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Il calendario del 17 Agosto

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi
▪ 1126 - Catania: Le spoglie di sant'Agata vengono ricondotte in patria da Costantinopoli dove erano state portate 86 anni prima

▪ 1807 - La Clermont, prima nave a vapore americana di Robert Fulton, salpa da New York per Albany sul fiume Hudson, inaugurando il primo servizio commerciale di navi a vapore del mondo.

▪ 1840 - Inaugurazione della Ferrovia Milano-Monza

▪ 1862 - Guerre indiane: nel Minnesota inizia la sollevazione dei Sioux Lakota, quando questi disperatamente attaccano gli insediamenti dei bianchi sul fiume Minnesota. Verranno sopraffatti dall'Esercito Statunitense sei settimane dopo

▪ 1915 - L'ebreo-americano Leo Frank viene linciato per il presunto omicidio di una ragazzina tredicenne ad Atlanta (Georgia)

▪ 1918 - Fondazione della Società Thule a Monaco di Baviera, costituirà il nucleo del Partito Nazista conosciuto anche come NSDAP

▪ 1941 - Alla memoria del figlio del Duce, Bruno Mussolini, viene consegnata la medaglia d'oro al valore aeronautico

▪ 1942 - Viene varata in Italia la Legge Urbana Nazionale, la n° 1150 del 1942. Nasce il moderno Piano Regolatore Generale

▪ 1943 - Seconda guerra mondiale: la 7a Armata statunitense del generale George S. Patton arriva a Messina, seguita diverse ore dopo dall'8a Armata britannica del Maresciallo di Campo Bernard L. Montgomery, completando la conquista alleata della Sicilia

▪ 1945 - L'Indonesia si proclama indipendente dai Paesi Bassi

▪ 1960 - Il Gabon ottiene l'indipendenza dalla Francia ma rimane all'interno della comunità delle ex-colonie francesi

▪ 1962 - Le guardie di confine della Germania Est uccidono il diciottenne Peter Fechter mentre tenta di attraversare il Muro di Berlino per portarsi a Berlino Ovest

▪ 1969 - Chiude, dopo tre giorni, il Festival di Woodstock

▪ 1970 - Programma Venera: viene lanciata la Venera 7. Diventerà la prima sonda spaziale a trasmettere dati da un altro pianeta

▪ 1977 - La nave sovietica "Arktica" è la prima nave che raggiunge il Polo Nord navigando in superficie.

▪ 1978 - Il Double Eagle II diventa il primo pallone aerostatico ad attraversare l'Oceano Atlantico atterrando a Miserey, nei pressi di Parigi, 137 ore dopo aver lasciato Preque Isle (Maine)

▪ 1982 - Il primo compact disc per l'utilizzo commerciale venne prodotto in una fabbrica della Philips presso Hannover, in Germania; il CD in questione fu l'album musicale The Visitors del gruppo svedese ABBA.

▪ 1988 - Il presidente pakistano Mohammad Zia ul-Haq e l'ambasciatore statunitense Arnold Raphel muoiono in un incidente aereo

▪ 1992 - Si dimette dalla carica di segretario del Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD) Walter Momper, ex-sindaco di Berlino

▪ 1998 - Scandalo Monica Lewinsky: il presidente statunitense Bill Clinton ammette in una testimonianza registrata, di aver avuto "relazioni fisiche improprie" con la stagista della Casa Bianca, Monica Lewinsky. Lo stesso giorno ammette davanti alla nazione di aver "fuorviato il popolo" circa la sua relazione

▪ 1999 - Un terremoto di magnitudo 7,4 della scala Richter scuote la Turchia nord-occidentale, uccidendo più di 17.000 persone e ferendone 44.000

▪ 2002 - A Santa Rosa (California), apre al pubblico il Museo Charles M. Schulz

Anniversari

▪ 1202 - Sant'Alberto da Chiatina (Chiatina, 1135 – Colle Val d'Elsa, 17 agosto 1202) è stato un religioso e santo italiano.
Alberto nacque nel 1135 a Chiatina, in Val d'Arbia. Prese ben presto la via del sacerdozio nonostante la sua famiglia, che faceva parte della piccola nobiltà del luogo, avesse per lui altri progetti.
Si fece benvolere dal vescovo e, dopo l'ordinazione sacerdotale del 1163, come primo incarico fu destinato ad una parrocchia importante, quella della pieve di Santa Maria in Pava. Subito si fece apprezzare per le sue doti dialettiche, poco comuni per le parrocchie di campagna e proprio in quella pieve nacque la prima fama di santità.
All'epoca era imperatore Federico I, il Barbarossa, che era entrato in conflitto con papa Alessandro III, di origini senesi, tanto da nominare un antipapa, Vittore IV, nel 1159. Probabilmente a causa della fedeltà di Alberto al papa senese, entrò in disaccordo con un membro della nobiltà locale e fu costretto a lasciare la pieve di Santa Maria in Pava. Nel 1175 fu quindi destinato alla chiesa senese di Sant'Andrea che si trovava sulla strada di Camollia, il tratto urbano della Via Francigena, nell'attuale Via Montanini.
Qui rimase fino al 1177, quando papa Alessandro III gli affidò l'incarico di Arciprete presso la pieve a Elsa.
La pieve era situata a “Aelsa” o “Aelsae” (l'odierna Gracciano d'Elsa di Colle Val d'Elsa) ed era la diciassettesima tra le settantanove stazioni (Mansio) che sorgevano sulla Via Francigena, tra Roma ed la Manica, descritte nell'itinerario di Sigerico di Canterbury. Essa era situata nel territorio della diocesi di Volterra ma dipendeva direttamente dal papato in quanto “nullius Dioecesis”. La pieve doveva essere grande, forse a tre navate, ed era posta in prossimità del guado sull'Elsa, vicino a Le Caldane ed alle Vene, che fornivano acqua all'Elsa in misura sostanziale.
Forse la scelta operata dal papa aveva però dei secondi fini, in quanto da senese, aveva tutto l'interesse ad allargare il controllo di Siena nei territori a nord, più vicini a Firenze e dalla città gigliata contesi proprio a Siena. Questo fa comprendere forse meglio anche il perché della particolarità della giurisdizione, alle dirette dipendenze della Santa Sede e non della diocesi di Volterra, competente per territorio della chiesa di Colle, capoluogo valdelsano. Nella pieve a Elsa, Alberto poteva svolgere le funzioni del vescovo, pur non essendolo e pur non potendo ordinare i sacerdoti. Intanto, nel 1181, muore papa Alessandro III.
Dopo alcuni anni Alberto fu colpito da una grave malattia. La storia ci dice solamente che il suo corpo, immobilizzato, si ricoprì di piaghe che gli causavano terribili sofferenze. Probabilmente Alberto era rimasto semiparalizzato a causa di un ictus e la lunga immobilità gli avrebbe causato le piaghe da decubito, ma niente di certo è dato sapere. Le sofferenze di Alberto, che era comunque lucido nella mente, lo spinsero a chiedere al nuovo papa Lucio III la dispensa dall'incarico.
La santa Sede però non accettò le dimissioni ed invitò i Canonici che si erano occupati di Alberto a nominare tra di loro un responsabile pastorale che coadiuvasse l'Arciprete Alberto, confermato nell'incarico. La profonda fede che lo animava gli faceva sopportare il dolore con serenità e la sua fama aumentava come aumentava (per i miracoli che cominciavano a verificarsi) il profumo della sua santità, tanto da essere chiamato “Santo Giobbe della Toscana” ed a lui si rivolgevano alti prelati e perfino cardinali, in transito sulla Via Francigena, affinché intercedesse per loro nelle sue preghiere.
In quel periodo erano frequenti le incursioni dell'esercito senese contro Colle, alleato di Firenze, e saccheggi e distruzioni si verificavano di frequente. Nel 1191 papa Celestino III autorizzò il trasferimento della pievania dalla pieve a Elsa alla chiesa di San Salvatore (la futura cattedrale), posta nel Castello di Colle, anche in considerazione del fatto che Colle si stava notevolmente sviluppando ed accresceva la propria autonomia, fino a diventare libero comune nel 1195.
Alberto convinse quindi i fedeli a trasferirsi presso il castello di Colle. La scelta operata da Alberto si rivelò felice in quanto le truppe senesi, nella prima metà del XIII secolo distrussero l'abitato di “Aelsae” (Gracciano).
A Colle Alberto, libero dagli impegni dell'arcipretura, si dedicò alla preghiera ed alla venerazione della reliquia del Sacro Chiodo della Crocifissione che era conservato a Colle. Ancora oggi si conservano nel Duomo di Colle Val d'Elsa i guanti con cui Alberto toccava la sacra reliquia.
Il 17 agosto 1202, all'età di sessantasette anni, Alberto morì.
Dopo la morte, numerosi testimoni affermarono d'aver veduto sparire le piaghe dal suo corpo. La notizia dell'evento si sparse in fretta e molti fedeli si recarono a rendergli omaggio ed a chiedere grazie, che si credette fossero numerose.
Le spoglie furono sepolte, mentre la testa venne conservata in un reliquiario. Solo nel 1618 il corpo di Alberto venne ritrovato e posto nell'altare della cappella dove era conservato il Sacro Chiodo.

Culto
Subito dopo la morte Colle dedicò annualmente una celebrazione alla memoria di Alberto. Durante la festa veniva corso anche un palio equestre, con tragitto da Campiglia alla Chiesa di San Salvatore (l'odierno Duomo), che assicurava al vincitore un panno di lana rosso del valore di dieci fiorini. Il 19 maggio 1798, papa Pio VI approvò la recita dell'ufficio di Sant'Alberto e l'11 maggio 1865 papa Pio IX approvò la messa propria. Nel 1890 le spoglie del santo furono trasferite nella cattedrale di Colle Val d'Elsa, in una cappella a lui dedicata. Il 4 luglio 1962, con decreto della Congregazione dei riti venne confermata l'ufficiatura. Sant'Alberto è molto venerato a Colle Val d'Elsa dove è copatrono della città con San Marziale ed a cui è stata dedicata la nuova chiesa del popoloso quartiere della Badia.
La Chiesa Cattolica lo ricorda il 17 agosto.

▪ 1571 - Marcantonio (o Marco Antonio) Bragadin (Venezia, 21 aprile 1523 – Famagosta, 17 agosto 1571) è stato un militare italiano della Repubblica di Venezia; appartenente al corpo dei Fanti da Mar della Serenissima Repubblica di Venezia, ricoprì la carica di Governatore di Cipro e fu Capitano Generale di Famagosta, ricco porto sulla costa orientale dell'isola di Cipro.
Figlio di Marco e di Adriana Bembo, dopo una breve esperienza come avvocato nel 1543, Bragadin si diede alla carriera marinara e ricoprì diverse cariche militari sulle galee veneziane.
Tornato a Venezia ebbe vari incarichi presso le magistrature cittadine finché, nel 1560 e nel 1566, fu designato come governatore di galea, senza che si presentasse l'occasione per assumere il comando delle navi.
Nel 1569 fu eletto capitano del Regno di Cipro e raggiunse Famagosta, per assumere il governo civile dell'isola, in vista del probabile scontro con la flotta ottomana.

L'assedio di Famagosta
Nelle città più importanti l'introduzione dei cannoni rese necessaria la costruzione di mura secondo criteri scientifici affinché le stesse potessero resistere ai bombardamenti. Così anche a Famagosta Bragadin fece realizzare una serie di opere fortificate per munire di una solida difesa le mura del porto, fra cui il bastione Martinengo, eccellente esempio di fortificazione alla moderna, capace di fornire protezione alle mura da ambo i lati.
Il 1° luglio 1570 un primo contingente turco sbarcò nei pressi di Limassol ma venne respinto, ebbe invece successo il tentativo di gettare una testa di ponte nei pressi di Nicosia che permise lo sbarco, il 18 luglio, da circa 400 imbarcazioni, del grosso delle truppe.
L'esercito musulmano, al comando di Lala Kara Mustafa Pascià, arrivò così a contare tra le 70.000 e le 100.000 unità e 200 pezzi d'artiglieria.
Nicosia cadde in due soli mesi e la guarnigione fu massacrata. La testa del luogotenente del regno, Niccolò Dandolo, fu fatta recapitare a Bragadin, che si apprestò alla difesa della città.
La Battaglia di Famagosta, un lungo assedio alla città, ebbe inizio nel settembre dello stesso anno e continuò per mesi, durante i quali le mura vennero bersagliate senza tregua dal tiro delle batterie nemiche.
A comandare la difesa di Famagosta si trovavano il provveditore Marcantonio Bragadin, coadiuvato da Lorenzo Tiepolo, capitano di Pafo, e il generale Astorre Baglioni. Ai circa 6000 uomini della guarnigione veneta, si opponevano 200.000 armati, muniti di 1500 cannoni, appoggiati da circa 150 navi, che bloccavano l'afflusso di rifornimenti e rinforzi.
La resistenza degli assediati di Famagosta, andò al di là di ogni ottimistica previsione, data la disparità delle forze in campo, la scarsità degli aiuti dalla madre patria e la preparazione dell'esercito assediante, che proprio durante questo assedio sperimentò nuove tecniche di guerra.
L'intera cinta delle mura e la pianura esterna fu colmata di terra sino alla cima delle fortificazioni e un innumerevole serie di gallerie si dipanava verso le mura ed al di sotto di esse verso la città, al fine di porre cariche esplosive per aprirsi una breccia.
Nel luglio del 1571 l'esercito ottomano riuscì ad aprire una breccia nelle mura della città e si incuneò nella cinta fortificata ma fu respinto a caro prezzo. Finiti i viveri e le munizioni, il 31 luglio Bragadin fu costretto a decretare la resa della città.
Gli storici discutono sul motivo del disimpegno della Serenissima rispetto alle promesse di inviare aiuti al Bragadin, da la Suda, sull'isola di Creta. Probabilmente vi fu, tra i Veneziani, chi deliberatamente preferì risparmiare risorse militari per poterne avere il comando nell'imminente scontro che già si andava prospettando.

Il martirio del governatore
Nonostante il trattato di resa stabilisse che i militari superstiti potessero ritirarsi a Candia con i civili, il comandante turco Lala Kara Mustafa Pascià non osservò le condizioni pattuite. Bragadin venne imprigionato a tradimento e mutilato al viso (gli vennero mozzate ambedue le orecchie), quindi rinchiuso per dodici giorni in una minuscola gabbia lasciata al sole, con pochissima acqua e cibo. Al quarto giorno i Turchi gli proposero la libertà se si fosse convertito all'Islam, ma Bragadin rifiutò. Il 17 agosto del 1571, tratto già quasi esanime dalla prigionia e con gravi ustioni sul corpo, fu appeso all'albero della propria nave e massacrato con oltre cento frustate, quindi costretto a portare in spalla per le strade di Famagosta una grande cesta piena di pietre e sabbia, finché non ebbe un collasso. Fu quindi riportato sulla piazza principale della città incatenato a un'antica colonna e qui scuoiato vivo a partire dalla testa, anche se morì prima della fine della tortura. Le sue membra squartate vennero distribuite tra i vari reparti dell'esercito e la pelle, riempita di paglia e ricucita, venne rivestita delle insegne militari e portata a cavallo di un bue in corteo per Famagosta. Il macabro trofeo, insieme alle teste del generale Alvise Martinengo, di Gianantonio Querini e del castellano Andrea Bragadin, venne issato sul pennone di una galea e portato a Costantinopoli.
La pelle di Bragadin fu trafugata nel 1580 dall'arsenale di Costantinopoli da Girolamo Polidori, giovane marinaio veneziano; fu portata a Venezia e conservata nella chiesa di San Gregorio, poi in quella dei Santi Giovanni e Paolo, dove si trova ancora oggi.
La fama del Bragadin si deve all'incredibile resistenza che seppe opporre all'esercito che lo assediò, dato il rapporto delle forze in campo, nonché all'orribile scempio cui fu sottoposto dopo la resa della sua città.
Dal punto di vista militare, la tenacia ed il protrarsi della resistenza degli assediati capitanati dal Bragadin richiese un ulteriore impiego di forze da parte turca e tenne impegnati gli assedianti per un lungo periodo, tanto che la Lega Santa ebbe il tempo di organizzare la flotta che poi sconfisse quella ottomana nella battaglia di Lepanto.

▪ 1924 - Paul Gerhard Natorp (Düsseldorf, 24 gennaio 1854 – Marburgo (Germania), 17 agosto 1924) è stato un filosofo tedesco, co-fondatore della scuola neokantiana di Marburgo.
Figlio del predicatore protestante Adelbert Natorp e Emilie Keller, dal 1871 studiò musica, storia, filologia classica e filosofia a Berlino, Bonn e Strasburgo. Conseguì il dottorato in storiografia con una dissertazione in latino nel 1876 a Strasburgo con il positivista Ernst Laas. Dopo quattro anni come tutore privato divenne assistente bibliotecario a Marburgo, dove nel 1881 ottenne l'abilitazione con Hermann Cohen. Nel 1885 divenne professore straordinario e nel 1893 ottenne la cattedra di filosofia e pedagogia, che mantenne fino alla sua pensione nel 1922.
Nel semestre invernale del 1923/24 Natorp ebbe un intenso scambio intellettuale con Martin Heidegger, le cui opere su Giovanni Duns Scoto aveva studiato attentamente.
Nel 1887 sposò la sua cugina Helene Natorp ed ebbe cinque figli da lei. Natorp aveva ambizioni come compositore, soprattutto per musica da camera (sonate per cello, violino, trio con pianoforte). Inoltre scrisse circa 100 lieder e due opere corali. Lo scambio letterario con Brahms, che gli sconsigliò di diventare compositore per professione, è diventato famoso.

Pensiero
La posizione epistemologica di Natorp fu quella di un idealismo metodologico, come Cohen. Le due radici Kantiane della conoscenza, intuizione e ragione (Anschauung e Verstand), con lui divennero materia e forma della conoscenza. Questa non è soggettiva, ma viene oggettivata nelle leggi determinanti dei fenomeni. L'unità sintetica è la legge fondamentale della conoscenza, che viene determinata dalle funzioni fondamentali delle categorie (qualità, quantità, relazione e modalità).
Riguardo alle idee regolative di Kant, Natorp formulò la legge del dovere ("Gesetz des Sollens") nel compito del tendere verso la conoscenza dell'infinito. Da ciò derivò i livelli della tensione come pulsione, volontà e volere intellettuale, che collegò all'etica dei valori. Ciò che è veramente concreto non fu per Natorp l'individuo, ma la comunità. In pratica Natorp si ingaggiò per una, ai tempi abbastanza controversa, politica dell'educazione socialista, in particolare per un'istruzione pubblica gratuita e pari opportunità per tutti.
La fonte della religione per Natorp era il sentimento (Gefühl), la conoscenza immediata di sè stessi. Il fondamento della verità religiosa diventa allora la soggettività. L'infinità del sentimento porta alla trascendenza.
Il pensiero fondamentale di Natorp si potrebbe riassumere in una singola frase, come: Pensare non vuol solo dire "mettere in relazione" (Lotze), ma pensare vuol dire essere in relazione (rapporto).
In questo modo Natorp si collega al programma di una "fondazione concettuale" che parte da Gottlob Frege – sotto influenza di Rudolf Hermann Lotze – e che tramite Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein portò allo sviluppo della filosofia analitica e che con il concetto di "ragione espressiva" di Robert Brandom è di nuovo attuale. Mentre nella tradizione di carattere analitico e linguistico-strutturale che si rifà a Wittgenstein, le relazioni sono considerate come "oggetti" o, appellandosi al "common sense" come "mere" relazioni, cosicché con una applicazione massimale del concetto di relazione – da "struttura" via "sintassi", "semantica", "prammatica" fino alla "competenza" e la "performance" – si ha d'altro canto un minimo di riflessione sul concetto di relazione stesso, Natorp pone "molto chiaramente e apertamente la relazione al centro di tutte le considerazioni logiche" e la rende così il "concetto del concetto". Questa transizione dal concetto di sostanza al concetto di relazione è stato reso famoso dallo studente di Natorp Ernst Cassirer come transizione dal "concetto di sostanza al concetto di funzione", e questo, come viene confermato dalla fisica, è sempre molto attuale. Anticipa quindi ciò che Richard Rorty ha fatto 70 anni più tardi nella sua influente immagine di "specchio della natura": che la "rappresentazione" del mondo non è una "ri-presenta" o fa una copia mentale, ma originariamente genera e costituisce il mondo.
Questo pensiero fondamentale del suo "correlativismo monistico", che conoscenza come relazione tra pensiero e oggetto allo stesso tempo significa la sua assunzione correlativa nel medio del pensiero, è stato posto da Natorp sin dall'inizio al servizio di una concezione onnicomprensiva delle discipline e aree tematiche più disparate come natura e cultura, logica e politica, e soprattutto pedagogia. Tutte le discipline, dalla matematica alle scienze linguistiche e storiche, dovrebbero contribuire all'educazione del popolo intero e ritrovare in questo modo la via verso la vita e la prassi. Perciò l'opera di Natorp hanno ancor'oggi un profondo significato per la filosofia e pedagogia.

* 1933 - Henri Brémond (Aix-en-Provence, 31 luglio 1865 – Arthez-d'Asson, 17 agosto 1933) è stato uno storico e critico letterario francese, membro dell'Académie française e gesuita dal 1882 al 1904.
Figlio di un notaio, e fratello di quattro maschi, Émile, Henri, Jean et André, e di una femmina, Marguerite, seguì il suo percorso di studi presso il collegio del sacro Cuore sotto la guida di Charles Maurras, con il quale negli anni a seguire romperà bruscamente il rapporto di stima.
Il padre gesuita Pralon ebbe, invece, una influenza duratura su di lui.
All'età di 17 anni decise di entrare nella Compagnia dei Gesuiti, allo stesso modo dei due suoi fratelli Jean et André. Svolse il noviziato in Inghilterra, nel Devonshire e quindi si interessò alla letteratura inglese grazie agli studi di filosofia dal 1882 al 1888.
Dopo una permanenza dapprima a Moulins, poi a Saint-Étienne e a Villefranche-sur-Saône venne ordinato prete l'8 settembre 1892, e due anni dopo iniziò la collaborazione con la rivista gesuita Étvdes, della quale assunse la direzione negli anni che vanno dal 1900 al 1903, e sulla quale si distinse per una serie di articoli di psicologia religiosa e di letteratura. Rivelò sin dai suoi primi scritti alcune doti che lo resero uno degli eredi di Sainte-Beuve, sia per lo stile ed il gusto, sia per la acutezza psicologica, di indagine e la vivacità intellettuale.[1]
Questi furono gli anni di fertili e solide amicizie, come quella con Maurice Barrès, incontrato fortuitamente nel 1900 ad Atene in occasione di lavori di ristrutturazione del Partenone, oltre a quella con Fogazzaro, i modernisti irlandesi e con l'anglicano irlandese George Tyrrell, convertito al cattolicesimo e divenuto gesuita, conosciuto il 10 luglio 1901.
Il suo temperamento anticonformista ed inquieto lo spinsero ad abbandonare i gesuiti il 2 febbraio 1904, per proseguire in piena libertà il suo lavoro letetrario, pur rimanendo prete secolare.
I suoi contatti con Maurice Blondel, con i modernisti insospettirono le autorità religiose, che dopo la partecipazione di Bremond ai funerali di Tyrrel, nel 1909 ricevette la sospensione a divinis.
Henri Bremond studiò lungamente poesie di varie epoche, il movimento romantico e quello del Simbolismo.
Gia nel 1906 Bremond si mise in evidenza con la Essai de biographie psychologique riguardante il pensiero del cardinale Newmann, interpretato attraverso tracce della filosofia di Blondel: la dottrina del real assent ossia la partecipazione più dell'anima che della ragione al creato.
Un'altra delle sue prime opere scritte, intitolata Apologie pour Fénelon, affrontò le tematiche storiche e spirituali in stretta relazione con il caso Tyrrel e la sua sospensione, e quindi risultò in qualche modo anche una risposta ai suoi denigratori. Il suo scritto si caratterizzò per una notevole brillantezza e calore dialettico al punto da meritare l'accostamento con le Provinciales pascaliane.
Tutti questi elementi Bremond li trasmise anche nel suo monumentale progetto, ossia la stesura della Histoire littéraire du sentiment religieux en France depuis les guerres de religion jusqu'à nos jours, opera in undici volumi iniziata intorno al 1909, che terminerà solamente con il decesso dell'autore, quando ormai la sua storia della vita, opere e pensiero dei grandi mistici francesi era giunta sino al XVIII secolo.
Il metodo impostato e sviluppato da Bremond parve innovatore all'epoca, visto che in effetti il risultato ottenuto fu una via di mezzo fra una storia religiosa della letteratura ed una storia della religione. Uno dei suoi obiettivi fu l'evidenziazione del sentimento religioso presente nei mistici descritti attraverso i loro scritti letterari. Inoltre il suo naturismo d origine salesiana che lo indusse ad elaborare l'"umanesimo devoto", gli consentì di ampliare la prospettiva nella quale fino ad allora veniva inserità la religiosità dei grandi mistici.
Di rilevanza furono pure la sua difesa del Romanticismo, nel 1924 con l'opera Pour le romantisme e la sua approvazione, in coppia con Paul Valéry, della "poesia pura" fonte di simbiosi fra stato creativo ed estasi mistica (Prière et poésie, 1926).
Per approfondire sulla storia della mistica leggi qui (in francese)
HENRI BREMOND, L’HISTORIEN DU SENTIMENT RELIGIEUX

▪ 1974 - Aldo Palazzeschi (Firenze, 2 febbraio 1885 – Roma, 17 agosto 1974) è stato un poeta italiano, padre della neoavanguardia. Sebbene il suo nome vero fosse Aldo Giurlani, dal 1905 iniziò a firmarsi con il cognome della nonna materna (Palazzeschi) nacque da una famiglia di agiati commercianti; per volontà del padre frequentò gli studi in ragioneria, dedicandosi poi all'arte e alla scrittura. Dalla seconda attività conseguì una ricca produzione letteraria che diede al Palazzeschi fama di rango nazionale. Tuttora viene considerato tra i maggiori poeti del Novecento.

Vita e opere - Prima produzione letteraria
Inizialmente, si dedicò alla recitazione: nel 1902 si iscrisse alla regia scuola di recitazione "Tommaso Salvini". Nelle compagnie teatrali conobbe anche Gabriellino, figlio di Gabriele D'Annunzio. Fu probabilmente proprio la passione teatrale a far sì che l'artista rinunciasse al suo cognome anagrafico assumendo uno pseudonimo. Infatti, il padre non vedeva di buon occhio il fatto che Palazzeschi si dedicasse alla recitazione, tanto meno se questa attività veniva praticata con il nome di famiglia.
Con il tempo, Palazzeschi si staccò dall'attività teatrale per dedicare il suo lavoro alla poesia. Grazie all'appoggio finanziario della famiglia, fu in grado di pubblicare le sue raccolte a proprie spese. Fu così che nel 1905 pubblicò il primo libro di poesie, I cavalli bianchi, per un editore immaginario, Cesare Blanc (che in realtà era il nome del suo gatto) con una sede immaginaria in via Calimala 2, Firenze. Tra i componimenti spiccano Ara Mara Amara e Il Pappagallo. La raccolta avvicinava Palazzeschi al Crepuscolarismo tanto per lo stile quanto per i contenuti. Il libro fu recensito in modo positivo da Sergio Corazzini con il quale iniziò una fitta corrispondenza fino alla precoce morte del poeta avvenuta nel 1907. La recensione non ebbe però un seguito e il libro rimase praticamente sconosciuto.
Dopo circa un anno, alla prima opera seguì Lanterna, che contiene la poesia Comare Coletta. In questa come nella precedente raccolta, i componimenti di Palazzeschi sono oscuri, fiabeschi e ricchi di simboli poco trasparenti. A dispetto della giovane età dell'artista, ricorre ripetutamente nelle poesie il riferimento alla morte, tema che percorre entrambe le raccolte allo stato latente. Altri motivi ricorrenti sono la malattia e la vecchiaia. Il metro è sempre lo stesso: si tratta del trisillabo, dunque di versi ternari, oppure di versi di 6, 9, 12 o più sillabe. La monotonia del ritmo si coniuga perfettamente alla staticità (spaziale e temporale) che caratterizza i due poemi d'esordio del poeta.
Nel 1908 pubblicò, sempre presso l'immaginario editore Cesare Blanc, il suo primo romanzo di stile liberty dal titolo : riflessi, ricco di fonti fiabesche e di sapore abbastanza chiaramente omosessuale.
Seguì la terza raccolta Poemi, che avrebbe portato per la prima volta Palazzeschi ad un pubblico più ampio. In questa eterogenea opera ricordiamo Chi sono?, Habel Nasshab, nonché Rio Bo. Rispetto a quanto si poteva osservare nelle prime due raccolte, il tono è stavolta più solare. Alcune delle poesie sono inoltre legate tra di loro da una trama, la quale conferisce ai poemi un certo dinamismo. Il verso ternario ed il senario ecc. sono ancora quelli privilegiati, ma il rigido schema metrico viene per la prima volta spezzato, in quanto ricorrono versi di tutte le lunghezze. Il gioco ritmico sul trisillabo viene ironicamente portato alle estreme conseguenze nella poesia della Fontana malata. Pare che con il tempo l'artista si attenga sempre di meno a canoni formali di qualsiasi natura. Anche se durante la prima produzione letteraria Palazzeschi gradiva il fatto di restare più o meno nell'anonimato, stavolta la raccolta non passerà inosservata.

Il periodo futurista
In seguito alla lettura di Poemi Filippo Tommaso Marinetti rimase entusiasta, convinto della creatività di Palazzeschi e alquanto compiaciuto dell'uso del verso libero . Palazzeschi fu dunque invitato a collaborare alla rivista "Poesia". Pubblicherà la raccolta di poesie l'Incendiario. Qui si ritrova lo scherzoso componimento Lasciatemi divertire, dove il poeta si immagina di recitare la poesia davanti ad un pubblico costernato e scandalizzato.
Il 1913 è l'anno del romanzo Il codice di Perelà. Segue il manifesto del Controdolore nel 1914 che era apparso in precedenza sulla rivista Lacerba fondata da Giovanni Papini e Ardengo Soffici in polemica con Giuseppe Prezzolini, direttore de La Voce.
Palazzeschi inizia dunque a collaborare intensivamente con il movimento futurista recandosi spesso a Milano e ripubblicando le sue poesie grazie all'appoggio ricevuto. È sorprendente il fatto che le antologie di poeti futuristi includessero anche diversi dei primi componimenti di Palazzeschi, che per il loro tono sommesso e statico erano in gran parte incompatibili con i toni vitali e dinamici dei marinettiani (soprattutto per quanto riguarda le poesie dei Cavalli bianchi). Il fatto che i futuristi abbiano spesso chiuso un occhio davanti a tutto ciò non fa che confermare che Palazzeschi aveva le carte in regola per arrivare ad un notevole successo.
In ogni caso, l'interesse di Palazzeschi per il movimento del futurismo non lo portò mai a ricambiare pienamente l'entusiasmo che il gruppo nutriva nei suoi confronti. Infatti, la vitalità esasperata del movimento lo rendeva scettico; presumibilmente, essa non corrispondeva pienamente al suo carattere, in un certo senso provocatorio ma non necessariamente aggressivo. Alla vigilia della grande guerra i nodi vennero al pettine: Palazzeschi si dichiarò neutralista e si oppose dunque all'intervento dell'Italia nel primo conflitto mondiale che veniva invece propagato dal movimento futurista dei marinettiani. Una tale discrepanza non poteva significare che il distacco definitivo.
In seguito, si sarebbe dedicato con profitto alla scrittura in prosa. Per quanto riguarda la poesia, alla vigilia della guerra Palazzeschi aveva ormai dato il meglio di sé.
Si avvicinò all'ambiente de La Voce di Giuseppe De Robertis e iniziò a collaborare per la rivista.

Il richiamo alle armi e gli anni del fascismo
Durante l'estate del 1916, pur essendo stato riformato alla visita militare, venne richiamato alle armi come soldato del genio. Fu per poco tempo al fronte e in seguito di stanza a Firenze, a Roma e a Tivoli. Si ritrovano i ricordi di quel periodo nei suoi bozzetti di Vita militare e nel libro autobiografico Due imperi...mancati 1920.
Durante gli anni del fascismo, Palazzeschi non partecipò alla cultura ufficiale nonostante gli sforzi intrapresi in questo senso da Filippo Tommaso Marinetti ; compì qualche viaggio a Parigi e dal 1926 collaborò al Corriere della sera. Nel 1921 pubblicò il suo primo libro di racconti, sempre presso Vallecchi, Il re bello; nel 1926 uno "scherzo" iniziato nel 1912 dal titolo La Piramide. Fra il 1930 e il 1931 si recò più volte a Parigi dove ebbe modo di conoscere Filippo De Pisis, Pablo Picasso, Georges Braque, Henri Matisse. Nel 1930 venne stampata dall'editore Preda a Milano l'edizione definitiva delle Poesie risistemate con adattamenti dettati dal suo nuovo gusto poetico; nel 1932 sono Stampe dell'Ottocento, prose di ricordi; del 1934 è il romanzo Sorelle Materassi, forse il principale della sua carriera di romanziere. Il 1937 è l'anno de Il palio dei buffi, seconda raccolta di novelle.

Gli anni romani
Nel 1938 muore il padre e nel 1939 la madre e Palazzeschi, nel 1941, si trasferisce a Roma dove abiterà fino alla morte.
Del 1945 è un altro libro autobiografico Tre imperi...mancati testimonianza polemica ma anche melanconica della seconda guerra mondiale.
Nel 1948 vinse il premio Viareggio con il romanzo I fratelli Cuccoli e nel 1957, dopo altri libri in prosa (Bestie del '900 nel 1951, Roma, nel 1953), e poesia (Difetti nel 1947), gli venne assegnato dall'Accademia dei Lincei il premio Feltrinelli per la letteratura.
Nel 1960 l'Università di Padova gli conferì la laurea in lettere honoris causa.
Negli anni della vecchiaia Palazzeschi scrisse ancora moltissimo: nel 1964 le prose autobiografiche Il piacere della memoria; una serie di romanzi (Il doge, 1967; Stefanino, 1969; Storia di un'amicizia, 1971), due libri di poesia, Cuor mio, nel quale confluirono i versi delle plaquettes Viaggio sentimentale del 1955 e Schizzi italofrancesi del 1966), e Via delle cento stelle del 1972.
Collaborò inoltre alla produzione dello sceneggiato televisivo Sorelle Materassi, messo in onda dalla RAI sempre nel 1972. Questo evento mediale fu di vasta portata: l'opera dell'artista, giunto ormai a tarda età, fece il suo ingresso in milioni di focolai domestici e diede un contributo tutt'altro che trascurabile alla fama del Palazzeschi romanziere.
Nel 1974, quando si stavano preparando i festeggiamenti per i suoi novant'anni e la rivista Il Verri gli dedicava un numero monografico, lo scrittore, colto da crisi polmonare, morì. Era il 18 agosto.

Poetica - L'originalità della sua poesia
Palazzeschi, anche se nelle varie fasi della sua lunga attività di scrittore si è accostato ai movimenti contemporanei, ha sempre mantenuto la sua individualità e una particolare fisionomia. Anche quando egli, in un primo tempo, riprende i motivi crepuscolari e, in seguito, quelli futuristi, mantiene la sua originalità. I temi crepuscolari da lui ripresi sono infatti privi di languori eccessivi se Palazzeschi ne ricalca certe situazioni, sostituisce però lo scherzo al sospiro e contamina il tono elegiaco con la presa in giro che conferisce alle sue liriche il carattere di divertimento.
Analoghe considerazioni valgono per l'adesione di Palazzeschi ad altre correnti. Lo scrittore seguirà come detto per breve tempo il movimento futurista e nel dichiarare ufficialmente sulla rivista Lacerba, nel 1914, che non si considerava più un futurista dichiarerà apertamente la sua vocazione al gioco della fantasia e al riso:
«bisogna abituarsi a ridere di tutto quello di cui abitualmente si piange, sviluppando la nostra profondità. L'uomo non può essere considerato seriamente che quando ride... Bisogna rieducare al riso i nostri figli, al riso più smodato, più insolente, al coraggio di ridere rumorosamente...».
Questo atteggiamento fa sì che in Palazzeschi si ritrovino i temi e i toni più vari: dall'immagine più onirica alla risata beffarda, dal divertimento funambolesco alla canzonatura che non esclude, comunque, un che di affettuoso e completamente estraneo al futurismo.
Sempre in tema di futurismo, si pensi all'originalità di liriche come Pizzicheria dove viene introdotto il dialogo tra il pizzicagnolo e il cliente. La poesia non è infatti altro che l'enumerazione delle diverse immagini, delle scritte pubblicitarie e dei numeri civici che l'io poetico immagina di osservare durante la passeggiata tra le vie di una città, passeggiata che ha dunque la funzione di una cornice. Con questi stravolgimenti, Palazzeschi sembra seguire i futuristi dei quali però non interessa né l'esaltazione del movimento, né l'attivismo politico, ma solo la distruzione delle tradizionali strutture.

La narrativa
Tutte queste posizioni sono facilmente riscontrabili nella sua narrativa che avrà, nell'opera di Palazzeschi, una parte prevalente. Una notevole prova viene data dall'autore già nel 1911 con Il Codice di Perelà che è la storia di un inconsistente omino di fumo capitato nel nostro mondo. È questa una favola allegorica dove il divertimento non rimane solamente fantastico ma lascia il posto per l'irrisione dei valori codificati della nostra società che, visti attraverso il modo di vivere anticonformista di Perelà, risultano essere una denuncia della loro provvisorietà e credibilità.
Anche nell'opera successiva, Piramide (scritta subito dopo ma pubblicata nel 1926) rimaniamo ancora nel campo della fantasticheria umoristica, mentre nelle Stampe dell'Ottocento del 1932 e in Sorelle Materassi del 1934, il tono cambia decisamente. Vengono in esse adottati moduli narrativi più tradizionali che richiamano, nella rappresentazione degli ambienti e dei personaggi, alla forma del bozzettismo toscano di fine Ottocento e una più soffusa interpretazione del programmatico Lasciatemi divertire che si avvia a toni di umana malinconia e comprensione.

La coerenza delle sue opere
Una delle qualità che si evidenziano nella produzione di Palazzeschi è la coerenza del suo lavoro e il legame che esiste tra un'opera e l'altra. Pertanto anche in queste opere non si cade mai nel sentimentalismo elegiaco perché spesso le pagine sono percorse da sprazzi di riso. Ed è appunto questo amalgamarsi di sorriso e pietà, che non rinnega la vocazione al divertimento.

▪ 1988 - Muhammad Zia ul-Haq (urdu محمد ضیاء الحق, Muḥammad Ḍiyāʾ ul-Ḥaqq) (Jalandhar, 12 agosto 1924 – Punjab (Pakistan), 17 agosto 1988) è stato un generale pakistano.

Carriera militare
Zia nacque a Jalandhar, nel 1924, secondo figlio di Muhammad Akbar, un impiegato di alto livello del quartier generale dell'esercito a Delhi. Nel 1943 si unì al British Indian Army e servì contro la Germania nazista nella seconda guerra mondiale; quando il Pakistan divenne indipendente entrò nell'esercito con il grado di maggiore. Durante la Guerra indo-pakistana del 1965, Zia era un comandante di carri armati ma già nel 1973 era diventato maggior generale della I divisione corazzata di stanza a Multan. Il 1° marzo 1976, il Primo ministro democraticamente eletto, Zulfikar Ali Bhutto, nominò Zia-ul-Haq Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, preferendolo a sette alti ufficiali più anziani e influenti di lui.

Colpo di Stato
Con il procedere del suo mandato, il Primo ministro Bhutto dovette affrontare un certo numero di critiche al suo operato e divenne sempre più impopolare per aver messo in discussione la sopravvivenza di vari poteri forti pakistani. L'insofferenza nei suoi confronti crebbe anche all'interno del suo Partito del Popolo Pakistano (PPP): l'omicidio del padre di uno dei principali dissidenti (Ahmed Raza Kasuri) scatenò l'indignazione dell'opinione pubblica che accusò senza alcuna prova Bhutto di aver architettato il delitto, mettendo in seria difficoltà la sua opera e il suo governo. Potenti leader del PPP, come Ghulam Mustafa Khar condannarono apertamente Bhutto e chiesero al popolo di protestare contro il suo regime. L'8 gennaio 1977 numerosi partiti politici dell'opposizione, in vista delle elezioni legislative, si unirono per formare l' Alleanza Nazionale del Pakistan e porre fine al regime di Bhutto: le urne invece sottolinearono il profondo consenso di cui godeva tra la popolazione Buttho e decretarono la sconfitta del nuovo partito. Questi tuttavia reagì e rigettò i risultati, denunciando senza alcuna seria prova brogli in tutto il paese e dichiarò illegittimo il governo di Bhutto. Il tentativo eversivo, ispirato dai nemici del cambiamento democratico gestito dai civili, portò a gravi disordini e il Pakistan scivolò lentamente nel caos. Per porre fine alla crisi, la maggioranza e l'opposizione trovarono un accordo per riportare la nazione alla normalità ma il 5 luglio 1977, Bhutto e alcuni membri del suo gabinetto furono arrestati dalle truppe del generale Zia ul-Haq, autore di un colpo di Stato militare, secondo una delle più consolidate tradizioni politiche del Pakistan.
Dopo aver assunto il potere, il generale Zia ul-Haq promise naturalmente di indire nuove elezioni nazionali e provinciali entro 90 giorni, e di cedere il potere ai rappresentanti della nazione; inoltre affermò che la Costituzione del Pakistan non sarebbe stata abrogata ma solo temporaneamente sospesa. Tuttavia, già nell'ottobre del 1977, il generale annunciò il rinvio delle elezioni e decise, sotto le pressanti richieste di entrambi gli schieramenti, di avviare un processo per accertare le responsabilità dei politici. Un Tribunale militare venne istituito appositamente per tale scopo e molti membri del Parlamento vennero accusati di corruzione ed esclusi dalla partecipazione alla vita politica a qualsiasi livello per i successivi sette anni. Un apposito fascicolo venne aperto a carico del deposto governo Bhutto, accusato di numerosi incredibili soprusi.

Presidente del Pakistan
Il 16 dicembre 1978, il generale Zia ul-Haq subentrò al dimissionario Fazal Ilahi Chaudhry, e divenne il sesto presidente del Pakistan. Appena quattro mesi dopo fece condannare a morte per impiccagione l'ex-Primo Ministro Zulfikar Ali Bhutto, con la falsa accusa di omicidio di un esponente politico minore. L'impiccagione del primo ministro eletto dal popolo da parte dei militari venne duramente condannato dalla comunità internazionale e dalla maggior parte degli avvocati e giuristi del paese. Oggi, l'impiccagione di Bhutto è largamente riconosciuto come un omicidio a sfondo politico. Nei successivi sei anni Zia emise numerosi decreti che modificarono la Costituzione e aumentarono notevolmente il suo potere; contemporaneamente estese la legge marziale a tutto il paese e sostituì i governatori provinciali con alti ufficiali dell'esercito a lui fedeli: in questo modo tutti i disordini e tutti i movimenti d'opposizione al nuovo regime vennero repressi nel sangue e con sistematica efficienza.
- Sviluppo economico: Zia sconfessò completamente la politica economica del suo predecessore e avviò una graduale privatizzazione delle principali compagnie pubbliche del paese; in tal senso il generale Zia favorì notevolmente l'industrializzazione e tra il 1977 e il 1986 venne registrata una crescita media annua del PIL del 6,8%, uno dei più alti al mondo in quel periodo.
- Programma nucleare pakistano: Zia proseguì nello sviluppo del programma nucleare pakistano, inaugurato da Bhutto, per tutto il resto degli anni settanta, programma che sfociò nel 1998 in un esperimento nucleare coronato da successo e che rilanciò su basi paritarie il conflitto con l'India (che aveva costruito precedentemente un'arma nucleare) a proposito dell'irrisolto contenzioso riguardante la provincia musulmana del Kashmir. L'Unione Indiana infatti non aveva mai consentito che questa provincia - quasi interamente musulmana - si unisse al Pakistan, malgrado i precisi accordi che avevano portato alla spartizione del sub-continente indiano nelle due nazioni dell'India e del Pakistan.
- L'invasione dell'Afghanistan:il 25 dicembre 1979, i sovietici invasero l'Afghanistan e il generale Zia ul-Haq svolse un ruolo politico importante nel corso del conflitto sovietico-afghano, fornendo aiuto militare ed economico agli afghani. Aiuto che fu massicciamente sostenuto e finanziato dagli Stati Uniti, specialmente dopo l'elezione di Ronald Reagan alla presidenza degli USA nel 1980: gli aiuti a favore della resistenza afghana passarono da 50 milioni di dollari l'anno a 1 miliardo di dollari.
- Islamizzazione del Pakistan: Contrariamente a Zulfikar Ali Bhutto, attirato dagli ideali di laicità, il generale Zia-ul-Haq volle instaurare un Islam di tipo integralista, appoggiandosi ai mullah: vietò quindi l'applicazione dei tassi d'interessi bancari, istituì il prelievo obbligatorio della zakat, vietò gli alcolici, impose punizioni corporali pubbliche per i criminali e reintrodusse la lapidazione per le adultere e l'obbligò le donne a velarsi in televisione e in pubblico. Il Pakistan moderno effettuò in tal modo vari passi indietro rispetto agli anni in cui era stato fondato da Mohammad Ali Jinnah. Il generale Zia ul-Haq volle spingersi anche oltre, tentando di restaurare alquanto goffamente il califfato.
Zia giocò la carta dell'Islam per difendere se stesso e i suoi generali contro le crescenti accuse di malgoverno e corruzione: essi infatti avevano intascato milioni di dollari dal traffico illecito di eroina e armi, oltre ad enormi appropriazioni indebite dai fondi destinati alla resistenza afghana; l'islamizzazione era una manovra per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica sui suoi crimini.
Nel 1988, mentre era accompagnato da diplomatici statunitensi, l'aereo del generale Zia-ul-Haq si schiantò al suolo nella provincia pakistana del Punjab in circostanze rimaste misteriose che hanno logicamente fatto pensare a un attentato, peraltro mai rivendicato.
La democrazia fu restaurata per un breve lasso di tempo, sufficiente comunque a consentire l'elezione della signora Benazir Bhutto, figlia di Zulfikar Ali Bhutto fatto uccidere dal defunto dittatore, a dimostrazione del radicato consenso popolare suo e di suo padre, i cui ideali erano condivisi appieno dalla figlia.

▪ 2009 - Tullio Kezich (Trieste, 17 settembre 1928 – Roma, 17 agosto 2009) è stato un critico cinematografico, commediografo e sceneggiatore italiano.

Critica cinematografica
La sua esperienza di critico cinematografico iniziò nel 1941, quando da adolescente intrattenne una fitta corrispondenza come lettore con le riviste Cinema e Film.
L'esordio da giornalista avvenne il 2 agosto 1946, come recensore per l'emittente radiofonica Radio Trieste, con la quale collaborerà fino agli inizi degli anni cinquanta, occupandosi dal primo dopoguerra del Festival cinematografico di Venezia.
Nel 1950 inizierà la collaborazione con la rivista Sipario, di cui divenne direttore dal 1971 al 1974.
Nel corso della sua carriera collaborò con la Settimana Incom, con il settimanale Panorama, con il quotidiano La Repubblica e con il Corriere della Sera.
Dalle recensioni inserite in Panorama trasse una serie di volumi dedicati al cinema, intitolati Mille film, da quelle scritte sul Corriere della Sera i volumi Cento film, editi da Laterza.
Interviene nel documentario Il falso bugiardo dedicato allo sceneggiatore Luciano Vincenzoni suo amico.
Malato da tempo, Kezich si spegne a Roma un mese prima di compiere 81 anni: per sua volontà non si tengono funerali e la sua salma viene cremata.

Produttore e sceneggiatore cinematografico e televisivo
Nel 1950 Kezich divenne segretario di produzione di Cuori senza frontiere di Luigi Zampa, nel quale fece anche una particina insieme al collega e concittadino Callisto Cosulich.
Nel 1961 partecipò in veste d'attore a Il posto di Ermanno Olmi, e contribuì alla fondazione della casa di produzione cinematografica "22 dicembre", che diresse artisticamente fino alla cessazione delle attività nel 1965, producendo film quali Il terrorista di Gianfranco De Bosio e il televisivo L'età del ferro di Roberto Rossellini.
Nel 1969 si trasferì a Roma per collaborare alla produzione e alla sceneggiatura del film televisivo I recuperanti, sempre di Olmi, cui seguirono altre partecipazioni alla stesura di diversi adattamenti cinematografici (da Piero Chiara e Joseph Roth) e televisivi (da Cervantes, Dostoevskij e Italo Svevo).

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