Il calendario del 18 Giugno
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Eventi
▪ 1155 - Italia: Incoronazione di Federico Barbarossa
▪ 1178 - Canterbury: cinque monaci cercano di capire come può essersi formato sulla Luna il cratere in seguito chiamato Giordano Bruno.
Si ritiene che le attuali oscillazioni della distanza della Luna dalla Terra (che sono nell'ordine dei metri) siano il risultato di una recente collisione, forse osservata direttamente dai monaci
▪ 1429 - I Francesi, guidati da Giovanna d'Arco, vincono la battaglia di Patay contro gli Inglesi di Sir John Fastolf
▪ 1685 - La Ribellione di Monmouth: James Scott, primo duca di Monmouth, a Taunton si dichiara re d'Inghilterra
▪ 1767 - Il capitano inglese Samuel Wallis scopre Tahiti
▪ 1778 - Stati Uniti, Guerra d'indipendenza americana: le truppe britanniche abbandonano Filadelfia (Pennsylvania)
▪ 1812 - Stati Uniti, Guerra del 1812: Il Congresso degli Stati Uniti dichiara guerra al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda
▪ 1815 - Europa, Guerre napoleoniche: La Battaglia di Waterloo porta all'abdicazione di Napoleone Bonaparte dal trono di Francia per la seconda volta
▪ 1836 - Istituzione del corpo dei Bersaglieri da parte del Generale Alessandro La Marmora
▪ 1858 - Charles Darwin riceve da Alfred Russel Wallace un documento che contiene conclusioni quasi identiche alle sue sull'evoluzione. Questo fatto spinge Darwin a pubblicare la teoria
▪ 1873 - Stati Uniti: Susan B. Anthony (femminista) viene multata di 100 dollari per aver tentato di votare alle elezioni presidenziali statunitensi, benché donna
▪ 1887 - Germania e Russia firmano il Trattato di riassicurazione
▪ 1900 - La vedova dell'imperatore cinese ordina che siano uccisi tutti gli stranieri, anche i diplomatici e i loro familiari
▪ 1905 - Muore Carmine Crocco, famoso brigante del periodo postumo all'Unità d'Italia
▪ 1928 - Amelia Earhart diventa la prima donna ad attraversare in aeroplano l'Oceano Atlantico
▪ 1940
- - Francia: Appello del 18 giugno di Charles de Gaulle.
- - Winston Churchill pronuncia il Discorso dell'ora migliore
▪ 1945 - William Joyce (Lord Haw-Haw) viene accusato di tradimento
▪ 1953 - Un C-124 dell'USAF si schianta vicino a Tokyo, 129 vittime
▪ 1965 - Guerra del Vietnam: Gli Stati Uniti usano i bombardieri B-52 per attaccare i guerriglieri del Fronte di Liberazione Nazionale nel Vietnam del Sud
▪ 1979 - L'accordo SALT II viene firmato da Stati Uniti ed Unione Sovietica
▪ 1982 - Londra, sotto il Blackfriars Bridge, viene trovato il cadavere del banchiere italiano Roberto Calvi. È l'epilogo della vicenda del bancarottiere Michele Sindona, dopo l'omicidio Ambrosoli
▪ 1983 - Sally Ride diventa la prima donna americana nello spazio
▪ 1989 - La Birmania viene rinominata Myanmar
▪ 1997 - Milano, Stadio San Siro- Ultimo concerto di Michael Jackson in Italia
▪ 2003 - Italia: approvato il cosiddetto lodo Schifani, la legge sull'immunità per le cinque cariche istituzionali più alte
▪ 2006 - A Roma, teatro Barberini, nasce ufficialmente il Movimento costitutivo del Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando.
Anniversari
▪ 1155 - Arnaldo da Brescia (Brescia, 1090 – Roma, 18 giugno 1155) è stato un religioso italiano.
Fu un riformatore religioso caratterizzato da notevole eloquenza e forte avversione per l'istituzione tradizionale ecclesiastica. I punti fondamentali del suo radicale programma di riforma, da collegarsi alle idee del movimento milanese dei Patarini, erano: la rinuncia della Chiesa alla ricchezza e il suo ritorno alla povertà evangelica, l'abbandono del potere temporale, la predicazione estesa ai laici, la non validità dei sacramenti amministrati da un clero non degno, la confessione praticata tra fedeli e non ai sacerdoti.
A venticinque anni, Arnaldo divenne canonico agostiniano e si trasferì a Parigi, dove ebbe come maestro Pietro Abelardo e dove lesse avidamente tutte le opere dei Padri della Chiesa. Al suo ritorno a Brescia, nel 1119, iniziò una serrata propaganda anticlericale, decisamente innovativa per i tempi: Arnaldo accusava il clero ed in particolare il vescovo di Brescia Manfredo, di possedere terre, di interessarsi di vicende politiche e di praticare usura, predicando il ritorno alla povertà evangelica, all'elemosina e alla solidarietà.
Nel 1139 le sue idee e quelle di Abelardo vennero giudicate eretiche dal Concilio Lateranense II e per tale motivo egli decise di lasciare l'Italia ed andare in Francia dall'amico Abelardo. Qui partecipò al Concilio di Sens del 1140, teatro della disputa tra Abelardo e Bernardo di Chiaravalle. Quest'ultimo prevalse ed ottenne dal re Luigi VII l'espulsione dalla Francia di Arnaldo. Questi allora si recò prima a Zurigo e poi in Boemia nel 1143, accolto dal legato pontificio Guido di Castello, futuro papa Celestino II. Chiesto ed ottenuto il perdono da papa Eugenio III, Arnaldo tornò poi a Roma nel 1145 dove, con la cacciata del pontefice seguita alla rivolta del 1143, era stato istituito un libero comune retto da un senato oligarchico e da un patricius.
In tale situazione Arnaldo si gettò completamente nell'agone politico giungendo a fomentare con accalorati comizi le sue tesi anti-papali e rivoluzionarie, tese a fare di Roma un'entità politica nuova e sganciata dalla Chiesa; questo comportò la scomunica da parte del papa nel 1148, ma godendo del favore popolare, non fu mai perseguitato.
Fallita l'esperienza del libero comune, Arnaldo ed i suoi numerosi seguaci, detti arnaldisti, mossi dallo spirito antipapale, pensarono quindi di far rinascere uno stato imperiale a Roma e si rivolsero a Federico Barbarossa per convincerlo a scendere su Roma ed instaurarvi un potere laico opposto a quello del papa. Nel 1152 il papa Eugenio III riconobbe il Comune come entità politica, ma non poté godere a lungo della pace perché morì di lì a poco.
Dopo il brevissimo pontificato di papa Anastasio IV, divenne papa nel dicembre 1154 Adriano IV. Nel 1155 Adriano IV colpì d'interdetto Roma, in seguito all'assassinio di un cardinale, con la promessa di revocare la decisione solo se Arnaldo fosse stato esiliato dalla città. A questo punto la città si schierò contro Arnaldo e si sollevò contro il Senato. Arnaldo fu quindi costretto a fuggire da Roma e vagare come ospite di alcune potenti famiglie della campagna romana, tra cui il Visconte di Campagnano. Era qui ospite quando l'Imperatore Federico I Barbarossa, in Italia per essere incoronato, ordinò al Visconte la consegna di Arnaldo che fu quindi tradotto a Roma.
Probabilmente intorno al giugno 1155, ma non è certa la data esatta, Arnaldo venne condannato dal tribunale ecclesiastico all'impiccagione, ed il suo corpo fu arso al rogo mentre le sue ceneri furono sparse nel Tevere, per impedire che se ne recuperassero i resti mortali. Il reale capo d'accusa non fu la predicazione contro l'abuso delle ricchezze da parte del clero, contro il quale aveva combattuto ferocemente anche il suo nemico Bernardo di Chiaravalle, bensì il rifiuto assoluto del potere temporale del Papa e della Chiesa, che San Bernardo e gli altri avversari di Arnaldo consideravano «eresia».
La figura di Arnaldo da Brescia fu riscoperta dai giansenisti lombardi nel settecento e fu celebrata da Giovanni Battista Niccolini, nella tragedia a lui dedicata, come quella di un eroe anticlericale vittima di un imperatore tedesco. La cultura laica dell'Ottocento lo esaltò come un martire del libero pensiero, mentre la Riforma Protestante ne fa un suo antesignano.
Un suo mezzobusto si trova a Villa Borghese, accanto all'orologio.
Ad Arnaldo è dedicato un prestigioso liceo classico bresciano e un piazzale dominato da una sua statua, opera di Odoardo Tabacchi nonché, a Roma, una porzione di Lungotevere, tra ponte Nenni e ponte Regina Margherita.
* 1827 - Giuseppe Avanzini (Gaiono, 13 dicembre 1753 – Padova, 18 giugno 1827) è stato un matematico e fisico italiano.
Dopo gli studi nel seminario di Brescia venne ordinato sacerdote nel 1777.
Si dedicò quindi allo studio della matematica e della fisica.
Nel 1797 divenne professore di matematica nell'Università di Padova, ma fu costretto ad abbandonare l'incarico nel 1801 per le sue posizioni politiche.
Mutato il quadro politico, nel 1806, ritornò all'insegnamento nell'Università di Padova, dove gli fu affidata la cattedra di fisica generale e matematiche applicate.
Nel 1816 passò alla cattedra di calcolo sublime, succedendo a Pietro Cossali.
Dal 1813 fu socio dell'Accademia Nazionale delle Scienze.
Nel periodo 1808 - 1809 fu preside della facoltà di scienze dell'Università di Padova.
Fu autore di importanti studi sperimentali sulla dinamica dei fluidi e di pioneristici studi di aereodinamica.
Ebbe una violenta polemica con Vincenzo Brunacci, relativa alla teoria matematica sul funzionamento dell'ariete idraulico.
È nota la Legge di Avanzini sul moto dei fluidi.
* 1902 - Samuel Butler (Langar Rectory, 4 dicembre 1835 – Londra, 18 giugno 1902) è stato uno scrittore inglese.
Samuel Butler è considerato dai critici un autore vittoriano iconoclasta. Tra le sue opere più famose troviamo l'opera satirica Erewhon e il romanzo postumo The Way of All Flesh (Così muore la carne). Egli è anche noto per le sue analisi sulla ortodossia cristiana, per lo studio dell'evoluzione e dell'arte italiana e per i suoi scritti di storia e critica letteraria. Butler fu anche traduttore della Iliade e dell'Odissea.
* 1905 - Carmine Crocco, detto Donatelli o talvolta Donatello[1] (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un brigante e rivoluzionario italiano, tra i più noti e rappresentativi del periodo risorgimentale.
Era il capo indiscusso delle bande del Vulture-Melfese, sebbene il suo controllo si estese anche ad alcune dell'Irpinia e della Capitanata.[2] Le sue scorribande si svolsero fino al Molise, alle zone di Avellino, Foggia, Bari e Lecce.[3]
Nel giro di pochi anni, da umile bracciante divenne comandante di un esercito di oltre duemila uomini (alcuni ritengono persino di ottomila),[4] guadagnandosi così l'appellativo di "Generale dei Briganti",[5] combattendo prima nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi con la resistenza borbonica e infine per se stesso. Sotto il suo comando vi erano 43 bande, ciascuna affidata ad un sergente coadiuvato da due caporali.[6]
La consistenza del suo esercito fece della Basilicata il cuore della rivolta antisabauda.[7] In circa quattro anni di latitanza, Crocco fu uno dei più temuti e ricercati fuorilegge del periodo post-unitario e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire.[8] Tuttora al centro di pareri discordanti, è considerato un bandito e carnefice per alcuni e un eroe popolare per altri, soprattutto per gli antirisorgimentali del Sud Italia.[9]
L'infanzia
Carmine nacque a Rionero in Vulture, paese che contava all'epoca circa 10000 abitanti. Suo padre, Francesco Crocco, era pastore presso la nobile famiglia venosina di don Nicola Santangelo mentre sua madre, Maria Gerarda Santomauro, era una massaia che coltivava un piccolo campo a Rionero. Secondogenito di cinque figli (tre fratelli: Donato, Antonio e Marco; una sorella: Rosina), Carmine visse un'infanzia piuttosto tranquilla, sebbene le condizioni familiari fossero molto misere e si lavorasse sodo per poter vivere. Crebbe con i racconti di suo zio Martino, un ex sergente maggiore di artiglieria che perse la gamba sinistra a causa di una palla di cannone nell'assedio di Saragozza (durante la Guerra d'indipendenza spagnola) e da cui imparò a leggere e scrivere.[10]
Nel 1836, ancora bambino, assistette ad un episodio che segnò per sempre la sua vita, iniziando a maturare il suo istinto ribelle contro i potenti. Durante una mattinata di aprile di quell'anno, entrò nella propria abitazione un cane levriero che aggredì un coniglio, trascinandolo con sè fuori e lo dilaniò. Il fratello di Carmine, Donato, uccise il cane con un randello. Per sua sfortuna, l'animale apparteneva ad un signorotto del posto, un tale don Vincenzo, che, trovando la bestia morta vicino alla dimora dei Crocco, picchiò violentemente Donato con un frustino.
La madre, incinta di cinque mesi, si contrappose tra il signorotto e suo figlio, subendo dall'aggressore un forte calcio al ventre che la costrinse ad una lunga degenza a letto e, per poter rimanere in vita, fu costretta ad abortire. Pochi giorni dopo il signorotto si presentò dal giudice ed accusò il padre di Carmine, il quale, venuto a conoscenza dell'accaduto, avrebbe tentato di ucciderlo con un'arma da fuoco. Non si è mai appreso con certezza se le dichiarazioni di don Vincenzo siano state veritiere o meno, tuttavia i poliziotti si recarono subito a Venosa e portarono Francesco al carcere di Potenza, senza prove concrete (Carmine lo ritenne innocente).[11] La madre, ancora avvilita per la perdita di un figlio non ancora nato, cadde in profonda depressione per l'incarcerazione del marito e, divenuta pazza, fu rinchiusa in manicomio. Per poter mandare avanti la famiglia, furono venduti i loro miseri possedimenti e i figli furono affidati ad altri parenti. Tali eventi molto tristi e difficili resero Carmine sempre più ostile nei confronti della società in cui viveva.
L'adolescenza
Con il padre in carcere e la madre con seri problemi di salute, il giovane Carmine, assieme al fratello Donato, andò a lavorare come pastore in Puglia; sporadicamente tornava nel suo paese natio ma sua madre, sempre più logorata da problemi psichici, non lo riconobbe più e morì poco tempo dopo nel manicomio ove fu ospitata. Nel 1845, Carmine, ancora quindicenne, salvò la vita ad un nobile della zona, don Giovanni Aquilecchia di Atella, che volle attraversare imprudentemente le acque dell'Ofanto in piena. Come compenso, Aquilecchia regalò 50 ducati a Crocco, che li sfruttò per poter ritornare nella sua Rionero dopo il suo soggiorno lavorativo in Puglia.
Don Aquilecchia fece anche scarcerare il padre di Carmine, tramite suo cognato don Pietro Ginistrelli, un uomo importante ed influente. Tornato a casa, Francesco Crocco era ormai divenuto vecchio e malato e Carmine dovette assumersi il ruolo di mantenere la famiglia, iniziando a lavorare come contadino presso la masseria di don Biagio Lovaglio a Rionero. Qui, un mattino di maggio 1847, conobbe don Ferdinando, il figlio di don Vincenzo, colui che assalì suo fratello e sua madre. Don Ferdinando apparve diverso dal suo genitore e si mostrò gentile nei confronti di Crocco, rimanendo sconfortato per il male che il padre aveva arrecato alla sua famiglia.
Offrì al giovane Carmine il posto di fattore in una masseria di sua proprietà ma lui preferì avere in affitto tre tumuli di terra, con i quali sperava di guadagnare 200 scudi che gli avrebbero permesso di evitare il servizio militare. Don Ferdinando accettò ugualmente ma l'accordo si vanificò, poiché il signorotto venne trucidato da alcuni soldati svizzeri a Napoli il 15 maggio 1848. Così Carmine si ritrovò nell'esercito di Ferdinando II, nel primo reggimento d'artiglieria, prima nella guarnigione di Palermo e poi di Gaeta. Con la sua partenza, fu la sorella Rosina, non ancora diciottenne, ad avere il compito di mantenere la famiglia.
Il primo omicidio
Nel 1851, Rosina, divenuta ormai il "timone" della famiglia e rimasta in casa a lavorare per tante ore al giorno, ricevette continue proposte da un uomo invaghito di lei, un certo don Peppino Carli, che le mandava numerose lettere di corteggiamento. La ragazza, completamente disinteressata, non gli rispose nemmeno e lui, non sopportando i suoi continui rifiuti, le sfregiò il viso e andò in giro a diffamarla. Rosina, scioccata e colta dalla disperazione, fuggì dai parenti per invocare protezione e aiuto. Carmine ricevette una lettera che narrava l'accaduto e, furibondo, volle riparare il torto subito da sua sorella.
Venuto in licenza, Carmine (promosso da poco tempo caporale) decise di incontrarlo faccia a faccia. Conoscendo le abitudini di don Peppino, che nelle ore serali si recava spesso ad un circolo per giocare d'azzardo, attese il ritorno del signorotto davanti la sua abitazione. Al suo arrivo, Crocco gli domandò il perché del suo gesto nei confronti della sorella, dandogli del "mascalzone". Don Peppino non tollerò l'aggettivo attribuitogli e gli diede un colpo di frustino in viso. Colto dall'ira, Carmine estrasse un coltello e lo uccise.[12] Compiuto l'assassinio, fu costretto alla fuga e ad abbandonare l'obbligo militare, trovando rifugio nel bosco di Forenza, posto in cui era facile trovare altre persone con guai giudiziari.
Fu in questo periodo che iniziò ad avere i primi contatti con altri fuorilegge che, in futuro, sarebbero stati suoi sottoposti contro i sabaudi, come Giuseppe "Ninco Nanco" Summa e Vincenzo "Staccone" Mastronardi, costituendo una banda armata che visse di rapine e furti. Tornato a Rionero, Carmine fu arrestato e rinchiuso nel bagno penale di Brindisi il 13 ottobre 1855, ricevendo una condanna di 19 anni di carcere. Il 13 dicembre 1859 riuscì ad evadere, nascondendosi nei boschi di Monticchio.
Moti liberali
Scappato dal carcere, Carmine venne a conoscenza tramite don Decio Lordi, sottoprefetto di Melfi, che Giuseppe Garibaldi avrebbe fatto concedere la grazia ai soldati disertori che appoggiassero la sua campagna militare contro i Borboni (Spedizione dei Mille). Aderì quindi ai moti liberali il 17 agosto 1860, riuscendo a radunare un cospicuo numero di combattenti. Crocco e i suoi uomini vennero mandati al Passo delle Crocelle (nei pressi di Bella) per poi proseguire a Salerno e Napoli, partecipando anche alla celebre battaglia del Volturno.[13]
Nonostante il suo eroismo in battaglia, Carmine, oltre a non ricevere una medaglia al valore, non ricevette nemmeno la grazia e fu arrestato. La sua condanna fu aggravata a causa del sequestro di Michele Anastasia, capitano della Guardia Nazionale di Ripacandida, compiuto con l'aiuto di Mastronardi e avvenuto prima dei moti risorgimentali di agosto. Crocco tentò la fuga verso Corfù ma venne sorpreso a Cerignola e nuovamente incarcerato.
Uscito di galera, Crocco, deluso dalla promessa non mantenuta da Garibaldi, passò dalla parte della causa legittimista di Francesco II. Sfruttando il profondo malessere sociale del popolo lucano, riuscì ad assumere il comando di oltre duemila uomini, di cui la maggior parte erano persone nullatenenti e disilluse dal nuovo governo italiano, oltre che da ex militi del regno borbonico. Da quel momento, Carmine partì all'attacco sotto il vessillo dei borboni.
Al servizio di Francesco II
Crocco, nel periodo di Pasqua del 1861, conquistò la zona del Vulture nel giro di dieci giorni. Il 7 aprile occupò Lagopesole (rendendo il castello una roccaforte) e il giorno successivo Ripacandida, dove sconfisse la guarnigione locale della Guardia Nazionale Italiana. Crocco dichiarò subito decaduta l'autorità sabauda e ordinò che fossero esposti nuovamente gli stemmi e i fregi di Francesco II. Il 10 aprile i briganti entrarono a Venosa e la saccheggiarono, istituendo anche qui una giunta provvisoria.
Fu poi la volta di Lavello ed infine di Melfi (15 aprile), dove Crocco fu accolto trionfalmente (anche se alcuni ricordano mestamente l'entrata dei suoi uomini nella città melfitana per via della macabra uccisione e mutilazione del parroco Pasquale Ruggiero).[14] Con l'arrivo di rinforzi piemontesi da Potenza, Bari e Foggia, Carmine fu costretto ad abbandonare Melfi e, con i suoi fedeli, si spostò verso l'avellinese, occupando, qualche giorno dopo, Aquilonia (a quel tempo chiamata "Carbonara"), Calitri, Sant'Andrea di Conza e Sant'Angelo dei Lombardi.[15][16] L'arrivo di Carmine in Irpinia diede uno scossone a diverse popolazioni locali: comuni come Trevico e Vallata insorsero contro i piemontesi e sotto la sua influenza si formarono altre bande nella zona comandate da un suo nuovo luogotenente, il brigante Ciriaco Cerrone.[17]
L'espansione di Carmine riuscì anche a valicare i confini pugliesi, grazie anche all'appoggio del suo subalterno Giuseppe "Sparviero" Schiavone di Sant'Agata di Puglia, occupando la stessa Sant'Agata, Bovino e Terra di Bari.[18] Nel frattempo, Crocco venne a sapere che Decio Lordi, colui che sembrava sostenerlo e che gli consigliò di arruolarsi nei garibaldini per evitare il carcere, lo aveva tradito, fornendo ai piemontesi alcuni indizi per catturarlo. Il brigante decise così di punirlo, ordinando ad alcuni suoi uomini di preparargli un'imboscata. Mentre stava lasciando Melfi per prendere la sottoprefettura di Eboli, il signorotto e le sue guardie vennero sorpresi da alcuni briganti che, dopo una breve colluttazione, li costrinsero ad arrendersi. Lordi riuscì a farla franca, scappando con due gendarmi.[19] Carmine rimase amareggiato e non credette più ai galantuomini che finora sembravano appoggiarlo. Nell'agosto 1861 programmò di sciogliere le proprie bande. Il barone piemontese Giulio De Rolland, nominato nuovo governatore della Basilicata al posto del dimissionario Giacomo Racioppi, era disposto a trattare con lui ma il neonato governo non era d'accordo.[20]
Crocco tornò sui suoi passi quando il governo borbonico in esilio gli promise rinforzi. Il 22 ottobre 1861, arrivò per ordine di Francesco II, il generale spagnolo Josè Borjes. Borjes, da poco giunto dalla Calabria, venne a conoscenza, tramite il generale Tommaso Clary, delle vittoriose gesta di Crocco e organizzò un incontro con lui nel bosco di Lagopesole.[21] Il generale aveva fiducia nelle capacità del brigante rionerese e vide in lui un valido aiuto per tentare un'insurrezione contro i piemontesi. Il generale voleva trasformare la sua banda in un esercito regolare, quindi adottando disciplina e precise tattiche militari;[22] inoltre programmò di assoggettare i centri minori, dar loro nuovi ordinamenti di governo e arruolare nuove reclute per poter conquistare Potenza, ancora un solido presidio sabaudo.[23] Carmine gli diede retta, sebbene non nutrisse alcuna simpatia per il generale sin dall'inizio, temendo che Borjes volesse sottrargli il comando dei propri territori (il brigante lo definì un "povero illuso").[24]
Alla conquista di Potenza
Partito da Lagopesole, assieme alle sue bande e con l'appoggio bellico di Borjes di circa 500 uomini, Crocco raggiunse le sponde del Basento, ove riuscì a reclutare nuovi combattenti, e occupò Trivigno, mettendo subito in fuga le guardie nazionali. La popolazione venne soggiogata e costretta ad obbedire ai suoi ordini. Spostandosi nella provincia di Matera, il 5 novembre, conquistò il piccolo centro di Calciano sulla destra del Basento e poi a Garaguso. Durante il tragitto verso Garaguso, Carmine incontrò un parroco, che implorò pietà. A parte qualche evento facinoroso, il paese venne occupato senza particolari disordini.
Il mattino seguente fu la volta di Salandra, ben protetta dalle guardie nazionali, ma furono gli uomini di Crocco ad avere la meglio, grazie anche all'appoggio del popolo, ostile al nuovo governo piemontese. Si proseguì per Craco, ove non avvennero eventi sanguinari a seguito della clemenza richiesta dalla popolazione, e per Aliano, facilmente conquistabile essendo abbandonata alla sola popolazione, che accolse calorosamente i briganti. Per fronteggiare l'inarrestabile marcia di Crocco, il sottoprefetto di Matera preparò un esercito di 1200 uomini, composto da un battaglione di fanteria, bersaglieri e guardie nazionali. Questa volta la battaglia, combattuta nei pressi di Stigliano, fu più ardua del previsto per i briganti e molti di loro perirono, ma anche questa volta i combattenti di Crocco ne uscirono vincitori, grazie anche al contributo del suo "braccio destro" Ninco Nanco che, con soli 100 uomini, adottò una strategia determinante nel mettere in fuga la coalizione avversaria ed il loro capitano fu ucciso e decapitato.[25]
Conquistati altri paesi come Grassano, Guardia Perticara, San Chirico Raparo e Vaglio, l'esercito di Crocco giunse nelle vicinanze di Potenza il 16 novembre ma fu subito costretto alla fuga verso Pietragalla a causa di un ex borbone, passato alla parte dei sabaudi, che avvertì quest'ultimi dell'arrivo dei briganti e fornì loro armi in cambio di denaro. Il 22 novembre, i briganti giunsero a Bella e conquistarono Ruvo del Monte, Balvano, Ricigliano e Pescopagano. Con l'arrivo dell'ennesimo rinforzo militare piemontese, Crocco non fu più in grado di sostenere altre battaglie e ordinò ai suoi uomini la ritirata verso i boschi di Monticchio. Appena tornato, Crocco ruppe i rapporti con il generale Borjes, perché era insicuro di vincere e temeva di diventare suo subalterno. Il generale spagnolo, non sopportando il suo cambio di rotta, si recò a Roma con i suoi 24 uomini per fare rapporto al re ma, catturato dai soldati sabaudi durante il tragitto, venne fucilato assieme ai suoi fedeli a Tagliacozzo.
Il tradimento di Caruso
Da quel momento, il brigante rionerese, rimasto senza un sostegno militare ed economico, minacciò ricchi signori di morte e di bruciare le loro proprietà se non l'avessero supportato a livello finanziario, arrivando a compiere depredazioni e ricatti fino alle zone di Foggia, Bari, Lecce, Ginosa e Castellaneta.[26]
Nell'agosto 1862, il delegato di Pubblica Sicurezza di Rionero, Vespasiano De Luca, volle aprire una trattativa di resa con Crocco e Caruso. De Luca promise ai briganti di evitare la condanna a morte se giudicati da un tribunale civile, mentre per Crocco si prospettava il confino in un'isola stabilita dal governo sabaudo. L'esito dell'accordo si rivelò negativo. Nel marzo 1863 le sue bande (tra cui quelle di Ninco Nanco, Caruso, Caporal Teodoro, Sacchetiello e Malacarne), attaccarono un gruppo di cavalleggeri di Saluzzo, guidato dal capitano Bianchi, e 15 di loro furono picchiati ed ammazzati.
Caruso, fino a quel momento una delle sue migliori sentinelle, entrò in attrito con il suo capo, per motivi non ancora chiari. Si sostiene che l'astio tra i due ebbe inizio quando Caruso fece sterminare dalla sua banda alcuni soldati piemontesi catturati, contro il volere di Crocco, che reagì a sua volta con violenza e fece ammazzare gli uomini del brigante di Atella.[27] Un'altra ipotesi ritiene che i loro rapporti si incrinarono perché Crocco gli aveva rubato l'amante, la brigantessa Filomena Pennacchio.[28] Da quel momento, Caruso si arrese al generale Fontana il 14 settembre 1863 a Rionero, preparando la sua ritorsione nei confronti di Crocco e dei suoi ex alleati. Affidato al generale Emilio Pallavicini, svelò alle autorità i piani e i nascondigli della sua organizzazione e, per via delle sue informazioni, numerosi briganti trovarono la morte e il loro esercito si indebolì progressivamente.
L'arresto e la morte
Con il rinnegamento di Caruso, l'esercito di Crocco fu costretto a ritirarsi verso l'Ofanto a causa dei massicci rinforzi alla Guardia Nazionale inviati dal governo regio. Nei giorno successivi tutti i paesi insorti e occupati furono riconquistati, ristabilendo l'autorità sabauda. Crocco e la sua banda vissero nei boschi sperando in un provvedimento di clemenza.
L'esercito di Pallavicini lo sorprese sull'Ofanto, ove le sue truppe vennero decimate il 25 luglio 1864. La sua egemonia era ormai svanita e dei suoi duemila uomini ne rimasero circa una trentina.[29] Davanti ad una sconfitta ormai inevitabile, Carmine, auspicando in un aiuto da parte del clero, si recò nello Stato Pontificio per incontrare il papa Pio IX, che aveva sostenuto la causa legittimista. In realtà, il brigante fu catturato dai suoi soldati a Veroli, per poi essere incarcerato a Roma. Tutto questo suscitò in lui un'amara delusione nei confronti del pontefice.[30]
Con l'arresto di Crocco, molti uomini sotto il suo comando come Caporal Teodoro, Donato Tortora, Vincenzo "Totaro" Di Gianni e Michele "Il Guercio" Volonnino furono giustiziati o costretti ad arrendersi, decretando la fine del brigantaggio nel Vulture-Melfese. Carmine fu trasferito in galera a Marsiglia, poi spostato a Paliano, a Caserta, a Avellino per poi finire a Potenza. La sua fama era tale che, durante i suoi passaggi da una prigione all'altra, numerose persone accorrevano per poter vederlo di persona.[31] Durante il processo tenuto presso la Corte d'Assise di Potenza, il Procuratore generale Camillo Borelli accusò Crocco dei seguenti reati: 62 omicidi consumati, 13 tentati omicidi, 1.200.000 lire di danni bellici e altri crimini come grassazioni ed estorsioni.[32]
Il brigante venne condannato a morte l'11 settembre 1872 ma la pena fu poi commutata nei lavori forzati a vita. Venne prima assegnato al bagno penale di Santo Stefano, ove iniziò a scrivere le sue memorie il 27 marzo 1889 (raccolte in seguito nel libro Come Divenni Brigante) e poi nel carcere di Portoferraio, in provincia di Livorno, ove passò il resto della sua vita fino al 18 giugno 1905, data della sua morte.
Profilo
Dopo aver visitato diverse volte Crocco nel bagno penale di Portoferraio per uno studio speciale su delinquenti e delitti, il professore Pasquale Penta dell'Università di Napoli, nelle riviste mensili di psichiatria forense (numeri 8 e 9 dell'agosto e settembre 1901), disse ciò sul brigante:
«Alto della persona 1,75 cm, robusto, svelto, con occhio indagatore, sospettoso, attento. Non vi è nel suo corpo di straordinario che la grandezza e la sporgenza dei seni frontali e delle arcate orbitali, e un cranio rispetto alla statura non molto grande (55 cm di circonferenza massima). La circonferenza toracica è di 92 cm, la persona è ancora dritta e resistente, dopo una vita agitata, piena di stenti, di sofferenze, di timori e di pericoli; è una intelligenza non ricca al certo, nè libera da superstizioni (porta il rosario al collo, amuleti), ma chiara, ordinata e sicura. Non è andato a scuola, ma nella sua vita di pastore, un po' da sé, un po' aiutato, imparò a leggere e scrivere, in tal modo da poter esprimere i suoi pensieri sulla carta e facendosi comprendere molto bene» (Pasquale Penta[33])
Eugenio Massa, professore di filologia medievale e umanistica presso le Università di Roma e Pisa, fece una descrizione della personalità combattiva del brigante rionerese, nella sua opera Gli ultimi briganti della Basilicata (1903):
«Il Crocco a differenza di altri capibanda, che infestarono la Sicilia, le Calabrie e l'Abruzzo, nelle numerose sue escursioni, dà la prova di una logica tattica di un concetto chiaro ed ordinato nel disporre il piano delle operazioni nella piccola guerra. All'opposto degli altri, che sogliono sbandarsi paurosamente all'arrivo della truppa, egli ne accetta spesso il combattimento in aperta campagna e sa trincerarsi in posizioni favorevoli. "Attaccato alla baionetta" resiste all'urto e risponde col "contr'assalto". Qualche volta ricorre allo stratagemma militare; fa' saltare ponti per interrompere la strada, taglia fili telegrafici per interrompere le comunicazioni. Quale capitano della sua masnada, ebbe la potenza di infondere il coraggio nell'animo dei suoi; sopperì con la forza della sua autorità a difetti di armamento; d'istruzione e di disciplina» (Eugenio Massa[34])
Vita privata
Oltre alla già citata relazione con la brigantessa Filomena Pennacchio, Carmine fu legato inizialmente ad una donna chiamata Olimpia. In seguito, quando divenne comandante di un proprio esercito di rivoluzionari, ebbe una relazione con Maria Giovanna Tito, conosciuta quando la brigantessa si aggregò alla sua banda.[35] Da allora lo seguì fedelmente, rompendo la relazione di Carmine con Olimpia, la quale instaurò in seguito un rapporto di convivenza con Luigi Alonzi detto "Chiavone", brigante della provincia di Frosinone.[35] La Tito poi fu abbandonata dal capobrigante, che si era invaghito della vivandiera della banda di Sacchittiello, luogotenente di Crocco di Sant'Agata di Puglia. Nonostante la fine della loro relazione, Maria Giovanna continuò ad operare sotto le dipendenze di Crocco, fino al 1864, quando fu arrestata.[35]
Riferimenti
▪ Carmine Crocco è il personaggio principale del cinespettacolo "La storia bandita" che si tiene ogni anno, durante i mesi estivi, nel Parco della Grancìa a Brindisi di Montagna, al quale assistono migliaia di persone l'anno (nel 2000, gli spettatori ammontarono a 3000).[28] La manifestazione è curata da artisti come Michele Placido, Jean-François Touillard, Antonello Venditti e Lucio Dalla.
▪ Nel 2005, per commemorare il centenario della sua morte, l'"Associazione Culturale Skenè" di Rionero ha allestito la commedia popolare dal titolo "La Ballata del generale Crocco", scritta e diretta dal professore Mauro Corona.
▪ Un altro spettacolo degno di nota, ideato e realizzato da Corona, è quello che viene riproposto ogni anno, nel mese di luglio, sempre a Rionero denominato "La Parata dei Briganti", rivisitazione storica dell'epopea brigantesca, allestita nel centro storico della città, dove si racconta la loro vita, le loro gesta e i processi di Crocco del 1870 e 1872 presso il tribunale di Potenza.
▪ Nel 2005, analogamente alle iniziative sopracitate, l'amministrazione comunale di Portoferraio, governata dal sindaco Caterina Schezzini, inaugurò una manifestazione teatrale per onorare i suoi cent'anni dalla morte. Ospite d'onore fu lo scrittore Vincenzo Labanca, autore di diverse opere sul brigantaggio in Basilicata.[36]
▪ La sua storia ispirò il film Li chiamarono... briganti! (1999) di Pasquale Squitieri e Crocco fu interpretato da Enrico Lo Verso. Il film subì numerose critiche negative e fu improvvisamente ritirato dalle sale cinematografiche.[37]
▪ Le gesta del brigante sono ampiamente raccontate nel romanzo L'eredità della priora di Carlo Alianello, da cui fu anche tratta l'omonima miniserie televisiva.
▪ Il documentario Carmine Crocco, dei briganti il generale racconta la vicenda del brigante di Rionero ricostruendo il clima di quegli anni. Scritto da Antonio Esposto e Massimo Lunardelli, è stato prodotto da Niccolò Bruna per Colombrefilm nel 2008.
▪ L'attore Michele Placido, la cui famiglia paterna è originaria di Rionero, oltre a dichiarare di essere suo discendente, disse "Ho il sangue di quel personaggio leggendario: pure io, come lui, odio le ingiustizie".[38]
▪ I Musicanova, gruppo fondato da Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò, gli hanno dedicato la canzone Il Brigante Carmine Crocco, contenuta nel disco Brigante se more (1980).
▪ Il brigante è anche la mascotte dei tifosi della "C.S. Vultur Rionero", squadra di calcio del suo paese natale.
▪ Sempre a Rionero, è stato inaugurato, nel novembre 2008, un museo a lui dedicato: La Tavern r Crocc (La Taverna di Crocco).[39]
▪ Nel film Basilicata coast to coast (2010) di Rocco Papaleo, vi è un personaggio chiamato Carmine Crocco (interpretato da Antonio Gerardi), un chiaro riferimento al brigante.
Note
1. ^ Tommaso Pedio, 1994 , op. cit., p. 264.
2. ^ Storia di Carmine Crocco a cura di Antonio Pagano. URL consultato il 7 maggio 2010.
3. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 87.
4. ^ Tommaso Pedio, 1994 , op. cit., p. 251.
5. ^ Recensione del documentario "Carmine Crocco dei briganti il Generale", su www.colombre.it. URL consultato il 16 luglio 2009.
6. ^ Tommaso Pedio, 1994 , op. cit., p. 255.
7. ^ Gigi Di Fiore, 2007 , op. cit., p. 197.
8. ^ Antonio De Leo, 1983 , op. cit., p. 112.
9. ^ Mario Battaglini, 2000 , op. cit., p. 202.
10. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 17.
11. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 21.12. ^ Tommaso Pedio, 1994 , op. cit., p. 265.
13. ^ "Gli inizi del brigantaggio: Carmine Crocco", documentario trasmesso da Atlantide su La7. URL consultato il 28 gennaio 2010.
14 ^ Città di Melfi, storia e origini. URL consultato il 27 gennaio 2008.
15. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 37.
16. ^ Felice Capellino, 1863 , op. cit., p. 174.
17. ^ Notizie storiche sul brigantaggio in Irpinia. URL consultato il 7 maggio 2010.
18. ^ Felice Capellino, 1863 , op. cit., p. 174.
19. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 44.
20 ^ Tommaso Pedio, 1994 , op. cit., p. 259.
21 ^ Anatasio Mozzillo, 1974 , op. cit., p. 155.
22. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 8.
23. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 56.
24. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 55.
25. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 59.
26. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 73.
27. ^ Tommaso Pedio, 1994 , op. cit., p. 270.
28. ^ a b Articolo su Carmine Crocco tratto dal "Corriere della Sera" del 25 giugno 2000. URL consultato il 3 novembre 2008.
29. ^ Anatasio Mozzillo, 1974 , op. cit., p. 154.
30. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 100.
31.^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 82.
32. ^ Carmine Crocco, 2008 , op. cit., p. 86.
33. ^ Antonio De Leo, 1983 , op. cit., p. 119.
34. ^ Carmine Crocco, un vero generale. URL consultato il 3 dicembre 2008.
35. ^ a b c Maria Giovanna Tito su www.brigantaggio.net. URL consultato il 2 aprile 2009.
36. ^ Il 18 giugno sull'Isola d'Elba per il Centenario della morte del Generalissimo. URL consultato il 28 novembre 2009.
37. ^ Intervista ad Enrico Lo Verso. URL consultato il 9 giugno 2010.
38. ^ Michele Placido: "Sono il nipote del più terribile brigante e me ne vanto". URL consultato il 3 novembre 2008.
39. ^ Sito del Museo di Crocco. URL consultato il 12 dicembre 2009.
Bibliografia
▪ Carmine Crocco, Come divenni brigante, Edizioni Trabant, 2008.
▪ Tommaso Pedio, Storia della Basilicata raccontata ai ragazzi, Congedo Editore, 1994. ISBN 88-365-2141-X
▪ Gigi Di Fiore, Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Rizzoli, 2007. ISBN 88-17-01846-5
▪ Antonio De Leo, Carmine Cròcco Donatelli: un brigante guerrigliero, Pellegrini, 1983.
▪ Anatasio Mozzillo, Il cafone conteso, Edizioni Dedalo, 1974. ISBN 978-88-220-0315-7
▪ Mario Battaglini, Il Brigantaggio, Procaccini, 2000.
▪ Adolfo Perrone, Il brigantaggio e l'unità d'Italia, Istituto Editoriale Cisalpino, 1963.
* Felice Capellino, Il Soldato italiano: giornale militare, Tip. Cotta e Capellino, 1863.
▪ 1916 - Helmuth Johann Ludwig von Moltke, noto anche come Moltke il giovane (Gersdorf, 25 maggio 1848 – Berlino, 18 giugno 1916), è stato un generale tedesco. Era nipote del feldmaresciallo Helmuth Karl Bernhard von Moltke ed ha servito come capo dello Stato Maggiore tedesco dal 1906 al 1914. Il suo ruolo nello sviluppo dei piani strategici tedeschi e nello scoppio della Prima guerra mondiale è estremamente controverso.
▪ 1928 - Roald Engelbregt Gravning Amundsen (Borge, 16 luglio 1872 – Mare Glaciale Artico, 18 giugno 1928) è stato un esploratore norvegese delle regioni polari. Condusse la prima spedizione capace di raggiungere il Polo Sud nel 1911 – 1912.
Amundsen, insieme a Olav Bjaaland, Helmer Hanssen, Sverre Hassel, e Oscar Wisting, arrivò al polo il 14 dicembre 1911, 35 giorni prima della spedizione guidata da Robert Falcon Scott.
Dal momento che nessuna delle due spedizioni aveva portato con sé il troppo ingombrante telegrafo senza fili, l'unica apparecchiatura che avrebbe consentito loro di comunicare direttamente dal Polo, il successo della spedizione di Amundsen fu reso noto solo il 7 marzo 1912. Amundsen raccontò il suo viaggio nel libro The South Pole: An Account of the Norwegian Antarctic Expedition in the Fram, 1910-1912.
In precedenza Amundsen aveva già dato prova del suo valore guidando la spedizione che nel 1905-1906 a bordo della nave Gjöa (o Gjøa) aveva compiuto la prima traversata del Passaggio a Nordovest dalla baia di Baffin allo stretto di Bering. La missione ottenne anche un altro importante risultato scientifico riuscendo a determinare la posizione del polo magnetico boreale.
Amundsen tentò di raggiungere anche il Polo Nord. Provò prima con gli idrovolanti ma non ebbe successo. L'impresa invece ebbe successo alle ore 1:30 del 12 maggio 1926 quando Amundsen riuscì a sorvolare il Polo Artico insieme al finanziatore americano Lincoln Ellsworth e all'italiano Umberto Nobile. I tre (oltre a cinque meccanici italiani e otto marinai norvegesi) volarono sul dirigibile Norge costruito e guidato dallo steso Umberto Nobile. Dal dirigibile furono lanciate sul Polo le bandiere italiana, norvegese e statunitense.
Morì nel 1928 in un incidente aereo avvenuto sopra i cieli del Mare Glaciale Artico. Informato dell'incidente del dirigibile Italia, andò generosamente in soccorso dell'esploratore italiano Umberto Nobile e del suo equipaggio, nonostante avesse avuto con lui forti discussioni riguardo ai meriti della precedente avventura aeronautica con il dirigibile N1-Norge ("Norvegia"), ma il velivolo a pattini francese su cui salì scomparve in mare senza mai essere ritrovato.
▪ 1936 - Aleksej Maksimovič Peškov (rus. Алексей Максимович Пешков; Nižnij Novgorod, 28 marzo 1868 – Mosca, 18 giugno 1936) fu un drammaturgo e scrittore russo noto con lo pseudonimo di Maksim Gor'kij (che in russo significa Amaro).
La lotta contro la miseria, l'ignoranza e la tirannia sono infatti le costanti di tutta l'opera dello scrittore, che è considerato il padre del realismo socialista.
▪ 1946 - Umberto Pessina (1902 – Correggio, 18 giugno 1946) è stato un presbitero cattolico italiano ucciso da due colpi d'arma da fuoco il 18 giugno 1946 nella sua parrocchia a San Martino Piccolo, frazione di Correggio.
Il 18 giugno viene ucciso nella sua parrocchia di San Martino di Correggio; il vescovo di Reggio Emilia Beniamino Socche scrive nel suo diario:
«... la salma di don Pessina era ancora per terra; la baciai, mi inginocchiai e domandai aiuto per partire con tutta la forza che la Santa Chiesa da nelle mani di un Vescovo... Parlai al funerale di don Pessina: naturalmente, la gente era sotto l'incubo del terrore: ma io presi la Sacra Scrittura e lessi le maledizioni di Dio per coloro che toccano i consacrati del Signore. Il giorno dopo era la festa del Corpus Domini; alla processione in città partecipò una moltitudine e tenni il mio discorso, quello che fece cessare tutti gli assassinii. "Io - dissi - farò noto a tutti i Vescovi del mondo il regime di terrore che il comunismo ha creato in Italia »(Dal diario di Monsignor Beniamino Socche[1])
Palmiro Togliatti, dopo l'assassinio di don Umberto Pessina, a Reggio Emilia dice: "Gli omicidi sono una macchia che dobbiamo cancellare"[2].
Gli esiti giudiziari
Del delitto vennero accusati gli ex partigiani Ello Ferretti, Antonio Prodi e Germano Nicolini, che subito dopo la guerra era stato eletto sindaco di Correggio per il PCI, malgrado le confessioni di Cesarino Catellani ed Ero Righi, che si accusarono del delitto ma furono condannati per autocalunnia.
Nel 1990, quando il caso venne riaperto su invito dell'onorevole Otello Montanari, William Gaiti, espatriato nel 1946, confessò di aver preso parte all'omicidio insieme a Castellani e Righi.
Ferretti, Prodi e Nicolini, che erano stati condannati a 22 anni di carcere e ne avevano scontati 10, furono definitivamente assolti per non aver commesso il fatto nel 1994.
I veri responsabili rimasero invece liberi e furono prosciolti nel 1993 in applicazione dell'amnistia emanata dal Governo Pella nel 1953 per tutti i reati politici commessi entro il 18 giugno 1948.
Vedi l'articolo del Corriere, cliccando qui
Note
▪ ^ [1]Rolando Rivi - riporta scritto del vescovo Beniamino Socche - visto 18 febbraio 2009
▪ ^ [2]La storia siamo noi Rai - visto 18 febbraio 2009
Bibliografia
▪ Frediano Sessi, Nome di battaglia: Diavolo. L'omicidio don Pessina e la persecuzione giudiziaria contro il partigiano Germano Nicolini, Marsilio, 2000.
▪ Roberto Beretta, Storia dei preti uccisi dai partigiani, Piemme, 2005
Per una presentazione degli altri episodi simili di uccisione di preti dopo il 25 Aprile 1945 clicca qui
▪ 1958 - Antonio Mantica (Vicenza, 17 gennaio 1871 – Bevadoro, 18 giugno 1958) è stato un religioso italiano.
Dopo un periodo di missione nel Sudan, nel 1914 venne inviato da Mons. Ferdinando Ridolfi, vescovo di Vicenza, a Bucarest alla guida della comunità italiana ivi residente. In Bucarest fondò la chiesa del SS. Redentore e ne divenne parroco.
La sera del 27 dicembre del 1949, Padre Antonio Mantica, da più di trent'anni Parroco della Comunità del SS. Redentore, fu chiamato al Ministero rumeno degli Interni e trattenuto, per cinque giorni, inducendolo, con metodi di violenza psicofisica, a dichiarare al pubblico che lasciava la Romania spontaneamente e non a seguito di espulsione.
Lasciò Bucarest per l'Italia il 7 febbraio 1950.
Nella Chiesa del SS. Redentore, a seguito dell'espulsione di Padre Antonio Mantica, si era reso vacante l'ufficio di parroco e di rettore. Il Nunzio Apostolico Mons. Gerard O'Hara e il Ministro d'Italia domandarono a Padre Clemente Gatti se avrebbe accettato l'incarico di Rettore della Chiesa Italiana, essendo stata soppressa parrocchia per ordine del Governo comunista ateo.
▪ 1959 - Vincenzo Cardarelli nato Nazareno Caldarelli (Corneto Tarquinia, 1º maggio 1887 – Roma, 18 giugno 1959) è stato un poeta e scrittore italiano.
Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome era Nazareno Caldarelli, nacque a Corneto Tarquinia, un piccolo paese di provincia, dove suo padre (Antonio Romagnoli), marchigiano d'origine, gestiva il buffet della stazione ferroviaria e qui trascorse la sua infanzia e la sua adolescenza. Compì studi irregolari e formò la propria cultura da autodidatta. All'età di diciassette anni fuggì di casa e approdò a Roma dove, per vivere, fece i più svariati mestieri, fra i quali il correttore di bozze presso il quotidiano l'Avanti!. Su l'Avanti!, del quale divenne redattore, ebbe inizio, nel 1906, la sua carriera giornalistica.
Collaborò a Il Marzocco, La Voce, la rivista Lirica, Il Resto del Carlino e, dopo gli anni della Prima guerra mondiale che aveva trascorso tra la Toscana, il Veneto e la Lombardia, rientrò a Roma e insieme ad un gruppo di intellettuali fondò la rivista La Ronda attraverso la quale espresse il suo programma di restaurazione classica. Fu direttore della Fiera letteraria, insieme al drammaturgo forlivese Diego Fabbri.
La sua fama resta legata alle numerose poesie e prose autobiografiche di costume e di viaggio, raccolte in Prologhi (1916), Viaggi nel tempo (1920), Favole e memorie (1925), Il sole a picco (1929) romanzo con illustrazioni del pittore bolognese Giorgio Morandi, Il cielo sulle città (1939), Lettere non spedite (1946), Villa Tarantola (1948).
Fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, che lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali. La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo,siano paesaggi animali persone e stati d'animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.
▪ 1964 - Giorgio Morandi (Bologna, 20 giugno 1890 – Bologna, 18 giugno 1964) è stato un pittore e incisore italiano. Fu uno dei protagonisti della pittura italiana del Novecento ed è considerato tra i maggiori incisori mondiali del secolo.
La sua pittura si può definire unica e universalmente riconosciuta; celebri le sue nature morte olio su tela, dove la luce rappresenta il fondamento delle sue opere. L'apparente semplicità dei contenuti (vasi, bottiglie, ciotole, fiori, paesaggi) viene esaltata dalla qualità pittorica.
Riservato, dai tratti nobili, gentile sia nella vita privata che in quella professionale, Morandi ha fatto discutere Bologna per la sua personalità enigmatica ma fortemente positiva.
Morandi ha vissuto in via Fondazza, a Bologna, con la madre e le tre sorelle Anna, Dina e Maria Teresa che lo hanno sempre accompagnato con nobile spirito fino alla sua morte avvenuta il 18 giugno 1964 dopo una degenza di un mese. Morandi, durante gli ultimi giorni della sua vita, stava coricato nel suo letto continuando con l'indice a disegnare nell'aria le forme che avrebbero fatto parte del percorso artistico che andava evolvendosi.
Giorgio Morandi nasce da Andrea e Maria Maccaferri il 20 giugno 1890. Il piccolo Giorgio abitò in un primo tempo in Via Lame dove nacquero anche il fratello Giuseppe, morto nel 1903 e la sorella Anna. Successivamente la famiglia si spostò in via Avesella n. 30, dove nacquero le altre due sorelle Dina nel 1900 e Maria Teresa 1906.
Fin da ragazzo dimostra grande passione per l'arte figurativa convincendo i parenti a permettergli di iscriversi all'Accademia di belle arti di Bologna. Tra i suoi compagni di corso vi sono anche Severo Pozzati, Osvaldo Licini, Mario Bacchelli, Giuseppe Vespignani. Dopo la morte del padre avvenuta nel 1909, la famiglia si trasferì definitivamente in via Fondazza n. 36, Morandi divenne capofamiglia assumendosi tutte le responsabilità.
Il percorso accademico e gli studi di Morandi furono eccellenti ma gli ultimi due anni furono caratterizzati da contrasti con i docenti dell'epoca, in quanto avendo egli già effettuato un personale e moderno percorso di conoscenza, spesso usciva dai canoni classici. Morandi, pur vivendo quasi sempre a Bologna, era fin da allora informato sulle opere di Cezanne, Derain e Picasso. Ma non è solo al presente che guarda Morandi, infatti successivamente ad un viaggio nella città di Firenze, riconsiderò grandi artisti del passato come Giotto, Masaccio, Piero Della Francesca e Paolo Uccello, che appunto faranno parte dello sviluppo artistico del pittore bolognese.
In un primo tempo espose con i futuristi, diventando nel 1918 uno dei massimi interpreti della scuola metafisica con Carrà e de Chirico, periodo terminato nel 1919. Nel 1920 si accostò al gruppo "Valori Plastici", recuperando nelle sue opere la fisicità delle cose. In seguito intraprese una via personalissima, ma sempre calata nella realtà del mondo e delle cose. La sua prima esposizione personale avvenne nel 1914, dove si può riscontrare la forte influenza di Cezanne, pittore fondamentale per la sua formazione artistica.
La fama di Morandi è legata alle nature morte e in particolare alle "bottiglie". I soggetti delle sue opere sono quasi sempre cose abbastanza usuali; vasi, bottiglie, caffettiere, fiori e ciotole che, composti sul piano di un tavolo, diventano i veri protagonisti della scena. La sua opera si compone anche di ritratti e paesaggi. Usare pochissimi colori è una sua particolare caratteristica, che lo rende poetico e surreale e anche se non particolareggiava i suoi soggetti, si può notare come essi non perdano di realismo.
Di grande importanza nel lavoro di Morandi sono le acqueforti, eseguite da autodidatta che risolvono poeticamente molti problemi espressivi del mezzo impiegato. Fin dagli esordi del suo percorso artistico portò avanti la passione per le incisioni. Le sue prime lastre, ora purtroppo andate perse, risalgono addirittura al 1911, quando egli era appena ventunenne. Le opere, realizzate con grande cura, sono caratterizzate da segni sottili e rettilinei in un intreccio molto complesso di tratti con cui raggiunge dimensioni prospettiche di grande efficacia.
È sepolto alla Certosa di Bologna nella tomba di famiglia dove giace insieme alle tre sorelle. Sulla tomba è ubicato un ritratto dell'artista eseguito e donato dal suo amico Giacomo Manzù.
Museo Monografico Giorgio Morandi
Nel 1992 in Palazzo D'Accursio a Bologna è sorto il Museo monografico dedicato a Giorgio Morandi. Tale realizzazione è stata possibile grazie alla donazione di Maria Teresa Morandi (sorella del pittore), delle opere e dell'atelier dell'artista, di proprietà della famiglia.
L'allora sindaco di Bologna Renzo Imbeni ha reso possibile la fondazione del museo, tramite un interesse e un impegno totali. Hanno collaborato Marilena Pasquali, che ha diretto il Museo fino al 2001 raggiungendo risultati di assoluta eccellenza ed che è attualmente Presidente del Centro studi Giorgio Morandi, e il maestro Carlo Zucchini che nell'occasione, per volontà di Maria Teresa Morandi, assunse l'incarico di garante della donazione.
Ulteriori notizie
▪ Le opere di Giorgio Morandi, che non era molto propenso a partecipare a mostre personali o collettive, per interessamento del Centro studi Giorgio Morandi vennero esposte da una serie di mostre che a partire dal Museo d'arte moderna di Bologna circolarono in moltissime città del mondo.
▪ A Giorgio Morandi è stata dedicata una mostra al Metropolitan Museum di New York nel dicembre 2008, ciò ha contribuito alla grande ascesa a livello mondiale del maestro bolognese, eguagliandolo ai più grandi pittori del Novecento come Pablo Picasso e Giorgio De Chirico.
▪ Nel 1929 Giorgio Morandi ha illustrato l'opera Il sole a picco di Vincenzo Cardarelli, vincitore del Premio Bagutta.
▪ Hanno scritto di lui fra gli altri: Philippe Jaccottet, Jean Leymarie, Jean Clair, Yves Bonnefoy, Roberto Longhi, Francesco Arcangeli, Cesare Brandi, Lambeto Vitali, Luigi Magnani ed altri critici affermati.
Fotografia e Giorgio Morandi
Alcuni tra i fotografi più importanti del Novecento hanno ritratto Giorgio Morandi nella sua casa di Via Fondazza, nella casa di Grizzana Morandi, alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma.
In alcune di queste fotografie Morandi appare insieme a Luigi Magnani, Carlo Ludovico Ragghianti, Carlo Carrà, Giuseppe Ungaretti ed altre personalità dell'arte figurativa e letteraria del Novecento.
I principali fotografi che hanno ritratto Giorgio Morandi o lo studio sono: Herbert List, Duane Michals, Jean Francois Bauret, Paolo Prandi, Paolo Ferrari, Lamberto Vitali, Libero Grandi, Franz Hubmann, Leo Lionni, Antonio Masotti, Carlo Ludovico Ragghianti, Lee Miller, Ugo Mulas, Luigi Ghirri, Gianni Berengo Gardin, Luciano Calzolari.
Curiosità
- Due oli dell'artista bolognese sono stati scelti dal Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama nel 2009, ed ora fanno parte della collezione della Casa Bianca.
- Morandi vedeva di buon occhio il mondo della cinematografia senza però mai occuparsene. Lo dimostra il fatto che ebbe contatti con Vittorio De Sica, Luchino Visconti, ed altri.
- La film-maker Tacita Dean ha filmato, l'interno dell'abitazione di via Fondazza 36, casa del maestro.
▪ 1968 - Bonaventura Tecchi (Bagnoregio, 11 febbraio 1896 – Roma, 18 giugno 1968) è stato uno scrittore italiano.
Tecchi è stato un famoso saggista, esperto germanista e narratore italiano. Laureatosi in lettere all’università di Roma, dopo gli studi classici, fu volontario valoroso (decorato al valore) nella prima guerra mondiale, dove fu ferito e fatto prigioniero, a sud di Amburgo. Questa esperienza (rievocata nel romanzo Baracca 15C del 1961) lo avvicinò al mondo germanico e fu decisiva nella scelta di dedicarsi allo studio del mondo letterario germanico.
Ottenne in seguito la cattedra di letteratura tedesca all'Università degli studi di Roma. Ebbe riconoscimenti letterari fra cui il premio Bancarella nel 1959 con Gli egoisti. Fu socio dal 1963 dell' Accademia dei Lincei. Pubblicò una serie di romanzi, racconti e prose che avevano per oggetto problemi di natura morale e psicologica analizzati sotto una ottica cristiana.
Bibliografia
Tra le sue opere più famose si ricordano Il nome sulla sabbia (1924), Il vento tra le case (1928), Tre storie d'amore (1931), I Villatauri (1935), Ernestina (1936), Idilli Moravi (1939), Giovani amici (1940), La vedova timida (1942), Vigilia di guerra (1942), Un'estate in campagna (1945), L'isola appassionata (1945), La presenza del male (1949), Valentina Velier (1950), Creature sole (1950), Luna a ponente (1955), Le due voci (1956), Storie di bestie (1958), Gli egoisti (1959), Baracca 15C (1961), Gli onesti (1965).
Tra i numerosi saggi scritti si ricordano Wackenroder (1927), Carossa (1947), L'arte di Thomas Mann (1956), Svevia, terra di poeti (1964), Goethe scrittore di fiabe (1966), Il senso degli altri (1968).
▪ 1978 - Gaston Fessard (Elbeuf, 29 gennaio 1897 – Porto Vecchio, 18 giugno 1978) è stato un religioso e teologo francese gesuita.
Fu uno dei primi a porre il problema di una lettura cristiana di Hegel nell'ambito della rinascenza hegeliana (iniziata a Parigi nel 1929 con l’opera di Jean Wahl e proseguita con le letture para-esistenzialistiche di Alexandre Koyré, Alexandre Kojève, Jean Hyppolite, Jean-Paul Sartre) e ad elaborare la necessità di una resistenza spirituale al nazismo.
Padre Fessard nel 1941 fu il redattore del primo numero dei Cahiers du Témoignage Chrétien, intitolato "France, prends garde de perdre ton âme", che si opponeva al nazismo in nome dei valori cristiani. Questo impegno teoretico nei confronti del cristianesimo secolarizzato hegeliano e l’atteggiamento attivo contro il neopaganesimo lo conducono a riflettere sull’essenza della storicità, sulle figure concrete dell’attualità storica e sul mistero stesso della storia. Contestò l’obbligo di obbedire al Regime di Vichy elaborando la teoria del « principe schiavo » improntata a Clausewitz : conviene obbedire al principe quando resta sovrano e agisce nel nome del bene comune, ma la resistenza si impone al principe-schiavo la sovranità del quale è limitata e l’azione diretta dall’occupante. A questo titolo, lo sotrico Roland Hureaux vede in Fessard il « teorico del gollismo » per l’importanza che egli accorda alla legittimità del potere politico. Il rigore delle sue analisi, la sua cura nel confrontarsi con il mondo contemporane – alla luce della sua fede cattolica – gli danno una chiaroveggenza eccezionale. Gaston Fessard fu, nel corso del Novecento, un analista dei grandi fenomeni politici mondiali, al pari di un Raymond Aron, di cui fu amico per più di mezzo secolo. L’etica sociale ha un grande ruolo dentro il suo pensiero, ma l’asse essenziale rimane il rapporto dell’uomo alla storia e alla storicità.
▪ 1996 - Gino Bramieri (Milano, 21 giugno 1928 – Milano, 18 giugno 1996) è stato un comico e attore italiano di teatro, radio, cinema e televisione.
Ancora quattordicenne inizia a lavorare nella città natale presso la Banca Commerciale, in piazza della Scala. Si sposa diciannovenne, nel 1948 e si separa dopo quasi quarant'anni.
Muore di tumore a 68 anni. La cerimonia funebre viene officiata presso la chiesa di San Nazaro in Brolo, in corso di porta Romana, a Milano, alla presenza di oltre duemila persone. Viene sepolto al Cimitero Monumentale.
Nel 2006 in occasione del decennale della scomparsa di Bramieri, il comune di Milano gli ha dedicato una via (che unisce via Monte Santo a via Marco Polo) nella zona di Porta Nuova a Milano, mentre tre anni dopo Roma gli dedica un viale nel parco del Pineto, in zona Balduina.
Carriera
Il suo debutto come artista risale alla fine del 1943, in uno spettacolo a favore degli sfollati nella piazza di Rovellasca. Il suo debutto teatrale, invece, a sedici anni (con un'unica battuta: «C'è una lettera per te!») risale al 27 settembre 1944 al Teatro Augusteo di Milano, in Cretinopoli. Il suo primo vero spettacolo con pubblico pagante, infine, è all'Anteo, con: Brabito (dal nome dei tre protagonisti: Bramieri, Bisi, Tognato).
Artista di genere burlesque, ha lavorato con Franco e Ciccio, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Ave Ninchi, Nino Taranto, Raimondo Vianello, Totò. È stato interprete di oltre una trentina di film. In TV grande successo ottenne nel programma condotto da Corrado L'amico del giaguaro con Raffaele Pisu e Marisa Del Frate. Sulle reti Mediaset, negli ultimi anni della sua vita, è stato protagonista della sit-com Nonno Felice.
Italo Terzoli ed Enrico Vaime sono stati i suoi autori "di riferimento": con i loro copioni ha ottenuto grandi successi nel teatro leggero, da La sveglia al collo ad Anche i bancari hanno un'anima e La vita comincia ogni mattina (spettacoli prodotti, dalla fine degli anni sessanta, da Garinei e Giovannini, con i quali Bramieri cominciò la sua collaborazione nel 1969 con Angeli in bandiera in "ditta" con Milva).
È stato il conduttore, tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta, del varietà radiofonico Batto quattro, sempre a firma di Terzoli e Vaime, in onda il sabato mattina sul Secondo Programma per il quale diede vita ad alcuni suoi personaggi/macchiette (famoso "il Carugati"). Negli stessi anni è stato protagonista di numerose serie di varietà televisivi trasmessi dalla RAI: Tigre contro tigre (1966), Il signore ha suonato? (1966), Eccetera, eccetera (1967), E noi qui (1970), Hai visto mai? (1973), Punto e basta (1975), della serie del G.B. show (1982-88), sempre affiancato da grandi showgirl come Loretta Goggi, Sylvie Vartan, Lola Falana, oltre alla sua partecipazione in altri grandi varietà, come Milleluci, Felicibumtà. È stato tra i primi attori comici a partecipare - in gara - al Festival di Sanremo presentando nel 1962 il brano Lui andava a cavallo.
Oltre a una grande maestria nel condurre scenette comiche e nel creare personaggi e macchiette, la sua specialità era quella di raccontare barzellette, che in genere erano molto brevi (a volte fatte di sole due battute, "botta e risposta"), e spesso un po' surreali; di questa sua abilità amava dire: "Il problema di raccontare una bella barzelletta è che inevitabilmente ne fa venire in mente una orribile a chi l'ascolta". Questa sola particolarità lo rese maggiormente famoso, considerando soprattutto che le barzellette che sapeva raccontare erano svariate migliaia, peraltro raccolte in una serie di volumi tra cui 50 chili fa, ispirato alla forte perdita di peso che, a inizio anni settanta, consentì al grande comico milanese di trovare una nuova e più completa dimensione artistica. Una sua serie di pubblicità per Carosello, quella del Moplen, fu fra le più apprezzate dal pubblico.
▪ 2001 - Paolo Emilio Taviani (Genova, 6 novembre 1912 – Roma, 18 giugno 2001) è stato un politico italiano, medaglia d'oro della Resistenza. Antifascista, partecipò alla Resistenza diventando una delle figure principali del Movimento Partigiano in Liguria; finita la guerra partecipò al Comitato di Liberazione Nazionale. Fu una delle figure maggiori della Democrazia Cristiana dal dopoguerra; fu più volte ministro nei governi della Repubblica Italiana.
▪ 2009 - Aldo Giorgio Gargani (Genova, 1933 – Pisa, 18 giugno 2009) è stato un filosofo italiano.
Laureatosi in Filosofia alla "Scuola Normale Superiore" di Pisa, proseguì gli studi presso l'Università di Oxford e al "Queen's College". Ha poi insegnato Estetica e Storia della filosofia presso l'Università di Pisa. Si è formato a Pisa con Francesco Barone, orientandosi alla filosofia analitica. Difatti ha proseguito i suoi studi, collaborando con Giulio Lepschy, allora professore all'University College di Londra, e conducendo le sue ricerche al Queen's College sotto la guida di Brian Francis McGuinness.
È stato il massimo studioso italiano di Wittgenstein e ha contribuito alla scoperta in Italia di Bertrand Russell, George Edward Moore, Gilbert Ryle, Alfred Jules Ayer, David Pears, ma anche di filosofi della tradizione statunitense come Nelson Goodman, Hilary Putnam, Richard Rorty, Donald Davidson, Saul Kripke, e di scrittori austriaci come Thomas Bernhard e Ingeborg Bachmann.
I suoi ambiti di studio sono stati prevalentemente la filosofia del linguaggio, l'estetica, l'epistemologia, la psicanalisi, e la cultura austriaca. Di particolare interesse è anche il suo tentativo di una scrittura filosofica narrativa, come in "L'altra storia" e "Il testo del tempo".