservazione della cultura popolare e tradizionale italiana.
Nel 2001 pubblicò una raccolta di alcuni suoi racconti-dialoghi sugli animali scritti tra il 1983 e il 2001 con cui vinse il premio Basilicata per la narrativa.
Nel 1991 si trasferì in una casa medievale del quartiere San Pellegrino a Viterbo. Dopo dieci anni, nel 2001, scelse come nuova residenza una cittadina sul litorale laziale, Santa Marinella. Visse con la moglie Marina Cepeda Fuentes, di origine spagnola, anche lei nota come conduttrice radiofonica e studiosa di tradizioni popolari.

Opere
▪ Bestiario (Editoriale Nuova 1984; De Agostini 1990)
▪ Erbario (Rusconi 1985)
▪ Bestiario di Roma, con Marina Cepeda Fuentes (Newton Compton 1986, premio Tevere 1986)
▪ Calendario (Rusconi 1988)
▪ Simboli, miti e misteri di Roma (Newton Compton 1990)
▪ Santi d'Italia (Rizzoli 1993, premio Estense 1993)
▪ Lunario (Mondadori 1994; nuova edizione riveduta e ampliata negli Oscar Mondadori 2002)
▪ Florario (Mondadori, 1996; Oscar Mondadori 1998; premio Scanno 1997)
▪ Planetario (Mondadori 1998; Oscar Mondadori 2001; premio Repubblica di San Marino 1999)
▪ Breve storia dei giubilei. 1300-2000, (Bompiani 1999)
▪ Volario (Mondadori 2000; Oscar Mondadori 2001)
▪ Zoario (Mondadori 2001, Premio Basilicata per la narrativa 2001)
▪ Acquario (Mondadori 2002)
▪ Santi del Novecento (Rizzoli 2005)
Ha curato un'antologia di scritti politici di Georges Bernanos (Bernanos, Volpe 1964), traducendola e scrivendo anche un saggio introduttivo; Le serate di San Pietroburgo (Rusconi 1972) con un suo saggio introduttivo; un'antologia del pensiero di Joseph de Maistre, Breviario della tradizione (Edizioni Il Cerchio 2000) con un saggio introduttivo.
Ha tradotto di Pierre Drieu La Rochelle Racconto segreto (Longanesi, 1965), con un saggio introduttivo di Carlo Bo; Piccoli borghesi (Longanesi 1969), Che strano viaggio (Rusconi, 1971) con un suo saggio introduttivo; di Jules Barbey d'Aurévilly Le diaboliche (Rusconi 1977) insieme con Anna Rosso, con un suo saggio introduttivo; di Simone Weil L'amore di Dio (Edizioni Borla 1979) insieme con Giulia Bissaca, con un saggio introduttivo di Augusto del Noce; di Antonio Rosmini Frammenti di una storia della empietà (con una nota di Marco Albertazzi, La Finestra editrice, 2002); Arte della prudenza di Baltasar Gracièn (ancora inedito), con un suo saggio introduttivo.
Centinaia di articoli sono sparsi in vari quotidiani e periodici fra i quali Il Tempo (dal 1963), "Il Nostro Tempo" (dal 1966 al 1970 e poi dal 1998), L'Osservatore Romano (dal 1966 al 1970); "Il Settimanale" (dal 1974 al 1981), "Il Sabato" (dal 1988 al 1991); "L'Italia settimanale" (dal 1993 al 1995), "Lo Stato" (dal 1997 al 1998), Il Giornale (dal 1994), Avvenire (dal 1999), Il Sole 24 Ore (dal 2002).
Ha lasciato decine di scritti inediti, fra cui il volume sugli animali terrestri, miti e leggende, intitolato Terrario da pubblicare con la Mondadori.

Molto interessante il suo articolo sulla politica culturale in Italia.