Il calendario del 15 Marzo
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Eventi
▪ 44 a.C. - Idi di marzo - Giulio Cesare viene assassinato da un gruppo di senatori romani
▪ 351 - A Sirmio, l'imperatore romano Costanzo II nomina cesare d'Oriente il proprio cugino e cognato Gallo.
▪ 1493 - Giungendo a Palos de la Frontera, Cristoforo Colombo ritorna dal suo primo viaggio nelle Americhe.
▪ 1815 - Guerra austro-napoletana: il re di Napoli Gioacchino Murat dichiara guerra all'Impero austriaco.
▪ 1844 - Rivolta antiborbonica a Cosenza, al grido di "Italia e Costituzione". Fu per appoggiare questa rivolta, ignorando che fosse finita nel sangue, che si mossero i Fratelli Bandiera
▪ 1906 - Nasce la Rolls-Royce Limited
▪ 1917 - Lo zar Nicola II di Russia abdica
▪ 1943 - Seconda guerra mondiale: terza battaglia di Kharkov - le truppe naziste conquistano la città di Kharkov sconfiggendo le truppe sovietiche
▪ 1944 - Seconda guerra mondiale: le forze anglo-americane tentano il terzo assalto nella battaglia di Monte Cassino
▪ 1990 - Mikhail Gorbachev viene eletto come primo presidente esecutivo dell'Unione Sovietica.
Anniversari
* 44 a.C. - Gaio Giulio Cesare (in latino: Gaius Iulius Caesar; IPA: 'gai.us 'jul.ius 'kae.sar; nelle epigrafi C·IVLIVS·C·F·CAESAR e DIVVS IVLIVS; in greco antico Καίσαρ, Kàisar; Roma, 13 luglio 101 o 100 a.C. – Roma, 15 marzo 44 a.C.) è stato un generale, dittatore e scrittore romano, considerato uno dei personaggi più importanti e influenti della storia.
Ebbe un ruolo cruciale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale, della quale fu ritenuto da molti il fondatore.
Fu dictator di Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 a.C., nel 46 a.C. con carica decennale e dal 44 a.C. come dittatore perpetuo. Fu ritenuto da alcuni degli storici a lui contemporanei il primo imperatore di Roma.
Con la conquista della Gallia estese il dominio della res publica romana fino all'oceano Atlantico e al Reno; portò gli eserciti romani ad invadere per la prima volta la Britannia e la Germania e a combattere in Spagna, Grecia, Egitto, Ponto e Africa.
Il primo triumvirato, l'accordo privato per la spartizione del potere con Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso, segnò l'inizio della sua ascesa.
Dopo la morte di Crasso (Carre, 53 a.C.), Cesare si scontrò con Pompeo e la fazione degli Optimates per il controllo dello stato. Nel 49 a.C., di ritorno dalla Gallia, guidò le sue legioni attraverso il Rubicone, pronunciando le celebri parole «Alea iacta est», e scatenò la guerra civile, con la quale divenne capo indiscusso di Roma: sconfisse Pompeo a Farsalo (48 a.C.) e successivamente gli altri Optimates, tra cui Catone Uticense, in Africa e in Spagna. Con l'assunzione della dittatura a vita diede inizio a un processo di radicale riforma della società e del governo, riorganizzando e centralizzando la burocrazia repubblicana.
Il suo operato provocò la reazione dei conservatori, finché un gruppo di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, non cospirò contro di lui uccidendolo, alle Idi di marzo del 44 a.C.
Nel 42 a.C., appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato lo deificò ufficialmente, elevandolo a divinità. L'eredità riformatrice e storica di Cesare fu quindi raccolta da Ottaviano Augusto, suo pronipote e figlio adottivo.
Le campagne militari e le azioni politiche di Cesare sono da lui dettagliatamente raccontate nei Commentarii de bello Gallico e nei Commentarii de bello civili. Numerose notizie sulla sua vita sono presenti negli scritti di Appiano di Alessandria, Svetonio, Plutarco, Cassio Dione e Strabone. Altre informazioni possono essere rintracciate nelle opere di autori suoi contemporanei, come nelle lettere e nelle orazioni del suo rivale politico Cicerone, nelle poesie di Catullo e negli scritti storici di Sallustio.
▪ 493 - Odoacre (o Odovacar; 434 circa – Ravenna, 15 marzo 493) è stato un Generale che, sostenuto dai nuclei militari che lo avevano acclamato re delle genti germaniche d'Italia, esercitò una dittatura militare in Italia dal 476 al 493. Con la deposizione del giovane Romolo Augustolo e col riconoscimento del solo imperatore romano d'Oriente, Odoacre segnò la fine dell'Impero romano d'Occidente.
Non è noto quando Odoacre iniziò il suo servizio nell'esercito romano. Nel 472, all'epoca della lotta finale fra l'imperatore Antemio e Ricimero, era già membro della guardia pretoriana; più tardi (473/474) divenne comes domesticorum di Glicerio, l'imperatore eletto dal patricius burgundo Gundobado. Nel 474 la corte dell'impero romano d'oriente, al cui soglio era intanto asceso Zenone, scelse come imperatore d'occidente il magister militum della Dalmazia, Giulio Nepote. A questa nomina si ribellò il generale romano Flavio Oreste, il quale riuscì a prevalere su Giulio Nepote soprattutto grazie all'appoggio militare di Odoacre, capo di una milizia di mercenari eruli, sciri, rugi e turcilingi. Flavio Oreste non assunse tuttavia il potere imperiale, preferendo che il titolo di imperatore romano d'Occidente andasse al figlio tredicenne Romolo Augusto (ottobre 475) riservando a sé, col titolo di "Patrizio", il potere effettivo.
Come capo delle tribù barbare che costituivano le truppe imperiali, Odoacre aveva chiesto a Oreste, quale compenso del servizio, un terzo delle terre in Italia a titolo di hospitalitas[8]. Il rifiuto di Oreste scatenò la reazione delle truppe mercenarie per cui, conquistata dopo un breve assedio Ticinum (Pavia), città in cui si era asserragliato Oreste, ucciso il magister militum e saccheggiato la città (agosto 476), Odoacre depose l'imperatore Romolo Augusto. Odoacre venne nominato «rex gentium» dalle sue truppe; ma, invece di nominare a sua volta un imperatore fantoccio, come avevano fatto prima di lui i generali barbari Ricimero e Gundobaldo, decise di inviare le insegne imperiali (cioè diadema, scettro, toga ricamata in oro, spada e paludamentum porpora) all'imperatore di Costantinopoli Zenone, chiedendo per sé il solo titolo di patrizio. L'impero romano cadde quindi per un colpo di stato militare di mercenari germanici; questa caduta, che per i moderni costituisce lo spartiacque fra la storia antica e quella medievale, non sembra abbia suscitato eccessivo interesse negli storici contemporanei, probabilmente perché, essendo ancora in vita nel 476 Giulio Nepote, ufficialmente il legittimo imperatore d'occidente (morirà nel 480), la portata dell'evento venne sottostimata.
Odoacre rimase al potere dal 476 al 493. Tuttavia già nel 488 l'imperatore Zenone, preoccupato dei recenti successi del re germanico, spinse Teodorico, re degli Ostrogoti, a scendere in Italia. Alla testa di un esercito bene armato, Teodorico sconfisse una prima volta Odoacre ad Aquileia (28 agosto 489). Un mese dopo Odoacre fu nuovamente sconfitto nella battaglia di Verona (30 settembre 489).
La guerra continuò un altro anno finché l'11 agosto 490 Odoacre fu sconfitto definitivamente sull'Adda e venne costretto a rifugiarsi a Ravenna. Dopo un lungo assedio a Ravenna, nel 493 Odoacre si arrese a Teodorico con la promessa di aver salva la vita; ma Teodorico, violando i patti, uccise Odoacre a tradimento durante un banchetto, con le proprie mani, e ne fece uccidere i parenti e i seguaci.
L'amministrazione di Odoacre non fu certo quella tipica di un sovrano sovvertitore dell'ordine: cambiò solo parzialmente la posizione dei consociati, in particolare per quanto riguardava la gestione dell'esercito, composto ormai interamente da barbari. Le truppe vennero mantenute tramite il pagamento di un salario su parte dell'erario, ma queste provvidero anche autonomamente ed arbitrariamente alla realizzazione dei propri desideri materiali tramite la costituzione (da parte del prefetto del pretorio Felice Liberio) di un istituto di esazione abusiva che andò molto diffondendosi in quel periodo: il salgamum, strumento tipico della mentalità barbara. Esso consisteva nella suddivisione delle villae dei ricchi latifondisti in tre parti: il proprietario aveva diritto di scelta per la parte di suo uso, i capi militari sceglievano quella che serviva per l'acquartieramento e l'ultima era destinata ai coloni che mantenevano barbari e Romani. In generale si ebbe un trasferimento e un accentramento di competenze tra i militari, lasciando ai romani la possibilità di mantenere l'esercizio delle cariche minori e la professione libera del Cristianesimo.
▪ 1660 - Luisa di Marillac (Parigi, 12 agosto 1591 – Parigi, 15 marzo 1660) è stata una religiosa francese, fondatrice delle Figlie della Carità di san Vincenzo de' Paoli: è stata proclamata santa da papa Pio XI nel 1934.
Origini e gioventù (1591-1613)
La famiglia Marillac era una famiglia dell'Avernia, resa nobile solo nel 1569 nella persona di Guillaume II di Marillac (1518 - 1573), nonno di Luisa.
Luisa nacque il 12 agosto 1591 a Parigi, in circostanze misteriose. In un atto notarile redatto tre giorni dopo la nascita della bambina, Luigi I di Marillac (1556 - 1604), cavaliere, signore di Ferrières-in-Brie e di Villiers-Adam, portinsegna di una compagnia di 50 lance agli ordini del re, concedette a Luisa una rendita e la riconobbe come sua "figlia naturale".
Tuttavia, è possibile che si sia attribuito questa nascita per evitare uno scandalo ad uno dei suoi fratelli. Quando Luigi de Marillac si risposò, il 15 gennaio 1595, aveva probabilmente già posto la piccola Luisa a pensione nel monastero reale di San Luigi di Poissy.
Qui le domenicane le insegnarono a conoscere Dio, a leggere e scrivere e a dipingere. Le diedero poi una solida formazione umanistica, sotto la guida di una delle sue zie, madre Luisa di Marillac, (1556 - 1629).
È molto probabile che in quel periodo Luisa abbia avuto modo di conoscere la spiritualità di Santa Caterina da Siena, che trasparirà più tardi nei suoi scritti spirituali.
Ben presto Luisa venne inviata, in una pensione per ragazze, a Parigi, probabilmente da Michele di Marillac (1560 - 1632), futuro cancelliere di Francia, che divenne suo tutore dopo la morte di Luigi di Marillac (il 25 luglio 1604).
Qui Luisa imparò a tenere una casa e beneficiò del clima della riforma cattolica che infiammava la Parigi devota. Allora frequentava le cappuccine del Quartiere Saint-honoré, le "Figlie della Croce" e, pensando di diventare una di esse, fece voto di servire Dio ed il prossimo.
Ex membro di un'associazione a sostegno del cattolicesimo, divenuto ufficiale delle petizioni (carica molto prestigiosa) Michele di Marillac prese allora parte attiva alla fondazione del Carmelo riformato in Francia e frequentò assiduamente il circolo di Madame Acarie.
È qui che conobbe i padri Pierre de Bérulle (1575 – 1629) e Charles Bochard de Champigny (1568 - 1624), detto "Honoré de Paris."
Quest'ultimo era provinciale dei cappuccini nel 1612, quando, tenendo conto della debole costituzione di Luisa di Marillac, le consigliò di non farsi cappuccina, assicurandole che Dio aveva per lei un "altro progetto".
Luisa in seguito fu accompagnata nel suo cammino spirituale da Jean-Pierre Camus (1584 - 1652), vescovo della diocesi di Belley, grande amico di san Francesco di Sales, e nipote acquisito di Luigi di Marillac. Malgrado le sue assenze prolungate, Luisa si affezionerà molto a quest'uomo di Dio dalle molteplici sfaccettature che finirà la sua vita tra gli "Incurabili." Tra i numerosi romanzi devoti che Mons. Camus pubblicò, parecchi avevano come scopo "di far vedere la gelosia di Dio attraverso giusti castighi comminati a coloro che con la forza o l'astuzia cercano di strappargli le sue spose dalle braccia".
Gli anni del matrimonio (1613-1625)
Michele di Marillac e suo cognato Ottaviano II Doni di Attichy di origine fiorentina (morto nel 1614), vedendo in Luisa un'opportunità per avvicinarsi al potere, scelgono di farle sposare un segretario agli ordini della regina madre, Maria de Medici.
Il 5 febbraio 1613, Luisa di Marillac sposò nella chiesa di Saint Gervais, Antoine Le Gras (nato nel 1575 o 1580) appartenente ad un'antica famiglia di Montferrand, che perverrà più tardi alla nobiltà.
Visto che Antoine pretendeva di collegarsi ai nobili Le Gras, di cui porta il nome e lo stemma, piuttosto che ai suoi antenati, sua moglie sarà chiamata "Mademoiselle", titolo allora riservato alle mogli e alle figlie degli scudieri, ossia nobili non titolati.
In ottobre, la giovane donna diede prematuramente alla luce il piccolo Michele. Ma la felicità familiare dei Le Gras fu di breve durata, fin dal 1622, Antoine cadde gravemente malato. Luisa conobbe un lungo periodo di depressione spirituale, perché credeva che Dio l'avesse punita con la malattia del marito per non essersi data a Lui come aveva promesso, quando era più giovane.
Tuttavia, il giorno di Pentecoste del 1623, mentre pregava nella chiesa di Saint Nicolas des Champs, il suo spirito fu illuminato ed i suoi dubbi si dissiparono in un istante.
Dalla pergamena che descrive la "Luce di Pentecoste" e che Luisa porterà su di sé per il resto dei suoi giorni, sappiamo che quel giorno acquistò la certezza che il suo posto era al capezzale del marito e che sarebbe venuto un tempo in cui avrebbe potuto pronunciare i voti, vivere in comunità, e trovare un nuovo direttore spirituale.
Tra la fine del 1624 e l'inizio del 1625, incontrò Vincenzo de Paoli (1581-1660) che aveva iniziato a fondare le confraternite della Carità alla fine delle missioni, che predicava nelle numerose parrocchie sulle terre dei Gondi e che, con l'aiuto di questa famiglia, stava per fondare la congregazione della Missione, (in seguito Lazzaristi). Stroncato dalla tubercolosi, Antoine le Gras si spense il 21 dicembre 1625, lasciando Luisa ed il piccolo Michele nella precarietà economica. Allora Luisa mise il figlio in una pensione nella Chiesa di Saint Nicholas-du-Chardonnet.
I Primi anni sotto la direzione di Vincenzo (1625-1633)
Dal 1625 al 1629, Vincenzo riuscì a poco a poco a dirigere Mademoiselle le Gras verso il bene del prossimo, piuttosto che verso la propria devozione o l'inquietudine materna. Come sappiamo da una lettera del 6 maggio 1629, Vincenzo la incaricò solennemente della missione presso le dame della Carità. Appartenenti alla nobiltà o alla borghesia, le dame si impegnavano a dare denaro e tempo al servizio corporale e spirituale dei poveri, ma alcune mandavano le loro serve o le facevano cucinare al loro posto. Ma Mademoiselle le Gras che arrivava alle riunioni carica di vestiti e di medicine per i poveri, riunì queste signore, le ascoltò e le incoraggiò a vedere Cristo in coloro che servivano, controllava i conti e formava le maestre di scuola per istruire le bambine. La personalità di Luisa si rivelò pienamente man mano che superava le infermità fisiche ed i timori, nell'andare nelle parrocchie ad organizzare o rinforzare le carità.
Nel frattempo, lo zio di Luisa, Michel di Marillac, divenuto guardasigilli il 1 giugno 1626, divenne capo del partito devoto, dopo la morte del cardinale de Bérulle, 2 ottobre 1629, mentre il suo fratellastro Luigi II di Marillac (1573 - 1632) divenne maresciallo di Francia il 3 giugno 1629.
Dall'assedio della Rochelle, (agosto 1627 - ottobre 1628) la loro opposizione alla politica del cardinale di Richelieu fu forte. Questa opposizione sarà la causa della loro caduta, durante le famose giornate di Dupes (11 ottobre 1630). Caduti in disgrazia, il maresciallo ed il cancelliere furono imprigionati. Accusati di malversazione furono giudicati e condannati da un tribunale tutto a favore del Richelieu. Il primo fu decapitato pubblicamente sulla piazza del municipio di Parigi (place de la Grève) il 10 maggio 1632. Il secondo fu rinchiuso nella fortezza di Châteaudun dove tradurrà il Libro di Giobbe e incomincerà un Trattato sulla vita eterna, vi morirà il 7 agosto 1632.
Il 5 febbraio 1630, dopo aver visitato la carità di Asnières e preparandosi a partire a visitare quella di Saint-Cloud, Luisa di Marillac volle celebrare l'anniversario delle sue nozze, assistendo alla Messa. Ricevendo la comunione, fece l'esperienza del matrimonio mistico con Cristo, che racconterà poi con queste parole: "Mi sembrò che Nostro Signore mi desse il pensiero di riceverlo come lo sposo della mia anima". Non tardò a comunicare questa esperienza alle altre dame della Carità.
Il 19 febbraio 1630, Vincenzo al ritorno da una missione a Suresnes, le inviò Margherita Naseau, una giovane mandriana di quel villaggio la quale aveva imparato a leggere per formare la gioventù dei dintorni, e che si offriva per il servizio dei poveri.
La fondazione delle Figlie della Carità (1633-1660)
Avendo curato i malati di peste, Margherita Naseau morì poco dopo, il 24 febbraio 1633, ma già altre figlie dei campi l'avevano sostituita. Il 29 novembre 1633, in accordo con Vincenzo, Luisa le riunì a casa sua per formarle. Il 25 marzo 1642, Luisa e quattro delle prime Suore fecero voto di offrirsi totalmente al servizio di Cristo nella persona dei poveri. Questi furono gli umili inizi della Compagnia delle Figlie della Carità
Legati da una stretta collaborazione e da una grande amicizia, Luisa e Vincenzo risposero insieme alle chiamate dei più diseredati del loro tempo, grazie alla nuova compagnia che avevano fondato insieme.
Le attività delle Figlie della Carità erano molteplici, si andava dall'educazione dei trovatelli, il soccorso alle vittime della guerra dei Trent'anni e della Fronda, la cura dei malati a domicilio o negli ospedali, il servizio ai galeotti e alle persone malate mentali, l'istruzione delle bambine povere, la partecipazione alla creazione dell'ospizio del Santo nome di Gesù e dell'ospedale generale di Parigi. Queste donne libere avevano per velo la santa umiltà, per monastero la casa dei malati, per cella una camera d'affitto, per chiostro le vie della città, o le sale degli ospedali e per motto: La carità di Gesù Crocifisso ci stimola.
Un po' alla volta, mademoiselle le Gras mandò o fondò lei stessa dovunque nuove comunità dove l'emergenza si faceva sentire: in trenta città della Francia, e fino in Polonia: Parigi, Richelieu, Angers, Sedan, Nanteuil-le-Haudouin, Liancourt, Saint Denis, Serqueux, Nantes, Fontainebleau, Montreuil-sur-Mer, Chars, Chantilly, Montmirail, Hennebont, Brienne, Étampes, Varsavia, Bernay, Sainte-Marie du Mont, Cahors, Saint-Fargeau, Ussel, Calais, Metz e Narbonne.
Nel 1657, Vincenzo de Paoli disse che Luisa de Marillac era come morta da più di vent' anni, ma ella si spense solamente il 15 marzo 1660, alcuni mesi prima di lui. Il suo corpo, prima inumato nella chiesa di Saint-Laurent a Parigi, oggi riposa nella cappella dell'attuale casa madre delle Figlie della Carità, al numero 140 della rue du Bac, a Parigi.
Luisa di Marillac fu beatificata il 9 maggio 1920 da papa Benedetto XV, canonizzata l' 11 marzo 1934 da papa Pio XI e proclamata patrona delle opere sociali nel 1960 da papa Giovanni XXIII. Figlia illegittima, moglie colpita da prove, vedova contemplativa ed attiva, madre inquieta e nonna serena, insegnante e infermiera, assistente sociale ed organizzatrice della Carità, continua a ben ispirare gli uomini e le donne del nostro tempo, tra le quali le 21 000 Figlie della Carità, (chiamate anche Suore di san Vincenzo de Paoli) che servono in tutto il mondo, ed i loro numerosi collaboratori.
▪ 1711 - Eusebio Francesco Chini (Segno - oggi comune di Taio, 10 agosto 1644 – Magdalena de Kino, 15 marzo 1711) è stato un gesuita, missionario, geografo nonché esploratore, cartografo e astronomo italiano. È riconosciuto come tra i «padri fondatori dello Stato dell'Arizona».
È inoltre l'unico italiano presente nel Famedio di Washington. Istituì più di 20 missioni e visitas ("parrocchie di campagna") tra Messico nord-occidentale e Stati Uniti sud-occidentali, dove dimostrò spiccate capacità nel creare un rapporto dignitoso fra i popoli indigeni e l'istituzione religiosa che rappresentava.
Chini nacque nel 1644 a Segno (oggi frazione di Taio), in Val di Non, al tempo parte del Principato Vescovile di Trento. Dopo essersi ristabilito da una malattia che minò seriamente la sua infanzia, studiò presso il collegio gesuita di Trento e poi a Hall in Tirolo, interessandosi in particolare di matematica e di scienze naturali.
Il 20 novembre 1665, sciogliendo il voto che aveva fatto nel periodo di malattia, entrò nella Compagnia di Gesù. Per devozione e ringraziamento a San Francesco Saverio, che lo aveva miracolosamente strappato alla morte, scelse come secondo nome Francesco, aggiungendolo al proprio nome di battesimo.
Benché desiderasse partire per l'Oriente, ricevette l'incarico di fondare una missione presso la frontiera settentrionale della Nuova Spagna.
Partì con questo proposito da Siviglia il 3 maggio 1681. Sbarcato a Vera Cruz, Chini pose la sua prima base nella Bassa California, in una terra ancora sconosciuta agli occidentali.
A causa di un periodo di forte siccità, Chini, che nel frattempo aveva ispanizzato il suo nome in Eusebio Francisco Kino, fu costretto a ritornare a Città del Messico nel 1685.
Attività Missionaria
Padre Chini arrivò a Sonora nel 1687 per lavorare con la popolazione dei Pima, creando la prima missione cattolica nella provincia.
Convinto sostenitore della necessità del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni autoctone, Chini fu importante nello sviluppo economico di Sonora, insegnando agli Indiani le metodologie per l'allevamento del bestiame, la lavorazione del ferro e la coltivazione di piante non conosciute.
La sua fama si diffuse ben presto tra le tribù indiane. Tutte lo accettarono, nonostante fossero in perenne guerra tra di loro. Il nome di Chini presso i Pima, per via del colore dell'abito, fu "contadino nero".
Il missionario scrisse nel suo diario:
«L'uso sconsiderato delle armi fa fuggire e nativi, i quali si rifugiano sui monti. I metodi pacifici e gentili, insieme con la carità cristiana, aiuteranno invece moltissime anime a fare ciò che sarà loro insegnato e richiesto» (Da Favores Celestiales)
Padre Chini si impegnò nella difesa della dignità degli Indiani di Sonora, opponendosi tra l'altro agli obblighi di lavoro nelle miniere d'argento che la monarchia spagnola imponeva loro. Questo causò una serie di controversie con i suoi co-missionari, molti dei quali invece agivano in stretto accordo alle imposizioni del sistema coloniale spagnolo.
Eusebio Chini costruì missioni che si estendevano all'interno dello stato di Sonora verso nordest per 240 km fino alla missione di San Xavier del Bac, che ancora è attiva come parrocchia cattolica vicino a Tucson, in Arizona. Costruì 19 rancheras, che rifornirono di bovini i nuovi insediamenti. Fondò in tutto 27 stazioni missionarie. Ebbe inoltre un ruolo importante nel ritorno dei Gesuiti in California nel 1697.
Padre Chini rimase nelle sue missioni fino alla morte nel 1711. Morì nella città oggi chiamata Magdalena de Kino, attualmente territorio messicano.
Padre Eusebio Chini fu anche uno scrittore e fu autore di libri di astronomia e di cartografia.
Nel periodo spagnolo, passato a Cadice in attesa dell'imbarco per l'America, padre Chini, tra il dicembre 1680 e il febbraio 1861 osservò il passaggio di una cometa, della quale diede un'ampia e approfondita descrizione in un testo che anticipò i moderni trattati di astronomia, Spiegazioni astronomiche. In America Chini affinò diverse sue capacità e conoscenze: in particolare divenne un esperto astronomo, un matematico e un estensore di mappe geografiche.
Padre Chini compì molti viaggi nel nord del Messico, in California e in Arizona. È stato calcolato che nei 24 anni di permanenza in Nuova Spagna, nei suoi 50 viaggi di esplorazione, Chini viaggiò per almeno trentamila chilometri.
Le sue spedizioni a cavallo coprirono un'area di 130.000 km². Padre Eusebio fu il primo a dedurre che la Bassa California era una penisola.
Fino all'arrivo di Chini in Nuova Spagna, infatti, si riteneva che la Baja California, così come la Isla de Mujeres, fosse un'isola, staccata dal continente nordamericano. Padre Chini organizzò e guidò la prima grande spedizione via terra nella Bassa California.
Scoprì il passaggio via terra dalla Bassa California al continente, dimostrando quindi che non era un'isola, ma una "peninsula".
Chini realizzò la prima mappa accurata di Pimería Alta, del golfo della California e della Bassa California. La cartografia realizzata coprì un'area lunga 300 km e larga 400 km.
Padre Chini inoltre aveva la passione per la fisica e di creare modelli di nave in legno. Le sue conoscenze relative alle mappe ed alla navigazione gli fecero pensare che gli Indiani del Messico potevano facilmente accedere alla California dal mare, osservazione che venne accolta con scetticismo dai missionari di Città del Messico. Quando propose di costruire una nave e di farle attraversare il deserto di Sonora e la costa occidentale messicana, ne derivò una accesa controversia con i suoi co-missionari. Molti di essi dubitarono di lui e delle sue capacità.
È stato ricordato e onorato sia in Messico che negli Stati Uniti con diverse città, strade, monumenti a lui intitolati o dedicati.
Considerato uno dei fondatori dell'Arizona, nel 1965 lo stato dell'Arizona ha donato una statua bronzea di padre Chini al National Statuary Hall del Campidoglio degli Stati Uniti di Washington, luogo dove vengono ricordati i principali fondatori dei diversi stati americani.
In onore di Eusebio Chini, due città messicane dello stato di Sonora portano il nome di Bahía Kino e di Magdalena de Kino.
▪ 1895 - Cesare Cantù (Brivio, 5 dicembre 1804 – Milano, 15 marzo 1895) è stato uno storico, letterato e politico italiano.
Deputato al parlamento dall'Unità d'Italia (1861) al 1867, fu il fondatore dell'Archivio storico lombardo.
Partito da posizioni romantiche, si portò in seguito (1848) su posizioni moderate. In particolare, aderì alla tesi neoguelfa secondo cui né la tradizione cattolica né i principi dell'illuminismo e della rivoluzione francese potevano costituire la chiave di volta per un processo di unificazione in Italia, per raggiungere il quale sarebbe occorso ricorrere ad una specifica filosofia politica nazionale.
Per la sua posizione ideologica anti-austriaca, Cantù aveva precedentemente subito il carcere tra il 1833 e il 1834.
Come letterato e storico Cantù ha lasciato un importante romanzo storico, Margherita Pusterla (1838, tradotto in più lingue), opere di carattere storico quali La Lombardia nel secolo XVII (1832), L'Abate Parini e la Lombardia nel secolo passato (1854), Gli eretici d'Italia (1865-1866) e la monumentale Storia universale, 72 dispense raccolte in venti tomi (1840-1847).
Fra gli altri suoi lavori si ricordano, Il Sacro Macello di Valtellina. Le guerre religiose del 1620 tra cattolici e protestanti tra Lombardia e Grigioni, pubblicato a Milano nel 1832, i Racconti brianzoli (o Novelle brianzole) pubblicati nel 1833, e una serie di opere a carattere erudito come gli Edifizii di Milano, la Storia della letteratura italiana del 1865, Il Conciliatore e i carbonari del 1878, la sopracitata Storia universale impostata nel periodo 1838-1846 e ampliata nel periodo tra il 1883 ed il 1890 e che raggiunse i cinquantadue volumi. Natura ibrida ha la sua Storia della città e della diocesi di Como (Firenze, Le Monnier, 1857), che si conclude con le sue ampie considerazioni circa la rivoluzione del 1848 e la contemporanea poltica del Ticino.
▪ 1931 - Giovanni Semeria (Coldirodi, 26 settembre 1867 – Sparanise, 15 marzo 1931) è stato un sacerdote cattolico e scrittore italiano.
«A far del bene non si sbaglia mai.» (Giovanni Semeria)
Giovanni Semeria nasce ufficialmente nel comune di Colla, che diverrà in seguito frazione collinare di Sanremo con il nome di Coldirodi.
Il suo cognome era molto diffuso alla Colla, e quindi anche la sua famiglia, seguendo una tradizione locale, era distinta dalle altre del paese con un soprannome specifico: veniva infatti chiamata "Semeria buon Gesù".
Il padre di Giovanni, anche lui Giovanni, soldato del regio esercito piemontese, morì qualche mese prima della nascita del figlio a Brescia. Impegnato nella campagna del 1866, contrasse il colera al soccorrere il fratello che se n'era ammalato durante l'epidemia che colpì la bassa bresciana. Prima di morire fece promettere alla moglie, Carolina, di far nascere il figlio al paese natale. Cosa che la donna puntualmente fece.
Il suo status di orfano lo condizionerà per tutta la vita, che dedicherà proprio all'assistenza di questa categoria, all'epoca spesso dimenticata.
Entra, a 15 anni, nel noviziato dei barnabiti del Carrobiolo a Monza; riceve l'abito religioso l'8 ottobre 1882 ed emette i primi voti il 22 ottobre 1883. Viene poi ordinato sacerdote il 5 aprile 1890, a meno di ventitré anni.
Da allora assume, tra i suoi impegni prioritari, la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, il dissidio tra Scienza e Fede, il rinnovamento del Pensiero Cristiano e la causa dei poveri nelle aree depresse del meridione devastate a seguito della Prima guerra mondiale.
Esponente del giovane pensiero cristiano, trionfa dai pulpiti delle basiliche romane - non ultima quella di San Lorenzo in Damaso alla Cancelleria (1897) - e la folla si accalca, invade l'abside e i gradini dell'altare maggiore nella speranza di ascoltare colui che sta divenendo uno dei più richiesti e popolari oratori sacri della capitale. Sua usanza è quella di aprire, nei suoi discorsi, alla speranza, ed ad un rinnovamento che trova non pochi ostacoli nella Chiesa del tempo, ma che farà poi da riferimento per molti giovani ed intellettuali di fine Ottocento.
Lo studio e la ricerca teologica
Col suo impegno di studioso ed oratore sollecita il clero, gli intellettuali, i teologi, a conciliare con la morale - e il pensiero cristiano - il frutto delle nuove scienze, delle più recenti scoperte - specie nel settore della critica storica - in modo che la pratica della religione e l'onestà intellettuale dello scienziato possano procedere di pari passo con la conoscenza scientifica, nella prospettiva di arrivare ad un'interpretazione della realtà cristiana e integrale.
Dal suo punto di vista, la Chiesa reale deve contrastare con quella ideale, immutabile, in quanto deve essere proposto un Cristianesimo vivo che guardi agli uomini, ai suoi problemi, e non si fermi ai sistemi astratti di idee.
Lo stesso tomismo deve essere riletto, per il barnabita, alla luce di un "metodo psicologico", di un "metodo storico", al fine di ricollocarne il pensiero nell'epoca e nelle condizioni storiche che lo hanno generato.
Semeria quindi è convinto che l'accoglimento di questo punto di vista rappresenterebbe, per la Chiesa, un atto di coraggio ed insieme un grande atto di Carità che porterebbe vantaggi alla comunità cristiana, assetata di Verità: infatti il clima ideologico estremamente pesante qual è quello dell'Italia post unitaria, ben vedrebbe un messaggio cristiano come "fermento di libertà e di progresso... fermento di fraternità, di unità e di pace".
"Non c'è dissidio tra la Chiesa e la scienza", afferma (1898), "ci può essere tutt'al più un malinteso".
Ne consegue quindi, secondo lui, che la Chiesa non ha nulla temere e moltissimo da guadagnare di fronte al confermarsi di uno spirito veramente scientifico e moderno.
Occorrerà attendere il 1965, però, con la Gaudium et Spes, affinché tale posizione possa concretizzarsi: è solo in tale occasione, infatti, che si avrà l'invito ufficiale della Chiesa alla collaborazione tra i seminari e le università sugli studi teologici; e, cosa ancora più importante, si avrà l'ammissione che "una tale collaborazione - piuttosto che minare la fede del clero e dei laici - gioverà grandemente alla formazione dei sacri ministri", che potranno, così, presentare ai contemporanei la dottrina della Chiesa in maniera più organica e coerente, più idonea alle esigenze di chi ascolta.
Semeria quindi raccomanda lo studio sia al clero sia agli spiriti liberi che sentono "doveroso approfondire la conoscenza dei pensatori moderni" per scoprire in essi quella favilla di vero che vi splende, perché possano essere gli artefici di un risveglio, autentico, del pensiero cristiano senza, per questo, nulla togliere alle reali, profonde, necessità della dottrina. Infatti è consapevole che un livello di preparazione inadeguato del clero, peraltro costantemente denunciato tanto da parte cattolica (Romolo Murri, Salvatore Minocchi) quanto da parte laica (Giuseppe Prezzolini), può poteva portare ad una sostanziale sfiducia nella Chiesa e alla crisi dell'attività pastorale, oltre che a una cristallizzazione del movimento sociale ed intellettuale dei cattolici che, poco alla volta, avrebbe finito per perdere tutte le sue migliori energie.
Il suo motto è "San Tommaso non basta ripeterlo, occorre imitarlo, la sua dottrina non deve essere limite ma lievito, non punto a cui si debba indietreggiare, ma da cui si debba, movendo, progredire" (Le vie della fede 1903).
La cultura religiosa per i laici
Nell'attesa che il clero prenda coscienza dei grandi stravolgimenti storici e culturali che stanno portando ad una generale sfiducia, irreligiosità, razionalismo, Semeria pensa di lavorare alla costruzione, dalle fondamenta, di una cultura religiosa per i laici, realizzando una Scuola Superiore di Religione a Genova, nel novembre del 1897. In questo modo, oltre a fornire una conoscenza ampia e profonda delle Scritture, dei testi essenziali del Magistero, vuol dar modo ai cristiani di spaziare verso gli studi storici, letterari e filosofici contemporanei, da Antonio Fogazzaro al Von Hügel, da Giulio Salvadori a Maurice Blondel. Finalità della Scuola è quindi quello di dimostrare che "Cristo è sempre su tutte le grandi vie dell'umano progresso - amico di ogni verità scientifica, d'ogni bellezza estetica, d'ogni onesta libertà, d'ogni equa rivendicazione sociale."
Non mancano però, insieme ai tanti entusiasmi (Revue Biblique 1904, Gentile), le critiche, spesso aspre, de La Civiltà Cattolica che, in una nota del P. Rosa, pur confermando il favore all'iniziativa decretato dal Pontefice Pio X con l'enciclica De sacra doctrina traenda del 1905, lamenta un uso improprio e fuorviante delle Scuole ad opera di "Sacerdoti... religiosi, conferenzieri (i quali) ... trasformano la scuola di religione e l'apologetica del Cristianesimo quasi in un'apologia o apoteosi di filosofi e romanzieri... o peggio conducono alla scuola del Santo". Si allude evidentemente al barnabita, che aveva tenuto, a Genova, tre "letture" sul romanzo di Antonio Fogazzaro messo all'indice nel 1906.
La carità del sacrificio e della coerenza
L'applicazione del metodo storico al Vangelo viene considerata, dalla rivista dei Gesuiti, semplicemente "ingenua" (1905), e le analisi del dogma pericolose e "razionaliste" (1906). Ciò è causa di dubbi sul suo operato, poiché nelle sue analisi critiche sulla Trinità e l'Incarnazione, oltre che sul primato del vescovo di Roma, viene visto un pericoloso tentativo di "refutare scholasticam definitionem veritatis" a favore di una verità che tenta di mischiare maldestramente Darwin e Platone, Herbert Spencer e S. Agostino.
Presto una bufera lo travolge e, mentre scrive "ho coscienza d'aver predicato Gesù Cristo, come San Paolo ai predicatori di tutti i tempi l'ha insegnato e prescritto" non manca chi (Civiltà Cattolica, Fracassini, Poulat) arriva a considerarlo il capo di quella corrente modernista che verrà vista da Pio X, nel suo tentativo di "instaurare omnia in Christo", non solo come una semplice eresia ma come "il compendio e il veleno di tutte le eresie; una corrente che tendesse - a scalzare i fondamenti (stessi) della fede e ad annientare il Cristianesimo" ("Pii X Acta" 1951).
L'esilio a Bruxelles, iniziato nel 29 settembre del 1912, e la vita di trincea - durante la prima guerra mondiale - provano molto il barnabita: cade in una crisi depressiva che ne mina, seriamente, le condizioni di salute. Ciononostante dedica il suo tempo dapprima in Svizzera, nel Canton Ticino, a supporto degli operai italiani, in seguito al comando supremo, arruolatosi come cappellano militare.
La carità e l'educazione morale
Obiettivo primo del suo impegno di carità è, per il Semeria, quello di educare alla generosità e alla cultura attraverso la responsabilità e il sacrificio.
Un'educazione sinceramente cristiana non può che essere, per lui, "educazione della volontà", come volontà di servizio, volontà di azione. E la Gaudium et Spes ne confermerà la coerente prospettiva ecclesiale allorquando ribadirà, nel 1965, che trascurando i suoi impegni di carità verso il prossimo, verso lo stato, verso chi è povero, ammalato, bisognoso, il cristiano non solo trascura i suoi doveri verso i fratelli ma anche quelli verso Dio stesso, mettendo, così, in pericolo la propria salvezza eterna.
A ciascun cristiano non resta che prendere coscienza, quindi, delle proprie responsabilità - quelle che lo vogliono testimone e insieme strumento della missione della Chiesa stessa secondo la misura del proprio carisma - per collaborare alla realizzazione del progetto divino senza aspettarsi troppo dalla gerarchia, senza pretendere dal clero altro che luce e forza spirituale.
La stessa scuola, per lui, fuggendo ogni tentazione di ipertrofia intellettuale, deve rifiutare ogni possibile rischio di anemia morale perché in una condizione nella quale tutti parlano di morale rincorrendo l'onore, la ricchezza e il piacere, oltre a danneggiare i diritti dell'anima, si logorano anche i più basilari criteri di giustizia e di onestà.
"Quanti burattini nel mondo morale, amici miei!" dice a Genova nelle sue prediche nella Chiesa delle Vigne (1906), ma solo per poter, poi, indirizzare l'attenzione dell'uditorio all'impegno, all'azione. "Una cura morale, o signori, è urgente per noi - urgente di rimbalzo per questa società i cui mali sono tutti profondamente intrecciati con la infermità morale."
La carità e la filosofia dell'azione
Di fronte al luccichio delle nuove ideologie che rappresentano l'avanguardia del materialismo irreligioso e dell'edonismo estetico è giunta l'ora, per il Semeria, di fare uno sforzo di concretezza, per "generare luce, non fosforescenza, per destare sulla scia delle parole, fermenti di salutare discussione" (De Marsico 1968); per farsi promotori di opere di carità, perché "più che con l'eloquenza della parola - si supportassero le proprie idealità con la tacita, irresistibile eloquenza dei fatti." (La Chiesa missionaria, 1867).
Alla filosofia delle idee è giunto il momento di sostituire, e subito, la filosofia dell'azione, la filosofia della vita. E, se, più tardi, il decreto su "L'apostolato dei laici" (1965) ricorderà che "dall'aver ricevuto i carismi, anche i più semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa" lui ribadisce che la responsabilità prima di ciascun cristiano, e dei religiosi in particolare, è di impegnarsi a "lavorare con la più severa ricerca della verità" ma nella determinazione di "mettere la scienza a servizio del bene" (Le vie della fede).
Sua convinzione è, infatti, che "si può credere a chi parla, ma è difficile non credere a chi lavora fortemente; è impossibile non credere a chi, per una causa, eroicamente soffre".
"Si può simulare la parola, più difficilmente l'opera, impossibile simulare la sofferenza" (Le beatitudini evangeliche 1937). Non è un caso, quindi, se molti intellettuali dell'area cattolica suoi contemporanei si riferiscono al religioso barnabita come alla "incarnazione del giovane pensiero cristiano" (A. Giocomelli 1932).
La carità e l'azione politica
Impegno culturale, morale, politico, e sociale diventano, allora, per il barnabita, i cardini su cui progettare ogni serio processo di rinnovamento, fondato su una sincera sollecitudine che miri a promuovere i valori cristiani nella comunità attraverso la famiglia, la vita economica e la partecipazione politica. Tutto ciò nonostante il fatto che il suo non è un impegno che aspira esclusivamente alla creazione di una forza cristiana finalizzata ad entrare, direttamente, nell'agone politico, quanto, piuttosto, un impegno più profondo, che nel rinnovamento culturale vede una condizione necessaria per un'incisiva e moderna azione politica, e sociale, dei cattolici.
Ciononostante è tra i fondatori della Democrazia Cristiana ma non per questo manca, più volte, di esclamare "Non ho molta fede nei partiti: spero molto da una infusione larga, da un ravvivamento sincero, dello spirito cristiano in tutti e in ciascuno" (Le tre coscienze 1901).
Sente necessaria, infatti, un'esigenza fondamentalmente "apolitica", "super partes", di sincera azione cristiana, che si riproponga di riformare la cultura dall'interno, piuttosto che sprecare utili energie nel tentativo di disegnare futili e pericolose riforme esteriori. È per questo che collabora anche, con il Padre Agostino Gemelli, alla fondazione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore seguendone le sorti, sin dagli inizi, difficili ed incerti.
Non bisogna dimenticare che la Chiesa è impegnata, in quegli anni, in una lotta politica e ideologica serrata con uno Stato italiano laico e liberale, con il socialismo rampante, e con una corsa sempre più forte verso il piacere ed il profitto; ciò la porta ad irrigidire la sua posizione teologica e morale con l'effetto di suscitare non poche resistenze verso quei laici, che vedevano, nel confronto intellettuale critico con la nuova cultura, un'opportunità ulteriore di apostolato, di sincera carità cristiana.
"Quel disgraziato 'Non expedit'", ricorderà più tardi Padre Minozzi, "(era una) pesantissima catena ai piedi de' cattolici italiani" (Ricordando 1984) - e, specie per i seminaristi, per il clero, "La vita moderna era, doveva essere tutta maledetta. Non si dovevano guardare né libri, né persone, (era) scomunicato l'universo... Tra cattolici e liberali e socialisti si era scatenata una gara scervellata a ferirsi, a colpirsi gli uni gli altri, col risultato di ritrovarsi in una realtà politica fatta di rissosità, faziosità, di bassissima lega, in una condizione di vera e propria follia collettiva".
La dignità della donna
Alle donne, poi - con quell' "Uscite, uscite.... dalle mura domestiche" (1915), "come il prete di sagrestia", anticipa l'invito alla responsabilità che è motivo dominante della "Centesimus annus" (CA 1991,37) e del "Catechismo della Chiesa Cattolica" (1992,1929), una responsabilità fondata sulla credibilità dell'impegno, sulla testimonianza delle opere e proiettata in un progresso che cammini nel pieno rispetto della identica dignità (Gaudium et spes 1965,49; Mulieris dignitatem 1988,6); "perché Dio non è a immagine dell'uomo - in lui .. non c'è spazio per differenze di sesso" (CCC 1992,370).
In questo il barnabita è un precursore dei tempi: è solo nel 1987 - anno della "Sollicitudo rei socialis" - che Giovanni Paolo II si rivolgerà a "tutti, uomini e donne senza eccezioni, perché, convinti della rispettiva, individuale, responsabilità", si mettano all'opera con l'esempio della vita, con la partecipazione attiva alle scelte economiche e politiche, dando in realtà un messaggio di svolta, e la donna - reintegrata a pieno titolo nella Chiesa - verrà messa, per la prima volta, di fronte all'"obbligo di impegnarsi per lo sviluppo, perché questo non è solo un dovere morale ma anche, e soprattutto, un imperativo per tutti e per ciascuno, un dovere di tutti verso tutti."(SRS 1987,32 e 47).
Nel 1904, tuttavia, parte dal Vaticano una nota per i vescovi nella quale si invitano gli alti prelati a far tacere le donne nelle adunanze cristiane e a non investirle di cariche che possano comportare reali responsabilità. Solo il 15 ottobre del 1967, due voci femminili, durante una solenne liturgia in San Pietro - rompendo secoli di silenzio - avranno la possibilità di presentarsi all'altare per pronunciare le "orazioni dei fedeli".
Il Semeria dal canto suo, già nel dicembre del 1898, ha, invece, auspicato tale condizione ricordando - a coloro che con la scusa di difendere la Chiesa dalle donne difendevano in realtà i propri privilegi - che nessuno, a nome della Chiesa, può avere il diritto di negare alla donna di rivendicare la propria dignità, magari facendosi forte della sua autorità, perché "il Cristianesimo non dice mai basta, dice sempre avanti, combatte gli idealismi, ma propugna le idealità"(1967,9).
Per lui il "femminismo" è una cosa seria: più che un problema di riscatto, si tratta, infatti, di un problema di dignità; e se la donna ha tutto il diritto di farsi sentire, efficacemente sentire"(1915,18), egli non perde occasione per stimolarla all'impegno, civile e sociale, allo studio (1934,91; S. Pagano 1994,128), all'esercizio della carità.
La carità e l'opera in favore degli orfani
Prosegue nel suo impegno di carità, quindi, insieme intellettuale e sociale ma quando, dopo aver conosciuto la miseria della città di Roma, la sofferenza degli operai, vive la tragedia della guerra trovandosi, in trincea, al fianco di contadini inviati al fronte come carne da macello, la ricostruzione e l'urgenza di trovare i soldi per dare un pane agli orfani che aspettano un aiuto concreto nelle regioni meridionali (Lettere pellegrine 1919) gli fanno capire come fosse nel giusto quando affermava che, nel bisogno, stanchi di teorie e di chiacchiere, si sente, forte, un'unica necessità: quella di un' azione pratica. (Forme pratiche di solidarietà operaia 1902).
Punto di svolta di questa consapevolezza rappresenta, per l'intellettuale barnabita, l'incontro col Padre Giovanni Minozzi, che avviene in piena Prima guerra mondiale, quando il barnabita viene mandato ad Udine il 13 giugno 1915, e dove assisterà addolorato alla sorte di tanti giovani caduti per la difesa e l'amore del proprio Paese.
Lavorando al progetto, ambizioso, di offrire una casa ai suoi orfani, gli orfani di guerra, e con essa, un'educazione e una famiglia - quella de "I Discepoli" appunto - a quanti ne erano rimasti privi piombando nel bisogno, ha l'opportunità di confrontarsi con tante storie di miseria e povertà, tante storie d'ignoranza e d'abbandono totale. E frutto della comunione di intenti con Giovanni Minozzi germoglia, solida, l'Opera Nazionale per il Mezzogiorno d'Italia (O.N.M.I) (1921). L'impegno diviene, anche grazie alla collaborazione della nuova congregazione fondata dal Minozzi, sempre più deciso, sempre più sostenuto, talora addirittura febbrile, perché è convinto che "la luce c'è, ma non è luce se non a patto di essere calore - e l'insegnamento ... si riconosce dai frutti... i frutti di bontà - ex fructibus cognoscetis" (Saggi clandestini 1967).
Le conferenze continuano, gli impegni della sua agenda si moltiplicano. Agli amici che lo incontrano, nei giorni in cui corre per la Penisola alla ricerca di soldi per i suoi orfani, dice preoccupato "Sappiate che non sono più il padre Semeria di una volta che faceva conferenze per gli altri. Ora ho famiglia, tanta famiglia, bisognissima famiglia... aiutatemi" (Cicero pro domo mea 1921). E, visitando gli istituti sparsi qua e là per il Sud - in Campania, in Basilicata, in Puglia, in Sicilia... - vedeva quali frutti realizzava concretamente la dedizione, l'affetto dei primi confratelli, delle suore. Finisce per rafforzarsi in lui, ulteriormente, l'idea che "quando ci si para dinanzi, o ci passa daccanto un vero affamato, autentico, è ridicolo e crudele fargli dei bei discorsi, delle esortazioni nobili, delle promesse mirabolanti: un pane, un vero pane è la sola risposta alla sua fame".
Dalla carità della scienza alla scienza della carità
Apostolo della Carità, passa - secondo un'efficace espressione del Cilento - "dalla carità della scienza alla scienza della carità" " senza però rinnegare in alcun modo la sua missione giovanile. E se le testimonianze inedite, che vengono alla luce in questi anni, sembrano mostrare che il Semeria - "impedito oltre ogni ragionevole speranza nell'apostolato culturale, e in specie in quello, a lui tanto caro della predicazione"(Pagano 1989) - venga dirottato sull'impegno meridionalistico "per bruciarne la prorompente energia spirituale e intellettuale" - attraverso un'analisi attenta degli scritti e dell'opera del barnabita, si noterà una esistenza coerente, unitaria: il concetto di carità non si è modificato, si è solo perfezionato, integrato, di una prospettiva, essenziale e complementare.
«Nell'azione s'illumina il pensiero - aveva, infatti, scritto - e non illumina solo il pensiero, comunica efficacia, autorità alla parola....Bisognava dare a quelle parole, perché fossero efficaci, il suggello infrangibile di una sincerità indubitabile - perché la prova classica della sincerità di chi parla è ciò che egli fa» (Quel cuore che ha tanto amato gli uomini 1967)
Ai Discepoli, agli amici, ai collaboratori chiede un amore particolare per la carità fatta di opere concrete, un amore fondato sulla dedizione totale, e dal momento che "alla Chiesa, mancano soldati, non terre da conquistare", chiede loro che abbiano, sempre, il giusto entusiasmo, e sufficienti energie per rispondere alle necessità del bisogno. Esclama infatti nel 1905:
"Amici ne abbiamo quanto basta per dirigere la nostra operosità... Lavoriamo, laboremus, lavoriamo a quel progresso morale degli individui e dell'umanità che non potrà essere maturo nella eternità se non siasi iniziato qui nel tempo."
La sua dipartita
Durante un viaggio a Sparanise di Caserta, per assistere i "suoi" orfani, Giovanni Semeria si spegne; al suo capezzale si trovano il suo amico Minozzi, i suoi orfanelli, ma anche suore, ammiratori, amici più cari. La sua tomba si trova a Monterosso al Mare, nella sua Liguria, in un luogo da lui molto amato.
Nel Giugno 1984, Padre Semeria, noto da tutti come "Fra' Galdino", verrà nominato Servo di Dio, primo passo per la beatificazione.
Attualmente, la strada che collega Coldirodi alla Via Aurelia, in Sanremo, è dedicata al padre barnabita.
Il commento moderno
Di lui parla Luigi Sturzo come di una figura di "meridionalista esemplare" (Scritti politici 1982), confermando il giudizio di Giustino Fortunato e della stessa "Civiltà Cattolica" che, dopo le tante amarezze del periodo romano - riferendosi all'azione educativa e sociale svolta dall'Opera Nazionale nelle regioni più abbandonate - scrive: "Ecco un'opera di vera ricostruzione" (Civiltà Cattolica 1921). Ma la conferma che la sua carità sia frutto di una scelta paolina, coerente e sinceramente cristiana, può essere vista nell'impegno morale e cristiano assunto dall'Opera verso le giovani generazioni. Un'Opera di carità che, dal 23 gennaio 1921, in oltre mezzo secolo, si caratterizzerà nel servizio a quanti vivono nel bisogno, esprimendo una testimonianza viva di quello che può, e deve essere, un pensiero veramente cristiano e moderno.
Un'Opera che, a tutt'oggi, conta 28 istituti di educazione, 42 scuole materne, 5 case per anziani, 2 centri giovanili, una casa di soggiorno e di spiritualità, 2 scuole magistrali, 10 scuole elementari, 3 pensionati universitari, 4 scuole di ricamo e - germoglio di una spiritualità sempre vicina alle esigenze del tempo - una missione a Haquaquecetuba, nelle terre più povere dell'immenso Brasile.
Oggi, sulla scorta di una riflessione più serena e di un'analisi più attenta dei documenti la critica storica va sempre più confermando che, fedele alla sua vocazione cristiana, il Semeria abbia, piuttosto, dimostrato verso la Chiesa "una fede sincera, un'intensa spiritualità, una vera lealtà" (Martina 1987, Zambarbieri 1975).
Esprimendo, all'interno del giovane pensiero cristiano, una riflessione ortodossa, cattolica, e romana, il Semeria avrebbe, infatti realizzato - secondo molti storici (Vercesi 1923, Gentili 1982, Scoppola 1961) ed alti rappresentanti della gerarchia ecclesiastica (Paolo VI 1968, Giovanni Paolo II 1980) - una generosa testimonianza di fedeltà ecclesiale a cui superficialità ed ignoranza (Erba, Siri 1966) opposero, talora, un ostile atteggiamento che non mancò di protrarsi fino alla calunnia, mostrando a quali danni può condurre, e a quali aberrazioni, uno zelo senza verità e carità; uno zelo che troppo spesso "non parlò secundum scientiam, e molto meno secondo verità, giustizia e carità".
▪ 1938 - Aleksej Ivanovič Rykov (iSaratov, 25 febbraio 1881 – Mosca, 15 marzo 1938) è stato un rivoluzionario e politico russo bolscevico, Presidente del Consiglio dei commissari del popolo dell'Unione Sovietica e Presidente del Consiglio dei commissari del popolo della RSSF Russa.
Aleksej Ivanovič Rykov nacque il 25 febbraio 1881 a Saratov, nella famiglia di un commerciante. Studiò giurisprudenza all'Università di Kazan', senza terminare gli studi. Nel 1898 si unì al Partito Operaio Social-Democratico Russo, ed in occasione del II Congresso del 1903, dopo la divisione in Bolscevichi e Menscevichi, divenne sostenitore della fazione bolscevica. Operò quindi per i Bolscevichi a Mosca, San Pietroburgo, Saratov, Kazan', Jaroslavl', Nižnij Novgorod e partecipò alla Rivoluzione Russa del 1905. Venne eletto membro del Comitato Centrale del partito sia al III Congresso del partito a Londra (boicottato dai Mescevichi), sia al IV Congresso, dell'Unificazione, a Copenaghen nel 1906. Fu anche eletto Membro Candidato (senza diritto di voto) al Comitato Centrale nel 1905.
Successivamente, sostenne Lenin nella sua lotta con Alexander A. Bogdanov per il controllo della fazione bolscevica nel 1908-9, e votò per l'espulsione di Bogdanov dal partito alla conferenza di Parigi del 1909. Ruppe poi con la linea di Lenin, quando questi tentò di creare un nuovo partito, basato sulla sola componente bolscevica, nel 1912. Questa disputa venne interrotta dall'esilio di Rykov in Siberia.
Rykov tornò dalla Siberia dopo la Rivoluzione di Febbraio del 1917 e si unì nuovamente ai Bolscevichi, pur rimanendo critico riguardo ad alcune delle loro posizioni più radicali. Divenne membro dei soviet di Mosca e di Pietrogrado. Al IV Congresso del Partito Bolscevico (23 luglio - 3 agosto 1917) venne eletto al Comitato Centrale. Nel corso della Rivoluzione d'Ottobre fu membro del Comitato Militare Rivoluzionario di Mosca.
Dopo la rivoluzione, il 26 ottobre (O.S.) 1917, Rykov venne nominato Commissario del Popolo (ministro) dell'Interno. Il 29 ottobre (O.S.), subito dopo la conquista bolscevica del potere, il Comitato Esecutivo del Sindacato Nazionale dei Ferrovieri (Vizkhel), minacciò uno sciopero nazionale, richiedendo ai Bolscevichi di allargare il potere ad altri partiti socialisti e di espellere dal governo Lenin e L.D.Trotsky. G.E.Zinov'ev, L.B.Kamenev ed alcuni loro alleati nel Comitato Centrale Bolscevico ritennero che non ci fosse altra possibilità per i Bolscevichi di cominciare il negoziato, in quanto uno sciopero delle ferrovie avrebbe minato la capacità del governo di combattere le forze ancora leali al deposto Governo Provvisorio. Anche se Zinov'ev, Kamenev e Rykov ebbero per un poco il sostegno della maggioranza del Comitato Centrale ed i negoziati ebbero realmente inizio, il rapido crollo delle forze anti-bolsceviche intorno a Pietrogrado permisero a Lenin e Trotsky di convincere il Comitato Centrale ad abbandonare le trattative in corso. In risposta, Zinov'ev, Kamenev, Rykov, V.Milyutin e V.P.Nogin si dimisero dal Comitato Centrale e dal governo il 4 novembre 1917 (O.S.).
Il 3 aprile 1918, Rykov venne nominato Presidente del Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale e mantenne questo ruolo per tutta la durata della Guerra Civile Russa. Il 5 luglio 1919, divenne anche membro del riorganizzato Consiglio Militare Rivoluzionario, in cui rimase fino all'ottobre 1919. Dal luglio 1919 all'agosto 1921, fu anche rappresentante speciale del Consiglio del Lavoro e della Difesa, per il vettovagliamento dell'Armata Rossa e della Marina. Rykov fu poi eletto al Comitato Centrale del Partito Comunista il 5 aprile 1920, dopo il IX Congresso del Partito e divenne membro dell'Orgburo, fino al 23 maggio 1924.
Una volta che i bolscevichi ebbero ottenuto la vittoria nella Guerra Civile, Rykov si dimise dal proprio incarico al Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale, il 28 maggio 1921. Il 26 maggio 1921 era stato nominato Vicepresidente del Consiglio del Lavoro e della Difesa della RSFSR, sotto la Presidenza di Lenin. Quando questi dovette via via farsi da parte a causa delle sue condizioni di salute, Rykov ne divenne Vice al Sovnarkom (Consiglio dei Commissari del Popolo) il 29 dicembre. Entrò anche nel Politburo in carica il 3 aprile 1922, dopo l'XI Congresso del Partito. Nel dicembre 1922, la formazione dell'Unione Sovietica rese necessaria una riorganizzazione della struttura di governo, in seguito alla quale Rykov fu nominato Presidente del Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale dell'URSS e Vicepresidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell'URSS il 6 luglio 1923.
Dopo la morte di Lenin, avvenuta il 21 gennaio 1924, Rykov si dimise dalla carica di Presidente del Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale dell'URSS e divenne Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell'URSS, e contemporaneamente del Sovnarkom della RSFSR, il 2 febbraio 1924. L'altro incarico di governo di Lenin, Presidente del Consiglio per il Lavoro e la Difesa dell'URSS, venne preso dal suo altro vice, Kamenev.
Insieme a N.I.Bucharin e M.P.Tomskij, Rykov guidava l'ala moderata del Partito Comunista negli anni '20, proponendo un parziale ripristino dell'economia di mercato nell'ambito delle norme della NEP. I moderati sostennero Stalin, Zinov'ev e Kamenev contro Trotsky e l'Opposizione di Sinistra nel 1923-24. Dopo la sconfitta di Trotsky e la rottura di Stalin con Zinov'ev e Kamenev nel 1925, Rykov, Bucharin e Tomskij sostennero ancora Stalin contro l'Opposizione Unificata di Trotsky, Zinov'ev e Kamenev nel 1926-27. Dopo l'attacco di Kamenev a Stalin, in occasione del XIV Congresso del Partito nel dicembre 1925, Kamenev perse la presidenza del Consiglio del Lavoro e della Difesa dell'URSS, posizione che venne occupata da Rykov il 19 gennaio 1926.
Declino e morte
Una volta sconfitte l'Opposizione Unificata nel dicembre del 1927, Stalin decise l'adozione di politiche più radicali ed arrivò allo scontro con l'ala moderata del partito. Le due fazioni manovrarono dietro le quinte per tutto il 1928, ma nel febbraio-aprile del 1929 lo scontro divenne manifesto, ed i moderati, etichettati come Opposizione di Destra, vennero sconfitti ed obbligati ad "ammettere i propri errori" nel novembre 1929. Rykov perse la carica di Presidente del Sovnarkom della RSFSR il 18 maggio 1929, ma mantenne le altre due cariche. Nel dicembre 1930, dopo un'altra ondata di "autocritiche", Rykov perse il suo posto nel Politburo il 21 dicembre 1930. Venne sostituito da V. Molotov come Presidente del Sovnarkom e Presidente del Consiglio del Lavoro e della Difesa dell'URSS, il 19 dicembre 1930.
Il 30 maggio 1930, Rykov era stato nominato Commissario del Popolo alle Poste e Telegrafi, una posizione che mantenne anche dopo la riorganizzazione del commissariato come Commissariato del Popolo alle Comunicazioni nel gennaio 1932. Il 10 febbraio 1934, venne declassato a membro candidato (senza diritto di voto) al Comitato Centrale del Partito. Il 26 settembre 1936, a seguito delle accusa mosse al primo processo pubblico di Mosca contro Kamenev e Zinov'ev e del suicidio di Tomskij, Rykov perse la carica di Commissario del Popolo alle Comunicazioni, ma mantenne la posizione di membro del Comitato Centrale.
Con l'intensificarsi delle Grandi Purghe di Stalin, all'inizio del 1937, Rykov e Bucharin vennero espulsi dal Partito Comunista ed arrestati il 27 febbraio, nel corso del plenum del Comitato Centrale di febbraio-marzo 1937. Nel marzo 1938, Rykov, insieme a Bucharin, Jagoda, Krestinskij e Rakovskij, venne messo sotto processo al terzo processo pubblico di Mosca, con l'accusa di aver cospirato con Trotsky contro Stalin. Come gli altri accusati, Rykov venne giudicato colpevole di tradimento, condannato a morte e fucilato.
Il governo sovietico annullò il verdetto nel 1988, durante il periodo della perestrojka.
* 1945 - Pierre Drieu La Rochelle (Parigi, 3 gennaio 1893 – Parigi, 15 marzo 1945) è stato uno scrittore e saggista francese.
Nato da una famiglia normanna, piccolo borghese e nazionalista residente nel XVII arrondissement di Parigi e straziata dai problemi coniugali ed economici, Drieu La Rochelle studia alla Scuola Libera di scienze politiche (École Libre des Sciences Politiques).
E' bocciato all’esame finale e sentendosi preclusa la carriera diplomatica che sognava di intraprendere pensa per la prima volta al suicidio, tentazione costante durante la sua vita. Nel 1914 parte per il fronte. Esce traumatizzato dalla esperienza della Prima guerra mondiale e ne trae ispirazione per scrivere la raccolta di novelle La comédie de Charleroi che sarà pubblicata nel 1934.
Nel 1917 sposa Colette Jéramec, sorella di André Jéramec, suo migliore amico, dalla quale divorzia nel 1921. Sempre nel 1917 La Nouvelle Revue française pubblica Interrogation, il suo primo libro.
Vicino ai surrealisti e ai comunisti negli anni 1920, si interessa anche all’Action Française, senza aderire a nessuno di questi movimenti e stringe amicizia con Louis Aragon. Si fa conoscere, nel 1922, con un saggio Mesure de la France, e pubblica diversi romanzi. Nel saggio Genève ou Moscou (Ginevra o Mosca), nel 1928, prende posizioni pro-europeiste, che lo portano ad avvicinarsi successivamente a certi ambienti padronali, in particolar modo all’organizzazione Redressement français diretta da Mercier, poi a certe correnti del Partito radicale, alla fine degli anni 1920 e all’inizio degli anni 1930.
Nelle settimane che seguono le manifestazioni anti-parlamentari di destra ed estrema destra del 6 febbraio 1934, collabora alla rivista La Lutte des Jeunes (La Lotta dei Giovani) e si dichiara fascista, vedendo qui una soluzione alla sue proprie contraddizioni e un rimedio a ciò che considera la decadenza materialista delle società moderne.
In Ottobre pubblica il saggio Socialisme fasciste, e si colloca nel solco del primo socialismo francese, quello di Saint-Simon, Proudhon e Charles Fourier. Questa scelta intellettuale lo conduce ad aderire nel 1936 al Partito Popolare Francese, fondato da Jacques Doriot, e a diventare, fino alla sua rottura con il PPF all’inizio del 1939, editorialista della pubblicazione del movimento L'Émancipation Nationale (L'Emancipazione Nazionale).
Contemporaneamente redige il suo romanzo più noto, Gilles. Durante l’occupazione diventa direttore de La Nouvelle Revue française (NRF) e si schiera a favore di una politica di collaborazione con la Germania, che egli spera si metta alla testa di una sorta di Internazionale fascista. A partire dal 1943, disilluso, rivolge le sue preoccupazioni alla storia delle religioni orientali mentre, in un ultimo gesto provocatorio aderisce di nuovo al PPF, dichiarando nel diario segreto tutta la sua ammirazione per lo stalinismo.
Alla liberazione di Parigi nel 1944, rifiutando l’esilio è costretto a nascondersi. Sarà aiutato da alcuni amici, tra cui André Malraux e l’ex moglie Colette Jéramec. Dopo i due tentativi falliti dell’11 e 12 agosto 1944, il 15 marzo 1945 stacca il tubo del gas e ingerisce una forte dose di fenobarbital. È considerato uno dei più importanti interpreti, in ambito letterario, di quel cosiddetto "socialismo fascista", caro a molti intellettuali di destra e ben descritto nel saggio Fascismo immenso e rosso dello scomparso giornalista Giano Accame.
▪ 1975 - Aristoteles Sokrates Homer Onassis (in greco: Αριστοτέλης Ωνάσης) (Smirne, 15 gennaio 1906 – Neuilly-sur-Seine, France, 15 marzo 1975) è stato un armatore greco.
….Intanto, nel 1945 aveva sposato Athina Mary Livanos, figlia dell'armatore Stavros Livanos, con la quale entrerà attivamente a far parte dell'alta Società Europea. Con la Livanos ha due figli, Alexander e Christina. Il suo ruolo di importante uomo d'affari non lo tiene certo lontano dalla vita mondana, anzi Onassis è proprio un frequentatore assiduo del mondo che conta. Sul suo panfilo Christina, ospita regolarmente il gotha internazionale.
È spesso presente in Italia: nel 1957, dopo aver divorziato da Athina, incontra Maria Callas, soprano emergente e sua conterranea, anche se nata in America. Inizia, nel 1959, una relazione con la Divina: sarà un grande e tormentato amore. L'armatore si merita il soprannome di "collezionista di donne celebri".
Nel 1968 Onassis, terminata la relazione con la cantante, si sposa infatti con la vedova di John F. Kennedy, Jacqueline Lee Bouvier. Il matrimonio tra Jacqueline e l'armatore non funzionò apparentemente bene: la coppia raramente trascorse del tempo insieme, in più del minimo garantito dal rigido contratto pre-matrimoniale che avevano stilato, e Jacqueline finì per dedicarsi ai viaggi e allo shopping.
Nonostante Onassis si trovasse bene con i figliastri Caroline e John (il figlio Alexander diede al giovane John le prime lezioni di volo, e per ironia del destino entrambi sono morti in seguito a incidenti aerei), la figlia Christina Onassis non legò mai con Jacqueline. Il 23 gennaio 1973 un immenso dolore lo colpisce: Alexander, l'unico figlio maschio, muore in seguito alle ferite riportate in un incidente aereo. A soli sessantanove anni Onassis è un uomo vecchio, triste e malandato. Morirà il 15 marzo 1975, per un'infezione, dopo un intervento. Finisce così la leggenda, dell'umile ragazzo greco alla conquista del mondo.
La sua fortuna fu stimata nel 1975 in circa 500 milioni di dollari del tempo.
▪ 1998 - Benjamin McLane Spock (New Haven , Connecticut, 2 maggio 1903 – La Jolla , California, 15 marzo 1998) è stato un medico pediatra statunitense che raggiunse la fama col un libro di consigli alle madri (Common Sense Book of Baby and Child Care) pubblicato per la prima volta nel 1946 e che fu uno dei maggiori successi editoriali dell'immediato dopoguerra (8 milioni di copie).
Il libro fu tradotto in tutte le principali lingue del mondo. Spock aveva avuto l'abilità di trattare temi molto popolari (soprattutto presso le donne), come la gravidanza, il parto, l'alimentazione e le cure del bambino, con un linguaggio semplice e brillante, spregiudicato e anticonformista, presentando progressi e orientamenti della ginecologia e della pediatria come novità rivoluzionarie derivanti anche della sua esperienza professionale. Principale tesi di Spock, largamente criticata, fu la necessità di un forte permissivismo da parte dei genitori verso i propri bambini.
Negli anni - sulla base degli effetti devastanti del permissivismo ad oltranza poi verificato nella crescita dei bambini - Spock rivide drasticamente la propria tesi. Ha preso una chiara posizione contro l'abitudine di nutrire i bambini con il latte di mucca. Ha affermato che può causare anemia, allergie e diabete insulino-dipendente e sul lungo termine mettere le basi per lo sviluppo di malattie cardiache e obesità.
Si è anche interessato di politica e nel 1972 si è candidato, sostenuto dal piccolo People's Party, alle elezioni presidenziali statunitensi in cui ha raccolto però solo lo 0,1% dei consensi.