Il calendario del 15 Aprile
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Eventi
▪ 1450 - Battaglia di Formigny; i francesi attaccano e sconfiggono le forze inglesi, ponendo termine alla dominazione inglese in Francia
▪ 1632 - Guerra dei Trent'Anni: Battaglia di Rain; le forze svedesi guidate da Gustavo Adolfo sconfiggono l'esercito del Sacro Romano Impero
▪ 1783 - USA: ratifica degli articoli preliminari che pongono termine alla Rivoluzione americana
▪ 1792 - Parigi, collaudata la versione francese della ghigliottina, utilizzando dei cadaveri
▪ 1865 - Andrew Johnson diventa il diciassettesimo presidente degli Stati Uniti
▪ 1867 - Risorgimento: termina il processo all'ammiraglio Carlo Pellion di Persano, sconfitto nella battaglia navale di Lissa contro la flotta austriaca; sarà condannato al pagamento delle spese processuali e alla degradazione
▪ 1874 - Parigi, 35 boulevard des Capucines, si inaugura la Prima mostra degli impressionisti
▪ 1875 - Parigi l'aerostato Zenith raggiunge gli 8000 metri di altezza: al rientro, due dei tre occupanti stanno morendo per emorragia polmonare
▪ 1877 - Amsterdam l'industriale napoletano Francesco Cirio viene premiato all'esposizione Universale per la qualità delle sue conserve
▪ 1896 - Atene si tengono i primi Giochi Olimpici dell'era moderna
▪ 1912 - Oceano Atlantico: il transatlantico Titanic colpisce un iceberg e affonda durante il suo viaggio inaugurale tra la mezzanotte e le 2:30 della notte tra il 14 e il 15 aprile
▪ 1919 - A Milano squadre di nazionalisti, allievi ufficiali e arditi danno alle fiamme la redazione del giornale socialista "Avanti!"
▪ 1920 - Gli anarchici italiani Sacco e Vanzetti vengono accusati dell'uccisione di un contabile e di un agente di sicurezza durante una rapina ad un negozio di scarpe
▪ 1923 - Introduzione sul mercato della insulina per diabetici
▪ 1939 - Franklin Delano Roosevelt manda un messaggio a Roma e Berlino, chiedendo l'impegno a non commettere altre aggressioni per dieci anni contro una lista di 31 paesi
▪ 1940 - Seconda guerra mondiale: in Norvegia le forze alleate iniziano l'attacco alla città di Narvik occupata dalle forze naziste
▪ 1941 - Igor Sikorsky fa volare il suo Vought-Sikorsky VS-300, un prototipo di elicottero a tre pale per un'ora, cinque minuti e quindici secondi
▪ 1942 - Seconda guerra mondiale: il generale americano Douglas Mac Arthur assume il comando di tutte le forze armate del Pacifico
▪ 1943- Seconda guerra mondiale: gli alleati bombardano le città di Catania, Palermo, Messina, Napoli
▪ 1949 - Papa Pio XII pubblica l'enciclica "Redemptoris nostri", nella quale esprime posizione favorevole alla internazionalizzazione del territorio di Gerusalemme
▪ 1959 - Italia a Ispra, in provincia di Varese, si inaugura il primo reattore nucleare italiano
▪ 1978 - Presso la località di Murazze di Vado un deragliamento causa un incidente tra un treno passeggeri e la Automotrice ALe.601 "Freccia della Laguna". La caduta di alcuni veicoli in un dirupo causa 42 morti e 120 feriti.
▪ 1982 - Giustiziati al Cairo cinque dei responsabili dell'assassinio del presidente Anwar al Sadat
▪ 1983 - Giappone: apre Tokyo Disneyland
▪ 1989
- - Inghilterra: 96 persone muoiono schiacciate nella calca all'interno dello stadio di Hillsborough a Sheffield, in occasione della partita di calcio di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest
- - Cina: inizia la protesta di Piazza Tien an men
▪ 1994 - Rappresentanti di 124 paesi e dell'Unione Europea firmano l'Accordo di Marrakesh per riorganizzare i traffici mondiali e gettare le basi per il prossimo WTO (World Trade Organization) che diventerà effettivo il 1º gennaio 1995)
▪ 2000 - Al Museo archeologico nazionale di Napoli, dopo secoli di censure, viene riaperta definitivamente al pubblico la collezione riservata dei Borboni chiamata "Gabinetto Segreto", costituita da reperti a soggetto erotico o sessuale rinvenuti negli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano. Vastissima eco internazionale.
▪ 2002 - Corea del Sud: sciagura aerea coinvolge un Boeing 767-200 della Air China nei pressi di Pusan, 122 vittime
▪ 2008 - Elezioni politiche italiane del 2008 Vengono resi noti i risultati delle elezioni, vince il PDL con circa 8 punti percentuale di vantaggio.
Anniversari
▪ 1446 - Filippo Brunelleschi, per esteso Filippo di ser Brunellesco Lapi (Firenze, 1377 – 15 aprile 1446), è stato un architetto, ingegnere, scultore, orafo e scenografo italiano del Rinascimento.
Fu uno dei tre primi grandi iniziatori del Rinascimento fiorentino con Donatello e Masaccio.
In particolare Brunelleschi, che era il più anziano, fu il punto di riferimento per gli altri due e a lui si deve l'invenzione della prospettiva a punto unico di fuga, o "prospettiva lineare centrica".
Dopo un apprendistato come orafo e una carriera come scultore si dedicò principalmente all'architettura, costruendo, quasi esclusivamente a Firenze, edifici sia laici sia ecclesiastici che fecero scuola. Tra questi spicca la cupola di Santa Maria del Fiore, un capolavoro ingegneristico costruito senza l'ausilio delle tecniche tradizionali, quali la centina.
Con Brunelleschi nacque la figura dell'architetto moderno che, oltre ad essere coinvolto nei processi tecnico-operativi, come i capomastri medievali, ha anche un ruolo sostanziale e consapevole nella fase progettuale: non esercita più un'arte meramente "meccanica", ma è ormai un intellettuale che praticava un'"arte liberale", fondata sulla matematica, la geometria, la conoscenza storica.
La sua architettura si caratterizzò per la realizzazione di opere monumentali di ritmata chiarezza, costruite partendo da una misura di base (modulo) corrispondenti a numeri interi, espressi in braccia fiorentine, da cui ricava multipli e sottomultipli per proporzionare un intero edificio. Riprese gli ordini architettonici classici e l'uso dell'arco a tutto sesto, indispensabili per la razionalizzazione geometrico-matematica delle piante e degli alzati. Un tratto distintivo della sua opera è anche la purezza di forme, ottenuta con un ricorso essenziale e rigoroso agli elementi decorativi. Tipico in questo senso fu l'uso della grigia pietra serena per le membrature architettoniche, che risaltava sull'intonaco chiaro delle pareti.
Il concorso per la cupola di Santa Maria del Fiore (1418)
Già dal primo decennio del XV secolo Brunelleschi ricevette incarichi da parte della Repubblica di Firenze per la costruzione o ristrutturazioni di fortificazioni, come quelle di Staggia (1431) o di Vicopisano, che sono le meglio conservate delle sue architetture militari. Poco dopo iniziò a studiare il problema della cupola di Santa Maria del Fiore, che fu l'opera esemplare della sua vita, dove sono presenti anche intuizioni esplicitate poi in opere future.
Brunelleschi era già stato interpellato più volte riguardo alla fabbrica del Duomo: nel 1404 con una commissione consuntiva circa un contrafforte, nel 1410 per una fornitura di mattoni, nel 1417 per non precisate "fatiche durate intorno alla cupola". Tra il 1410 e il 1413 era intanto stato costruito il tamburo ottagonale, alto tredici metri da soffitto della navata maggiore, largo non meno di 42 e con muri spessi quattro metri, che aveva ulteriormente complicato il progetto originario di Arnolfo di Cambio. Una cupola così grande non era mai stata messa in opera dai tempi del Pantheon e le tecniche tradizionali, con le impalcature e le armature di legno, sembravano improponibili per l'altezza e la vastità del foro da coprire. Nessuna varietà di legno avrebbe potuto reggere nemmeno provvisoriamente il peso di una copertura così ampia finché la cupola non fosse stata chiusa dalla lanterna.
Il 19 agosto del 1418 venne bandito un concorso pubblico per affrontare il problema della copertura offrendo 200 fiorini d'oro a chi fornisse dei modelli e disegni soddisfacenti per le centine, le armature, i ponti, gli strumenti per sollevare il materiale e quant'altro. Oltre ai problemi tecnici e ingegneristici, la cupola doveva anche concludere armonicamente l'edificio, sottolineandone il valore simbolico e imponendosi sullo spazio urbano e dei dintorni.
Dei diciassette partecipanti vennero ammessi a una seconda selezione Filippo Brunelleschi, autore di un apposito modello ligneo, e Lorenzo Ghiberti.
Filippo allora perfezionò il suo modello ligneo ("grande come un forno"), apportando variazioni, aggiustamenti e modelli aggiuntivi, per dimostrare la fattibilità di una cupola senza armatura. A fine del 1419, con l'aiuto di Nanni di Banco e Donatello, Brunelleschi inscenò una dimostrazione in piazza del Duomo, realizzando un modello di cupola in mattoni e calcina senza armatura, nello spazio tra il Duomo e Campanile. La dimostrazione impressionò positivamente gli Operai del Duomo e risulta pagato 45 fiorini d'oro, il 29 dicembre 1419.
Il 27 marzo 1420 fu sollecitata una consultazione finale, che assegnò infine i lavori (il 26 aprile) a Brunelleschi e Ghiberti, nominati Provveditori della cupola, affiancandoli al capomastro della fabbrica Battista d'Antonio. Lo stipendio era modesto: solo tre fiorini a testa. Il "vice" sostituto di Brunelleschi fu Giuliano d'Arrigo, detto il Pesello, mentre Ghiberti nominò Giovanni di Gherardo da Prato. La decisiva consultazione venne festeggiata con una colazione a base di vino, baccelli, pane e melarance.
▪ 1719 - Madame de Maintenon nata Françoise d'Aubigné (Niort, 24 novembre 1635 – Saint-Cyr-l'École, 15 aprile 1719) fu amante e moglie morganatica segreta di Luigi XIV di Francia.
Il matrimonio con il Re Sole
Caduta progressivamente in disgrazia Madame de Montespan, morta la regina Maria Teresa nel 1683, il re decise di sancire il fatto che lui e Madame erano la vera coppia parentale dei figli della Montespan, facendo di Madame de Maintenon, sposata con una cerimonia segreta nella notte fra il 9 e il 10 ottobre, la propria moglie morganatica (il matrimonio morganatico sancisce la relazione personale tra due soggetti di condizione sociale diversa - uno nobile e uno no, in genere: ciascuno dei due mantiene la propria posizione sociale originaria, e i figli nati in questo tipo di matrimonio non sono bastardi, ma neppure legittimi).
Il matrimonio restò segreto, ma dopo un po' la corte cominciò a mormorare: Ezechiel Spanheim, ambasciatore del Brandeburgo, scriveva:
"... questa relazione [tra il re e la marchesa], che per molto tempo è stata attribuita esclusivamente alla stima del re e alla piacevolezza di spirito e di carattere della dama, si rivelò in seguito così grande e particolare che si sparse la voce che il re l'avesse sposata segretamente (...). Questa idea, che all'inizio fu presa come una chiacchiera di corte destinata a ridicolizzare questo specialissimo attaccamento del re, in seguito cominciò a sembrare a molti non infondata, anche se nessuno osa sostenerla esplicitamente. Coloro che ne sono convinti l'attribuiscono a certe inclinazioni devote del re, ad un suo desiderio di mortificazione dei sensi e di penitenza per i suoi amori peccaminosi, ed anche ad un comportamento particolare della dama, che è riuscita prima a conquistare interamente l'amicizia e la confidenza di Sua Maestà, e poi a condurlo - o per timore di ricadere nelle passate debolezze, o anche in considerazione dei danni che gliene erano derivati - a fare di lei non solo la sua confidente, ma addirittura (se le chiacchiere sono vere) la moglie legittima.".
Luigi XIV aveva allora 45 anni, Madame de Maintenon addirittura 48.
Le fu attribuita una grande influenza sul re e sulla corte, fatta di rigore e di austerità.
A questa influenza si disse dovuta la revoca dell'Editto di Nantes nel 1685, che, provocando l'esodo massiccio dei protestanti e dei loro capitali, ebbe per effetto la rovina delle finanze e dell'economia francesi, e lo scatenamento della Guerra di successione spagnola nel 1701.
Benché sia stata accusata di essere causa di ogni male, ed abbia indubbiamente imposto alla corte un clima di devozione e di rigore, gli storici ancora s'interrogano circa il suo effettivo ruolo e il peso della sua influenza sul Re.
Memore delle proprie sciagure giovanili, nel 1686 fondò a Sant-Cyr (divenuta poi per ciò Saint-Cyr-l'École), la Maison royale de Saint-Louis, un collegio dove fanciulle nobili e povere venivano educate in vista del matrimonio e del loro futuro nel mondo. Con la Rivoluzione il collegio fu brevemente trasformato in scuola per i figli degli ufficiali (1790-1793), poi in ospedale militare (fino al 1808), poi divenne la Scuola speciale militare di Saint-Cyr.
Gli ultimi 30 anni della vita di madame de Maintenon furono consacrati all'istituzione che aveva creato e alla salvezza delle anime, in particolare di quella del re. Tre giorni prima della morte del re nel 1715 si ritirò a Saint-Cyr, dove restò fino alla propria morte, nel 1719.
Epitaffio
Ormai vecchia, dettò lei stessa un geniale epitaffio della propria vita, a mo' di drappo trionfale lanciato su pettegolezzi e invidie sconfitte:
«Nella lunga esperienza che ho accumulato - giacché ho superato le 80 primavere - ho potuto constatare che la Verità esiste solo in Dio, e il resto non è che questione di punti di vista.»
▪ 1764 - Jeanne-Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour, conosciuta anche come Madame de Pompadour (Parigi, 29 dicembre 1721 – Versailles, 15 aprile 1764), è stata una celebre amante del re di Francia Luigi XV e la donna francese più potente del XVIII secolo.
«La ragazza era ben educata, saggia, amabile, piena di grazia e di talento, nata con del buon senso e del buon cuore. Io la conoscevo bene; fui anche confidente dei suoi amori. Mi confessò di aver sempre avuto il segreto presentimento che sarebbe stata amata dal re e che, senza rendersene conto, si era sentita crescere dentro una violenta passione per lui» (Voltaire, Mémoires)
▪ 1865 - Abraham Lincoln (generalmente citato, nei testi in lingua italiana, come Abramo Lincoln; Hodgenville, 12 febbraio 1809 – Washington, 15 aprile 1865) è stato un politico statunitense. È stato il 16º Presidente degli Stati Uniti d'America, e il primo ad appartenere al Partito Repubblicano. È considerato sia dalla storiografia sia dall'opinione pubblica uno dei più importanti e popolari presidenti degli Stati Uniti.
Fu il presidente che pose fine alla schiavitù, prima con la Proclamazione dell'Emancipazione (1863), che liberò gli schiavi negli Stati dell'Unione, e poi con la ratifica del Tredicesimo Emendamento della Costituzione Americana, con il quale nel 1865 la schiavitù venne abolita in tutti gli Stati Uniti. A Lincoln è riconosciuto il merito di aver allo stesso tempo preservato l'unità federale della nazione, sconfiggendo gli Stati Confederati d'America (favorevoli al mantenimento della schiavitù) nella Guerra di secessione americana.
L'operato di Lincoln ha avuto una duratura influenza sulle istituzioni politiche e sociali degli Stati Uniti, dando inizio a un maggiore accentramento del potere del governo federale e ponendo un limite al raggio d'autonomia dei governi dei singoli Stati. L'autorevolezza di Lincoln è stata rafforzata dalla sua abilità di oratore, e il Discorso di Gettysburg, il più significativo e famoso da lui pronunciato, è considerato una delle pietre miliari dell'unità e dei valori della nazione americana.
Alcuni sostenitori dei "diritti degli Stati" (in particolare coloro che guardavano con favore alle posizioni dei Confederati), hanno considerato Lincoln un autoritario, che sospese le libertà civili e la segretezza della votazione, fece giustiziare i dimostranti contrari alla guerra, e soppresse il legittimo diritto di secessione, per il quale lo stesso Lincoln aveva discusso nel 1848. Altri critici enfatizzano il credo di Lincoln nella supremazia bianca (si veda il Dibattito Lincoln-Douglas del 1858) e l'iniziale appoggio alla schiavitù.
Lincoln e la schiavitù
La posizione di Lincoln riguardo alla liberazione dalla schiavitù degli afroamericani è a tutt'oggi oggetto di controversie, nonostante la frequenza e la chiarezza con cui la sostenne sia prima della sua elezione come presidente (vedi Controversie Lincoln-Douglas del 1858) sia dopo (vedi Primo discorso inaugurale di Lincoln). Espose la sua posizione con forza e in brevi parole in una lettera a Horace Greeley del 22 agosto 1862.
«Io salverei l'Unione. La salverei nella maniera più rapida al cospetto della Costituzione degli Stati Uniti. Prima potrà essere ripristinata l'autorità nazionale, più simile sarà l'Unione "all'Unione che fu". Se ci fosse chi non desidera salvare l'Unione, a meno di non potere allo stesso tempo salvare la schiavitù, io non sarei d'accordo con costoro. Se ci fosse chi non desidera salvare l'Unione a meno di non poter al tempo stesso sconfiggere la schiavitù, io non sarei d'accordo con costoro. Il mio obiettivo supremo in questa battaglia è di salvare l'Unione, e non se porre fine o salvare la schiavitù. Se potessi salvare l'Unione senza liberare nessuno schiavo, io lo farei; e se potessi salvarla liberando tutti gli schiavi, io lo farei; e se potessi salvarla liberando alcuni e lasciandone altri soli, io lo farei anche in questo caso. Quello che faccio a riguardo della schiavitù, e della razza di colore, lo faccio perché credo che aiuti a salvare l'Unione; e ciò che evito di fare, lo evito perché non credo possa aiutare a salvare l'Unione. Dovrò fermarmi ogni volta che crederò di star facendo qualcosa che rechi danno alla causa, e dovrò impegnarmi di più ogni volta che crederò che fare di più rechi giovamento alla causa. Dovrò provare a correggere gli errori quando dimostreranno d'essere errori; e dovrò adottare nuove vedute non appena mostreranno di essere vedute corrette»
«Ho sostenuto qui i miei propositi in accordo con il punto di vista dei miei obblighi ufficiali; e non ho intenzione di modificare la mia più volte ribadita volontà personale che tutti gli uomini possano essere liberi»
In ogni caso, al momento in cui scrive questa lettera, Lincoln stava già andando verso l'emancipazione, cosa che avrebbe portato alla Proclamazione dell'emancipazione.
È inoltre rivelatoria la sua lettera scritta un anno dopo a James Conkling il 26 agosto 1863, che includeva il seguente estratto:
«Ho pensato che nella vostra lotta per l'Unione, a qualsiasi livello i negri abbiano cessato di aiutare il nemico, a tale livello hanno indebolito la resistenza del nemico nei vostri confronti. La pensate diversamente? Ho pensato che qualsiasi negro che possa essere impiegato come soldato, lascia meno da fare ai soldati bianchi per salvare l'Unione. Vi sembra vada diversamente? Ma i negri, come le altre persone, agiscono in base a motivazioni. Perché dovrebbero fare qualcosa per noi, se non faremo niente per loro? Se mettono a rischio le loro vite per noi, devono essere spinte dal più forte dei motivi—anche la promessa della libertà. E la promessa fatta, deve essere mantenuta»
«Voi dite che non combatterete per liberare i negri. Alcuni di loro sembrano disposti a lottare per voi; ma non importa. Combattete allora esclusivamente per salvare l'Unione. Ho emanato la proclamazione di proposito per aiutarvi a salvare l'Unione. Nel momento in cui avrete vinto tutta la resistenza all'Unione, se vi inciterò a combattere ancora, sarà il momento buono per voi di dichiarare che non combatterete per liberare i negri»
«C'è voluto più di un anno e mezzo per sopprimere la ribellione prima che fosse tenuta la proclamazione, gli ultimi cento giorni dei quali passati con l'esplicita coscienza che stava arrivando, senza essere avvertita da quelli in rivolta, ritornando alle loro faccende. La guerra è progredita in modo a noi favorevole dall'annuncio della proclamazione. So, per quanto sia possibile conoscere le opinioni degli altri, che alcuni comandanti delle nostre armate in campo, che ci hanno dato i successi più importanti, credono nella politica dell'emancipazione e l'uso delle truppe di colore costituisce il colpo più pesante finora sferrato alla Ribellione, e che almeno uno di questi importanti successi non sarebbe stato raggiunto se non fosse stato per l'aiuto dei soldati neri. Tra i comandanti che hanno queste opinioni ve ne sono alcuni che non hanno mai avuto alcuna affinità con quello che viene chiamato abolizionismo o con le politiche del partito repubblicano ma le sostengono dalla prospettiva puramente militare. Sottometto queste opinioni come intitolate a una certa rilevanza contro le obiezioni spesso mosse che emancipare e armare i neri siano scelte militari poco sagge e non siano state adottate come tali in buona fede»
Proclamazione dell'emancipazione
Lincoln è spesso accreditato come colui che liberò gli schiavi afro-americani con la Proclamazione dell'emancipazione, anche se questo liberò solo gli schiavi nelle aree della Confederazione non ancora controllate dall'Unione; nei territori occupati e del nord, gli schiavi non vennero liberati. In ogni caso, la proclamazione abolì la schiavitù negli stati ribelli, uno degli obiettivi della guerra, e divenne l'input per la modifica del tredicesimo e del quattordicesimo emendamento della costituzione americana che rispettivamente abolivano la schiavitù e stabilivano i diritti civili federali. Nonostante le conseguenze che ebbe la sua azione determinante nella lotta alla schiavitù, le sue posizioni su tale fenomeno non erano poi così all'avanguardia. A dimostrazione di ciò è chiarificante una sua dichiarazione del 1858:
«Non sono, e non sono mai stato, favorevole a una qualsiasi realizzazione della parità sociale e politica della razza bianca e nera; esiste una differenza fisica tra la razza bianca e nera che credo impedirà per sempre alle due razze una convivenza in termini di parità sociale e politica. E poiché esse non possono convivere in questa maniera, finché rimangono assieme ci dovrà essere la posizione superiore e inferiore, e io, al pari di chiunque altro, sono favorevole a che la posizione superiore venga assegnata alla razza bianca »
Il discorso di Gettysburg
Lincoln mostrò un carisma magnetico alla popolazione dell'Unione durante la guerra come è evidenziato dal discorso di Gettysburg, un discorso tenuto in occasione della dedica di un cimitero per i soldati dell'Unione morti nella battaglia di Gettysburg del 1863. Mentre la maggioranza di coloro che tennero discorsi (come per esempio Edward Everett) parlarono a lungo all'evento, alcuni per ore, le poche parole scelte di Lincoln risuonarono attraverso la nazione e la storia, sconfiggendo la predizione fatta da Lincoln stesso che "il mondo non le annoterà, e non sarà ricordato a lungo quello che diciamo qui". Mentre ci sono pochi documenti relativi agli altri discorsi del giorno, quello di Lincoln è ritenuto essere uno dei più grandi della storia.
La guerra di secessione
La guerra fu una fonte di costante frustrazione per il presidente, e occupò quasi tutto il suo tempo. Dopo ripetute delusioni da parte del Generale George McClellan e di una fila di altri comandanti generali di scarso successo, Lincoln si affidò alla fiduciosa decisione di nominare un comandante dell'esercito radicale e in qualche modo scandaloso: il generale Ulysses S. Grant. Grant avrebbe applicato il suo sapere militare e il suo talento nella conduzione degli uomini, per arrivare alla fine della guerra.
Quando Richmond, la capitale confederata, venne infine catturata, Lincoln vi si recò per compiere un gesto pubblico, sedendosi alla scrivania di Jefferson Davis, dicendo in maniera simbolica alla nazione che il Presidente degli Stati Uniti aveva autorità su tutto il territorio. Venne accolto in città come un eroe conquistatore dagli schiavi liberati, i cui sentimenti vennero riassunti dalla frase di un ammiratore, "So che sono libero perché ho visto il volto di Padre Abramo e l'ho sentito."
La ricostruzione dell'Unione pesò molto sulla mente del presidente. Egli era determinato a intraprendere un percorso che non avrebbe alienato permanentemente gli ex stati confederati.
Nel 1864, Lincoln fùù il primo e unico presidente ad affrontare un'elezione presidenziale durante la guerra. La durata della guerra e la questione dell'emancipazione apparvero ostacolare gravemente le sue prospettive e una sconfitta elettorale nei confronti del candidato democratico George McClellan appariva probabile. Comunque, una serie di tempestive vittorie dell'Unione, poco prima del giorno delle elezioni, cambiarono la situazione in modo sostanziale e Lincoln venne rieletto.
Durante la guerra di secessione Lincoln ebbe poteri che nessun presidente precedente aveva detenuto; sospese il precetto dell'habeas corpus e imprigionò di frequente le spie e i simpatizzanti sudisti senza processo. D'altra parte, spesso annullò le esecuzioni.
L'assassinio
Dopo la fine della guerra, Lincoln si era incontrato di frequente con il generale Grant. I due uomini pianificavano la ricostruzione del Paese ed era nota a tutti la loro stima reciproca. Durante il loro ultimo incontro, il 14 aprile 1865 (Venerdì Santo), Lincoln aveva invitato il generale Grant a un evento mondano per quella sera, ma Grant aveva declinato.
Senza la compagnia del generale e senza la sua guardia del corpo Ward Hill Lamon, al quale il Presidente aveva raccontato il famoso sogno premonitore del suo assassinio, i Lincoln andarono al Ford's Theatre, a Washington, dove era in programmazione Our American Cousin, una commedia musicale dello scrittore britannico Tom Taylor (1817-1880). Nell'istante in cui Lincoln prese posto nel palco presidenziale, John Wilkes Booth, un attore della Virginia simpatizzante sudista, entrò nel palco e sparò un colpo di pistola calibro 44 alla testa del Presidente, gridando "Sic semper tyrannis!" (Latino: "Così sempre per i tiranni!" - motto dello Stato della Virginia e frase storicamente pronunciata da Bruto nell'uccidere Cesare. Secondo altre versioni gridò "Il Sud è vendicato"), saltando successivamente giù dal palco e rompendosi una gamba.
I cospiratori avevano pianificato l'assassinio di altri ufficiali del governo nello stesso istante, ma Lincoln fu l'unica vittima. Booth si trascinò al proprio cavallo e riusci a fuggire, mentre il Presidente colpito a morte fu portato in una casa dall'altro lato della strada oggi chiamata Petersen House, dove giacque in coma per alcune ore prima di spirare. Fu ufficialmente dichiarato morto alle 7:21 del mattino del 15 aprile 1865.
Booth fu scoperto nascosto in un granaio e venne ucciso; diversi altri cospiratori vennero infine catturati e impiccati o imprigionati. Quattro persone furono giudicate da un tribunale militare e impiccate per complicità nell'assassinio: David Herold, George Atzerodt, Lewis Powell (alias Lewis Payne) e Mary Surratt (la prima donna a essere giustiziata negli Stati Uniti). Tre persone vennero condannate all'ergastolo (Michael O'Laughlin, Samuel Arnold, e Samuel Mudd), mentre Edman Spangler fu condannato a sei anni di carcere. John Surratt, giudicato successivamente da una corte civile, fu prosciolto. L'equità delle condanne, in particolare quella di Mary Surratt, è stata messa in discussione ed esistono dubbi sul grado del suo coinvolgimento nella cospirazione.
Il corpo di Lincoln fu riportato in Illinois in treno, con un grandioso corteo funebre che attraversò diversi stati. L'intera nazione pianse l'uomo che molti consideravano il salvatore degli Stati Uniti, nonché protettore e difensore di ciò che Lincoln stesso chiamava "il governo della gente, dalla gente e per la gente". Alcuni critici sostengono come in realtà fossero i Confederati a difendere il loro diritto all'auto-governo, diritto che Lincoln aveva soppresso, e come l'unità degli Stati fosse stata preservata a discapito della sua natura volontaria.
▪ 1903 - Giovanni Bovio (Trani, 6 febbraio 1837 – Napoli, 15 aprile 1903) è stato un filosofo e politico italiano, sistematizzatore dell'ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d'Italia.
Autodidatta, pubblica nel 1864 Il Verbo Novello, un poema filosofico scritto con intonazione enfatica. Fra i suoi scritti si ricordano la Filosofia del diritto, il Sommario della storia del diritto in Italia, il Genio, gli Scritti filosofici e politici, la Dottrina dei partiti in Europa, i Discorsi.
Bovio fu anche deputato alla Camera: nel 1876, con il subentrare della Sinistra costituzionale alla Destra, fu eletto nel collegio di Minervino Murge. Il suo atteggiamento, diversamente da quello dei suoi compagni che condividevano l'idea repubblicana, non fu incline all'astensionismo.
Napoli fu la sua città di adozione, dove morì il 15 aprile 1903. La città gli ha dedicato una piazza, che i napoletani continuano però a chiamare con l'antico nome di Piazza Borsa.
«(Napoli) In questa casa morì povero e incontaminato
Giovanni Bovio che meditando con animo libero l'Infinito e consacrando le ragioni dei popoli in pagine adamantine ravvivò d'alta luce il pensiero italico e precorse veggente
la nuova età.» (Epigrafe di Mario Rapisardi)
▪ 1942 - Robert Musil, dal 1917 Robert Edler von Musil (Klagenfurt, 6 novembre 1880 – Ginevra, 15 aprile 1942), è stato uno scrittore e drammaturgo austriaco.
La sua opera principale è il romanzo (incompiuto) Der Mann ohne Eigenschaften (L'uomo senza qualità, primo volume pubblicato nel 1930, prima parte del secondo volume edita nel 1933, ultima parte rimasta incompiuta dopo la morte dell'autore).
Musil, figlio dell'ingegnere Alfred Musil e di sua moglie Hermine, nata Bergauer, dopo la scuola elementare e la prima classe del liceo scientifico frequentate a Steyr nell'Austria superiore e a Brno, frequentò il collegio militare di Eisenstadt nel Burgenland e di Mährisch-Weißkirchen, oggi Hranice nella Repubblica Ceca.
Nel 1897 iniziò l'addestramento di ufficiale di artiglieria all'accademia militare di Vienna, che però abbandonò in dicembre dello stesso anno per iscriversi a ingegneria meccanica all'istituto tecnico di Brno. Finiti gli studi nel 1901, lavorò come assistente all'istituto tecnico di Stoccarda fino al 1903, quando decise di studiare filosofia, psicologia, matematica e fisica all'Università di Berlino. Si laureò nel 1908 in filosofia, con una tesi sulle teorie di Mach, ma al posto di una carriera accademica scelse di diventare scrittore.
Musil fu però ancora costretto a fare altri lavori per guadagnarsi da vivere. Fino al 1910 fu editore della rivista di letteratura e arte "PAN", fondata a Berlino nel 1895, poi lavorò come bibliotecario all'istituto tecnico di Vienna.
Il 15 aprile 1911 si sposò con Martha Marcovaldi, nata Heimann, allora madre di due figli, che aveva conosciuto a Berlino nel 1906, quando era ancora sposata con un italiano. A Berlino, dove si era spostato nel 1913, collaborò alle riviste Loser Vogel, Die Aktion, Die Weißen Blätter e Die Neue Rundschau. Di quest'ultima divenne redattore nell'anno seguente.
Ufficiale al fronte
Nella Prima guerra mondiale Musil fu di stanza come ufficiale al fronte italiano in Alto Adige. Dal 1916 fu redattore della Soldaten-Zeitung pubblicata a Bolzano, per la quale scrisse diversi articoli pubblicati anonimamente. Nel 1917 il padre di Robert ricevette il titolo nobiliare "Edler von", che essendo ereditario spettò anche a Robert.
Dopo la guerra Musil lavorava fino al 1920 per il ministero degli esteri austriaco a Vienna. Fino al 1922 era consigliere per questioni militari. Negli anni seguenti, passati in prima linea a Vienna, viveva del suo lavoro come critico di teatro e saggista, ma la sua situazione finanziaria era difficile. Dal 1923 al 1929 fu vicepresidente dell'associazione protettrice degli scrittori tedeschi in Austria, il cui presidente era Hugo von Hofmannsthal.
Importanti riconoscimenti
Nel 1924, anno in cui perse tutti e due i genitori, Musil venne onorato con il premio dell'arte della città di Vienna. Nel 1927 tenne un discorso a Berlino in occasione della morte di Rilke. Nel 1929 Musil venne premiato con il Gerhart-Hauptmann-Preis (premio letterario Gerhart Hauptmann). Nel 1931 si spostò nuovamente a Berlino, dove lavorava come critico di teatro per i giornali Prager Presse, Wiener Morgen e Tag, ma vi rimase solo fino alla presa di potere dei nazisti nel 1933, quando tornò a Vienna per via del pericolo che la sua moglie ebrea correva in Germania. Dopo l'annessione dell'Austria nel 1938 emigrò con sua moglie attraverso l'Italia in Svizzera. Si stabilirono a Ginevra nel 1939, dove Robert Musil morì il 15 aprile 1942.
Opere
Nel 1906, mentre studiava all'università di Berlino, Musil pubblicò il suo primo romanzo intitolato Die Verwirrungen des Zöglings Törleß (I turbamenti del giovane Törless), ispirato dall'esperienza degli anni a Mährisch-Weißkirchen.
Per la commedia Die Schwärmer ("I fanatici"), pubblicata nel 1921, Musil ricevette il premio letterario Kleist-Preis. Nel 1924 vennero pubblicati la farsa Vinzenz und die Freundin bedeutender Männer e i ciclo di novelle Drei Frauen.
Primi appunti riguardo la sua opera principale, il romanzo incompiuto Der Mann ohne Eigenschaften (L'uomo senza qualità), si trovano già nei suoi diari del 1905. Nel romanzo, la monarchia austro-ungarica alla vigilia della guerra rappresenta simbolicamente la crisi della società moderna. Musil ha cominciato a scrivere il romanzo negli anni venti e ci ha lavorato fino alla fine della sua vita. Il primo volume venne pubblicato nel 1930 ed ebbe grosso successo. Nel 1932 venne fondata a Berlino una Musil-Gesellschaft (società Musil) per appoggiare Musil finanziariamente e consentirgli di completare il suo romanzo. L'anno seguente venne pubblicata la prima parte del secondo volume. Nel 1934 venne sciolta la società di Berlino. Lo stesso anno ne venne fondata un'altra a Vienna. L'ultima parte del romanzo, rimasta incompiuta, venne pubblicata nel 1943, dopo la morte dell'autore, dalla sua vedova a proprie spese.
Nel 1936 Musil aveva pubblicato a Vienna la raccolta di saggi Nachlaß zu Lebzeiten (Pagine postume pubblicate in vita).
▪ 1944 - Giovanni Gentile (Castelvetrano, 30 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944) è stato un filosofo e pedagogista italiano. Fu insieme a Benedetto Croce uno dei maggiori esponenti dell'idealismo, e un importante protagonista della cultura italiana nella prima metà del XX secolo.
Gentile nasce nel 1875 da Giovanni, farmacista, e Teresa Curti, figlia di un notaio. Vive la sua infanzia a Campobello di Mazara e frequenta il liceo Ximenes a Trapani. Nel 1895 vince il concorso per quattro posti di interno della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia. Ha come maestri, tra gli altri, Alessandro D'Ancona (professore di letteratura, legato al metodo storico e al positivismo e di idee liberali), Amedeo Crivellucci (professore di storia) e Donato Jaia (professore di filosofia, hegeliano seguace di Spaventa), che influirono molto sul suo pensiero filosofico da adulto.
Dopo la laurea nel 1897 ed un corso di perfezionamento a Firenze, Gentile ottiene una cattedra in Filosofia presso il liceo Mario Pagano a Campobasso. Nel 1900 si sposta al liceo Vittorio Emanuele di Napoli.
Nel 1901 sposa Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso. Dal matrimonio nasceranno Teresa (1902), Federico (1904), i gemelli Gaetano e Giovanni junior (1906), Benedetto (1908) e Fortunato (1910).
Nel 1902 ottiene la libera docenza in filosofia teoretica e l'anno successivo quella in pedagogia. Ottiene poi la cattedra universitaria, prima a Palermo (1906-1914, storia della filosofia), dove frequenta il circolo Giuseppe Amato Pojero, poi a Pisa (fino al 1919, filosofia teoretica) ed infine a Roma (già dal 1917 Professore ordinario di Storia della Filosofia, e nel 1926 Professore ordinario di Filosofia teoretica).
Durante gli studi a Pisa incontra Benedetto Croce con cui intratterrà un carteggio continuo dal 1896 al 1923: argomenti trattati dapprima la storia e la letteratura, poi la filosofia. Uniti dall'idealismo (su cui avevano comunque idee diverse), combattono insieme la loro battaglia intellettuale contro il positivismo e le degenerazioni dell'università italiana. Fondano nel 1903 la rivista La critica, per contribuire al rinnovamento della cultura italiana: Croce si occupa di letteratura e di storia, Gentile, invece, si dedica alla storia della filosofia. In quegli anni Gentile non ha ancora sviluppato il proprio sistema filosofico. L'attualismo avrà configurazione sistematica solo alle soglie della prima guerra mondiale. Nel 1920 fonda il Giornale critico della filosofia italiana.
All'inizio della prima guerra mondiale, tra i dubbi della non belligeranza, Gentile si schiera a favore della guerra come conclusione del Risorgimento italiano.
Fino al 1922, Gentile non mostra alcun interesse nei confronti del fascismo.
All'insediamento del regime fascista, viene nominato ministro della pubblica istruzione (1922-1924, per dimissioni volontarie). Come ministro attua nel 1923 una significativa riforma scolastica. L'istruzione era ferma sulla riforma delle legge Casati del 1859.
Dopo la crisi Matteotti, date le dimissioni da ministro, Gentile viene chiamato a presiedere la Commissione dei Quindici (poi divenuta dei Diciotto), per la riforma della Costituzione Italiana. In realtà la Commissione non produrrà risultati significativi.
Sarà Rocco l'architetto dell'ordinamento giuridico fascista.
Nel 1923 Gentile si iscrive al partito fascista con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale. Nel 1925 pubblica il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui vede il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento.
Questo manifesto sancisce l'allontanamento definitivo da Benedetto Croce, che gli risponde con un contromanifesto.
Per le numerose cariche culturali e politiche, esercita durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana e specialmente sul suo aspetto amministrativo e scolastico. È anche direttore scientifico dell'Enciclopedia Italiana dell'Istituto Giovanni Treccani dal 1925 al 1938 e vicepresidente dell'istituto dal 1933 al 1938.
Nel 1925 promuove la nascita dell'Istituto Nazionale Fascista di Cultura, di cui è presidente fino al 1937. Nel 1928 diventa regio commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, nel 1932 direttore. Nel 1930 diventa vicepresidente dell'università Bocconi. Nel 1932 diventa Socio Nazionale della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Lo stesso anno inaugura l'Istituto Nazionale di Studi Germanici, di cui diviene presidente nel 1934. Nel 1933 inaugura e diviene presidente dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1934 inaugura a Genova l'Istituto mazziniano. Nel 1937 diventa regio commissario e nel 1938 presidente del Centro Nazionale di Studi Manzoniani e nel 1941 è presidente della Domus Galileana a Pisa.
Non mancano comunque i dissensi col regime. In particolare il suo pensiero subisce un duro colpo nel 1929, alla firma dei Patti Lateranensi tra Chiesa cattolica e Stato Italiano: sebbene Gentile riconosca il cattolicesimo come forma storica della spiritualità italiana, non può accettare uno Stato non laico. Questo evento segna una svolta nel suo impegno politico militante.
Nel 1934 il Sant'Uffizio mette all'indice le opere di Gentile e di Croce. Nel 1936 comincia una lunga polemica contro il ministro dell'Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi.
Gentile, personalmente, forse non condivide le leggi razziali del 1938, come si evince da un carteggio con Benvenuto Donati durato per tutto il periodo tra il 1920 ed il 1943. Tuttavia nel 1938 compare come firmatario del "Manifesto della razza", pubblicato sui giornali, in appoggio alle leggi razziali fasciste appena emanate, insieme a molti altri intellettuali.
Gli ultimi interventi politici sono rappresentati da due conferenze nel 1943.
Nella prima, tenuta il 9 febbraio a Firenze, dal titolo La mia religione, dichiara di essere cristiano e cattolico, sebbene creda nello Stato laico.
Nella seconda, tenuta il 24 giugno al Campidoglio a Roma, dal titolo Discorso agli italiani, esorta all'unità nazionale, in un momento difficile della guerra che porterà alla fondazione della RSI. Dopo questi interventi si ritira a Troghi (Fi), dove scrive la sua ultima opera, uscita postuma, Genesi e struttura della società, nella quale recupera l'antico interesse per la filosofia marxiana.
La Repubblica Sociale Italiana
Nell'autunno del 1943, su invito di Benito Mussolini e dopo aver subito un duro e inatteso attacco da parte del ministro badogliano Leonardo Severi, Gentile aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, auspicando tuttavia il ripristino dell'unità nazionale. Diventa presidente dell'Accademia d'Italia, con l'obbiettivo di riformare l'Accademia dei Lincei, e direttore della Nuova Antologia, con il proposito di accogliere "collaboratori non fascisti".
L'uccisione di Giovanni Gentile
Considerato, da alcune componenti politiche della resistenza, come uno dei principali responsabili del regime fascista, venne ucciso il 15 aprile 1944 sulla soglia della sua casa di Firenze, al Salviatino, da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai GAP. I gappisti fiorentini, capeggiati da Bruno Fanciullacci, si appostarono verso le 13,30 nei pressi della villa al Salviatino e appena il filosofo giunse in auto, gli si avvicinarono tenendo sotto braccio dei libri per farsi credere studenti. Il filosofo abbassò il vetro per prestare ascolto, ma fu subito raggiunto da colpi di arma da fuoco. Fuggiti i gappisti, l'autista si diresse all'ospedale di Careggi per trasferirvi il filosofo morente, ma invano.
Fu un episodio che divise lo stesso fronte antifascista e che ancora oggi è al centro di polemiche non sopite venendo infatti già all'epoca disapprovato dal CLN toscano con la sola esclusione del Partito Comunista.
Lo stesso rappresentante del Partito d'Azione Tristano Codignola prese duramente posizione contro l'omicidio del filosofo e sul foglio clandestino "La Libertà" del 30 aprile 1944 scrisse:
«Deploriamo l'assassinio di Giovanni Gentile. La violenza, per quanto giustificata come reazione ad altrui violenza, ha un limite, oltre il quale si ritorce su se medesima: e la brutale eliminazione di Gentile ha creato nelle coscienze di noi tutti un disagio che dev'essere analizzato, senza settarismi e con spregiudicata serenità....La sua uccisione per mano di quattro irresponsabili ha generato una reazione negativa in vasti ambienti antifascisti.» (Tristano Codignola sul foglio clandestino "La Libertà" del 30 aprile 1944)
Pensiero filosofico
Gentile avversa ogni dualismo e naturalismo rivendicando l'unità di natura e spirito nella coscienza, assieme al primato gnoseologico ed ontologico di questa.
La coscienza è vista come sintesi di soggetto e oggetto, sintesi di un atto in cui il primo (il soggetto) pone il secondo.
Di Hegel, a differenza di Benedetto Croce, Gentile non apprezza tanto l'orizzonte storicista quanto l'impianto idealistico relativo alla coscienza, ovvero la posizione della coscienza come fondamento del reale. Anche secondo Gentile vi è un errore, in Hegel, nella valutazione della dialettica, ma in modo diverso da Croce: Hegel avrebbe infatti confuso la dialettica del pensare (che ha individuato correttamente) lasciandovi forti residui della dialettica del pensato, ovvero quella del pensiero determinato e delle scienze.
L'attualismo di Gentile si esprime in questa riforma della dialettica idealista, con l'aggiunta della teoria dell'atto puro e l'esplicazione del rapporto tra logica del pensare e logica del pensato.
Recuperando Fichte, il filosofo afferma che lo spirito è fondante in quanto unità di coscienza ed autocoscienza, pensiero in atto; l'atto del pensiero pensante, o «atto puro», è il principio e la forma della realtà diveniente. Secondo Gentile la dialettica dell'atto puro si attua nella opposizione tra la soggettività rappresentata dall'arte (tesi) e l'oggettività rappresentata dalla religione (antitesi) cui fa da soluzione la filosofia (sintesi).
L'atto puro si fonda sull'opposizione della «logica del pensiero pensante» e la «logica del pensiero pensato»; la prima è una logica filosofica e dialettica, la seconda una logica formale ed erronea.
Gentile dedica la sua attenzione al tema della soggettività dell'arte e il suo rapporto con religione e filosofia, ovvero l'intera vita dello spirito; se da un lato l'arte è il prodotto di un sentimento soggettivo, dall'altro essa è un atto sintetico che coglie tutti i momenti della vita dello spirito, acquistando dunque alcuni caratteri del discorso razionale.
Pensiero politico
La sua è una filosofia attivista, attualista. È insoddisfatto di fronte alla realtà, in Gentile troviamo il primato del futuro, ma, allo stesso tempo, una forte matrice anti-razionalistica.
Il fascismo non è la sola qualificazione politica che dà della propria filosofia, Gentile è anche liberale. Sua maggiore preoccupazione non è quella di frenare l'attività dello Stato in quanto il liberalismo iper-individualista non è vero liberalismo. Un siffatto liberalismo ebbe la sua importanza in presenza degli stati assoluti del passato, ma ora è desueto. L'individuo può maturare la sua libertà individuale solo all'interno dello Stato, con ciò a dire in un contesto istituzionale organizzato. Un esempio di questa concezione lo si può trovare nella Destra storica, la quale governò i primi anni dell'Unità d'Italia: impostò un governo autoritario che riuscì a moderare l'individualità dei singoli; giustamente, perché lo Stato deve essere etico, educatore. Con il fascismo si può avere vero liberalismo in quanto riporta ai valori del risorgimento: Gentile dimostra qua un forte approccio storicistico, il fascismo trarrebbe la sua legittimazione dalla storia. Il risorgimento non fu solo un'operazione politica ma un atto di fede: il campione di suddetto atto di fede fu Mazzini; anti-illuminista, antifrancese e nemico dei principi materialistici. Lo Stato giolittiano rappresentò un tradimento dei valori risorgimentali: per rompere questo status quo degenerativo del processo italiano fu necessario il ricorso all'illegalità e alla violenza del fascismo. Una violenza rivoluzionaria (perché porta ad un nuovo assetto) ma anche statale (perché va a colmare le lacune che vigono nel sistema statale).
Gentile insiste molto sulla novità del fascismo: è un modo nuovo di concepire la nazione, ha una consapevolezza mistica di ciò che sta compiendo, eccetera. Mussolini viene, perciò, dipinto come un vero eroe idealistico. La missione del fascismo, secondo Gentile, è quella di creare l'uomo nuovo: un uomo di fede, spirituale, anti-materialista, volto a grandi imprese. L'uomo nuovo sarà antitetico al carattere che Giolitti tentò di imprimere alla nazione e che connotava l'Italia come scettica, mediocre e furbastra.
Il fascismo si deve istituzionalizzare: ciò avverrà attraverso l'istituzione del Gran Consiglio. Il fascismo si deve far assorbire dall'italianità: il fine è che nella società non vi siano più contraddizioni. Bisogna arrivare ad una comunità omogenea e compatta anche in ambito lavorativo: attraverso l'istituzione della corporazione, la quale deve sanare la frattura sindacati-datori di lavoro. Il corporativismo permetterà di giunger ad uno stato di fatto in cui i problemi economici si risolveranno all'interno della stessa corporazione, senza provocare fratture all'interno della società.
Teorie pedagogiche
Gentile riflette a lungo sulla funzione pedagogica. Gentile unisce la pedagogia con la filosofia, avviando una rifondazione in senso idealistico della pedagogia, negandone i nessi con la psicologia e con l'etica.
L'educazione deve essere intesa come un divenire dello spirito stesso che realizza così la propria autonomia. L'insegnamento è teoria in atto, in cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo: «il metodo è il maestro», il quale non deve attenersi ad alcun didattica programmata ma affrontare questo compito sulla scorta delle proprie risorse interiori. Programmare la didattica sarebbe come cristallizzare il fuoco creatore e diveniente dello spirito che è alla base dell'educazione. Al maestro è richiesta una vasta cultura e null'altro, il metodo verrà da sé, perché il metodo risiede nella stessa cultura nel suo processo infinito di creazione e ricreazione.
Il dualismo scolaro e maestro deve risolversi in unità attraverso la comune partecipazione alla vita dello spirito che tramite la cultura muove l'educatore verso l'educando e lo riassorbe nell'universalità dell'atto spirituale. «il maestro è il sacerdote, l'interprete, il ministro dell'essere divino, dello "spirito"».
Il maestro incarna lo spirito stesso, l'allievo deve allora subordinarsi all'ascolto del maestro proprio per diventare anche lui spirito, per farsi libero ed autonomo, dopo essersi sottomesso, ed arrivare ad autoeducarsi, facendo del tutto propri i grandi contenuti impostigli.
Questi concetti ispirano la riforma scolastica del 1923 attuata da Gentile in veste di ministro della Pubblica istruzione. Altri concetti della filosofia di Gentile evidenti nella riforma scolastica sono in particolare la concezione della scuola come parte fondamentale dello Stato (viene infatti istituito un esame di Stato che sancisce la fine di ogni ciclo scolastico, anche se gli studi sono effettuati in un istituto privato) e il predominio delle discipline del gruppo retorico-filologico.
La riforma di Gentile
Gentile fu ministro della pubblica istruzione e nel 1923 mise in atto la sua riforma scolastica, elaborata assieme a Giuseppe Lombardo Radice e definita da Mussolini "la più fascista delle riforme".
Dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo aristocratico, cioè pensata e dedicata «ai migliori» e non a tutti e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo professionale per il popolo. Le scienze naturali e la Matematica furono quindi messe in secondo piano, avevano la loro importanza solo a livello professionale.
L'obbligo scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni. L'allievo che terminava la scuola elementare aveva la possibilità di scegliere tra i licei classico e scientifico oppure gli istituti tecnici. Solo i due licei permettevano l'accesso all'università (il secondo solo alle facoltà scientifiche), in questo modo però veniva mantenuta una profonda divisione tra classi sociali (questo vincolo fu rimosso completamente solo nel 1969).
La religione è insegnata obbligatoriamente a livello primario, Gentile riteneva che tutti i cittadini dovessero possedere una concezione religiosa. La religione da insegnare era la religione cattolica perché è la religione dominante in Italia. Nel triennio dell'istruzione classica veniva poi introdotta la Filosofia, adatta alle classi dominanti ma non al popolo minuto che, nella concezione gentiliana, avrebbe dovuto essere tenuto al suo posto dalla Religione.
La scuola dopo la riforma Gentile divenne molto selettiva e severa, introdusse infatti l'esame di Stato.
Ribadisce che non esiste un metodo nell'insegnamento, ogni argomento è metodo a sé stesso, cioè non è una nozione astratta da memorizzare ma atto di ricerca attiva e creativa. L'insegnante può adoperare delle indicazioni di metodo per preparare le fasi che precedono l'insegnamento.
Gentile e la cultura successiva
Con l'uccisione di Gentile - il 15 aprile 1944 - e la fine del regime fascista che egli sino all'ultimo appoggiò, iniziò nei suoi confronti non tanto una forma di ostracismo, quanto di rimozione, attenuatasi però negli ultimi decenni grazie all'opera di studiosi spesso in polemica tra loro. Secondo Augusto Del Noce, uno dei suoi principali rivalutatori, Gentile è un pensatore della secolarizzazione e della risoluzione della trascendenza in prassi - in ciò accomunato a Marx -, determinante addirittura per lo stesso comunismo italiano attraverso la ripresa che ne fece Antonio Gramsci; di tutt'altro avviso Gennaro Sasso, secondo il quale a dover essere rivalutata non è affatto la disastrosa prassi politica di Gentile, la cui «passionale» adesione al fascismo «fu filosofica, forse, a parole...ma nelle cose no». Ciò che merita ancora di essere studiata, sostiene Sasso, è invece «la filosofia dell'atto in atto», tra la quale «e il fascismo non c'è, né ci può essere, alcun nesso».
▪ 1974 - Giovanni D'Anzi (Milano, 1º gennaio 1906 – Santa Margherita Ligure, 15 aprile 1974) è stato un musicista e compositore italiano.
Giovanni D'Anzi nasce nel 1906, sin da piccolo mostra un talento nel suonare il Pianoforte; Nel 1935 scrisse parole e musica della famosa canzone "Madonina", dedicata a Milano, sua città natale. La Madonina della canzone è la statua dorata della Madonna posta sulla sommità del Duomo di Milano. Scrisse anche Viale d'autunno, interpretata da Carla Boni e Flo Sandon's, classificatasi prima al Festival di Sanremo 1953.
Assieme ad Alfredo Bracchi formò una prolifica coppia di autori musicali, attiva tra gli anni 1930 e anni 1950. Scrissero per la radio, per la rivista, per il cinema e molte delle loro canzoni divennero grandi successi. Alcuni dei titoli più famosi furono Ma le gambe, Non dimenticar le mie parole, Bambina innamorata, Ma l'amore no, Ti parlerò d'amor.
Negli anni sessanta Giovanni D'Anzi si ritirò dall'attività musicale. Trasferitosi in Liguria a Santa Margherita Ligure, si dedicò alla pittura.
Alla sua morte, il Comune di Milano lo inserì tra i milanesi benemeriti nell'Edicola Palanti del Cimitero Monumentale.
In sua memoria, dal 1995, il Gruppo Editoriale Curci col patrocinio del comune di Milano e l'Associazione "Amici della musica e dello spettacolo" organizza annualmente il Premio Giovanni D'Anzi, manifestazione canora in dialetto milanese. Il presentatore storico dell'evento è Tony Martucci aiutato nella conduzione da Liliana Feldmann negli anni 1992 e 1993 e da Roberta Potrich negli anni 2004 e 2005.
▪ Jean-Paul Charles Aymard Sartre (Parigi, 21 giugno 1905 – 15 aprile 1980) è stato un filosofo, scrittore, drammaturgo e critico letterario francese.
Nel 1964 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura, che però rifiutò:
«Non voglio essere letto perché Nobel ma solo se il mio lavoro lo merita. E poi, quale tribunale può giudicare la mia opera?». Nel 1945 aveva già rifiutato la Legion d'onore e, in seguito, la cattedra al Collège de France.
Morì nel 1980 al culmine del successo, quando ormai era diventato icona della gioventù ribelle e anticonformista del dopoguerra. Si stima che al suo funerale presenziarono cinquantamila persone. È sepolto nel cimitero di Montparnasse a Parigi.
Sartre è stato uno dei massimi esponenti dell'esistenzialismo e uno studioso le cui idee sono sempre state ispirate a un pensiero politico orientato verso la sinistra internazionale (negli anni della guerra fredda sostenne le ragioni dell'allora Unione Sovietica, pur criticandone la politica in diversi suoi scritti). Ha diviso con Simone de Beauvoir - conosciuta nel 1929 all'École Normale Supérieure - la propria vita sentimentale e professionale.
Gli anni giovanili
Studiò all'École Normale Supérieure di Parigi, dove si laureò nel 1929 in filosofia, per insegnarla poi nei licei di Le Havre, di Laon e infine di Parigi. Fu qui che conobbe Simone de Beauvoir con cui condivise vita intima, lavoro e impegno politico.
Avendo vinto una borsa di studio nel 1933 ebbe l'opportunità di specializzarsi a Berlino, potendo entrare in contatto diretto con la fenomenologia di Edmund Husserl e l'ontologismo di Martin Heidegger. Venne catturato dai tedeschi e, dopo la sua liberazione, partecipò alla resistenza francese.
Gli anni di gloria
L'apoteosi esistenzialista
In seguito alla Liberazione, Sartre conobbe un successo enorme e per oltre un decennio dominò il panorama letterario francese. Promuovendo l'impegno politico-culturale come fine a sé stesso, la diffusione delle sue idee avvenne specialmente attraverso la rivista che egli fondò nel 1945, Les Temps Modernes.
Sartre vi condivide la sua "penna" con, tra gli altri, Simone de Beauvoir, Merleau-Ponty e Raymond Aron. Nel lungo editoriale del primo numero, egli pose i principi di una responsabilità dell'intellettuale nel suo tempo e di una letteratura impegnata. Per lui, lo scrittore è presente «qualunque cosa faccia, segnato, compromesso fino al suo più lontano ritiro dall'attività (...) Lo scrittore è "in situazione" nella sua epoca.»
Questa posizione sartriana dominerà tutti i dibattiti intellettuali della seconda metà del XX secolo. La rivista è sempre considerata come la più prestigiosa tra le riviste francesi a livello internazionale.
Simbolo di questa gloria surrealista e dell'egemonia culturale di Saint-Germain-des-Prés sul mondo, la sua celebre conferenza dell'ottobre 1945, dove una folla immensa cerca di entrare nella piccola sala che era stata riservata. La gente litiga, partono dei colpi, ci sono signore che svengono o cadono in sincope. Sartre in quell'occasione presenta una sintesi della sua filosofia, l'esistenzialismo, in questa fase già modificato da influssi del pensiero marxista, che sarà poi trascritta nell'opera L'esistenzialismo è un umanismo. La sua pubblicazione, da parte dell'editore Nagel, è fatta all'insaputa di Sartre che giudica la trascrizione ex abrupto, necessariamente semplificatrice, poco compatibile con la scrittura e il lavoro del senso che la stessa implica.
Tutto il bel mondo vuole ora essere esistenzialista, vivere in modo esistenzialista. Saint-Germain-des-Prés, residenza di Sartre, diviene il quartiere parigino dell'esistenzialismo, e allo stesso tempo un alto luogo di vita culturale e notturna: nel quale si festeggia alla maniera esistenziale, nelle cantine affumicate, ascoltando del jazz, o recandosi al café-théâtre. Fenomeno raro nella storia del pensiero francese, un pensiero filosofico tecnico e austero trova purtuttavia, nel grande pubblico, una eco inaspettata. Ciò può essere spiegato con due fattori: all'inizio l'opera di Sartre è multiforme e permette a ciascuno di trovare il suo livello di lettura, successivamente l'esistenzialismo, che proclama la libertà totale, così come la responsabilità totale degli atti dell'uomo di fronte agli altri e a se stesso, si presta perfettamente a questo strano clima del dopoguerra dove si mescolano festa e memoria delle atrocità. L'esistenzialismo diventa pertanto una vera e propria moda, più o meno fedele alle idee sartriane, e di cui l'autore sembra un po' superato dall'ampiezza che prende quest'ultima.
Intanto, Sartre afferma il suo impegno politico chiarendo la sua posizione, attraverso i suoi articoli su Les Temps modernes: Sartre sposa, come molti intellettuali della sua epoca, la causa della rivoluzione marxista, ma, almeno dal 1956 in poi, senza per questo concedere i suoi favori al partito comunista, agli ordini di un'URSS che non può soddisfare l'esigenza di libertà. Sartre e i suoi amici continuano perciò a cercare una terza via, quella del doppio rifiuto del capitalismo e dello stalinismo.
Nel dicembre 1946, la rivista prende posizione violentemente contro la guerra d'Indocina. Nel 1947, Sartre nei suoi articoli se la prende con il gollismo e con il RPF, che considera come un movimento fascista. L'anno seguente, la guerra fredda che avanza conduce Les Temps modernes a combattere l'imperialismo americano, affermando al contempo un pacifismo neutralista. Egli pubblica così con Merleau Ponty un manifesto a favore di un'Europa socialista e neutrale.
È allora che Sartre decide di tradurre il suo pensiero in espressione politica, fondando con un conoscente un nuovo partito politico, il Rassemblement Démocratique Révolutionnaire. Malgrado il successo di qualche manifestazione, il RDR non raggiungerà mai un numero di aderenti tale da diventare un vero partito. Subodorando una deriva pro - americana da parte del suo co-leader, Sartre rassegna le sue dimissioni nell'ottobre 1949.
È allora che, senza uscite politiche, il riavvicinamento con i comunisti inizia a diventare per lui una soluzione.
Il compagno di strada del Partito Comunista Francese (PCF)
«Se la classe operaia vuole distaccarsi dal Partito (PCF), essa dispone solo di un mezzo: ridursi in polvere» (Les Temps Modernes, 1953)
La guerra di Corea, che scoppia nel giugno 1950, accelera questa evoluzione verso il riavvicinamento al Partito Comunista Francese (PCF). Per Sartre, la guerra, divenuta calda, implica il fatto che ognuno ora debba scegliere il proprio campo. Merleau Ponty, in disaccordo, lascia allora, dopo Raymond Aron, les Temps Modernes, di cui egli era un membro importante. Il 28 maggio 1952, il PCF organizza una manifestazione contro la visita del generale Ridgway, che finirà nella repressione e nel sangue, con la morte di 2 militanti e l'arresto di Jacques Duclos, segretario del PCF. L'evento scioccò Sartre in modo tale che egli ne parlerà come di un'autentica «conversione»: egli inizia ormai a sostenere anima e corpo il PCF. Si lancia in un'amplissima spiegazione nell'articolo «I comunisti e la pace»: qui egli chiarisce che il proletariato non potrebbe vivere senza il suo partito, il partito comunista, e che bisogna dunque assimilare il partito comunista al proletariato. Il PC diventa così il solo partito in favore del quale ci si deve impegnare.
In questi anni Sartre stringe anche amicizia con un giovane cambogiano di nome Saloth Sar, con cui condivide la militanza nel Partito Comunista Francese, che diverrà poi noto alle cronache molti anni dopo con il nome di battaglia di Pol Pot, capo dei guerriglieri Khmer Rossi e feroce presidente della Kampuchea Democratica dal 1975 al 1979.
Sartre si impegna, a partire dal 1952, in un matrimonio di ragione con i sovietici: in particolare, partecipa al Congresso nazionale della pace a Vienna nel novembre 1952, organizzato dall'URSS, e la sua presenza conferisce all'avvenimento una considerazione insperata. Sartre arriva fino ad autocensurarsi facendovi impedire la ripresa della sua pièce Le mani sporche, che i comunisti consideravano antibolscevica, e che era previsto andasse in scena in quel periodo a Vienna. I comunisti potevano ora rallegrarsi per aver acquisito alla loro causa il filosofo e lo scrittore più celebre del mondo.
Questo allineamento di Sartre ai comunisti separa lo stesso Sartre e Camus, precedentemente molto vicini. Per Camus l'ideologia marxista non deve prevalere sui crimini staliniani, laddove per Sartre, che è al corrente di tali crimini, non si devono utilizzare questi fatti come pretesto per abbandonare l'impegno rivoluzionario.
Nel 1954, al ritorno da un viaggio in URSS, Sartre diede a Libération, un quotidiano vicino al PCF, una serie di sei articoli che illustravano la gloria dell'URSS. Ancora nel 1955 scrisse una pièce teatrale (il Nekrassov) che fustigava la stampa anticomunista.
Il sodalizio con il PCF terminò all'indomani degli avvenimenti dell'autunno del 1956, quando i carri sovietici soffocarono la rivoluzione ungherese. L'insurrezione fece riflettere molti comunisti sul fatto che esisteva un proletariato al di fuori dal partito comunista con istanze non solo non rappresentate o misconosciute ma addirittura negate e avversate. Sartre, dopo aver firmato una petizione di intellettuali di sinistra e di comunisti contestatari, il 9 novembre concesse una lunga intervista al settimanale l'Express (giornale mendésista), per smarcarsi platealmente dal partito.
Nel 1956 Sartre decise un cambiamento di strategia ma non cambiò le sue opinioni: socialiste, anti-borghesi, anti-americane, anti-capitaliste, e soprattutto anti-imperialiste (la lotta dell'intellettuale impegnato continuò e prese una nuova forma in seguito agli avvenimenti della guerra d'Algeria).
La guerra d'Algeria
Dal 1956 al 1962, Sartre e la sua rivista intrapresero una lotta radicale a favore della causa nazionalista algerina. Nel marzo del 1956 i comunisti votarono in favore dei pieni poteri a Guy Mollet in Algeria, Sartre e i suoi amici denunciarono il mito di un'Algeria francese parlando della realtà colonialista. Quindi essi si impegnarono a favore dell'indipendenza, manifestando altresì la loro solidarietà con il Front de Libération Nationale. Les temps modernes fece anche apparire nella primavera del 1957 la testimonianza di Robert Bonneau, un soldato richiamato, che raccontò i barbari metodi adottati durante la guerra in Algeria. Nel settembre 1960 sostiene il manifesto del diritto alla non sottomissione (chiamato manifesto dei 121) e si dichiara solidale con le richieste di aiuto del FLN. Durante il processo Jeanson, un «portaborse» del FLN, egli proclama il suo assoluto sostegno all'imputato. Questa dichiarazione provoca uno scandalo e, malgrado le proteste di diverse organizzazioni, de Gaulle non volle persecuzioni contro Sartre, e avrebbe dichiarato: "Non si imprigiona Voltaire".
Questo suo impegno, non di meno, comporta i suoi rischi: nel gennaio 1962, l'OAS compie un attentato facendo esplodere una parte del suo domicilio, che Sartre aveva abbandonato proprio per timore di rappresaglie.
Sostenitore attivo della rivoluzione cubana, dal 1960, egli ruppe poi con il Líder Máximo nel 1971 a causa dell’«affaire Padilla». Egli dirà di Fidel Castro: «Il m’a plu, c’est assez rare, il m’a beaucoup plu».
Strutturalismo, Flaubert e premio Nobel
Nel frattempo, sul piano teorico, il filosofo Sartre si occupa di produrre la teoria economica e sociale che servirà a conciliare socialismo e libertà. Si lancia in quest'impresa, che rimarrà incompiuta, con la pubblicazione della prima parte della Critica della ragione dialettica nel 1960.
Dopo di che l'esistenzialismo sembra perdere colpi: durante gli anni 1960, l'influenza di Sartre sulla letteratura francese e sulle ideologie intellettuali diminuisce poco a poco, specialmente nel confronto con gli strutturalisti come l'etnologo Lévi-Strauss, il filosofo Foucault o lo psicanalista Lacan. Lo strutturalismo è in qualche modo l'avversario dell'esistenzialismo: in effetti nello strutturalismo non c'è molto spazio per la libertà umana, essendo ogni uomo imbrigliato nelle strutture che lo sovrastano e sulle quali non ha presa. Sartre è altrove, non si cura di discutere di questa nuova corrente: è interamente impegnato in un progetto personale, rappresentato dall'analisi del XIX secolo e della creazione letteraria, e soprattutto dalla critica di un autore di cui non ha mai condiviso lo stile parnassiano, Flaubert. Inoltre negli anni 1960 la sua salute peggiora rapidamente. Sartre è prematuramente logorato; logorato per la sua costante iperattività letteraria e politica e logorato dal tabacco, dall'alcool che assume in gran quantità, nonché dalle droghe che lo mantengono in forma (chlorydrane e amfetamine).
Ma il rifiuto, la rivolta, l'intransigenza si vedono sempre nelle azioni di Sartre. Nel 1964, fatto che avrà una grande risonanza mondiale, rifiuta il premio Nobel[1] poiché, a suo avviso, «nessun uomo merita di essere consacrato da vivo». Aveva già rifiutato la Legione d'onore, nel 1945, e ancora una cattedra al Collegio di Francia. Questi onori, secondo lui, gli avrebbero alienato la sua libertà, facendo dello scrittore un'istituzione. Questi suoi gesti resteranno celebri poiché in grado di illuminare lo spirito e lo stato d'animo dell'intellettuale.
Il pensiero
Sartre rimane molto influenzato dal pensiero di Husserl, anche se poi lo usa in modo originale, perché sin dai suoi primi studi egli vi imprime una forte critica psicologistica che sarà poi solo soppiantata da quella politica dopo il 1946. La prima fase del pensiero di Sartre è segnata dall'opera L'essere e il nulla, pubblicata nel 1943, che rimane l'opera principale a testimonianza del suo esistenzialismo ateo. Il tema principale posto in essa è la fondamentale libertà di realizzarsi di ogni uomo come uomo-dio e l'ineludibilità di rimanere sempre un dio-fallito. Ciò che evidenzia il fallimento è l'angoscia che attanaglia l'uomo nel vivere il suo esistere come una libertà fasulla, basata sul nulla:
«Questa libertà, che si rivela nell'angoscia, può caratterizzarsi con l'esistenza di quel niente che si insinua tra i motivi e l'atto. Non già perché sono libero, il mio atto sfugge alla determinazione dei motivi, ma, al contrario, il carattere inefficiente dei motivi è condizione della mia libertà. E se si domanda qual è questo niente che fonda la libertà, risponderemo che non si può descriverlo perché non è, ma si può almeno indicarne il senso, in quanto questo niente è stato per l'essere umano nei suoi rapporti con se stesso. Corrisponde alla necessità per il motivo di non apparire come motivo altro che come correlazione di una coscienza "di" motivo. In una parola, poiché rinunciamo all'ipotesi dei contenuti di coscienza, dobbiamo riconoscere che non vi sono motivi "nella" coscienza ma solo "per" la coscienza. E per il fatto stesso che il motivo non può sorgere come apparizione, si costituisce da sé come inefficace.» (L'essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1965, pp.69-70)
Dopo la seconda guerra mondiale, insieme alla cospicua produzione di opere drammaturgiche di alto livello, l'attenzione di Sartre si rivolge all'azione politica. Ma si può dire che in esse esistenzialismo e politica trovino la loro sintesi intellettuale. Egli si avvicina al comunismo benché non si sia mai iscritto al partito comunista. Con la definitiva adesione al comunismo, Sartre si mette decisamente in gioco a favore di questo e dà inizio a un suo ruolo di engagé che farà da modello a molti intellettuali di sinistra tra gli anni '50 e '80. Il resto della sua vita è segnato dal tentativo di riconciliare le idee esistenzialistiche con i principi del marxismo, convinto che le forze socio-economiche determinino il corso dell'esistenza umana e che il riscatto economico per la classe operaia possa diventare anche culturale.
È in questa prospettiva che nasce il progetto della Critica della ragion dialettica (che uscirà nel 1960) e contemporaneamente la rottura sia con Camus che con Merleau-Ponty, non disposti a seguirlo nella sua radicalizzazione politica. Però quest'opera non è per niente allineata alla dottrina comunista sovietica, ma propone una visione della società che lascia all'individualità larghi spazi di libertà e di affermazione, anche se in una prospettiva deterministica. Nel perseguimento della "unità dialettica del soggettivo e dell'oggettivo" la soggettività è infatti dipendente dall'oggettività socio-ambientale come suo "campo delle possibilità".
Libertà condizionata dell'uomo perciò rispetto a un ampio sottofondo di necessità. Gli assunti fondamentali di L'essere e il nulla sono perciò nella Critica della ragion dialettica definitivamente negati con l'assunzione teorica del materialismo storico marxiano. È infatti il regno del "pratico-inerte" (l'essenza della materia) a imporsi, a dominare, a determinare la necessità e ad imporla anche all'uomo. Sartre viene quindi a scrivere:
«Non è né nell'attività dell'organismo isolato e né nella successione dei fatti fisico-chimici che la necessità si manifesta: il regno della necessità è il dominio, reale, ma ancora astratto dalla storia, dove la materialità inorganica si chiude sulla molteplicità degli uomini e trasforma i produttori nei loro prodotti. La necessità, come limite nel seno della libertà, come evidenza accecante e come momento del rovesciamento della praxis in attività pratico-inerte diventa, dopo la caduta dell'uomo nella società seriale, la struttura stessa di tutti i processi di serialità, quindi la modalità della loro assenza nella presenza e di una evidenza svuotata.» (Critique de la raison dialectique, Gallimard, Paris 1960, pp.375-376)
Nell'esistenzialismo di Sartre si realizza lo stesso paradosso di Heidegger e Jaspers: la trasformazione del concetto di possibilità in impossibilità. Secondo Sartre l'uomo è definito come "l'essere che progetta di essere Dio" (in "L'essere e il nulla"), ma questa attività si risolve in uno scacco: ciò che per Heidegger e Jaspers è nullificato dalla realtà fattuale, in Sartre è nullificato dalla molteplicità delle scelte e dall'impossibilità di discriminarne la fondatezza e validità.
"Ein Mal ist kein Mal" (una volta è nessuna volta), se mi è dato scegliere, il fatto di non poter discernere si traduce in una non scelta.
▪ Contingenza dell'essere: il mondo è «assurdo», senza ragione. È «di troppo». Esiste semplicemente, senza «fondamento». Le cose e gli Uomini esistono di fatto, e non di diritto. (Vedere La nausea.)
▪ L'Uomo è definito dalla coscienza (il "per sé" che si oppone all'"in sé"). Ovvero ogni coscienza è coscienza di qualcosa (idea d'intenzionalità ripresa da Husserl). L'Uomo è dunque fondamentalmente aperto sul mondo, «incompleto», «girato verso», esistente (proiettato fuori di sé): c'è in lui un niente, un «foro nell'essere» suscettibile di ricevere gli oggetti del mondo.
La coscienza è ciò che non coincide mai con se stessi, ciò che è potenza di "nullificazione" (cioè di negazione, cioè d'azione) grazie all'immaginazione (che può pensare ciò che non è). La coscienza rende dunque il progetto possibile.
L'Uomo è assolutamente libero: egli non è nient'altro che ciò che egli fa della sua vita, egli è un progetto. L'esistenza precede l'essenza (contro Hegel: non c'è essenza predeterminata, l'essenza è liberamente scelta dall'esistente).
L'impegno non è una maniera di rendersi indispensabile, non importa chi (intercambiabile).
▪ "L'Uomo è condannato ad essere libero": non impegnarsi è ancora una forma d'impegno, poiché se ne è responsabili.
Inoltre, Dio non esiste (e in ogni caso "se esistesse ciò non cambierebbe nulla"), per cui l’uomo è unica fonte di valore e di moralità; è condannato ad inventare la propria morale.
▪ Rifiuto del concetto freudiano d'inconscio, sostituito con la nozione di «malafede»: l'inconscio non saprebbe diminuire l'assoluta libertà dell'Uomo.
Il criterio della morale non si trova dunque al livello delle "massime" (Kant) ma degli "atti". La «malafede», sul piano pratico, consiste nel dire: "quel che conta è l'intenzione".
▪ Intersoggettività: il soggetto tende a fare degli altri un oggetto e a percepirsi come l'oggetto d'altri (esempio particolare del "gesto sporco" sorpreso mentre fatto di nascosto).
L'uomo non vive se non in relazione all'altro, e l'"IO" sartriano non è più soggettivo ma oggettivo, in quanto è riferito ad ogni uomo in chiave universale.
Sintetizzando: siamo come una stanza con una finestra che si affaccia sul mondo esterno... e sta a noi, e SOLO a noi, decidere di aprirla.
Il senso de "La nausea"
La nausea che prova il protagonista del romanzo - Antoine Roquentin - deriva proprio da quella condizione di sostanziale gratuità della vita, ovvero il sentire la vita come priva di un senso necessario. Ma vi è anche l'estraneità della coscienza nei confronti della natura, vista come brutalità priva di alcuna coscienza.
La nausea è quindi un romanzo filosofico nella misura in cui ripropone, sia pure in maniera del tutto originale, una specie di dualismo tra ciò che è cosciente e ciò che è incosciente. Per Sartre infatti la coscienza è l'elemento che distingue due categorie ontologiche distinte, appartenenti a due livelli ben distinti dell'essere.
La vita, secondo Roquentin, nel momento in cui ci appare come un unico e inevitabile flusso di esperienze senza un senso proprio, provoca la grande vertigine della nausea. Si può dunque dire che Sartre lamenta il fatto che la realtà non ci dia significato da sé, ma che è la coscienza dell'uomo a doverglielo dare. In questa impresa l'uomo è del tutto solo, perché non c'è un Dio a cui fare riferimento e porre domande.
Questa possibilità, che è anche un compito, aperta all'uomo, è per diversi aspetti la stessa che provoca l'angoscia in Soren Kierkegaard, ma mentre in questi c'è la visione salvifica del Cristo a dare speranza, per l'ateo Sartre c'è disperazione e soprattutto solitudine.
Non esiste un essere necessario "Dio" che possa dare significato dall'esterno a questa condizione esistenziale. L'esistenza è di per sé già compiuta nella sua evidenza, l'esistenza è assoluta e gratuita.
La condizione di chi si sente esistere è già vissuta come un esistente, seppure assurda perché senza uno scopo apparente, viviamo per vivere e per morire, gli eventi ci vengono incontro come fenomeni e non possiamo dedurli se non vengono in contatto con il nostro Io.
Critica
È stato spesso rimproverato a Sartre un certo intellettualismo, poco conciliabile con le sue convinzioni socio-politiche, marxiste e favorevoli alla cultura popolare. Il suo principale saggio filosofico, L'essere e il nulla, appare talvolta giocato su una teorizzazione della coscienza che ricorda troppo da vicino la metafisica colta che vorrebbe combattere.
▪ 1998
- William Grosvenor Congdon (Providence, 15 aprile 1912 – Milano, 15 aprile 1998) è stato un pittore statunitense.
Figlio dell'Action Painting, ha maturato un suo particolarissimo stile che gli ha dato notorietà già dagli anni '50.
William Grosvenor Congdon nasce il 15 aprile 1912 a Providence Rhod Island da una facoltosa famiglia di industriali.
Nel 1930 si iscrive alla Yale University che frequenta fino al 1934, anno in cui si cimenta nella pittura sotto l'egida di Henry Hensche.
Nel 1940 apre uno studio come scultore a Berkshire Hills sotto la guida del maestro George Demetrios.
Con l'entrata in guerra degli U.S.A, Congdon si imbatte nel tragico orrore della guerra, arruolandosi nell'American Field Service al seguito dell'esercito Americano nell'opera di soccorso nel campo di concentramento di Bergen Belsen.
Ha inizio così per l'artista costretto ad affrontare quotidianamente una crudeltà sconfinata una tormentata riflessione sul mistero del male, che lo accompagna per quasi tutta la vita.
Terminato il conflitto, William fa ritorno nel 1947 a New York dove sotto il fervente impulso culturale che la città offre continua a dipingere. Da un incessante lavoro nascono così le prime mostre, che vengono esposte alla celebre Betty Parsons Gallery, assieme alle opere degli artisti della nascente Action Painting come Jackson Pollock, Willem De Kooning, Franz Kline e Mark Rothko.
È l'ammaliante ambiguità newyorkese che egli si preme di raffigurare, quel suo evidente mescolarsi di bene e malvagità, bellezza e corruzione, che con veemenza attrae il pittore.
Ben presto però il pittore abbandona l'America e quindi l'amata New York, dalla quale si sente ferito e tradito a causa di un dilagante spirito commerciale e di un' ignoranza nei confronti di principi che egli abbraccia come necessari. Così la ricerca verso valori più saldi e dignitosi lo porta a Napoli dove egli sa di poter incontrare persone dotate di una sincera fiducia nella vita, non mascherata da illusioni.
L'Italia però è destinata a deludere le aspettative dell'artista che poco alla volta si accorge della vanità della sua ricerca, dell'impossibilità di trovar quel nutrimento di valori tanto bramato. Egli però non demorde, non abbandona il desiderio e così ostinato continua senza sosta a viaggiare per l'Europa e l'Africa attraversando innumerevoli paesi di cui lascia testimonianze ed impronte attraverso il suo genio.
Proprio durante il periodo in Europa dal 1950 al 1960, il suo nome inizia a divenire noto ed i suoi paesaggi ad ottenere grande successo dalla critica che non esita a celebrare il suo talento. In molti paragonano le sue vedute a quelle di Turner, anche se in quelle dell'americano traspare un evidente nota tragica, un demone che egli non riesce ad esorcizzare.
Inoltre a metà di questi anni , risale il memorabile incontro con il grande Stravinsky e quindi l'inizio di un'intensa amicizia destinata a durare negli anni.
Nel 1959, tappa fondamentale per il cammino di crescita spirituale del pittore, anno in cui abbraccia la fede cattolica ricevendo il battesimo ad Assisi.
Dal 1960 al 1970 si stabilisce in modo permanente ad Assisi dove accanto al soggetto religioso riprende a lavorare sui paesaggi.
Infine negli anni 70 riprendono i suoi viaggi attraverso l' India, l' America Latina ed il vicino Oriente, fino al trasferimento nel 1979 alla Cascinazza, monastero benedettino situato nella bassa lombarda, dove trascorre i sui ultimi anni per poi spegnersi il 15 aprile del 1998, giorno del suo 86 compleanno.
- Saloth Sar (Prek Sbauv, 19 maggio 1928 – 15 aprile 1998) è stato un rivoluzionario cambogiano, capo dei guerriglieri Khmer Rossi e ufficialmente Primo Ministro della Cambogia, (Kampuchea Democratica) dal 1976 al 1979, quando la sua dittatura venne rovesciata dal vicino stato del Vietnam.
Fu diretto ispiratore e responsabile della tortura e del massacro di un totale stimato tra un milione e mezzo e due milioni, compresi bambini donne e vecchi, di suoi concittadini (1/3 dell'intera popolazione) solo durante il periodo dal 1975 al 1979. Data la cifra dei decessi ed il rapporto degli stessi con la totalità degli abitanti, comprese la ferocia delle torture e delle esecuzioni, il breve periodo nel quale esse avvennero, nonché le motivazioni pressoché assurde che ne furono alla base, tali fatti vengono spesso additati come il crimine più orrendo mai verificatosi nella storia del genere umano.
Assunse svariati pseudonimi (Fratello Numero 1, Pouk e Hai sono solo alcuni tra quelli noti) ma è universalmente noto come Pol Pot. Sulla genesi di quest'ultimo esistono due scuole di pensiero: quella dello studioso Philip Short, secondo cui Saloth Sar lo avrebbe assunto nel '70 ispirandosi per la prima parte di esso al nome degli schiavi dei sovrani khmer discendenti da un'antica tribù sottomessa (i Pol, appunto) e completandolo con un monosillabo eufonico (come da tradizione per i cambogiani privi di secondo nome), e quella del giornalista William T. Vollmann, che lo riconduce all'abbreviazione dei termini francesi "Politique Potentiel" (in italiano "Politico Potenziale").
L'infanzia e gli anni parigini
Pol Pot nacque nel 1928 a Prek Sbauv (in quella che allora era una parte dell'Indocina Francese, ma che adesso si trova nella provincia di Kampong Thom, in Cambogia), da una famiglia mediamente benestante, con frequentazioni della famiglia reale. Infatti, una delle sue sorelle era una concubina del Re, così gli capitava spesso di visitare il Palazzo Reale. Nel 1935 lasciò la famiglia per frequentare la Ecole Miche, una scuola cattolica di Phnom Penh ove si dilettava nel leggere le sacre scritture e aveva buoni rapporti con i religiosi. Nel 1947 riuscì ad entrare nel prestigioso Liceo Sisowath, ma i suoi studi non furono proficui, così entrò in una scuola tecnica di Russey Keo. Qui nel 1949 vinse una borsa per studiare radioingegneria all'EFREI di Parigi.
Studente modello alla Sorbonne, grande ammiratore della Rivoluzione Francese, entrò ben presto in contatto con gli ideali marxisti di Jean-Paul Sartre che fu suo mentore ed ispiratore, e nel 1950 entrò addirittura in una brigata internazionale di operai che si recò nella Jugoslavia del Maresciallo Tito per costruire strade. Nel 1951, dopo essere entrato nel Circolo Marxista Khmer - che aveva nel frattempo monopolizzato l'Associazione degli Studenti Khmer - si unì al Partito Comunista Francese (il quale, come Saloth Sar, appoggiava la lotta anti-colonialista dei Viet Minh nell'Indocina Francese). Nel gennaio del 1953, dopo tre anni di studio disastrosi - a causa dell'impegno politico - fece ritorno nella madrepatria, primo tra i membri del Circolo.
La guerra di liberazione nazionale
La Cambogia di quegli anni era teatro - assieme al Vietnam e al Laos - di una rivolta, quasi interamente di matrice comunista, contro l'occupazione francese dell'Indocina. Nell'agosto del 1953 Saloth Sar raggiunse insieme a Rath Samoeun il villaggio di Krabao, quartier generale orientale dei Viet Minh situato al confine tra le province di Kompong Cham e Prey Veng, e si unì al movimento. Tuttavia, ben presto constatò in esso un'effettiva prevalenza degli interessi nazionali vietnamiti. Infatti nel 1954 i francesi lasciarono l'Indocina, e i Viet Minh si ritirarono nel Vietnam del Nord, comunista, portando con sé anche quadri comunisti cambogiani tramite i quali estendere, in un imprecisato futuro, la rivoluzione al paese confinante.
Nascita dei Khmer Rossi
Saloth Sar rimase in Cambogia e fu tra i fondatori del Partito Rivoluzionario del Popolo Khmer, poco più che una sezione locale del Partito dei Lavoratori del Vietnam. Il re Norodom Sihanouk indisse delle elezioni. Sihanouk abdicò e formò un partito politico. Usando la sua popolarità e qualche intimidazione, spazzò via l'opposizione comunista e conquistò tutti i seggi del parlamento. Pol Pot sfuggì alla polizia segreta di Sihanouk e spese dodici anni in latitanza, addestrando le reclute. Alla fine degli anni sessanta, il capo della sicurezza interna di Sihanouk, Lon Nol, intraprese un'azione brutale contro i rivoluzionari, conosciuti come Partito Comunista di Kampuchea. Pol Pot iniziò una sollevazione armata contro il governo, venendo appoggiato dalla Repubblica Popolare Cinese.
Prima del 1970, il Partito Comunista di Kampuchea fu di insignificante importanza nella politica cambogiana. Ad ogni modo, nel 1970, il Generale Lon Nol, appoggiato dagli USA, depose Sihanouk, poiché quest'ultimo veniva visto come fiancheggiatore dei Viet Cong.
Per protesta, Sihanouk diede il suo supporto alla parte di Pol Pot. Quello stesso anno, Richard Nixon ordinò un'incursione militare in Cambogia, allo scopo di distruggere i santuari Viet Cong al confine con il Vietnam del Sud. La popolarità di Sihanouk, unita all'invasione statunitense della Cambogia, portarono molti a fianco di Pol Pot e ben presto il governo di Lon Nol si trovò mantenere il controllo delle sole città.
Si è sostenuto che i Khmer Rossi avrebbero potuto non prendere il potere se non fosse stato per la destabilizzazione causata dalla Guerra del Vietnam, e in particolare per le campagne di bombardamento atte a "spazzar via i rifugi vietnamiti" in Cambogia. William Shawcross sostenne questo punto di vista nel suo libro del 1979, Sideshow.
Quando gli Stati Uniti lasciarono il Vietnam nel 1973 i Viet Cong lasciarono la Cambogia, ma i Khmer Rossi continuarono a combattere. Incapace di mantenere qualsiasi controllo sulla nazione, il governo di Lon Nol collassò rapidamente. Il 17 aprile 1975, il Partito Comunista di Kampuchea prese Phnom Penh e Lon Nol scappò negli Stati Uniti. Meno di un mese dopo, il 12 maggio, le forze navali dei Khmer Rossi operanti in acque territoriali cambogiane sequestrarono la nave mercantile americana S.S. Mayaguez, l'ultima che aveva lasciato il Vietnam, innescando la Crisi della Mayaguez.
Norodom Sihanouk ritornò al potere nel 1975, ma presto si trovò affiancato dai suoi più radicali colleghi comunisti, che avevano poco interesse nei suoi piani di restaurazione della monarchia.
Kampuchea Democratica
All'inizio del 1976 i Khmer Rossi che appoggiavano la linea dura si stancarono di tollerare le trovate di Sihanouk, e lo posero agli arresti domiciliari. Il governo esistente venne velocemente smantellato e Sihanouk venne rimosso da capo di stato. La Cambogia divenne una repubblica comunista, e Khieu Samphan ne divenne il primo Presidente.
Il 13 maggio 1976 Pol Pot venne nominato Primo Ministro di Cambogia, e iniziò a implementare delle radicali riforme socialiste nella nazione. I bombardamenti statunitensi avevano portato allo svuotamento di parte delle aree rurali, e le città si erano sovraffollate (la popolazione di Phnom Penh superò il milione di abitanti prima del 1976). Pol Pot pensava che l'unica via al comunismo fosse ripartire da zero.
Quando i Khmer Rossi presero il potere, evacuarono i cittadini dalle città verso la campagna, dove venivano costretti in fattorie comuni. La proprietà venne collettivizzata seguendo i già sperimentati modelli sovietico, cinese e vietnamita, e l'educazione si teneva in scuole comuni. Ma l'effetto della dittatura non si limitò a queste riforme: il regime comunista di Pol Pot fu infatti una delle più spietate dittature della storia. Migliaia di politici e burocrati vennero uccisi, mentre Phnom Penh veniva trasformata in una città fantasma dove molti morivano di fame, malattie o perché giustiziati. Le mine che Pol Pot lodava come "soldati perfetti", erano ampiamente distribuite in tutto il territorio. Il numero di vittime causate dalla follia sterminatrice di Pol Pot è conteso. Una cifra di tre milioni tra il 1975 e il 1979 venne data dal regime di Phnom Penh sponsorizzato dai Vietnamiti, il PRK.
Oggi si tende a reindirizzare la cifra più al ribasso, ma resta il fatto che una persona su tre, in Cambogia negli anni tra il 1975 e il 1979, venne assassinata e il paese, già non densamente popolato, si svuotò quasi del tutto. Padre Ponchaud suggerì 2,3 milioni, anche se questo numero comprende centinaia di migliaia di persone che morirono prima dell'ascesa del PCdK; l'Università Yale stimò 1,7 milioni di vittime, Amnesty International 1,4 e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti 1,2. Khieu Samphan e Pol Pot, da cui ci si poteva attendere delle sottostime, diedero cifre di 1 milione e di 800.000 rispettivamente. La CIA stimò un numero di esecuzioni tra le 50.000 e le 100.000. Tuttavia queste sono le esecuzioni accertate o fatte per decisione, ma il numero totale di persone uccise è superiore. Le stime variano da 700.000 a 1.700.000 di persone sterminate sotto Pol Pot, tra le quali ci furono molti vecchi, disabili e bambini. Fra le torture effettuate dai khmer rossi ve ne sono fra le più inimmaginabili: scariche di elettroshock, dita mozzate, unghie strappate, detenuti costretti a mangiare i propri escrementi. Spesso la ferocia dei khmer rossi si attuava uccidendo le persone a bastonate, badilate, colpi di zappa e armi da taglio, per evitare lo "spreco" di pallottole. [8] Ebbe rapporti col Partito Marxista-Leninista Italiano e col suo segretario Giovanni Scuderi.
Dall'epoca dell'entrata in clandestinità Pol Pot non fece assolutamente nulla per mantenere i contatti con i suoi familiari, che difatti furono deportati come gli altri. Suo fratello Saloth Nhep dichiarò in un'intervista alla BBC di essere venuto a conoscenza della vera identità di Pol Pot solo dopo aver casualmente visto un suo ritratto ufficiale in una cucina collettiva.
Invasione della Cambogia
Alla fine del 1978, il Vietnam invase la Cambogia (guerra cambogiana-vietnamita). L'esercito cambogiano venne sconfitto facilmente, e Pol Pot fuggì verso il confine tailandese. Nel gennaio 1979, il Vietnam installò un governo fantoccio guidato da Heng Samrin, composto da Khmer Rossi che erano fuggiti in Vietnam per evitare le purghe. A questo fece seguito l'ampia defezione verso il Vietnam degli ufficiali Khmer Rossi della Cambogia orientale, largamente motivata dalla paura che sarebbero stati accusati di collaborazionismo anche se non avessero disertato. Pol Pot mantenne un seguito sufficiente a mantenere il combattimento in una piccola area nell'ovest della nazione. A questo punto la Cina, che aveva in precedenza appoggiato Pol Pot, attaccò il Vietnam, creando una breve Guerra sino-vietnamita.
Pol Pot, un nemico dell'Unione Sovietica, ottenne supporto anche da Thailandia e USA. In particolare, gli Stati Uniti e la Cina posero il veto all'assegnazione del seggio riservato alla Cambogia nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al rappresentante del governo di Heng Samrin. Influenzati dalla realpolitik, gli USA appoggiarono direttamente e indirettamente Pol Pot, che sposò una variante radicalmente rivista del Maoismo, adattata al nazionalismo Khmer.
Pol Pot, in quanto autonomista, era un oppositore dell'ortodossia sovietica. Siccome era anti-sovietico, Stati Uniti, Thailandia e Cina lo consideravano preferibile al governo pro-vietnamita.
Conseguenze
Talvolta, gli Stati Uniti appoggiarono direttamente e indirettamente Pol Pot e la sua ostilità nei confronti dell'URSS. Gli USA tentarono di incoraggiare un'alleanza anti-vietnamita tra Pol Pot, Sihanouk e il nazionalista, Son San. Per perseguire questo fine Pol Pot si dimise ufficialmente nel 1985, ma continuò come capo de facto del Partito Comunista di Kampuchea e come forza dominante dell'alleanza. Gli oppositori al PCdK sostennero che questo agiva talvolta in maniera disumana in aree controllate dall'alleanza.
Nel 1989, i vietnamiti si ritirarono dalla Cambogia. Pol Pot si rifiutò di cooperare nel processo di pace, e continuò a combattere il nuovo governo di coalizione. I Khmer Rossi tennero in scacco le forze governative fino al 1996, quando le truppe demoralizzate iniziarono a disertare. Anche diversi importanti leader dei Khmer Rossi si unirono a queste.
Nel 1997, Pol Pot giustiziò il suo braccio destro di sempre, Son Sen, per aver voluto giungere ad un accordo con il governo, ma poi egli stesso venne arrestato dal capo militare dei Khmer Rossi, Ta Mok, e venne condannato agli arresti domiciliari per il resto della vita. Nell'aprile 1998, Ta Mok fuggì nella foresta a seguito di un nuovo attacco dei governativi, e portò Pol Pot con sé. Pochi giorni dopo, il 15 aprile, Pol Pot morì, a quanto pare per un attacco di cuore, senza aver subito alcuna sanzione o processo da tribunale locale od internazionale.
▪ 2007 - Maria Antonietta Macciocchi (Isola del Liri, 23 luglio 1922 – Roma, 15 aprile 2007) è stata una scrittrice, giornalista e politica italiana, esponente del Partito Radicale e membro del parlamento italiano ed europeo.
Il periodo comunista
Maria Antonietta Macciocchi ha appena vent'anni quando, nel 1942 aderisce al Partito Comunista, allora operante in clandestinità durante la guerra e la successiva occupazione nazista, e partecipa ad azioni di propaganda durante la resistenza. Nel 1945 si laurea con il Prof. N. Sapegno in Lettere e Filosofia all'Università "La Sapienza" di Roma.
Dal 1950 al 1956 dirige il settimanale Noi Donne, organo ufficiale dell'UDI. Nel 1956 assume la direzione del settimanale del Partito Comunista Vie Nuove dove imprimerà una svolta allo stile del periodico trasformandolo da organo di partito in una interessante pubblicazione dove trovano posto articoli di autori non sempre in linea con le direttive di partito (quali Pier Paolo Pasolini) o addirittura di scrittori "non allineati" come Curzio Malaparte al quale la Macciocchi commissionerà uno dei primi reportages sulla Cina.
Nel 1961 lascia la direzione di Vie Nuove per divenire corrispondente de l'Unità dove pubblicherà articoli da Algeri, Bruxelles e Parigi, oltre a storiche interviste con molti leader del mondo comunista e di Paesi non allineati, quali Tito, Ahmed Ben Bella, Indira Gandhi e Nikita Khrushchev. Nel 1968 viene candidata dal PCI alle elezioni per la Camera dei Deputati nel collegio di Napoli, conquistando un seggio in Parlamento.
Il suo atteggiamento critico nei confronti del partito, espresso nelle sue Lettere dall'interno del PCI inviate al filosofo francese Louis Althusser e quindi pubblicate in un libro, e l'opinione dichiaratamente entusiasta nei confronti del comunismo cinese, verso il quale il PCI ha invece un atteggiamento di distacco, quando non di disapprovazione, la mettono in contrasto con il comitato centrale.
Il periodo "cinese" e l'esilio a Parigi
Nel 1971, di ritorno da un viaggio in Cina, Maria Antonietta Macciocchi aveva pubblicato un libro di 560 pagine intitolato Dalla Cina in cui elogiava in maniera sperticata il "paradiso socialista" nell'ex Celeste Impero. Per questa sua presa di posizione si attirò molte critiche da parte di altri scrittori ed esponenti del suo partito, alle quali rispose con la pubblicazione di Polemiche sulla Cina. Questo contrasto con la linea ufficiale del partito provoca la decisione di non ripresentarla tra i suoi candidati nelle successive elezioni politiche del 1972. Maria Antonietta decide allora di lasciare l'Italia e trasferirsi nella capitale francese, dove i suoi libri hanno riscosso molto successo. Dal 1972 al 1980 sarà docente di Sociologia politica all'Università "Paris VIII-Vincennes", e nel 1977 conseguirà il Dottorato di ricerca in Scienze Politiche presso l'Università della Sorbona.
Nel 1977 Maria Antonietta Macciocchi è un personaggio di primo piano del mondo culturale parigino, ed in particolare del gruppo di "Maoisti" di cui fanno parte filosofi, scrittori, poeti, professori universitari e giornalisti del calibro di Sartre, di Sollers, di Althusser, di Lacan, e di un pezzo del movimento degli studenti che sta virando decisamente a sinistra senza conoscere, per sua fortuna, gli episodi di violenza e di terrorismo che si succedono in Italia. Quando il movimento degli Autonomi scatena una serie di episodi di violenza a Bologna, suscitando l'intervento delle forze dell'ordine, Maria Antonietta prende un granchio colossale convincendosi, e convincendo altri membri della intelligentsia francese, che in Italia sia in atto una violenta repressione contro il movimento giovanile ad opera dello Stato borghese e del Pci. Organizza pertanto, in segno di protesta, una trasferta degli intellettuali francesi nel capoluogo emiliano. Questa manifestazione per il PCI è la goccia che fa traboccare il vaso, e nell'ottobre di quell'anno la Macciocchi viene clamorosamente espulsa dal partito al termine di un "processo disciplinare" tenutosi nella sezione del Rione Trevi. Dal canto suo lei si vendicherà dando alle stampe il libro "Dopo Marx, aprile".
La sua vena polemica attira l'attenzione del leader del Partito Radicale, Marco Pannella, che le propone la candidatura alle prime elezioni per il Parlamento Europeo. Nel 1979 Maria Antonietta Macciocchi viene quindi eletta al Parlamento di Strasburgo e come componente della Commissione Giustizia si batterà per l'abolizione della pena di morte in Francia. Aderisce al gruppo parlamentare "Gruppo di coordinamento tecnico e di difesa dei gruppi e dei deputati indipendenti" di cui farà parte fino al febbraio 1982; successivamente, abbandonando la linea radicale, aderisce al "Gruppo Socialista". Nel corso del suo mandato la Macciocchi farà anche parte della Commissione per la verifica dei poteri e della Commissione di inchiesta sulla situazione della donna in Europa.
Corrispondente dal mondo
Maria Antonietta Macciocchi alterna il lavoro di parlamentare europeo a quello di giornalista, scrivendo per grandi quotidiani quali il Corriere della Sera, Le Monde ed El Pais articoli dalle più diverse parti del mondo, dalla Cambogia all'Iran e a Gerusalemme. Nel 1992 il Presidente francese François Mitterrand le conferisce la Legion d'Onore. Nello stesso anno incontra Papa Wojtyla e rimane affascinata dalla personalità del Pontefice. A lui dedicherà il libro "Le donne secondo Wojtyla" che susciterà ulteriori polemiche per la sua "conversione" da apologeta di Mao ad ammiratrice del Papa.
Le ultime attività
Negli anni '90 Maria Antonietta Macciocchi dirada l'attività giornalistica per concentrarsi sulla scrittura. Pubblica alcuni lavori dedicati alla storia di Napoli sul finire del '700 ed alle vicende della Repubblica Napoletana. Nel 1993 pubblica Cara Eleonora dedicato ad Eleonora Fonseca Pimentel, e nel 1998 esce L'amante della rivoluzione, sulla figura di Luisa Sanfelice. Alle elezioni europee del 1994 la Macciocchi si candida al Parlamento nelle liste del Patto Segni, senza tuttavia risultare eletta.
Nel febbraio del 1999 suscita nuove polemiche un suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera in cui descrive un "episodio storico" rimasto sconosciuto riguardante lo stupro collettivo ed il massacro di quaranta religiose dell'ordine delle Suore Orsoline avvenuto nella città di Altamura ad opera delle bande sanfediste capeggiate dal Cardinale Ruffo dopo l'assedio della città nel maggio del 1799. L'articolo provocherà la reazione di eminenti storici che dimostreranno, carte alla mano, che in quel tempo ad Altamura non vi era nessun convento di suore Orsoline, e che le vittime del saccheggio tra la popolazione risultarono in tutto trentasette. Non si trattava quindi di un "episodio" ma piuttosto di un falso storico. Nel 2000 dà una veste definitiva alla propria autobiografia con una nuova edizione, ampliata, di Duemila anni di felicità, che già era stata data alle stampe nel 1983.
▪ 2009 - Giano Accame (Stoccarda, 30 luglio 1928 – Roma, 15 aprile 2009) è stato un giornalista e scrittore italiano.
Nato in Germania, ma originario e cresciuto a Loano (SV), il 25 aprile 1945 si arruolò nella marina militare della Repubblica sociale italiana, venendo arrestato la sera stessa. Come dichiarò lui stesso in un'intervista a Claudio Sabelli Fioretti, riuscì a scappare grazie alla benevola neutralità dei partigiani e si dedicò alla politica: nel 1965 fu relatore al convegno dell'Hotel Parco dei Principi sulla guerra rivoluzionaria.
Fino al 1968 fu dirigente del Movimento sociale italiano, uscendone dopo la presa di posizione del partito contro la contestazione giovanile. È stato inviato speciale di vari quotidiani, stretto collaboratore di Randolfo Pacciardi nell'effimera esperienza dell'Unione Democratica per la Nuova Repubblica, anticipatrice, durante gli anni Sessanta, del dibattito sulla repubblica presidenziale.
Nella sua carriera è stato redattore de Il Borghese, Il Fiorino, L'Italia settimanale, collaboratore di numerose riviste tra le quali Il Sabato, Lo Stato,Pagine Libere, Letteratura - Tradizione, La Meta Sociale, Area.
Fu ricercatore per gli Annali dell'economia italiana (IPSOA) di Epicarmo Corbino e Gaetano Rasi. Tra il 1988 e il 1991 ricoprì l'incarico di direttore del Secolo d'Italia e collaborò con diversi quotidiani come Il Tempo, Lo Specchio, Vita. Ha diretto la rivista on line Passare al Bosco fino al giorno della sua morte.
Intellettuale scomodo
Giano Accame è considerato, insieme a Piero Buscaroli, Alfredo Cattabiani, Gianfranco De Turris, Fausto Gianfranceschi, Mario Polia e Marcello Veneziani, uno degli intellettuali storici della Destra italiana.
Contribuì alla conoscenza e alla diffusione delle rivoluzionarie idee monetarie ed economiche di Ezra Pound. Fascista di sinistra, per le posizioni controcorrente è stato considerato un pensatore "eretico", data la sua appartenza politica. Basti pensare alle critiche avanzate alla politica di Gianfranco Fini. Stimato anche dalla sinistra [2].
Si adoperò per ricucire la spaccatura, operata a suo parere dall'illuminismo e dal comunismo, tra scienza e tradizione, fede e progresso sociale. Negli anni ottanta guardò con favore all'ascesa di Craxi, vedendo in lui una personalità coraggiosa in grado di ricondurre a destra i temi del socialismo, unendoli ai sentimenti nazionali della Patria e a quelli religiosi del neo-Concordato con la Chiesa.
Citazioni
«La politica deve usare argomenti accessibili al grande pubblico, quindi argomenti ormai banalizzati. Mentre il compito dell'intellettuale è quello di spingersi oltre, di dire delle novità; il compito più difficile, insomma. Ma la normalità non è la vera rivoluzione. La vera rivoluzione è il cambiamento»; “Il Giornale” del 16/4/2009
«Sono uno scrittore di destra che ha dovuto conquistare la propria libertà faticosamente e giorno per giorno, vincendo pregiudizi, difficoltà e tentativi di discriminazione» “Il Giornale” del 16/4/2009
«Il maggior successo repubblicano è stato probabilmente l' annuncio, nel gennaio '87, sotto il governo Craxi, del quinto posto raggiunto tra i Paesi industrializzati del mondo, davanti alla Gran Bretagna. Ma ciò non cambia la sostanza del problema: la prevalenza dell' economia sulla politica rappresenta una forma di declino.[...] Craxi è stato l' ultimo cavallo di razza della politica prima che si sovrapponesse la sovranità del mercato». Il Corriere della Sera, 25 ottobre 2000.
Opere
▪ Socialismo tricolore, Editoriale Nuova, Milano 1983
▪ Il fascismo immenso e rosso, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1990
▪ Ezra Pound economista. Contro l'usura, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1995
▪ La destra sociale, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1996
▪ Il potere del denaro svuota le democrazie, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1998
▪ Una storia della Repubblica. Dalla fine della monarchia a oggi, Rizzoli, Milano 2000
▪ Dove va la destra? - Dove va la sinistra?, interviste a Giano Accame e Costanzo Preve, a cura di Stefano Boninsegni, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2004.
Su Giano Accame:
Speciale Giano Accame (a cura di Luca Gallesi), "Letteratura - Tradizione" n. 42 (2008). Raccolta di scritti in onore di Giano Accame per i suoi ottant'anni. Contributi di Massimo Bacigalupo, Claudio Bonvecchio, Luigi G. de Anna, Simone Paliaga, Giuseppe Parlato, Caterina Ricciardi, Mario Bernardi Guardi, Giuliano Borghi, Mary de Rachewiltz, Gianfranco de Turris, Giorgio Galli, Carlo Gambescia, Luciano Garibaldi, Sandro Giovannini, Mario La Floresta, Sergio Pessot, Luca Leonello Rimbotti, Marcello Staglieno, Piero Vassallo, Marcello Veneziani, Ernesto Zucconi, Alain de Benoist, Tim Redman, Demetres P. Tryphonopoulos.