Il calendario del 17 Aprile

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

▪ 1492 - Firma di un accordo fra Spagna e Cristoforo Colombo per un viaggio verso l'Asia per un approvvigionamento di spezie

▪ 1521 - Martin Lutero viene scomunicato

▪ 1524 - Giovanni da Verrazzano raggiunge il porto di New York

▪ 1797 - Scoppiano a Verona le Pasque Veronesi

▪ 1865 - Mary Surratt è arrestata come cospiratrice nell'assassinio di Abramo Lincoln

▪ 1912 - L'esercito zarista compie il Massacro della Lena, uccisione da parte dall'esercito zarista di parecchie centinaia di lavoratori delle miniere d'oro di Bodajbo, centro minerario posto sul fiume Vitim nel bacino della Lena; il fatto ebbe luogo il 17 aprile del 1912.

▪ 1924 - Viene fondata la Metro-Goldwyn-Mayer (MGM)

▪ 1941 - Seconda guerra mondiale: la Jugoslavia capitola a seguito dell'invasione ad opera delle forze dell'Asse.

▪ 1944 - Seconda guerra mondiale: Rastrellamento del quartiere Quadraro a Roma

▪ 1961 - Crisi dei missili di Cuba/Baia dei porci: inizia l'invasione di Cuba

▪ 1964 - Jerrie Mock è la prima donna a circumnavigare la terra per via aerea

▪ 1969

  1. - Il presidente del Partito Comunista Cecoslovacco, Alexander Dubcek, viene deposto
  2. - Sirhan Sirhan è condannato per l'assassinio di Robert F. Kennedy

▪ 1970 - USA/NASA: rientro dell'Apollo 13 con salvataggio dell'equipaggio

▪ 1975
  1. - Milano: durante la manifestazione di protesta per l'omicidio Varalli scoppiano degli scontri tra le forze dell'ordine e i dimostranti: un giovane di 26 anni, Giannino Zibecchi, militante del Coordinamento dei Comitati Antifascisti, muore travolto da un camion dei Carabinieri
  2. - La Cambogia cade in mano ai Khmer rossi

▪ 1984 - Londra: l'agente Yvonne Fletcher resta uccisa in una sparatoria davanti all'ambasciata della Libia fra polizia ed un gruppo di manifestanti. Dieci altre persone rimangono ferite. L'episodio provocherà un assedio di undici giorni all'edificio in cui si trova l'ambasciata

▪ 2002 - Afganistan: uccisione di quattro soldati canadesi colpiti dal fuoco amico di due F-16 statunitensi

▪ 2003 - Papa Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Ecclesia de Eucharistia sull'Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa.

▪ 2004 - Cisgiordania: Gaza, ucciso da un missile israeliano il responsabile del gruppo palestinese Hamas, Abdel Aziz Rantisi

Anniversari

* 485 - Proclo Licio Diadoco (greco: Πρόκλoς ὁ διάδoχoς; Costantinopoli, 8 febbraio 412 – Atene, 17 aprile 485) è stato un filosofo bizantino. Ebbe il merito di sviluppare il neoplatonismo, corrente di pensiero che si rifaceva a Platone e che fu originata prima da Plotino e sviluppata poi da Porfirio e Giamblico.
Nato da famiglia benestante originaria della Licia, il padre era un avvocato che per motivi di lavoro si era recava a Bisanzio nell'allora capitale dell'Impero romano. Proclo studiò grammatica a Xanto e poi retorica con Leonade, grammatica con Orione, filosofia, retorica latina, diritto romano e matematica ad Alessandria d'Egitto, per essere avviato alla professione di avvocato.
Rientrato a Costantinopoli seguì le orme del padre, consolidando per qualche tempo una buona fama come uomo di legge. Tuttavia preferì continuare ad occuparsi di filosofia, prima ritornando ad Alessandria, dove studiò filosofia aristotelica con Olimpiodoro il Vecchio e matematica con Erone di Alessandria, poi nel 431 recandosi ad Atene, il centro culturale dell' epoca. Proclo studiò con Siriano, figlio di Filosseno, che vista la sua intelligenza lo fece conoscere a Plutarco di Atene, capo dell'Accademia di Atene, fondata da Platone. Per due anni visse con Plutarco, che lo trattò come un figlio. Morto questi, la direzione dell' Accademia passò a Siriano, che divenne maestro di Proclo. Nel 437 improvvisamente Siriano morì, e Proclo gli succedette come diadoco dell'Accademia all' età di 25 anni. Proclo visse ad Atene per quasi tutta la sua vita, eccetto un anno di esilio al quale fu costretto per la sua attività politico-filosofica, mal tollerata dal regime cristiano.
Di Proclo si dice che mangiasse e bevesse assai poco, osservando il digiuno l'ultimo giorno del mese, e che la notte fosse uso vegliare in preghiera; osservava i giorni nefasti degli egiziani, celebrava i noviluni e, ogni anno, si recava a visitare le tombe degli eroi attivi e dei filosofi, offrendo sacrifici espiatori per le anime dei defunti. Scrisse molti inni dedicandoli agli dei greci ma anche a divinità di altri popoli.
Morì il 17 aprile del 485 e venne sepolto ad Atene nei pressi del monte Licabetto, accanto a Siriano.

Epitaffio
L'epitaffio che Proclo, volle scrivere sulla sua tomba
´Io, Proclo, fui Licio di stirpe, e Siriano mi formò qui per succedergli nell’insegnamento. Questa tomba comune accolse il corpo d’entrambi; oh, se un solo luogo ricevesse anche le anime!.".

Pensiero
Egli afferma che l'origine ed il passato siano il massimo della verità, Platone risulta quindi essere uno scrittore ispirato al quale tributare un culto, l'interprete dei suoi scritti, ovvero il filosofo, diviene il garante della trasmissione della rivelazione espressa nelle sue opere. Proclo non pone nulla sopra all'Uno che è semplicità assoluta, tuttavia egli sviluppa una teologia in cui le ipostasi sono ancora più numerose che nel pensiero di Giamblico. Proclo esprime quindi la dottrina delle enadi divine: all'interno dell'Uno sussistono una serie di unità derivate direttamente dall'Uno e che mediano tra esso e le realtà inferiori. Per Proclo gli dei sono provvidenziali per il semplice fatto di esistere non perché agiscano intenzionalmente. Il potere divino opera a tutti i livelli della realtà, anche in quello della materia che dunque non può essere identificata con il male.
Il suo lavoro può essere diviso in due parti. La prima è condensata nei memoranda, o commentari, sul pensiero platonico, il primo dei quali scritto all'età di ventotto anni. Molti di questi commenti sono giunti fino ad oggi sia pure incompleti. Riguardano, in particolare, i dialoghi di Platone sulla Repubblica, Timeo, Alcibiade, Cratilo e Parmenide. In essi il filosofo analizza e riafferma il pensiero di Platone, molte volte a quel tempo assai male interpretato.
La seconda parte dell'attività filosofica di Proclo è di contenuto teologico e si condensa negli scritti, appunto, sull'Istituzione teologica e nei sei libri che compongono la Teologia platonica.
Uomo di grande cultura, Proclo non poteva non rimanere affascinato dalla scienza, ed in particolare dall'astronomia: scrisse infatti l'Hypotyposis, introduzione alle teorie astronomiche di Ipparco e Tolomeo in cui descrive la teoria matematica dei pianeti basata sugli epicicli e sugli eccentrici.
Scrisse anche un Commento al primo libro degli 'Elementi' di Euclide, frutto del suo insegnamento all'Accademia di Atene, che è per noi una fonte essenziale sulla storia della matematica greca.

Successori e discepoli
Proclo ebbe molti discepoli che continuarono la sua scuola.Marino di Neapoli, a cui venne dedicato il Commentario sul mito di Er nella Repubblica e che gli succedette nella carica di diadoco;poi la scuola passò ad Isidoro di Alessandriae da lui, forse, a Zenodoto.
Altri propagatori del pensiero di Proclo furono i fratelli Ammonio ed Eliodoro, Asclepiodoto il Grande, a cui venne dedicato il Commentario sul Parmenide e Agapio di Atene che fu professore di Giovanni Lydus a Filadelfia.
Altri discepoli di Proclo furono: Severiano, Teodoro (ingegnere), Pamprepio, Rufino(uomo politico ateniese) .Marcellino (generale romano ed ebbe un principato in Dalmazia ed Epiro), Antemio (console nel 455 e imperatore d'Occidente dal 467 al 472;), Flavio Illustrio Puseo (console romano e prefetto del pretorio) e Flavio Messio Febo Severo (console e prefetto di Roma).

▪ 1111 - Roberto di Molesme, in francese Robert de Molesme (1028 circa – Molesme, 17 aprile 1111), venerato come santo dalla Chiesa cattolica, fu tra i fondatori dell'Ordine dei Cistercensi.

Primi anni
Nacque attorno al 1028 cadetto in una ricca famiglia della regione dello Champagne, forse nella cittadina di Troyes. I suoi nobili genitori avevano nome di Ermengarda e Teodorico ed appartenevano molto probabilmente alla famiglia dei Conti di Tonnerre e della casata di Rainaldo, visconte di Beaune. La vocazione arrivò dopo una grande carestia che colpì quella regione della Francia: il giovane Roberto rimase folgorato dal modo in cui i frati donavano tutto quello che avevano, arrivando alcune volte fino alla morte per stenti. A lui, destinato alla vita da cavaliere di Champagne, quella vita parve la più alta forma di nobiltà. Vinte le resistenze paterne, ancora molto giovane, aveva solo quindici anni, nel 1043 iniziò il suo noviziato nell'abbazia benedettina di Montier-la-Celle, non lontano da Troyes. Qui poco dopo il 1053 divenne il priore dell'abbazia.

Abate cluniacense
Nel 1068 fu eletto abate dell'abbazia di Saint-Michel, a Tonnerre, un'abbazia di osservanza cluniacense, situata nella diocesi di Langres. Probabilmente, ma non si hanno dati certi, intendeva riformare la disciplina e introdurre una più stretta osservanza religiosa. Comunque forse deluso per le resistenze incontrate, abbandonò il servizio abbaziale per ritornare nuovamente a Montier-la-Celle come semplice monaco. La sua permanenza nell'abbazia dove aveva emesso i propri voti, fu però breve, poiché nel 1072 fu fatto priore a Saint-Ayoul, un priorato situato presso Provins nella diocesi di Sens, dipendente dall'abbazia di Montier-le-Celle. Anche qui trovò difficoltà e dovette lasciare presto.

Molesme
Infatti poco dopo, nel 1074, si ritirò con alcuni eremiti nella foresta di Collan, presso Châtillon-sur-Seine; essi lo avevano cercato per la sua fama di essere una guida zelante. Con questi eremiti decise di fondare un monastero a Molesme nel dicembre 1075, dopo aver ottenuto l'autorizzazione da papa Gregorio VII, e la donazione di un terreno ben adatto da parte di Ugo, Signore di Maligny.
Roberto a questo punto aveva una notevole esperienza di vita monastica; egli era più portato per la rigida vita eremitica piuttosto che per la vita monastica cluniacense, ispirato forse anche dalla conoscenza della vita dei Padri del deserto. Il monastero di Molesme aveva queste caratteristiche cioè essere in equilibrio tra l'osservanza cluniacense e la vita eremitica. Il monastero in breve tempo attirò molte vocazioni e donazioni di aristocratici, tanto che si svilupparono molte fondazioni dipendenti, che nel 1100 arrivarono al numero di circa quaranta, in dodici diocesi, anche se diverse di queste erano semplici eremitaggi.
Nel 1082 Molesme attrasse anche San Bruno e i suoi seguaci, che poco dopo si portarono verso le montagne di Grenoble dove fondarono l'Ordine Certosino. Nel 1090 Roberto, probabilmente non soddisfatto dallo stile di vita che si era lentamente instaurato, si staccò da Molesme desiderando una vita ancora più simile agli eremiti. Infatti si unì ad Aux presso Riel-les-Eaux ad un gruppo di anacoreti. I monaci di Molesme dopo poco tempo lo reclamarono come loro abate, poiché si erano accorti che non potevano fare a meno delle capacità di guida di Roberto. Egli tornò a Molesme.
Molesme non ebbe nessuna decadenza morale, poiché al contrario le vocazioni aumentavano, ma con il tempo il monastero aveva ricevuto enormi donazioni e benefici ecclesiastici, ed inoltre il notevole afflusso di vocazioni comportava maggiori problemi per l'affollamento; questo faceva di Molesme un ordine analogo ai tanti che erano già presenti, come i benedettini cluniacensi, dai quali originariamente ci si voleva distinguere. Gli impegni pratici avevano con il tempo soverchiato gli aspetti spirituali. Roberto invece desiderava una vita più povera e semplice, al servizio di Dio. Si determinarono quindi contrasti tra i monaci più portati agli aspetti pratici e Roberto ed i suoi seguaci, che richiamando l'integrità della regola di San Benedetto, difendevano una maggiore austerità di vita.

Fondazione di Citeaux
Nell'autunno 1097 Roberto con alcuni dei monaci che condividevano con lui l'esigenza di un cambiamento, si decisero a fondare un nuovo monastero. Per questo andarono dall'arcivescovo di Lione, Ugo de Die, legato pontificio in Francia e uno dei più attivi sostenitori della riforma gregoriana, per chiederne l'autorizzazione. La motivazione principale che Roberto e con lui i suoi monaci tra i quali Alberico e Stefano Harding, ponevano, era la scarsa applicazione della regola di San Benedetto.
L'arcivescovo diede la sua benedizione, mentre il vescovo di Langres, Roberto, non sembra che fosse stato direttamente coinvolto. A Molesme si elesse un nuovo abate, un certo Goffredo, ed i monaci si sentirono più sollevati per la dipartita degli intransigenti.
Nei primi mesi del 1098 Roberto e 21 monaci si preparavano a portarsi nel "Nuovo Monastero" su un terreno donato da un suo parente: il visconte Rainaldo di Beaune. Il terreno, appartenente alla diocesi di Chalon-sur-Saône, si trovava in una zona boschiva, ricca d'acqua e solitaria, che era chiamata Citeaux dal latino "Cistercium" con il significato probabile di "al di qua della terza pietra miliare" cioè "cis tertium lapidem miliarum", lungo l'antica strada che univa Langres e Chalon-sur-Saone.
Nei primi anni la fondazione si chiamava "Nuovo Monastero", e solo in seguito acquisì il nome di Citeaux. La tradizionale data di fondazione è il 21 marzo 1098. In quell'anno vi cadeva la festa di San Benedetto e la Domenica delle Palme.

Ritorno a Molesme
Nel frattempo però a Molesme le cose non andavano bene. I monaci decisero di far tornare Roberto interpellando direttamente papa Urbano II. Questi affidò la decisione all'arcivescovo Ugo di Lione, legato pontificio, suggerendo che se era possibile Roberto lasciasse la solitudine per l'abbazia. Ugo convocò un consiglio di vescovi e uomini influenti a fine giugno del 1099 a Port-d'Anselle per prendere la decisione finale. Il vescovo di Langres prese le difese di Molesme, e Goffredo dava le dimissioni da abate. Si decise quindi che solo Roberto era obbligato a tornare a Molesme mentre gli altri monaci erano liberi di tornare se lo volevano.
Roberto si sottomise alla decisione e tornò a Molesme nell'estate del 1099, dove vi rimase come abate fino alla sua morte avvenuta all'età di 83 anni. A Citeaux gli era succeduto Alberico mentre Stefano Harding era divenuto priore.
Dopo la morte ebbe una profonda venerazione dal popolo. Fu canonizzato nel 1220 da papa Onorio III. Il calendario cistercense lo festeggia il 29 aprile, mentre il calendario della chiesa cattolica lo festeggia il 17 aprile.

▪ 1622 - Ammiraglio Sir Richard Hawkins o Hawkyns (Plymouth, 1562 – Londra, 17 aprile 1622) è stato un pirata, navigatore ed esploratore inglese.
Unico figlio di primo letto dell'ammiraglio Sir John Hawkins, fu fin dai primi giorni familiare con le navi e il mare, e nel 1582 accompagnò suo zio, sir Francis Drake, nelle Indie Occidentali. Nel 1585 divenne capitano di un galeotta nella spedizione di Drake nei caraibi, nel 1588 comandò una delle navi della regina (la Swallow) contro l'Armada, e nel 1590 prestò servizio, con la spedizione di suo padre, sulla costa del Portogallo.
Nel 1593 comprò il Dainty, una nave costruita originalmente per suo padre e usata da lui nelle sue spedizioni, e fu fatta salpare per le Indie Occidentali, per i Caraibi e i mari meridionali. Sembra chiaro che il suo progetto fosse di far preda dei possessi della corona di Spagna attraverso assalti marittimi. Hawkins, comunque, in un appunto di viaggio scritto trent'anni dopo, ritenne, anzi, a quel tempo forse ne fu veramente convinto, che la spedizione fosse stata intrapresa essenzialmente per propositi di scoperte geografiche. Dopo una visita alla costa del Brasile, il Dainty passò attraverso lo stretto di Magellano, e a tempo debito raggiunse Valparaíso.
Avendo saccheggiato la città, Hawkins puntò a nord, e nel giugno del 1594, un anno dopo aver lasciato Plymouth, arrivò nella baia di San Mateo. Qui la Dainty fu attaccata da due navi spagnole. Hawkins fu completamente sopraffatto, ma si difese con grande coraggio. Quando fu ferito diverse volte, molti suoi uomini uccisi, e la Dainty quasi affondata, si arrese con la promessa di un salvacondotto fuori dal paese per se stesso e per la sua ciurma.
La promessa non fu mantenuta, ma non per colpa del comandante spagnolo. Nel 1597 Hawkins fu mandato in Spagna, e imprigionato prima a Siviglia e conseguentemente a Madrid. Fu rilasciato nel 1602, e, ritornando in Inghilterra, fu nominato cavaliere nel 1603.
Nel 1604 diventò membro del Parlamento per Plymouth e vice ammiraglio di Devon, un assegnamento che, per la presenza massiccia di pirati nella costa, non fu una vera e propria sinecura, ma un incarico di difesa. Dal 1620 al 1621 fu vice ammiraglio, sotto Sir Robert Mansell, della flotta mandata nel mediterraneo per contrastare i corsari algerini. Morì a Londra il 17 aprile del 1622.

▪ 1790 - Benjamin Franklin (Boston, 17 gennaio 1706 – Filadelfia, 17 aprile 1790) è stato uno scienziato e politico statunitense. Fu un genio poliedrico; svolse attività di giornalista, pubblicista, autore, filantropo, abolizionista, diplomatico, inventore, politico e fu tra i protagonisti della Rivoluzione americana. Era, inoltre, appassionato di meteorologia e anatomia.
Franklin è conosciuto soprattutto per i suoi esperimenti con l'elettricità e per l'idea di instaurare l'ora legale, mentre negli USA è noto come uno dei padri fondatori.
Suo padre, Josiah Franklin, era un fabbricante di candele e di sego, e sua madre, Abiah Folger, era la seconda moglie di Josiah. Il piccolo Benjamin fu il quindicesimo di ben diciassette figli, e venne inviato a studiare presso il clero locale, poiché era intenzione dei suoi genitori che si dedicasse alla professione di pastore. A causa dell'estrema povertà dei genitori, non poté terminare gli studi iniziati alla Boston Latin School, continuando così la sua educazione come autodidatta.
All'età di dieci anni iniziò a lavorare per il padre, e all'età di dodici venne preso da suo fratello James, un tipografo, che gli insegnò l'arte della stampa. Quando il giovane Benjamin aveva solo quindici anni, suo fratello James diede vita al primo quotidiano indipendente nella storia d'America, il The New-England Courant, al quale il fratello collaborò con lo pseudonimo di Mrs. Silence Dogood. Le lettere scritte con questo pseudonimo vennero tutte pubblicate e divennero ben presto oggetto di conversazione in tutta Boston.
A trenta anni (nel 1736) creò la prima unione di pompieri volontari, la Union Fire Company.
Nel 1754 alcuni elementi del suo piano di unione delle colonie furono inseriti negli articoli della Confederazione, il primo documento governativo degli Stati Uniti d'America. Nel 1776 contribuì alla stesura della dichiarazione di indipendenza americana. Nel 1787 partecipò alle riunioni in cui venne scritta la costituzione americana, il documento che rimpiazzò gli articoli della confederazione. Benjamin Franklin fu l'unico dei Padri Fondatori che partecipò alla stesura di tutti e tre i più importanti documenti degli Stati Uniti d'America.
Fu anche un Massone di spicco di quegli anni ed era un profondo conoscitore del filosofo Leibniz, il pensiero economico e il programma repubblicano. A proposito dell'opportunità di una Banca Nazionale d'America scrisse:
«Vedete, un Governo legittimo può sia spendere che prestare denaro in circolazione, mentre le banche possono soltanto prestare cifre considerevoli attraverso i loro biglietti di banca promissori, per cui questi biglietti non si possono né dare né spendere se non per una piccola frazione di quelli che servirebbero alla gente. Di conseguenza, quando i vostri banchieri in Inghilterra mettono denaro in circolazione, c'è sempre un debito fondamentale da restituire e un'usura da pagare. Il risultato è che c'è sempre troppo poco credito in circolazione per dare ai lavoratori una piena occupazione. Non si hanno affatto troppi lavoratori, ma piuttosto pochi soldi in circolazione, e quelli che circolano portano con sé un peso senza fine di un debito impagabile e usura »

Invenzioni
Franklin è conosciuto soprattutto per i suoi esperimenti con l'elettricità e per l'idea di instaurare l'ora legale, mentre negli USA è noto come uno dei padri della patria.
Molte furono le sue invenzioni: tra queste, il parafulmine anche se è controversa, le pinne (già teorizzate e disegnate da Leonardo da Vinci), il contachilometri, le lenti bifocali (non vedeva né da vicino, né da lontano, così per non cambiare continuamente paia d'occhiali trovò la soluzione), attribuita la sedia a dondolo anche se appare nei quadri fiamminghi del 1600, l'armonica a bicchieri (glassarmonica). L'ora legale fu una sua invenzione pubblicata sul quotidiano francese Journal de Paris che però, all'epoca, non ebbe molto successo; è stata ripresa solo nel 1907 dal costruttore inglese William Willet quando la proposta fu approvata dalla camera dei comuni di Londra dato il risparmio energetico che garantiva all'epoca.
Nel 1968 è stato inserito nella International Swimming Hall of Fame, la Hall of Fame internazionale del nuoto, per il contributo al nuoto come praticante e istruttore. Fu un sostenitore, già nel XVIII secolo, della necessità di insegnare nuoto a tutti, inserendolo nei programmi scolastici.

Curiosità
▪ Sembra fosse anche giocatore di scacchi, e viene attribuita a lui la frase: "Gli scacchi non sono solo divertimento, ma rispecchiano la vita";
▪ Franklin definiva il mangiar carne "un delitto ingiustificato". Era diventato vegetariano a sedici anni perché si era accorto che "apprendeva più in fretta e aveva maggior acume intellettuale";
▪ Franklin viene citato in una canzone della comedy rock band Tenacious D, nella canzone The Government totally sucks, dove si dice: "...Ben Franklin era un ribelle invece, amava spogliarsi mentre fumava dell'erba, era un genio ma se fosse stato qui oggi, il governo lo avrebbe f+++++o dritto in..." (fonte: testo di "the government totally sucks", Tenacious D, album: The Pick of Destiny);
▪ Il suo volto è raffigurato sui 100 dollari americani;
▪ Viene citato da Regina Spektor nella canzone Chemo Limo;
▪ Viene più volte citato nel film della Walt Disney: Il mistero dei Templari (National Treasure);
▪ Viene citato come membro dell'Accademia delle scienze insieme a Leroi, Bailly, De Bory e Lavoisier, nominati come nuova commissione riunita il 12 marzo 1784 per lo studio sul magnetismo di Franz Anton Mesmer (fonte: traduzione italiana dell'opera "Mesmer et son secret", Edouard Privat, editeur, Toulose).
▪ Viene citato come massone nel romanzo di Dan Brown "Il Simbolo perduto".
▪ È uno dei personaggi secondari, ma dotato di singolare spessore, presenti nel videogioco "Day of the Tentacle" della Lucas Arts. Durante la sezione di gioco ambientata nel passato, è memorabile la sua apparizione in veste di ricercatore scientifico provvisto di aquilone (in evidente fase pre-scoperta del parafulmine).
▪ È uno dei personaggi speciali inseriti nel videogioco "Tony Hawk's Underground 2".

▪ 1907 - Edoardo Ciccodicola (Arpino, 4 gennaio 1835 – Roma, 17 aprile 1907) è stato un religioso e scrittore italiano.
Monsignor Edoardo Ciccodicola, membro di molte accademie scientifiche e letterarie, italiane e straniere, nasce ad Arpino il 4 gennaio 1835 da una nobile famiglia di proprietari terrieri che proprio in quegli anni, in piena Rivoluzione Industriale, stava trasformandosi in facoltosa famiglia dedita all’industria e particolarmente attiva nel settore della produzione di panni e carta.
Giovanissimo dedica la propria vita al sacerdozio e nel giro di pochi anni entra a far parte stabilmente della Curia Romana ricoprendo incarichi prestigiosi e dedicandosi alla scrittura di libri dalle tematiche religiose ma anche politiche e storiche.
Fu particolarmente legato alla figura di papa Pio IX a cui dedicò ben due volumi di cui il primo, L'eroe del secolo ed il vero cittadino edito nel 1868 veniva così recensito sulle colonne de La Civiltà Cattolica:
«Con varia ricchezza di prove e forte eloquenza, l’Autore mostra nel Regnante Pontefice Pio IX l’eroe del secolo nostro ed il vero cittadino. È questa una scrittura, la cui lezione ricrea il cuore del cattolico ed al tempo stesso l’accende di vivo amore al Vicario di Cristo ed alla più santa delle cause, che è quella della Sede di S.Pietro, tanto oggidì combattuta.»
Il secondo volume dedicato a Pio IX era in realtà un elogio funebre composto nel 1878 alla morte del pontefice. Ancora una volta è facile notare i toni entusiastici utilizzati da Ciccodicola per esaltare le virtù e le opere di papa Mastai, il cui lunghissimo pontificato viene minuziosamente esaminato e rivisitato.
Altri due libri, pubblicati tra il 1870 ed il 1872, L'insocialità ossia la democrazia pura e Incoerenza e cecità dimostrate al cospetto dell'Europa, analizzano politicamente, pur se dal punto di vista di un eminente menbro della Curia, la situazione successiva alla breccia di Porta Pia.
Il Concilio Vaticano: pietra di paragone pei cattolici, si presenta invece come un’analisi attenta ed accurata dei grandi temi proposti dal Concilio Vaticano I quali tra gli altri razionalismo, liberalismo, materialismo, ispirazione della Bibbia ed infallibilità papale.
L'Imitazione di Maria, edita nel 1901, è l'opera più strettamente teologica di ispirazione religiosa di Edoardo Ciccodicola.

* 1926 - Julius Perathoner (Teodone/Dietenheim di Brunico, 28 febbraio 1849 – Bolzano, 17 aprile 1926) è stato un politico austriaco. Fu il più longevo ed importante borgomastro di Bolzano, l'ultimo di lingua tedesca del capoluogo dell'Alto Adige, termine che all'epoca di Perathoner non era ancora entrato in uso. Oltre a quello di borgomastro ricoprì anche l'incarico di deputato al parlamento di Vienna dal 1901 al 1911 alla dieta di Innsbruck dal 1902 al 1907.

Uomo liberale
Fu tra i principali esponenti tirolesi del Deutsche Freiheitliche Partei (DFP'), il partito liberalnazionale austriaco. Il movimento s’impegnava per una modernizzazione del paese con una netta divisione fra Stato e Chiesa ed era apertamente anticlericale, a differenza dell’avversario partito conservatore (la Tiroler Volkspartei, TVP) che era tuttavia molto forte nelle campagne. Il partito era espressione della borghesia cittadina (tantopiù che anche il coevo sindaco di Merano, Max Makart, proveniva dalle file dello stesso partito).
Perathoner fu anche uno dei maggiori sostenitori della necessità di distaccare la Val di Fassa e l’Ampezzano dai distretti di Cavalese per la Val di Fassa e di Cortina d'Ampezzo (Gablöss e Petsch-Hayden erano i loro nomi tedeschi all’epoca) nel Welschtirol (il Tirolo italiano, ossia il Trentino) e di unirli al distretto di Bolzano nel Deutsch-Südtirol (oggi solo Südtirol/Sudtirolo), come fu fino al 1817, allo scopo di promuoverne la tedeschizzazione. Tra le motivazioni di Perathoner vi erano anche il fatto che la Val di Fassa era, fino al 1817, sempre stata inclusa nella Diocesi (prima Principato vescovile) di Bressanone, mentre Cortina vi faceva ancora parte. Inoltre il movimento di Perathoner non considerava i ladini come italiani, convinzione assai frequente all’epoca sia per quanto riguardava i tedeschi che gli italiani e quindi vedeva la necessità di costituire l’unità ladino-tirolese all’interno del Tirolo tedesco, anche perché la Val Gardena e la Val Badia erano già integrate in quest’ultimo. Tutt'oggi persiste in una parte della popolazione della Val di Fassa e di Cortina d’Ampezzo il desiderio di far parte della Provincia Autonoma di Bolzano.

▪ 1986 - Guido Calogero (Roma, 4 dicembre 1904 – Roma, 17 aprile 1986) è stato un filosofo, saggista e politico italiano. Ha rappresentato per la sua intensa attività politica e di pensiero uno fra i più attivi e impegnati intellettuali del nostro Paese.
Diresse l'Istituto italiano di cultura a Londra. Fu membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei.
La vita e la formazione culturale
Nacque a Roma il 4 dicembre 1904, da padre messinese, Giorgio, professore di francese e da Ernesta Michelangeli, figlia di Luigi. Quest'ultimo, di origini marchigiane, fu professore universitario di letteratura greca e poeta carducciano. Al nonno poeta, Calogero, tra le altre voci che scrisse per incarico della Enciclopedia Italiana (e di queste: "Socrate", Platone", "Logica"), ne dedicò una.
La madre Ernesta era stata la prima studentessa universitaria a giungere alla laurea nell'Università di Messina. Guido, figlio unico fu particolarmente curato nella sua formazione culturale sia da parte dei genitori che dei nonni: del resto le sue qualità intellettuali ebbero modo di rivelarsi sin dall'inizio quando, ad appena 16 anni, ebbe pubblicata una raccolta di poesie, dai toni dannunziani, dalla casa editrice Signorelli. Aveva frequentato il ginnasio a Pisa e il Liceo al ‘Mamiani' di Roma, dove conseguì la maturità classica con un anno di anticipo, nel 1921. Si iscrisse alla Facoltà di Lettere de La Sapienza, dove sviluppò i suoi interessi per l'italiano, il latino e il greco. Ma la lettura di Benedetto Croce e l'esperienza dell'insegnamento di Giovanni Gentile lo portarono a dedicarsi agli studi filosofici. Nel 1925 si laurea con una tesi che sarà pubblicata nel 1927 col titolo "I fondamenti della logica aristotelica". Pur divisi ideologicamente i rapporti tra Giovanni Gentile e Calogero, che aveva aderito all'antifascismo, furono sempre di amicizia anche durante i frequenti soggiorni di quest'ultimo in Germania, dove verrà schedato dalla polizia come nemico politico.

Il liberalsocialismo
Dal 1935 Calogero - dopo essere stato chiamato alla cattedra di storia della filosofia all'Università di Pisa - venne chiamato da Gentile a tenere esercitazioni di "Storia della Filosofia" alla Normale di Pisa, dove tenne le sue lezioni impegnandosi intellettualmente nel frattempo nell'attività antifascista clandestina dentro e fuori la Scuola.
In Toscana conobbe e frequentò Aldo Capitini,e dalla loro comunanza del sentire politico nacque nel 1940 il "manifesto del liberalsocialismo".
L'antifascismo nazionale fu attirato dal loro programma politico, in special modo i giovani che in seguito alla guerra di Spagna stavano scoprendo la vera natura del fascismo. Il liberalsocialismo si faceva portatore di un antifascismo etico-politico, distinto rispetto all'antifascismo popolare che si opponeva al regime soprattutto per le proprie difficili condizioni di vita.
Mentre le classi popolari antifasciste confluivano naturalmente nelle file degli organizzati partiti di matrice marxista, i giovani intellettuali si ritrovavano più adatti all'opposizione etico-culturale di Capitini e degli antifascisti laici borghesi tra cui Luigi Russo, Piero Calamandrei, Ranuccio Bianchi Bandinelli e Alberto Carocci che s'impegnarono, prima ancora dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco dei tedeschi, nel diffondere l'antifascismo soprattutto nella regione toscana.

"Giustizia e libertà"
Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, motivo questo preminente nel generare un più diffuso antifascismo tra le classi popolari, i liberal-socialisti continuarono a fare opposizione prevalentemente nell'ambito dell'antifascismo borghese.Mentre ebbero contatti sporadici e individuali con gli antifascisti cattolici e comunisti, divenne più frequente e continua la collaborazione con il movimento politico di Giustizia e Libertà fondato da Carlo Rosselli nel 1929 a Parigi, anche se i liberalsocialisti si dedicarono prevalentemente all'opposizione interna evitando volutamente contatti con l'emigrazione giellista. Si confrontavano i due movimenti: i liberal-socialisti di Calogero, prendendo ispirazione dalla dottrina crociana volevano approdare ad un socialismo democratico, il percorso invece del socialismo liberale di Rosselli con "Giustizia e Libertà" era l'inverso: da un socialismo aperto e riformatore giungere ad un nuovo sistema liberale. I due movimenti si trovavano comunque concordi nel mettere in atto il punto principale dei loro programmi: rendere quanto più attivo l'impegno nella lotta al fascismo.

La repressione fascista
Questa più intensa attività causò naturalmente l'intervento della polizia e del Tribunale speciale che colpì duramente con un'ondata di arresti e di denunce gli esponenti del Partito d'Azione nato clandestinamente negli anni 1942-1943 dalla confluenza di Giustizia e Libertà e dei liberal-socialisti. Il programma del nuovo partito prevedeva la nascita di una repubblica italiana e la realizzazione di un'economia mista con la nazionalizzazione dei grandi monopoli industriali e finanziari.
Arrestato dalla polizia fascista a Bari, Calogero fu condannato al confino a Scanno, in Abruzzo. Qui, nel settembre del '43, dopo l'armistizio, incontrò un suo ex-discepolo Carlo Azeglio Ciampi, che aderì al Partito d'Azione.
L'attività politica nel dopoguerra
Finita la guerra Calogero continuò ad impegnarsi per realizzare il suo programma liberal-socialista allacciando rapporti d'amicizia e di comunanza politica con Norberto Bobbio che però si dimostrava piuttosto scettico sulle effettive possibilità che il liberalsocialismo riuscisse ad affermarsi in Italia.
Calogero continuò a militare nel Partito d'Azione che per il suo scarso radicamento popolare ottenne appena 7 seggi alla Costituente (1946) e quindi si dissolse poco dopo. Non per questo terminò l'impegno sociale e politico di Calogero che si schierò in seguito a sostegno del Fronte popolare nelle cruciali elezioni politiche del 1948, che contrariamente alle speranze della sinistra, segnarono il successo elettorale dei partiti guidati dalla Democrazia cristiana. Collaborò alla rivista Il Mondo di Mario Pannunzio dalle cui colonne avviò una campagna di stampa per la scuola laica. Fu a fianco di Danilo Dolci che denunciava lo strapotere della mafia siciliana appoggiata dal regime politico locale e nazionale.
Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale e nel 1958 s'iscrisse tra i candidati nella lista repubblicana-radicale per la Camera dei deputati. Uscito dal partito il 30 ottobre del 1966, aderì al Partito Socialista Unificato, che riuniva il Psi e il Psdi.
Ritiratosi dalla vita politica attiva, continuò a trattare temi sociali come direttore della rivista Panorama. Fu inoltre Direttore de «La Cultura. Rivista di filosofia, letteratura e storia», e sulla copertina della quale fece incidere una riproduzione di un'antica erma di Socrate che reca la famosa frase, tratta dal Critone di Platone (46 b), «sono sempre stato tale da non lasciarmi persuadere da nient'altro se non dal discorso che, alla mia ragione, appaia il migliore». Morì a Roma il 17 aprile 1986.

Il pensiero
La filosofia della presenza

La sua «filosofia della presenza», intesa come continua presenza e consapevolezza dell'io con se stesso («io non posso mai pensarmi fuori di me; io sono la mia continua consapevolezza») comporta la inevitabile responsabilità delle proprie azioni ispirate ai propri principi morali prescindendo da ogni gerarchia di valori che si pretendano assoluti.
Ciascuno di noi si trova quindi a dover operare delle scelte in riferimento ai propri valori: «Ogni valutazione è autonoma, compiendosi nella sfera di quella presenza soggettiva, che non può mai risolversi in nulla d'altro. Sono io che valuto, io che approvo e disapprovo, e che di conseguenza decido». (G. Calogero, Etica, Giuridica, Politica, II vol. delle Lezioni di filosofia, Einaudi, Torino 1960, III ed., p. 22).

L'inutilità della metafisica
Né l'ontologia né la metafisica possono, secondo Calogero orientare le nostre scelte. Se per esempio io decidessi di orientare la mia vita in vista dell'immortalità: «L'immortale non ha valore per il solo fatto di essere immortale, ma anzi merita di essere immortale solo se ha valore anche quando è mortale. Solo quando un certo tipo di esistenza è preferibile, essa merita di diventare eterna: ma il semplice fatto che si annunci eterna non stabilisce che sia preferibile»(G. Calogero, "L'immortale", in Quaderno laico, Laterza, Bari 1967, pp. 21-22, la citaz. è a p. 22). L'immortalità quindi non serve come principio ispiratore della mia esistenza. È al contrario la nostra vita che dà senso alle teorie metafisiche che noi sceglieremo. Nessuno potrà mai giustificarsi per aver agito obbedendo a regole esterne: la responsabilità di ciò che ha fatto con la sua scelta sarà sempre e soltanto sua.

L'etica non determinata dalla logica
Alla base di ogni nostra scelta vi dovrà essere la scelta dell'etica che secondo C. non può essere determinata da principi logici. I filosofi hanno cercato spesso di fornire una dimostrazione della necessità logica dell'etica, non capendo, secondo Calogero, che non si può dimostrare il dovere etico, se quello stesso dovere non è sentito da chi lo accetta come tale.
Per Mario Peretti, invece, una teoria del genere non è accettabile:
«La logica dimostra e fonda l'etica, non nel senso che preceda temporalmente la buona volontà, ma nel senso che questa non potrà trovare un fondamento razionale, una dimostrazione della giustizia della propria scelta, se non appunto nella logica» (Mario Peretti, "La filosofia del dialogo di Guido Calogero", in Rivista di filosofia neoscolastica, 1968, LX, n. 1, pp. 70-95, la citaz. è a p. 76).
Calogero controbatte che la tesi di Peretti per esempio dovrà essere dimostrata e ci sarà qualcuno che lo ascolterà perché questi ha compiuto una scelta etica di comprensione e di tolleranza delle idee altrui. Non esiste una Logica al di fuori degli uomini che la realizzano e la utilizzano. Anche ammettendo che la la scelta etica fosse fatta previa dimostrazione logica, anche in quel caso, non sarebbe la Logica ad imporla o a dimostrarne la necessità, ma sarebbe sempre l'Io a decidere di accettarla. Altrimenti si correrebbe il rischio di un Io che rivolga le responsabilità delle sue scelte a un'entità trascendente che lo manovri e diriga.

La teoria sul pensiero greco arcaico
Guido Calogero si dedicò in modo particolare ai problemi logici del pensiero antico trattati nelle opere: I fondamenti della logica aristotelica (1927), gli Studi sull'eleatismo (1932) e nei primi quattro capitoli della Storia della logica Antica (1967).
Nel 1927 grazie ad una borsa di studio Calogero trascorse un lungo periodo presso l'Università di Heidelberg dove incontrò pensatori come Heinrich Rickert , Raymond Klibansky e conobbe l'opera di Ernst Cassirer.
Avvalendosi delle conoscenze sul pensiero di questi studiosi e dei suoi studi su Aristotele, egli comincia a definire un concetto di "età arcaica".
Mentre Cassirer parlava di un'età mitica dove non si distingueva tra parola e cosa, riferendola al passaggio dal pensiero primitivo a quello razionale adulto, Calogero vi vedeva una "coalescenza arcaica" , una specie di fusione di linguaggio, realtà e verità.
Nel primo capitolo della Storia della logica antica, dedicato a "La struttura del pensiero arcaico", Calogero espone la sua teoria secondo la quale i greci avevano una visione della realtà come "spettacolo": la vista era, ed è, infatti, tra i cinque sensi, quello primario per la specie umana, che mette in contatto diretto con il mondo esterno.
I Greci, sostiene Calogero, in epoca arcaica non distinguevano dunque tra visibilità[1], esistenza e pensiero: solo ciò che era visibile esisteva veramente e quindi poteva essere pensato. Questa interpretazione veniva da Calogero, e successivamente dallo storico della filosofia antica Gabriele Giannantoni, suffragata da una serie di prove indirette:
▪ il termine" idea" deriva da una radice "id" del verbo greco "orao" che vuol dire vedere. Ancora in Platone l'"idea" è il risultato di una visione, sia pure intellettuale, del mondo dell'iperuranio;
▪ la forma più antica della letteratura greca è la storia, dal greco "istor", che vuol dire "testimone oculare": lo storico, cioè, può narrare avvenimenti esistenti perché li ha visti con i suoi occhi, mentre, al contrario, colui che narra vicende fantastiche o irreali è anticamente rappresentato come cieco;
▪ l'architettura greca arcaica privilegia negli edifici la parte frontale, quella più visibile, e lascia non ornati gli altri lati;
▪ la forma più antica di scultura è il bassorilievo, che della scena rappresentata privilegia la parte visibile allo spettatore, mentre la scultura a tutto tondo è storicamente posteriore;
La religione più antica, quella dei misteri sembra contraddire questa teoria. I misteri infatti venivano celebrati in luoghi appartati e la stessa parola richiama il buio, la segretezza. In effetti il termine misteri deriva da mùstoi (μύστοι), a sua volta derivato dal verbo muo (μύω), che significa "coloro che serrano la bocca e strizzano gli occhi" come si fa appunto per vedere meglio. I mùstoi, cioè, sono quelli che vogliono vedere l'invisibile.
Una permanenza di questa indistinzione tra essere e pensiero Calogero la riscontra nei suoi studi su gli eleati, e in particolare su Parmenide, il filosofo convinto che pensare ed essere siano la stessa cosa e che non si possa pensare il "non essere".
Indistinzione di ontologia, logica e linguaggio
A questo atteggiamento visivo si aggiungeva, secondo la teoria di Calogero, la credenza per i greci arcaici, che solo ciò che può essere pensato può essere nominato.
Il nome, cioè, non ha ancora un significato simbolico e convenzionale ma è ciò che attribuisce realtà alla cosa esistente: la cosa ha quindi il nome che le è proprio e questo è l'unico che possa avere.
Da ciò deriva la difficoltà a dare nome a realtà come quella di un fiume, che cambiano continuamente.
Sarà Eraclito che stabilirà che "tutto muta, meno la legge del mutamento" e cioè che tutto muta meno la legge intesa come logos, la "parola" che acquista il suo valore simbolico e che quindi ci darà stabilità in una realtà concepita in continuo mutamento.
La sopravvivenza della convinzione che il nome renda reali gli eventi permane per molto tempo nei riti sacerdotali e magici dove la "formula", che deve essere pronunziata nella sua esattezza nominale, realizza l'avvenimento invocato.

Note
1. «È opportuno, allora, poiché facciamo parte di questa tradizione, interrogarci sul significato originario di sapientia; il latino sapere significa avere sapore, da cui può derivare avere senno, essere perspicace. Questa duplicità rimane nel nostro uso linguistico, con alcune sfumature: diciamo che un cibo sa di qualcosa o è insipido; un cibo è sapido e insipido, una persona sapiente (in disuso per evidenti ragioni) o insipiente; insomma in origine è presente una connessione con un senso, il gusto, qualcosa di istintivo; in greco una connessione del genere si ha con il verbo noein, (nous, noesis), che viene da una radice snovos, snow, annusare, fiutare, capacità di (diremmo oggi 'captare', subodorare, snasare) presentire, di accorgersi istintivamente di qualcosa, una situazione, un pericolo, dunque una sorta di sapere diretto e istintivo. In Omero noein significa vedere, un vedere che può essere inteso e tradotto con riconoscere.
Iliade V 590:
Ettore li vide tra le file
Il. XV 423-4:
Ettore come vide (enòesen) con gli occhi il cugino (Caletore ucciso da Aiace) cader nella polvere davanti alla nave nera
Dopo Omero noein non designa più il vedere. In seguito noein diviene propriamente il verbo che indica il pensare e nous designa l'intelletto; ma anche quando questi termini si sviluppano con un significato tecnico, essi indicano sempre un'apprensione in qualche modo diretta, immediata, un'intuizione, opposta a forme di pensiero discorsivo.» (In Bruno Centrone, Istituzioni di storia della filosofia antica, Pisa, 1970)

▪ 1991 - Giovanni Francesco Malagodi (Londra, 12 ottobre 1904 – Roma, 17 aprile 1991) è stato un politico italiano, figlio di Olindo Malagodi e Presidente del Senato della Repubblica dal 22 aprile al 1º luglio 1987, al termine della IX Legislatura.
Fu uno degli esponenti maggiori del Partito Liberale Italiano, di cui fu segretario nazionale dal 1954 al 1972, presidente (1972-1977) e presidente onorario dal 1977.
Dirigente della Banca Commerciale Italiana, rappresentante italiano dell'OECE, (OCSE o OCDE) entrò in politica nel PLI nel 1953, portato da Enzo Storoni che a quell'epoca era uno degli esponenti più in vista del partito. Nel 1954 divenne segretario del PLI, avvicinandolo agli interessi di Confindustria e combattendo l'apertura a sinistra della Democrazia Cristiana verso i socialisti, conducendo il partito al miglior risultato elettorale della sua storia (7% alle elezioni politiche del 1963), ma subendo nel 1955 la scissione dell'ala sinistra che diede vita al Partito Radicale.
Successivamente il PLI andò incontro a un irreversibile declino elettorale, cui non pose fine nemmeno il ritorno dei liberali al governo. Lo stesso Malagodi divenne ministro del Tesoro nel secondo governo Andreotti (1972-1973): ma il ritorno al governo dopo oltre un decennio di assenza non portò gloria ai liberali, perché Andreotti, avendo dietro di lui l'ala più moderata dello Scudo Crociato, messi temporaneamente da parte gli esponenti della sinistra del partito (Moro, De Mita, Donat Cattin ed altri) e con gli ex alleati socialisti all'opposizione, varò una serie di provvedimenti demagogici come, ad esempio, le "pensioni d'oro" per incentivare l'esodo dei superburocrati e lasciare spazio a funzionari più giovani e più "allineati".
Nel 1977 Malagodi lasciò la presidenza del PLI assunta nel 1972, in contrasto con la linea del nuovo segretario Valerio Zanone. Senatore nelle legislature VIII, IX e X, fu presidente del Senato per alcuni mesi nel 1987.
Molti liberali lo considerano ancor oggi uno dei simboli della cultura liberale in Italia.