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Il calendario del 16 Settembre

Fonte:
CulturaCattolica.it

Eventi

▪ 1599 - In Campo dei Fiori, a Roma, viene bruciato al rogo fra' Celestino da Verona

▪ 1795 - Il Regno Unito conquista Città del Capo, in Sudafrica

▪ 1810 - Indipendenza del Messico dalla Spagna, una delle Fiestas Patrias messicane

▪ 1893 - Corsa alla terra dell'Oklahoma, i coloni corrono per la terra migliore del Cherokee Outlet

▪ 1904 - In Italia inizia il primo sciopero generale che durerà sino al 21 settembre, innescato dalla strage dei minatori sardi il 4 settembre ad opera dei carabinieri

▪ 1908 - Viene fondata la General Motors

▪ 1941 - Lo scià di Persia è costretto ad abdicare in favore del figlio Mohammad Reza Pahlavi sotto la pressione di Gran Bretagna e URSS

▪ 1959 - A Barletta, un crollo causato da sopraelevazioni abusive provoca 60 morti

▪ 1963 - La Malesia viene formata da Malaya, Singapore, Borneo Settentrionale Britannico e Sarawak

▪ 1975 - La Papua Nuova Guinea ottiene l'indipendenza dall'Australia

▪ 1982 - Massacro di Sabra e Shatila

▪ 1991 - Negli Stati Uniti inizia il processo a Manuel Noriega

▪ 1992 - Mercoledì nero - la sterlina britannica esce dal Sistema Monetario Europeo e viene svalutata nei confronti del marco tedesco

Anniversari

▪ 1498 - Tomás de Torquemada (Valladolid, 1420 – Ávila, 16 settembre 1498) è stato un religioso spagnolo, primo Grande inquisitore dell'Inquisizione spagnola, priore del convento domenicano della Santa Cruz di Segovia e confessore dei Re Cattolici (Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona). Nell'ottobre 1483 fra' Tomás viene nominato dai Re Cattolici Inquisitore Generale per la Castiglia, l'Aragona, il León, la Catalogna e Valencia, in base all'autonomia nella scelta dei giudici che i sovrani di Spagna avevano ottenuto da papa Sisto IV, che tuttavia non voleva farsi sfuggire il controllo di tale istituzione.
Come Inquisitore Generale (nominato dal re in nome del papa che doveva tuttavia ratificarlo) era a capo del Consejo Supremo de la Santa Inquisición (detto la Suprema) formato da sette membri. La Suprema aveva autorità su 22 tribunali inquisitoriali: 14 in Spagna, 3 in Portogallo, 3 nell'America spagnola, 2 in Italia (Sicilia e Sardegna).
Nei quindici anni della sua gestione del tribunale i processi furono 100.000 (una ventina al giorno) mentre le condanne a morte furono 2.000. (???)
Ancora oggi il suo nome è associato indissolubilmente alla spietatezza delle torture (???) che seppe infliggere agli ebrei sospettati di falsa conversione, alle donne accusate di stregoneria ed agli eretici. (Leggenda nera)

Ecco un intervento che critica tali affermazioni
L’Inquisizione spagnola di Francesco Pappalardo

1. Le origini
Lo storico napoletano Giuseppe Galasso, prendendo spunto dalla polemica sulle presunte "colpe" della Spagna nel Mezzogiorno d’Italia, denuncia la "leggenda nera" antispagnola, da sempre "[...] permeata di elementi ideologici che hanno fatto fortemente premio non solo sulla ragione storica, ma pressoché su ogni altra ragione. La Spagna baluardo della "reazione cattolica", di un "assolutismo" oppressivo o totalitario, di dominazioni distruttive su popoli e paesi, di irrazionalismo e sfruttamenti economici di ogni genere, di autentici genocidi di popoli e di civiltà, insomma vero e proprio "impero del male", di cui l’"Inquisizione spagnola" era il simbolo più eloquente".

Proprio sull’Inquisizione spagnola la storiografia, grazie ad approfondite ricerche d’archivio e a un atteggiamento meno prevenuto degli studiosi, sta pervenendo a risultati più equilibrati e più obbiettivi. È significativa la vicenda dello storico inglese Henry Arthur Francis Kamen, di formazione marxista, che nella prima edizione del suo studio L’Inquisizione spagnola - l’unica tradotta in italiano - indicava nei tribunali inquisitoriali la causa principale di un presunto ritardo culturale del paese iberico, mentre nell’edizione più recente sostiene che la Spagna di quel tempo "[...] era una delle nazioni europee più libere".

Dall’analisi di Kamen emerge che l’Inquisizione è stata espressione del passaggio da una società contraddistinta dalla convivenza fra le diverse comunità religiose a un’altra sempre più contrassegnata da conflitti, e che essa fu la risposta della Chiesa e della Cristianità alla minaccia rappresentata dall’eresia e, successivamente, in Spagna, dalle false conversioni di ebrei e di musulmani.

Anche Jean Dumont, storico francese specializzato in ispanistica, ritiene che il punto di partenza corretto per parlare dell’Inquisizione spagnola stia nel mettere a fuoco la questione ebraica in Spagna. Nei regni della penisola iberica gli ebrei, molto numerosi, erano soggetti da secoli a uno statuto, non scritto, di tolleranza e godevano di una particolare protezione da parte dei sovrani. Invece, i rapporti a livello popolare fra ebrei e cristiani erano più difficili, soprattutto perché era consentito ai primi non soltanto di tenere aperte le botteghe in occasione delle festività religiose, che a quell’epoca erano molto numerose, ma anche di effettuare prestiti a interesse, in un’epoca in cui il denaro non veniva ancora considerato un mezzo per ottenere ricchezza. La situazione era complicata dalla presenza di numerosi conversos, cioè di ebrei convertiti al cattolicesimo, che dominavano l’economia e la cultura e rivestivano anche cariche ecclesiastiche. In alcuni casi evidenti, gruppi di conversos mostravano che la loro adesione alla fede cattolica era puramente formale e celebravano in pubblico riti inequivocabilmente giudaici. A partire dal 1391 nei regni spagnoli esplodono episodi di violenza popolare contro ebrei e falsi convertiti, che le autorità arginano con difficoltà. Quando Isabella di Castiglia (1451-1504) sale al trono, nel 1474, la convivenza fra ebrei e cristiani è molto deteriorata e il problema dei falsi convertiti è tale che, secondo l’autorevole storico della Chiesa Ludwig von Pastor (1854-1928), era in questione l’esistenza o la non esistenza della Spagna cristiana. In quella situazione si moltiplicano le richieste, provenienti anche da autorevoli conversos, in favore dell’istituzione dell’Inquisizione.

La Castiglia non aveva mai avuto un organismo che si occupasse specificamente dell’eresia, perché era stata ritenuta sufficiente l’attività dei tribunali ecclesiastici, dipendenti dai vescovi. Invece, l’Inquisizione era stata operante nei domini della corona aragonese dal 1238, ma era del tutto inattiva dal secolo XV. Su sollecitazione di Isabella di Castiglia e del marito Ferdinando d’Aragona (1452-1516) - che avevano promosso invano una campagna pacifica di persuasione nei confronti dei giudaizzanti - il 1° novembre 1478 Papa Sisto IV (1471-1484) istituisce l’Inquisizione in Castiglia e autorizza i Re Cattolici a nominare nei loro Stati alcuni inquisitori di fiducia con giurisdizione esclusivamente sui cristiani battezzati. Pertanto, nessun ebreo è stato mai condannato perché tale, mentre sono stati condannati quanti si fingevano cattolici per ricavarne vantaggi.

2. La procedura e le pene
L’attività del nuovo organismo si fonda sulla copiosa legislazione elaborata dai canonisti medievali e riprende, salvo qualche lieve differenza, l’organizzazione, la procedura e la progressione delle pene della prima Inquisizione. Tuttavia, i poteri di nomina e di rimozione degli inquisitori erano concessi alla Corona tramite la figura di un intermediario, l’inquisitore generale, assistito dal Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione.

L’azione dei primi inquisitori a Siviglia è molto rigorosa ed esercitata, talvolta, al di fuori delle garanzie canoniche, così che la Santa Sede ritiene opportuno intervenire per nominare l’inquisitore generale nella persona del domenicano Tomas de Torquemada (1420-1498), confessore della regina Isabella, sul quale una letteratura di propaganda ha diffuso grandi menzogne. Uomo di costumi integerrimi, nonché uno dei maggiori mecenati e protettori di artisti della sua epoca, Torquemada fu, invece, un inquisitore generale relativamente mite e liberale e s’impegnò per ottenere ampie amnistie, come quella del 1484.

Lo storico francese Bartolomé Bennassar, confrontando i tribunali inquisitoriali con le corti civili dell’epoca, descrive l’Inquisizione spagnola in questi termini: "Senza alcun dubbio più efficace. Ma anche più esatta, più scrupolosa [...]. Una giustizia che esamina attentamente le testimonianze, che le sottopone a uno scrupoloso controllo, che accetta liberamente la ricusazione da parte degli accusati dei testimoni sospetti (e spesso per i motivi più insignificanti); una giustizia che tortura raramente e che rispetta le norme legali, contrariamente ad alcune giurisdizioni civili [...]. Una giustizia preoccupata di educare, di spiegare all’accusato perché ha errato, che ammonisce e consiglia, le cui condanne a morte colpiscono solo i recidivi".

Lo studioso danese Gustav Henningsen, dopo aver analizzato statisticamente circa quarantamila casi di inquisiti fra il 1540 e il 1700, rileva che soltanto l’1% di essi fu giustiziato. Lo storico statunitense Edward Peters conferma questi dati: "La valutazione più attendibile è che, tra il 1550 e il 1800, in Spagna vennero emesse 3000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale, un numero molto inferiore a quello degli analoghi tribunali secolari".

3. Indulgenza verso la stregoneria
La relativa mitezza dei tribunali inquisitoriali emerge anche dall’atteggiamento tollerante tenuto nei confronti della stregoneria, proprio nel periodo in cui dilagava in Europa la fobia antistregonica, legata direttamente alla diffusione dell’occultismo e del pensiero magico nel Rinascimento e alla psicosi del demoniaco, indotta dalla Pseudo-Riforma protestante. È ormai certo che in Spagna fu proprio l’Inquisizione - dopo una prima incontrollata diffusione di timori popolari e di repressione statale - a impedire lo sviluppo di una vera e propria caccia alle streghe, così come è poco noto che a Roma l’Inquisizione fece giustiziare per stregoneria una sola persona, nel 1424. È significativo, inoltre, che furono i principi più legati ai valori cavallereschi e feudali ad attestarsi su posizioni di moderazione e di scetticismo verso i supposti poteri delle streghe, mentre la parte più "progressista" della cultura ufficiale sposò la causa dell’intolleranza e della persecuzione in nome del progresso della ragione. Da parte loro, i Pontefici raccomandarono sempre agli inquisitori di limitare il loro interesse per gli stregoni ai soli casi in cui fossero presenti elementi sacrileghi o idolatrici, cioè quando, alla superstizione, potessero essere attribuiti con evidenza i caratteri dell’eresia.

L’Inquisizione spagnola interviene per la prima volta nel 1526, a seguito della persecuzione scatenata dalla popolazione di Navarra negli anni precedenti; la maggioranza degli inquisitori si pronuncia a favore di una politica di clemenza, sollecitando inoltre l’invio di predicatori per istruire i superstiziosi. La successiva ondata contro le streghe si verifica nel 1610, ancora in Navarra. L’emozione suscitata dal dilagare dei fenomeni attribuiti alla magia investe perfino gli inquisitori di Logrono, ma interviene il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione, annullando tutte le sentenze e consigliando maggiori precauzioni nel prosieguo delle indagini.

4. Popolarità dell’Inquisizione
Il ruolo svolto dall’Inquisizione spagnola, che godette sempre di grande popolarità, è decisivo non soltanto per preservare il paese da quella sanguinosa fobia di massa costituita dalla caccia alle streghe, ma anche e soprattutto per assicurare la pace sociale e religiosa alla Spagna. Infatti quel tribunale, colpendo una percentuale ridotta di conversos e di moriscos, cioè musulmani diventati cristiani solo per opportunismo, certifica che tutti gli altri erano veri convertiti, che nessuno aveva il diritto di discriminare o di attaccare con la violenza, ed evita un bagno di sangue. Inoltre, contribuendo alla repressione dell’eresia e sostenendo l’operato della Contro-Riforma, svolge una preziosa azione educativa sul basso clero e il resto della popolazione, confortandone la fede e la morale. Non può essere sottovalutata la portata di tale impresa, che costituisce una nazione spiritualmente compatta di fronte alla Francia lacerata dalle guerre di religione, all’Inghilterra sulla strada dell’eresia e al sultano difensore del mondo islamico. Inoltre, l’Inquisizione non ostacola mai le grandi imprese culturali dei secoli XVI e XVII; anzi, ripiegandosi su sé stessa, la Spagna giunge in quegli anni al culmine del suo splendore. Personaggi come il giurista Francisco de Vitoria (1492-1546), i teologi Domenico de Soto (1495-1560), Melchor Cano (1509-1560) e Francisco Suarez (1548-1617), i drammaturghi Felix Lope de Vega (1562-1635) e Pedro Calderón de la Barca (1600-1681), il romanziere Miguel de Cervantes (1547-1616), i pittori El Greco (1545-1614), Bartolomé Murillo (1617-1682) e Diego Velázquez (1599-1660) dominano la cultura europea e danno vita al cosiddetto siglo de oro spagnolo. Anche la vita religiosa conosce la sua epoca aurea, attraverso le figure di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, di san Giovanni di Dio (1495-1550), fondatore dell’Ordine degli Ospedalieri, dei mistici santa Teresa d’Avila (1515-1582) e san Giovanni della Croce (1542-1591), riformatori dell’ordine carmelitano, del francescano san Pietro di Alcantara (1499-1562) e del gesuita san Francesco Borgia (1510-1572).

Pertanto, non fu un’impresa facile sopprimere l’Inquisizione. Soltanto con la diffusione dell’illuminismo e con la laicizzazione della monarchia, con l’invasione napoleonica e con la propaganda liberale si perviene alle soppressioni del 1813 e del 1834, che suscitano l’opposizione degli spagnoli di tutti i ceti, per i quali l’Inquisizione era il simbolo di quanto costituiva l’identità del paese, cioè la fedeltà incondizionata al cattolicesimo.

Per approfondire:
vedi Henry Kamen, L’Inquisizione spagnola, trad. it., Feltrinelli, Milano 1973; e Bartolomé Benassar, Storia dell’Inquisizione spagnola dal XV al XIX secolo, trad. it., Rizzoli, Milano 1985; vedi pure, sinteticamente, Jean Dumont, L’Inquisizione fra miti e interpretazioni, intervista a cura di Massimo Introvigne, in Cristianità, anno XIV, n. 131, marzo 1986, pp. 11-13; vedi elementi molto utili nelle Integrazioni bibliografiche - redatte da Marco Invernizzi e da Oscar Sanguinetti - in appendice a Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953), Elogio della Inquisizione, trad. it., Leonardo, Milano 1994; una ricostruzione dell’opera e della figura di Isabella di Castiglia, in Joseph Perez, Isabella e Ferdinando, trad. it., SEI, Torino 1991, che si sofferma su La Spagna inquisitoriale, pp. 267-318; il rapporto dell’Inquisizione cattolica con la stregoneria, in Giovanni Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Sansoni, Firenze 1990; e in Gustav Henningsen, L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, trad. it., Garzanti, Milano 1990.

▪ 1920 - I fratelli Calvi, Attilio, Santino, Giannino e Natale furono militari ed ufficiali degli alpini, che operarono durante la prima guerra mondiale.
Nati verso la fine del XIX secolo a Piazza Brembana, paese dell'alta Val Brembana in provincia di Bergamo, dal cavaliere Gerolamo Calvi, a lungo sindaco del paese, e da Orsolina Pizzigoni, legarono i propri nomi alle vicende belliche legate alla “grande guerra”.
Ardimentosi nel conseguire l'obbiettivo, avevano un animo bellico d'altri tempi, quasi romantico, che li distinse al punto da fruttare loro ben 15 medaglie al valor militare, di cui alcune alla memoria.

▪ 1939 - Francesco Alberti (Montevideo, 23 maggio 1882 – Bellinzona, 16 settembre 1939) è stato un prete e giornalista svizzero.
Figlio di Giuliano, decoratore di Bedigliora, e di Teofila Ferretti; fratello di Giacomo, avvocato e pretore, e della maestra e pedagogista Maria Boschetti Alberti; frequenta prima l'Istituto Sant'Anna di Roveredo (Svizzera), poi il seminario minore a Monza e quello maggiore a Milano, conseguendo poi il dottorato in filosofia a Milano e in teologia a Roma nel 1905. Ordinato sacerdote nel 1905, parroco di Bioggio dal 1905 al 1917 e, durante il periodo bellico, cappellano militare del Reggimento 30 col grado di capitano. Durante il dilagare della terribile influenza spagnola reca soccorso, portando la parola del conforto e della solidarietä nei lazzaretti aperti nel Canton Ticino e nella Svizzera interna.
Attivo nel movimento sindacale cristiano-sociale[1], dal 1913 si impegna per la costituzione del movimento della Gioventù cattolica ticinese; nel 1923 è tra i fondatori della Guardia Luigi Rossi, organizzazione giovanile del partito conservatore[2]. Giornalista presso il quotidiano del partito conservatore ticinese "Popolo e Libertà" (dal 1919), ne assunse la direzione negli anni 1921-1928 e 1935-1939, imprimendo al giornale una linea che privilegiava i valori democratico-cristiani, la lotta contro i totalitarismi e una dura condanna del fascismo. Presidente dell'Associazione ticinese della stampa, dal 1933 cura la rubrica di prediche radiofoniche a Radio Monte Ceneri poi raccolte nel libro Predicate sui tetti del 1936.
Fu autore di due romanzi ambientati nel Malcantone, che trattano di lotte politiche, emigrazione, clientelismo politico e mobilitazione: il Voltamarsina (1932) e Diavolo di una ragazza! (1939).

Note
1. ^ Movimento cristiano sociale sul Dizionario storico della Svizzera
2. ^ Partito conservatore sul Dizionario storico della Svizzera

▪ 1970 - Mauro De Mauro (Foggia, 6 settembre 1921 – Palermo, 16 settembre 1970) è stato un giornalista italiano, assassinato dalla mafia in seguito alle sue inchieste sull'omicidio del Presidente dell'ENI Mattei, una trama che si è intrecciata con tanti altri affaire italiani, come il golpe Borghese.
Milita nella Xª Flottiglia MAS del principe Junio Valerio Borghese e, dopo l'8 settembre 1943, aderisce alla Repubblica di Salò. Nel 1943-44, nella Roma occupata dai nazifascisti, è vice questore di Pubblica Sicurezza sotto il questore Caruso, informatore del capitano delle SS Erich Priebke e del colonnello Herbert Kappler e fa parte della famigerata Banda Koch, un reparto speciale del Ministero degli interni della Repubblica Sociale Italiana[senza fonte]. Alla fine della guerra è sul fronte di Trieste, di nuovo con Borghese, come corrispondente di guerra della Decima, con il grado di sottotenente.
Trasferitosi a Palermo dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso i giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e L'Ora rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all'incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei, che sarebbe in seguito uscito nel 1972.
Il giornalista venne rapito la sera del 16 settembre del 1970, mentre rientrava nella sua abitazione di Palermo e il suo corpo non venne mai ritrovato.
Le indagini sulla sua sparizione furono seguite sia dai carabinieri, secondo i quali sarebbe stato eliminato dalla mafia in seguito a indagini giornalistiche sul traffico di droga, sia dalla polizia, che ritenne piuttosto che la sua sparizione fosse collegata alle sue ricerche sul caso Mattei (l'aereo caduto era decollato da Catania), anche in seguito, il giorno stesso del suo rapimento, alla sparizione dal cassetto del suo ufficio di alcune pagine di appunti e di un nastro registrato con l'ultimo discorso tenuto da Mattei a Gagliano Castelferrato.
La conferma della sua uccisione venne data negli anni seguenti dal resoconto di alcuni pentiti di mafia (Tommaso Buscetta, Nino Calderone, Francesco Di Carlo). A soffocarlo furono Mimmo Teresi, Emanuele D'Agostino e Stefano Giaconia. Con loro ci sarebbe stato anche Bernardo Provenzano.
Secondo le dichiarazioni del pentito Francesco Di Carlo, De Mauro fu ucciso perché venne a conoscenza del fatto che il principe Junio Valerio Borghese stava pianificando un colpo di stato, il cosiddetto Golpe Borghese.
Più volte si è tentato di trovare il luogo dove si presumeva fosse stato nascosto il corpo di De Mauro, ma nessuna di queste ricerche ha dato esito positivo.
Era fratello del linguista Tullio De Mauro (che sarebbe poi diventato ministro della pubblica istruzione).
Nell'aprile del 2006 è iniziato il processo per la sua morte, che vede, per ora, come unico imputato Totò Riina.
Il 20 settembre 2007 a Conflenti, in Calabria, viene riesumata una salma - la cui sepoltura risale al 1971 - che si pensava potesse essere quella di De Mauro. Ma nel marzo 2008 l'esame del DNA ha smentito l'ipotesi.
Secondo le affermazioni del pentito Francesco Marino Mannoia il corpo di De Mauro sarebbe stato sciolto nell'acido.

Riconoscimenti
Ha vinto il Premiolino nel 1960 per l'inchiesta sulla delinquenza siciliana

▪ 1977 - Maria Callas, nome d'arte di Maria Anna Sophia Cecilia Kalogheròpoulos (New York, 2 dicembre 1923 – Parigi, 16 settembre 1977), è stata un soprano statunitense di origine greca. Nata a New York da genitori greci, la Callas studiò ad Atene, dove cantò dal 1939 al '45, intraprendendo la carriera internazionale dai tardi anni '40 agli anni '60.
Dotata di una voce particolare, che coniugava un timbro unico a volume, estensione e agilità notevoli, la Callas contribuì alla riscoperta del repertorio italiano della prima metà dell'Ottocento (la cosiddetta «belcanto renaissance»), in particolare Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti, di cui seppe dare una lettura personale, in chiave tragica e drammatica, anziché puramente elegiaca. Sempre a lei si deve la riesumazione del soprano drammatico d'agilità e la restaurazione della tecnica di canto Ottocentesca.
Tra i suoi cavalli di battaglia vi furono Bellini (Norma, Puritani, Sonnambula), Donizetti (Lucia di Lammermoor), Verdi (Traviata, Trovatore, Aida), Ponchielli (Gioconda) e Puccini (Tosca, Turandot).
Si dedicò inoltre con successo alla riscoperta di titoli usciti di repertorio quali Armida e Il Turco in Italia di Rossini, Il pirata di Bellini, Anna Bolena di Donizetti, Alceste e Ifigenia in Tauride di Gluck e La Vestale di Gaspare Spontini, sia pure senza rigore filologico, com'era nella prassi dell'epoca, ossia tagliando e talvolta ritoccando le linee vocali.
I ruoli indissolubilmente legati al suo nome sono Norma di Vincenzo Bellini e Medea di Luigi Cherubini.

▪ 1979 - Gio Ponti (Milano, 18 novembre 1891 – Milano, 16 settembre 1979) è stato un architetto e designer italiano.
Gio Ponti nacque a Milano nel 1891, e si laureò in architettura al Politecnico di Milano nel 1921, dopo aver interrotto gli studi a seguito della sua partecipazione alla prima guerra mondiale.
Inizialmente aprì lo studio assieme all’architetto Emilio Lancia (1926-1933), per poi passare alla collaborazione con gli ingegneri Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini (1933-1945).
Nel 1923 partecipò alla I Biennale delle arti decorative tenutasi all'ISIA di Monza e successivamente fu coinvolto nella organizzazione delle varie Triennali, sia a Monza che a Milano.
Negli anni venti comincia la sua attività di design all’industria ceramica Richard Ginori, e rielabora complessivamente la strategia di disegno industriale della società; con le ceramiche vince il “Gran Prix" all’Esposizione di Parigi del 1925. In questi anni al sua produzione è improntata più ai temi classici ed è vicino al movimento Novecento, che si contrappone al razionalismo del Gruppo 7. Sempre negli stessi anni inizia anche la sua attività editoriale fondando nel 1928 la rivista Domus, testata che non abbandonerà più salvo che per un breve periodo durante la seconda guerra mondiale. Domus assieme a Casabella, rappresenterà il centro del dibatto culturale dell’architettura e del design italiani della seconda metà del Novecento.
L'attività di Ponti negli anni trenta si estende: organizza la Prima Triennale a Milano nel 1933, disegna le scene ed i costumi per il Teatro alla Scala, ed è partecipe dell’associazione del Disegno Industriale ADI, essendo tra i sostenitori del premio “compasso d’oro” promosso dai magazzini La Rinascente. Riceve tra altro numerosi premi sia nazionali che internazionali e così ne 1936, quando la sua professionalità è affermata, diventa professore di ruolo alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, cattedra che manterrà sino al 1961.
Nel 1951, si unirà allo studio insieme a Fornaroli, l’architetto Alberto Rosselli ed intanto sia il design che l’ architettura di Ponti diventano in questi anni più innovative abbandonando i frequenti riallacci al passato neoclassico. È qui che inizia il periodo di più intensa e feconda attività sia nell’architettura che nel design, negli anni cinquanta, infatti, verranno realizzate alcune delle sue opere più importanti.
Appartiene a questo periodo la costruzione, a Forlì, su incarico di Aldo Garzanti, del complesso, progettato nel 1953 e terminato nel 1957, che comprende sia l'Hotel della Città et de la Ville sia il Centro Studi Fondazione Livio e Maria Garzanti. L'edificio si segnala per i suoi spioventi invertiti, le finestre esagonali, gli spazi aperti ed il respiro fra i corpi.
Gio Ponti morirà a Milano nel 1979.

Stile
Gio Ponti è un designer universale, ha disegnato moltissimi oggetti nei più svariati campi, dalle scenografie teatrali, alle lampade, alle sedie, agli oggetti da cucina, agli interni di famosi transatlantici. Inizialmente nelle ceramiche il suo disegno riflette la Secessione viennese e sostiene che decorazione tradizionale e l’arte moderna non sono incompatibili. Il suo riallacciarsi e l’utilizzare i valori del passato, trova sostenitori nel regime fascista incline alla salvaguardia dell’identità italiana e al recupero degli ideali della “romanità” che si esprimerà poi compiutamente in architettura con il neoclassicismo semplificato del Piacentini.
Nonostante questo Ponti realizzerà nella città universitaria di Roma nel 1934 la facoltà di Matematica una delle prime opere del Razionalismo italiano e nel 1936 il primo degli edifici per uffici della Montecatini a Milano. Quest’ultimo, a caratteri fortemente personali, risente nei particolari architettonici, di ricercata eleganza, della vocazione di designer del progettista.
Negli anni cinquanta, lo stile di Ponti si fa più innovativo e, pur rimanendo classicheggiante nel secondo palazzo ad uffici della Montecatini (1951), si esprime pienamente nel suo edificio più significativo: il Grattacielo Pirelli (1955-1958). L'opera è costruita intorno ad una struttura centrale progettata da Nervi ed è il grattacielo in calcestruzzo armato più alto del mondo (127,10 m). L'edificio appare come una slanciata ed armoniosa lastra di cristallo, che taglia lo spazio architettonico del cielo, disegnata su un equilibrato curtain wall ed i cui lati lunghi si restringono in quasi due linee verticali. Quest'opera anche con il suo carattere di "eccellenza" appartiene a buon diritto ad una delle maggiori del Movimento Moderno in Italia.

▪ 1980 - Jean Piaget (Neuchâtel, 9 agosto 1896 – Ginevra, 16 settembre 1980) è stato uno psicologo e pedagogista svizzero. È considerato il fondatore dell'epistemologia genetica, ovvero dello studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo.
Jean Piaget era il figlio maggiore di Arthur Piaget, docente universitario e di Rebecca Jackson. All'età di 11 anni, mentre frequentava la scuola Latina, scrisse un breve trattato su un passero albino: questo scritto è considerato l'inizio di una brillante carriera scientifica che lo portò a pubblicare oltre sessanta libri e diverse centinaia di articoli.
Nella tarda adolescenza sviluppò un forte interesse per i molluschi, tanto da collaborare part-time con il direttore del Museo di Scienze naturali di Neuchâtel. Ancora prima del termine degli studi i suoi scritti divennero molto noti nell'ambiente dei malacologi tanto che gli venne offerta la cura della sezione molluschi del museo di storia naturale di Ginevra. Dovette declinare l'invito in quanto ancora studente di scuola secondaria.
Dopo la scuola superiore studiò scienze naturali presso l'Università di Neuchâtel dove ottenne anche il Dottorato. Durante questo periodo pubblicò due scritti filosofici, che lui stesso considerava "scritti giovanili" ma che furono importanti nell'orientamento della sua futura attività.
Dopo un semestre presso l'università di Zurigo, nel corso del quale sviluppò un forte interesse per la psicoanalisi, lasciò la Svizzera e si trasferì in Francia. Trascorse un anno lavorando presso l'École de la Rue de la Grange-aux-Belles un istituto per ragazzi creato da Binet. Qui Piaget, dopo un inizio non entusiastico, effettuò una serie di interviste finalizzate alla standardizzazione dei test di Binet, e rimase progressivamente affascinato dai processi di pensiero che parevano guidare le risposte; decise di rimanere, e nei due anni successivi compì i suoi primi studi sperimentali sull'età evolutiva.
Nel 1921 divenne direttore dell'Institut J. J. Rousseau di Ginevra, presso il quale iniziò le sue ricerche sugli schemi mentali dei bambini in età scolare. Nel 1923 sposò Valentine Châtenay; la coppia ebbe tre figli, Jacqueline, Lucienne e Laurent il cui sviluppo intellettuale e linguistico furono oggetto di studio da parte di Piaget. Successivamente e spesso contemporaneamente fu titolare di diverse cattedre: psicologia, sociologia e storia delle scienze a Neuchâtel dal 1925 al 1929; storia del pensiero scientifico a Ginevra dal 1929 al 1939; psicologia e sociologia a Losanna dal 1938.
Dopo la seconda guerra mondiale divenne presidente della Commissione Svizzera dell'UNESCO. Diresse il Bureau International d'Education (Ufficio Internazionale dell'Educazione) dal 1929 al 1967, e nel 1955 fondò e diresse fino alla sua morte il Centre International d'Epistémologie Génétique (Centro internazionale di epistemologia genetica). Fondò la school of sciences presso l'università di Ginevra. Nel 1979 vinse il Premio Balzan per le scienze sociali e politiche.

La teoria di Piaget sullo sviluppo cognitivo
Piaget dimostrò innanzitutto l'esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell'adulto e, successivamente, che il concetto di capacità cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alla capacità di adattamento all'ambiente sociale e fisico. Ciò che spinge la persona a formare strutture mentali sempre più complesse e organizzate lungo lo sviluppo cognitivo è il fattore d'equilibrio, «una proprietà intrinseca e costitutiva della vita organica e mentale». Lo sviluppo ha quindi una origine individuale, e fattori esterni come l'ambiente e le interazioni sociali possono favorire o no lo sviluppo, ma non ne sono la causa (al contrario ad esempio di ciò che pensa Vygotskij).

Assimilazione e accomodamento
Secondo Piaget, i due processi che caratterizzano l'adattamento sono l'assimilazione e l'accomodamento, che si avvicendano durante l'intero sviluppo. L'assimilazione e l'accomodamento accompagnano tutto il percorso cognitivo della persona, flessibile e plastico in gioventù, più rigido con l'avanzare dell'età (tesi amatiana).

Assimilazione
L'assimilazione consiste nell'incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito. In pratica il bambino utilizza un oggetto per effettuare un'attività che fa già parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti (per esempio il riflesso di prensione palmare porta il neonato a stringere nella mano oggetti nuovi).

Accomodamento
L'accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti (nel caso del bambino precedente, se l'oggetto è difficile da afferrare dovrà per esempio modificare la modalità di presa).
I due processi si alternano alla costante ricerca di un equilibrio fluttuante (omeostasi) ovvero di una forma di controllo del mondo esterno. Quando una nuova informazione non risulta immediatamente interpretabile in base agli schemi esistenti il soggetto entra in uno stato di disequilibrio e cerca di trovare un nuovo equilibrio modificando i suoi schemi cognitivi incorporandovi le nuove conoscenze acquisite. La forma più evoluta di equilibrio cognitivo è quella che usa i sistemi logico-matematici.

Gli stadi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget
Nei suoi studi sull'età evolutiva Piaget notò che vi erano momenti dello sviluppo nei quali prevaleva l'assimilazione, momenti nei quali prevaleva l'accomodamento e momenti di relativo equilibrio. Ancor più, individuò delle differenze sostanziali nel modo con il quale, nelle sue diverse età, l'individuo si accosta alla realtà esterna e ai problemi di adattamento che essa pone. Sviluppò così una distinzione delgli stadi dello sviluppo cognitivo individuando 4 periodi fondamentali dello stesso, comuni a tutti gli individui e che si susseguono sempre nello stesso ordine.

Stadio senso-motorio
Dalla nascita ai 2 anni circa. Come suggerisce il nome, il bambino utilizza i sensi e le abilità motorie per esplorare e relazionarsi con ciò che lo circonda, evolvendo gradualmente dal sottostadio dei meri riflessi e dell'egocentrismo radicale (l'ambiente esterno e il proprio corpo non sono compresi come entità diverse) a quello dell'inizio della rappresentazione dell'oggetto e della simbolizzazione, passando attraverso periodi intermedi di utilizzazione di schemi di azione via via più complessi.
L'intenzionalità
Per Piaget si ha intenzionalità quando il lattante comincia a differenziare il proprio corpo dagli oggetti esterni e agisce sulla realtà esterna in vista di uno scopo
Dagli 0 ai 2 anni il bambino acquisisce il SENSO della PERMANENZA dell'Oggetto.
▪ Reazioni riflesse (primo mese)il bambino agisce attraverso schemi senso-motori rigidi innati.
▪ Reazioni circolari primarie (o stadio dei primi adattamenti acquisiti): tra il secondo e il quarto mese di vita il bambino sviluppa le reazioni circolari primarie ovvero la ripetizione di un'azione casuale per ritrovarne gli effetti gradevoli. Il centro d'interesse per le azioni è il proprio corpo. L'esempio è la suzione del dito, trovandola piacevole il bambino la ripete per lunghi periodi.
▪ Reazioni circolari secondarie (o stadio del comportamento intenzionale): tra il quarto mese e l'ottavo mese il bambino orienta i suoi comportamenti verso l'ambiente esterno cercando di afferrare e muovere gli oggetti e osserva i risultati delle sue azioni (schemi di azione secondari). Agitando un sonaglio provoca dei rumori piacevoli e cerca di ripetere l'azione per riprodurre il suono, prolungando il piacere ricevutone. Anche in questo caso le azioni vengono scoperte casualmente. Una conquista importante di questo sottostadio è la coordinazione della visione con la prensione.
▪ Reazioni circolari differite (o stadio dell'attiva ricerca dell'oggetto): tra gli 8 e i 12 mesi si forma nella memoria l'esperienza senso-motoria, il bambino impara dalle sue azioni e quindi è in grado di anticiparne il risultato. Per esempio riprende un'azione su un oggetto dopo averla interrotta. È ancora presente l'Errore A non B. In questo stadio il bambino inizia a comprendere la permanenza degli oggetti: negli stadi precedenti, se l'oggetto scompare dalla vista questo "non esiste", mentre adesso il bambino ricerca l'oggetto, sebbene non riesca ancora a ricostruire uno spostamento reso invisibile. In questo stadio compare l'intelligenza sensomotoria, con la differenziazione tra mezzi e fini: uno schema motorio già acquisito (es. prendere un oggetto) può essere usato come mezzo per raggiungere un fine (es. spostare l'oggetto preso per raggiungere un altro oggetto che si trovava dietro di esso).
▪ Reazioni circolari terziarie (o stadio del procedimento per prove ed errori): dai 12 ai 18 mesi. Consistono nello stesso meccanismo descritto in precedenza ma effettuato con variazioni, nasce l'interesse per la novità. Ad esempio afferrare e battere un oggetto contro superfici diverse. È lo stadio della sperimentazione continua.
▪ Dai 18 ai 24 mesi (stadio della rappresentazione cognitiva): il bambino sviluppa la capacità di immaginare gli effetti delle azioni che sta eseguendo, non agisce più per osservare l'effetto, ma combina mentalmente schemi senso-motori per poi agire ed ottenere l'effetto voluto, esegue e descrive azioni differite o oggetti non presenti nel suo campo percettivo ed esegue sequenze di azioni come per esempio appoggiare un oggetto per aprire la porta; si manifesta una prima forma di imitazione differita, cioè il bambino imita comportamenti visti in precedenza (negli stadi precedenti vi era solo imitazione immediata di gesti semplici), cominciano inoltre i primi giochi simbolici, il "fare finta di ...". Il bambino apprende il concetto di "permanenza dell'oggetto", ovvero la capacità di comprendere che gli oggetti esterni che formano il mondo, sono entità esistenti, a prescindere dalla sua consapevolezza di essi.

Stadio pre-operatorio
Dai 2 ai 6-7 anni. In questo stadio il bambino è in grado di usare i simboli. Un simbolo è un'entità che ne rappresenta un'altra. Un esempio è il gioco creativo nel quale il bimbo usa, per esempio, una scatola per rappresentare un tavolo, dei pezzetti di carta per rappresentare i piatti ecc. Il gioco in questo stadio è appunto caratterizzato dalla decontestualizzazione (il coinvolgimento di altre persone o simulacri), dalla sostituzione di oggetti per rappresentarne altri e dalla crescente integrazione simbolica. Anche l'imitazione differita rivela la capacità di usare i simboli, come pure il linguaggio verbale usato per riferirsi a esperienze passate, anticipazioni sul futuro o persone e oggetti non presenti sul momento.
Superato l'egocentrismo radicale del periodo sensomotorio, in questo stadio permane però un egocentrismo intellettuale, ovvero il punto di vista delle altre persone non è differenziato dal proprio, il bambino cioè si rappresenta le cose solo dal proprio punto di vista. Per cui ad esempio spiegherà che "l'erba cresce così, quando io cado, non mi faccio male". Crede che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi pensieri; tipicamente se racconta una storia lo farà in modo che un ascoltatore che non conosce la storia non capirà nulla. Un famoso esperimento per verificare l'egocentrismo intellettuale è l'«esperimento delle tre montagne», in cui si presenta al bambino un modellino con tre montagne e gli si chiede come queste montagne vengano viste dalla bambola posta in un punto di osservazione diverso dal suo; tipicamente il bambino dirà che la scena vista dalla bambola è uguale a come la vede lui.
Il ragionamento in questo stadio non è né deduttivo né induttivo, ma trasduttivo o precausale, dal particolare al particolare, cioè due eventi sono considerati legati da un rapporto di causa-effetto se avvengono nello stesso tempo. Ciò si traduce in una modalità di comunicazione piena di "libere associazioni", senza alcuna connessione logica, in cui il ragionamento si sposta da un'idea all'altra rendendo pressoché impossibile una ricostruzione attendibile di eventi.

Stadio delle operazioni concrete
Dai 6/7 agli 11 anni. Il termine operazioni si riferisce a operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di problemi. Il bambino in questo stadio non solo utilizza i simboli ma è in grado di manipolarli in modo logico. Un'importante conquista di questo periodo è l'acquisizione del concetto di reversibilità, cioè che gli effetti di un'operazione possono essere annullati da un'operazione inversa.
Fra 2 e 5 anni il bambino non classifica gli oggetti secondo una proprietà ma li distribuisce a seconda della vicinanza spaziale. A 5-6 anni inizia a raggrupparli secondo una caratteristica.
Prima del salto operatorio il bambino non è in grado di distribuire in serie più di 2 oggetti, ma questa non è un'incapacità come sostiene Piaget, quanto piuttosto un limite della memoria a breve termine.
Intorno ai 6/7 anni il bambino acquisisce la capacità di conservazione delle quantità numeriche, delle lunghezze e dei volumi liquidi. Per conservazione si intende la capacità di comprendere che la quantità rimane tale anche a fronte di variazioni di forma. Il bambino nella stadio pre-operatorio, per esempio, è convinto che la quantità di liquido contenuto in un contenitore alto e stretto è maggiore di quella contenuta in un contenitore basso e largo (ma dotato dello stesso volume) e a nulla varranno dimostrazioni e travasi. Un bambino nello stadio delle operazioni concrete è invece in grado di coordinare la percezione del cambio di forma con il giudizio ragionato che la quantità di liquido spostato è la stessa, di "conservare" quindi il volume liquido.
Intorno ai 7/8 anni il bambino sviluppa la capacità di conservare i materiali. Prendendo una palla di creta e manipolandola per trasformarla in tante palline il bambino è conscio del fatto che riunendo le palline la quantità sarà invariata. Questa capacità prende il nome di reversibilità.
Intorno ai 9/10 anni è raggiunto anche l'ultimo passo della conservazione, la conservazione della superficie. Messo di fronte a dei quadrati di cartoncino si rende conto che occupano la stessa superficie sia che siano messi tutti vicini sia che siano sparsi.

Stadio delle operazioni formali
Dai 12 anni in poi. Il bambino che si trova nello stadio delle operazioni concrete ha delle difficoltà ad applicare le sue competenze a situazioni astratte. Se un adulto gli dice: "Non prendere in giro X perché è grasso, cosa diresti se lo facessero a te?" la sua risposta sarebbe "Io non sono grasso e nessuno mi può prendere in giro". Calarsi in una realtà diversa dalla sua è un'operazione troppo astratta.
A partire dai 12 anni il bambino riesce a formulare pensieri astratti: si tratta del cosiddetto pensiero ipotetico dove il bambino non ha bisogno di tenere l'oggetto dinanzi a se ma può ragionare in termini ipotetici.

Le idee dei bambini
Piaget ha tratto delle conclusioni a proposito di ciò che pensano i bambini. A 4 anni essi cominciano a porsi domande sull'origine delle cose. A 5/6 anni vi è una tendenza all'animismo, a 8 pensano che siano stati degli esseri antropomorfi a creare il mondo (artificialismo). A 11-12 anni i bambini definiscono esseri viventi solo piante ed animali. Il bambino è un costruttore di teorie trial'n error, fa delle generalizzazioni ed applica dei copioni e ama fare narrazioni.
Appena nati i bambini riescono a riconoscere i propri simili. A 2 anni compare il desiderio, a 4 la credenza, la capacità di elaborare spiegazioni complesse dei comportamenti degli altri. A 4 anni i bambini non sono in grado di dire bugie complesse ed intenzionali, a 5 sì. Una delle grandi critiche volte a Piaget è stata quella di pensare che ci fosse una correlazione tra ciò che raccontavano i bambini e le loro strutture cognitive.

▪ 1993 - Pietro Barilla (Parma, 16 aprile 1913 – Parma, 16 settembre 1993) è stato un imprenditore italiano, titolare per oltre 50 anni della multinazionale alimentare Barilla.
Nipote del fondatore dell'azienda di famiglia, Pietro Barilla (senior), dopo la morte del padre Riccardo entra in scena come direttore nel 1936. Nel 1950 va negli Stati Uniti per studiare le tecniche di marketing e si convince che la pubblicità televisiva è un mezzo determinante per l'espansione dell'azienda.
Nel 1952 decide di abbandonare la produzione del pane per concentrarsi unicamente sulla pasta, e trasforma la società in una SpA. Affida la campagna pubblicitaria ad Erberto Carboni, che realizza lo slogan "Con pasta Barilla è sempre Domenica". Nel 1953 la Barilla vince la Palma d'Oro per la pubblicità. Nel 1958 la Barilla esordisce sul popolare programma televisivo Carosello, con testimonial d'eccezione come Giorgio Albertazzi, Dario Fo e Mina.
Nel maggio 1968 viene nominato Cavaliere del Lavoro dal Presidente Giuseppe Saragat. Nello stesso anno viene inaugurato il nuovo stabilimento di Pedrignano, il più grande pastificio del mondo. In quegli anni arriva però un periodo di crisi per l'industria italiana e anche la Barilla va incontro a delle difficoltà. Pietro Barilla si vede costretto a vendere il pacchetto di maggioranza alla multinazionale alimentare americana Grace. Dopo un primo tentativo nel 1978, fallito perché la cifra da versare era troppo alta, in luglio del 1979 riesce a riacquistare il controllo della società. Nello stesso anno fonda le consociate «Barilla France», «Barilla España» e «Barilla Deutschland». Il testimonial della campagna pubblicitaria in Francia è stato l'attore Gerard Depardieu, di quella in Spagna il tenore Placido Domingo, di quella in Germania la tennista Steffi Graf.
In settembre 1987 Pietro Barilla riceve una laurea Honoris Causa in Economia e Commercio dall' Università di Bologna. Nello stesso anno fa una generosa donazione all' Università di Parma per la costruzione della Facoltà di Ingegneria, che diventerà il primo tassello del nuovo complesso universitario ora noto come "Campus di via Langhirano".
Oltre che come un grande industriale, Pietro Barilla è noto per essere stato un mecenate nel settore culturale. Nel 1957 ha fondato, assieme al poeta e scrittore Attilio Bertolucci, la rivista La Palatina. Nel 1987 ha ricevuto la medaglia d'oro del Premio Sant'Ilario. È nota la sua amicizia con artisti prestigiosi, tra cui il pittore Renato Guttuso e lo scultore Pietro Cascella. A quest'ultimo ha affidato la realizzazione del Monumento alla via Emilia, da egli finanziato, che è stato inaugurato nel 1994 a Parma in Barriera Santa Croce.
Pietro Barilla è sempre stato molto stimato dalla cittadinanza di Parma e in particolare dai dipendenti della Barilla. Durante le numerose visite agli stabilimenti, non mancava mai di scambiare qualche parola con le maestranze.
Dopo la sua morte nel 1993, all'età di ottant'anni, la direzione dell'azienda è passata ai figli Guido, Luca e Paolo.

▪ 2004 - Giovanni Raboni (Milano, 22 gennaio 1932 – Parma, 16 settembre 2004) è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano appartenente alla "generazione degli anni Trenta", insieme ad alcuni dei più conosciuti nomi della letteratura italiana.
Giovanni Raboni nacque a Milano il 22 gennaio 1932, secondogenito di Giuseppe, impiegato come funzionario al Comune di Milano, e Matilde Sommariva proveniente da una famiglia portata verso il mondo artistico. In famiglia riceve un'educazione cattolica.
Nel 1938 venne iscritto presso la Scuola elementare "Cardinale F. Borromeo" che frequenta fino alla terza per passare poi all'"Istituto Gonzaga" di via Vitruvio già frequentata dal fratello Fulvio.
Nell'ottobre del 1942, in seguito al primo bombardamento diurno su Milano, il padre condusse la famiglia a Sant'Ambrogio Olona, una bella frazione distante circa un chilometro da Varese, dove Giovanni frequenterà la quinta elementare.
Nel 1943, per frequentare la scuola media, Giovanni avrebbe dovuto recarsi a Varese, ma il padre preferisce che studi privatamente a Sant'Ambrogio visti i pericoli della guerra ancora in corso.
Sono questi anni sereni, pur nella consapevolezza di quanto stava accadendo, e di grandi letture grazie alla passione del padre per la letteratura europea dell'Ottocento, soprattutto per la narrativa russa e francese.
In questi anni legge Proust, Dickens, Dostoevskij e quando il cugino Giandomenico Guarino, attento lettore della narrativa e poesia contemporanea, si rifugia a Sant'Ambrogio dopo l'8 settembre, Giovanni inizia a leggere Piovene, Buzzati, Ungaretti, Quasimodo, Cardarelli e Montale del quale il poeta dice:
«So di dover molto a Montale, me ne accorgo quando lo rileggo, anche se non è stato un autore da me amato quanto Eliot e Sereni, ma ha agito eccome... soprattutto l'espressione dei limiti, il fatto che non si possono avere troppe pretese nel Novecento per la poesia come fonte di verità»(Giovanni Raboni)
Il padre sceglieva i libri per la famiglia prestando attenzione alle novità dell'editoria ed era riuscito anche a procurarsi una copia clandestina dell'antologia intitolata "Americana" di Elio Vittorini che nel 1941 era stata sequestrata dalla censura fascista per poi essere ripubblicata nel 1942 da Bompiani, pur con l'eliminazione di molte note critiche.
In questo periodo anche la musica lo appassionava e aveva iniziato, anche per desiderio della madre, a studiare il pianoforte, studio che però dovette interrompere a causa dello sfollamento.
Subito dopo la Liberazione la famiglia di Giovanni ritornò a vivere a Milano e nell'autunno del 1945 il giovane verrà iscritto al liceo Parini che però frequenterà in modo saltuario e che abbandonerà, insieme all'amico Arrigo Lampugnani, per iscriversi, in terza liceo, al "Carducci" che frequenterà per poco tempo. Arrigo Lampugnani, insieme a Bianca Bottero sua futura moglie, erano stati suoi compagni di classe nel 1947, anno di prima Liceo. Nel 1948, a casa dell'amico Lampugnani, conoscerà Vittorio Sereni al quale lo legherà una profonda amicizia.
Continuano intanto le letture di importanti scrittori, come Hemingway, Steinbeck, Faulkner, Saroyan, che venivano pubblicati in quegli anni tradotti dall'editoria italiana. Non smetterà inoltre di leggere sistematicamente i poeti italiani contemporanei che in quegli anni pubblicarono molte tra le loro più significative opere e continuerà a leggere Vittorini e a scoprire le importanti riviste dell'epoca come Il Politecnico, Costume, diretta da Carlo Bo, La Rassegna d'Italia, Società e soprattutto le riviste politico-culturale di sinistra.
Nacque in questo periodo anche la passione per il cinema e iniziò così a frequentare con il fratello Fulvio, utilizzando le tessere omaggio della Segreteria Generale del Comune, le sale cinematografiche e nel 1946 ebbe l'opportunità di partecipare al "Festival internazionale 50 anni del cinema. Sempre in questi anni sviluppò anche l'amore per la musica riuscendo ad ascoltare dal vivo opere indimenticabili grazie ai "Concerti sinfonici di primavera per l'Anno Santo 1050".
Nel 1949 parteciperà ai "Concorsi studenteschi di poesia e novellistica e pittura e disegno" e verrà premiato al "Teatro della Basilica" con "Poesia per Bianca" da una commissione composta da autorevoli letterati come Carlo Bo, Angelo Romanò, Davide Turoldo, Orio Vergani.
Nel 1950, preparatosi da privatista, sostenne con l'amico Lampugnani gli esami di maturità al liceo Carducci e tra agosto e settembre si recherà con il padre a Venezia per una breve vacanza. Nell'autunno si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza e iniziò a frequentare Anna Bottero studentessa alla facoltà di architettura. Saranno questi per Giovanni anni felici durante i quali, libero dalla costrizione liceale, si sentirà finalmente libero. Continuerà ad esercitarsi nelle prove poetiche e a frequentare i teatri, il cinema e le sale di concerto.
Completati nei primi anni del dopoguerra gli studi di giurisprudenza, si dedica per qualche anno alla professione di avvocato. Inizia a lavorare nel mondo giornalistico, professione che a fasi alterne lo vedrà collaborare a periodici e quotidiani, dapprima come segretario di redazione della rivista diretta da Enzo Paci aut aut, poi scrivendo per Quaderni Piacentini di Piergiorgio Bellocchio e Paragone di Roberto Longhi, infine per il Corriere della Sera, al quale rimarrà legato per molto tempo, senza mai però abbandonare la sua vena poetica.
Al centro di tutta l'opera di Raboni è Milano e la città continuò ad essere fino all'ultimo la protagonista della sua opera.
«... Eh sì, il Naviglio è a due passi, la nebbia era più forte/ prima che lo coprissero, la piazza/ piena di bancarelle con le luci/ a acetilene, le padelle nere/ delle castagne arrosto, i mangiatori/ di chiodi e di stoviglie/ non era certo un posto da passarci/ insieme a una ragazza. Ma così/ come hanno fatto, abbattere case,/ distruggere quartieri, qui e altrove/ (la Vetra, Fiori Chiari, il Bottonuto),/ a cosa serve?...»
Nel 1958 si sposa con Bianca Bottero, madre dei suoi tre figli: Lazzaro, Pietro e Giulia.
Nel 1961 pubblica due brevi raccolte di poesie, Il catalogo è questo e L'insalubrità dell'aria alle quali faranno seguito Le case della Vetra nel 1966, Cadenza d'inganno nel 1975, Nel grave sogno nel 1982 e nel 1988 l'importante volume antologico di testi editi e inediti A tanto caro sangue.
Negli anni settanta Raboni assume anche la direzione editoriale della collana di poesia "I quaderni della Fenice" per la casa editrice Guanda svolgendo una funzione importante per la poesia italiana di quegli anni, quella di talent-scout, permettendo così a decine di giovani autori di farsi conoscere spesso per la prima volta.
Tra i suoi saggi di critica letteraria vi sono Poesia degli anni sessanta del 1968, Quaderno in prosa del 1981. Il volume La fossa di Cherubino del 1980 raccoglie tutte le sue prose narrative.
Raboni entra nel comitato direzionale del Piccolo Teatro di Milano, scrive svariati testi teatrali tra i quali Alcesti o la recita dell'esilio, che viene accolto molto bene sia dalla critica sia dal pubblico e, nella sua molteplicità d'interessi, continua a scrivere poesie tra le quali Canzonelle mondi nel 1985, Versi guerrieri e amorosi nel 1990, Ogni terzo pensiero nel 1993 (con la quale vince il Premio Viareggio per la poesia), Quare tristis nel 1998 e Barlumi di Storia nel 2002. L'intera produzione poetica nel 1997 verrà raccolta in Tutte le poesie 1951-1993.
Raboni ottenne durante la sua carriera letteraria numerosi premi. Oltre il già citato Premio Viareggio gli venne assegnato nel 2002 il premio Moravia per il corpus delle sue intere opere e nel 2003 aveva ricevuto il premio Librex Montale. Nei due anni prima della morte aveva fatto parte della giuria dei premi Mondello e del premio Bagutta.
Giovanni Raboni muore il 16 settembre 2004 a Parma in seguito ad un attacco cardiaco nella convinzione che la morte, nella sua inesorabile fatalità, bisogna attenderla con sereno distacco, come scrive nei versi conclusivi della sua ultima opera, Barlumi di storia.
«Si farà una gran fatica, qualcuno / direbbe che si muore / ma a quel punto /ogni cosa che poteva succedere / sarà successa e noi / davanti agli occhi non avremo / che la calma distesa del passato /... ./ E tutto, anche le foglie che crescono, / anche i figli che nascono / tutto, finalmente, senza futuro".»
La sua ultima compagna, la poetessa Patrizia Valduga, ha scritto la postfazione alla sua ultima raccolta poetica, dal titolo Ultimi versi, edita postuma nel 2006.

* 2005 - Giancarlo Vigorelli (Milano, 1913 – Marina di Pietrasanta, 16 settembre 2005) è stato un giornalista, scrittore e critico letterario italiano.
Saggista, considerato uno dei maggiori critici letterari italiani ha sviluppato negli anni un profondo studio delle opere manzoniane, divenendo uno dei principali conoscitori delle opere dello scrittore lombardo.
Fonda e dirige la rivista L'Europa letteraria e diventa vicepresidente dell'Istituto Luce. Nel periodo fascista venne destituito dall'insegnamento, condivise le posizioni sull'Ermetismo. Collabora negli anni con varie testate nazionali, nelle vesti di giornalista culturale, come La Stampa, Frontespizio, diviene critico letterario del settimanale Tempo, conquistando nel 1960 il Premio Saint Vincent per il giornalismo. Negli anni gli viene consegnato il Premio Nazionale Letterario Pisa alla carriera.

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