Il calendario del 14 Settembre
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Eventi
▪ 786 - Harun al-Rashid diventa califfo abbaside alla morte del fratello al-Hadi
▪ 1224 - Secondo la tradizione Francesco d'Assisi riceve le stimmate sul Monte della Verna
▪ 1321 - A Parigi viene fondata la Ménéstrandise, corporazione di musicisti, giullari e menestrelli, esistita fino al 1776
▪ 1752 - L'Impero britannico adotta il Calendario gregoriano saltando undici giorni (il 2 settembre venne seguito dal 14)
▪ 1758 - Papa Clemente XIII pubblica l'enciclica A quo die, sulla necessità della unione interna dei cattolici, sulla cura contro l'orgoglio, l'altezzosità, la vanagloria dei pastori, sull'attenzione per le elemosine, sulla necessità della buona predicazione
▪ 1812 - L'esercito russo dà fuoco a Mosca per impedire che Napoleone la catturi
▪ 1829 - Il Trattato di Adrianopoli pone fine al conflitto fra gli imperi russo ed ottomano, iniziato nel 1828.
▪ 1886 - Brevettato il nastro della macchina da scrivere
▪ 1901 - Theodore Roosevelt diventa Presidente degli Stati Uniti d'America
▪ 1917 - In Russia viene dichiarato un governo repubblicano
▪ 1923 - Miguel Primo de Rivera diventa dittatore della Spagna
▪ 1930 - Il partito nazista guadagna oltre il 18% dei voti e 107 seggi nel Reichstag, diventando il secondo partito in Germania
▪ 1948 - Inizio degli scavi del quartier generale delle Nazioni Unite a New York
▪ 1959 - La sonda sovietica Luna 2 si schianta sulla Luna, diventando il primo manufatto umano a raggiungerla
▪ 1960 - Viene fondata l'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC)
▪ 1964 - Apertura del terzo ciclo del Concilio Vaticano II
▪ 1965 - Apertura del quarto ed ultimo ciclo del Concilio Vaticano II
▪ 1975 - La prima santa statunitense, Elizabeth Ann Seton, viene canonizzata da Papa Paolo VI
▪ 1981 - Papa Giovanni Paolo II pubblica la Lettera Enciclica Laborem Exercens, ai venerati fratelli nell'episcopato, ai sacerdoti, alle famiglie religiose, ai figli e figlie della Chiesa e a tutti gli uomini di buona volontà sul lavoro umano nel 90º anniversario della "Rerum novarum" di Leone XIII
▪ 1984 - Joe Kittinger diventa la prima persona ad attraversare in solitaria l'Oceano Atlantico con una mongolfiera
▪ 1998 - Papa Giovanni Paolo II pubblica l'enciclica Fides et Ratio riguardante i rapporti tra fede e ragione
▪ 1999 - Kiribati, Nauru e Tonga entrano nelle Nazioni Unite
▪ 2000 - Juan Antonio Samaranch lascia la presidenza del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), dopo 20 anni
▪ 2002 - Il cardinale Dionigi Tettamanzi prende possesso dell'Arcidiocesi di Milano
▪ 2003
- - La Svezia, con un referendum, rigetta l'adozione dell'Euro.
- - L'Estonia, con un referendum, approva l'ingresso nell'Unione Europea
▪ 2005
- - Baghdad: Una serie di attentati causa 154 morti ed oltre 500 feriti, per la maggior parte sciiti. Al Qaeda rivendica le stragi, come rivalsa per i morti causati poche settimane prima durante una celebrazione sunnita.
- - Latina: Un ordigno ad alto potenziale esplode nella caserma del comando provinciale dell'Arma dei Carabinieri. L'Appuntato Alberto Andreoli rimane ucciso, un altro agente riporta ferite lievi.
- - L'emulatore MAME raggiunge la storica versione 0.100. Contemporaneamente parte il Progetto EMMA di Stefano Bastianello, per riportare il MAME in Italia
▪ 2007 - Uscita del film dei Simpsons in Italia
▪ 2008 - Fallimento della Lehman Brothers e l'inizio della Crisi economica.
Anniversari
▪ 407 - Giovanni Crisostomo, o Giovanni d'Antiochia (Antiochia, 344/354 – Comana Pontica, 14 settembre 407), è commemorato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa, venerato dalla Chiesa copta.
Fu il secondo Patriarca di Costantinopoli, è uno dei 33 Dottori della Chiesa. La sua eloquenza è all'origine del suo epiteto Crisostomo (in greco antico χρυσόστομος / khrysóstomos, letteralmente «Bocca d'oro»). Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Scrisse delle omelie antigiudaiche utilizzate nei secoli come pretesto per le discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei. Dovette subire un esilio e durante un trasferimento morì.
▪ 1321 - Dante Alighieri o, semplicemente, Dante (Firenze, tra il 22 maggio ed il 13 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321) fu un poeta, scrittore e politico italiano. Considerato il padre della lingua italiana, è l'autore della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera scritta in italiano e uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.
Il suo nome, secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante:[1] nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio de Alagheriis, mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di Boccaccio.[2]
È conosciuto come il Sommo Poeta, o, per antonomasia, il Poeta.
I primi anni e le origini familiari
La data di nascita di Dante è sconosciuta anche se, in genere, viene indicata attorno al 1265, sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella Vita Nova e nella cantica dell'Inferno - che comincia con la frase "Nel mezzo del cammin di nostra vita": poiché in altre sue opere, seguendo una tradizione ben nota, la metà della vita dell'uomo viene considerata di 35 anni, e svolgendosi il viaggio immaginario nel 1300, si risalirebbe al 1265. Alcuni versi del Paradiso ci dicono poi che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno:
«L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.» (Paradiso, Canto XXII, 151-154)
Secondo riferimenti indiretti è possibile poi risalire alla data di nascita di Dante nel periodo compreso tra il 14 maggio e il 13 giugno del 1265. Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 26 marzo 1266, Sabato Santo. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino.[3]
Boccaccio racconta che la sua nascita fu preannunciata da lusinghieri auspici. La madre di Dante infatti, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione: sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito, e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico pavone.[4]
Dante nacque nell'importante famiglia fiorentina degli Alighieri, legata alla corrente dei guelfi, un'alleanza politica coinvolta in una complessa opposizione ai ghibellini; gli stessi guelfi si divisero poi in guelfi bianchi e guelfi neri.
Dante credeva che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani (Inferno Canto XV, 76), ma il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei (Paradiso Canto XV, 135), vissuto intorno al 1100. Dal punto di vista giuridico perciò la presunta nobiltà derivantegli da questa ascendenza, già di per sé dubbia, si era comunque estinta da tempo. Il nonno paterno, Bellincione, era un popolano, e un popolano sposò la sorella di Dante.[4]
Suo padre, Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la non gloriosa professione di compsor (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia. Era un guelfo ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini, dopo la battaglia di Montaperti non lo esiliarono come altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso.[4]
La madre di Dante era Bella degli Abati: Bella era diminutivo di Gabriella, Abati era il nome di un'importante famiglia ghibellina. Di lei si sa poco. Dante ne tacerà sempre.[4] Morì quando Dante aveva cinque o sei anni ed Alaghiero presto si risposò con Lapa di Chiarissimo Cialuffi che mise al mondo Francesco e Tana (Gaetana) e forse anche - ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati - un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi. Si ritiene che a lei alluda Dante nella Vita Nova (XXIII, 11-12), chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta».
Il matrimonio e la carriera politica
Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di vent'anni. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti ad un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva - i Donati - era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, i guelfi neri. Politicamente Dante apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi, che, pur trovandosi nella lotta per le investiture schierati col papa, contavano molte famiglie della nobiltà signorile e feudale più antica ed erano contrari ad un eccessivo aumento del potere temporale papale. Dante, in particolare, nella sua opera De Monarchia auspicava l'indipendenza del potere imperiale dal papa, pur riconoscendo a quest'ultimo una superiore autorità morale.
Da Gemma Dante ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia. Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel Convento delle Olivetane a Ravenna. Si dice fosse figlio suo anche un certo "Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia", che compare come testimone in un atto del 21 ottobre 1308 a Lucca.
A Firenze ebbe una carriera politica di discreta importanza: dopo l'entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (1295), che escludevano l'antica nobiltà dalla politica permettendo ai ceti intermedi di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte, Dante si immatricolò all'Arte dei Medici e Speziali.
L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, cioè dei massimi rappresentanti di ciascuna Arte; dal maggio al settembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta come ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San Gimignano. Lo stesso anno fu priore dal 15 giugno al 15 agosto.
Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII. Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato come paciere, almeno nominale (in realtà spedito dal papa per ridimensionare la potenza della parte dei guelfi bianchi, in quel periodo in piena ascesa sui Neri), Dante cercò, con successo, di ostacolare il suo operato, ed era in carica durante il difficile momento in cui il cardinale mosse un esercito da Lucca contro Firenze, venendo però bloccato ai confini dello stato fiorentino.
Quale membro del Consiglio dei Cento, fu tra i promotori del discusso provvedimento che spedì ai due estremi della Toscana i capi e le "teste calde" delle due fazioni. Questo non solo fu una disposizione inutile (presto essi tornarono alla spicciolata) ma fece rischiare un colpo di stato da parte dei Neri, che stavano per approfittare della situazione quando i Bianchi erano senza leader, ritardando oltre misura l'inizio del loro esilio. Inoltre il provvedimento attirò sui responsabili, Dante compreso, sia l'odio della parte nemica sia la diffidenza degli "amici", e da lui stesso fu definito come l'inizio della sua rovina.
Con l'invio di Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come teorico paciere (ma conquistatore di fatto), la Repubblica spedì a Roma un'ambasceria con Dante stesso, accompagnato da Maso Minerbetti e dal Corazza da Signa.
Dante si trovava quindi a Roma, trattenuto oltre misura proprio da Bonifacio, quando Carlo di Valois, al primo pretesto, mise a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 Cante Gabrielli da Gubbio fu nominato Podestà di Firenze, dando inizio ad una politica di sistematica persecuzione degli elementi ostili al papa, che si risolse nell'uccisione o nell'esilio di tutti i guelfi bianchi. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi e dei Gherardini, il poeta fu condannato da Cante Gabrielli, in contumacia, al rogo ed alla distruzione delle case. Dante fu raggiunto dal provvedimento di esilio a Roma e non rivide mai più Firenze.
Gli anni dell'esilio e la morte
Durante l'esilio, Dante fu ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli Ordelaffi, signori ghibellini di Forlì, dove probabilmente si trovava quando l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo entrò in Italia. Qui è possibile che abbia conosciuto le opere del famoso pensatore ebreo Hillel ben Samuel da Verona, che era da poco morto, dopo aver trascorso a Forlì gli ultimi anni della sua vita.
Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì, un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa, però, fu sfortunata: il podestà di Firenze, un altro forlivese (nemico degli Ordelaffi), Fulcieri da Calboli, riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Puliciano. Dante, deluso, anche se tornò a Forlì ancora nel 1310-1311 e nel 1316 (data incerta, quest'ultima), decise di fare "parte per se stesso" e di non contare più sull'appoggio dei ghibellini per rientrare nella sua città.
Dante terminò le sue peregrinazioni a Ravenna, dove trovò asilo presso la corte di Guido Novello da Polenta, signore della città,[5] tuttavia i rapporti con Verona non cessarono, come testimoniato dalla sua presenza nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la Quaestio de aqua et terra, ultima sua opera latina.
Morì a Ravenna il 14 settembre 1321 di ritorno da un'ambasceria a Venezia. Passando dalle paludose Valli di Comacchio contrasse la malaria. Venezia era all'epoca in attrito con Ravenna ed in alleanza con Forlì: gli storici pensano che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze. I funerali, in pompa magna, vennero officiati nella chiesa di San Francesco a Ravenna. Costruito nel 1700 e restaurato più volte, l'ultima negli anni trenta del '900, il "dantis poete sepulcrum" è oggi un cenotafio, ovvero una tomba vuota. Le ossa del sommo poeta riposano oggi nella Biblioteca Classense, in Ravenna. Nel cenotafio di Dante, sotto un piccolo altare si trova l'epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio nel 1366 :
«I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte (gli inferi) visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore.» (Epigrafe)
Studi
Poco si sa circa gli studi di Dante. La cultura dantesca, formatasi in un contesto educativo totalmente diverso da quello attuale, è ricostruibile, in assenza di dati documentari affidabili, innanzitutto a partire dalle opere. Si ottiene così l'immagine di un attento studioso di teologia, filosofia, fisica, astronomia, grammatica e retorica: in breve, di tutte le discipline del trivium e del quadrivium previste dalle scuole e dalle Universitates medievali.
Ad ogni modo, è probabile che il poeta abbia frequentato gli studia religiosi e laici di cui si ha notizia a Firenze. Alcuni ritengono che Dante abbia studiato presso l'Università di Bologna, ma non vi sono prove in proposito. In un verso della Divina Commedia (Par., X, 133-138) Che, leggendo nel vico de li Strami, silogizzò invidïosi veri, Dante allude a Rue du Fouarre, dove si svolgevano le lezioni della Sorbona: questo ha fatto pensare a qualche commentatore, in modo puramente congetturale, che Dante possa essersi realmente recato a Parigi.
Ovviamente, la cultura ufficiale delle Università era essenzialmente in lingua latina. Di conseguenza, la cultura letteraria di Dante è basata principalmente sugli autori latini: in particolare Virgilio, che ebbe un'influenza determinante sulle opere dantesche. Dante, tuttavia, conobbe certamente un buon numero di poeti volgari, sia italiani che provenzali. Nelle sue opere è evidente il legame con la poesia toscana di Guittone d'Arezzo e di Bonagiunta Orbicciani (cfr. Purgatorio, Canto XXIV, 52-62), di Guido Guinizzelli e della Scuola poetica siciliana - una corrente letteraria attiva alla corte di Federico II, corrente che si esprimeva in volgare e che proprio allora stava cominciando ad essere conosciuta in Toscana, avendo in Giacomo da Lentini (il famoso "Notaro" di cui alla citazione precedente) il suo maggior esponente. La conoscenza del provenzale da parte di Dante è ricostruibile sia dalle citazioni contenute nel De vulgari eloquentia sia dai versi provenzali inseriti nel Purgatorio (XXVI, 140-147).
Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue opere possono avere influito notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il dialetto grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i trattati di Albertano da Brescia.[6]
In virtù dei suoi interessi, Dante apprese la tradizione dei menestrelli, dei poeti provenzali e la stessa cultura latina, professando, come già detto, una devozione particolare per Virgilio:
«Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore;
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore»(Inferno I, 85-87)
Dovrebbe essere sottolineato che, durante il Medioevo, le rovine dell'Impero romano decaddero definitivamente, lasciando spazio a dozzine di piccoli stati: la Sicilia, ad esempio, era tanto lontana - culturalmente e politicamente - dalla Toscana quanto lo era la Provenza. Le stesse regioni, in buona sostanza, non condividevano una lingua o una cultura comune né tanto meno potevano usufruire di facili collegamenti. Sulla base di queste premesse, è possibile supporre che Dante fosse per la sua epoca un intellettuale aggiornato, acuto e con interessi, come si direbbe oggi, internazionali.
Lo Stilnovo e Beatrice
A diciotto anni Dante incontrò Lapo Gianni, Cino da Pistoia e subito dopo Brunetto Latini: insieme essi divennero i capiscuola del Dolce Stil Novo. Brunetto Latini successivamente fu ricordato dal poeta nella Divina Commedia (Inferno, XV, 82) per quello che aveva insegnato a Dante, non come un semplice maestro ma come uno dei più grandi luminari che segnò profondamente la sua carriera letteraria e filosofica: maestro di retorica, abile compilatore di trattati enciclopedici, dovette iniziarlo alla letteratura cortese provenzale e francese, scrivendo il Tresor proprio in Francia. Brunetto mette in evidenza il rapporto tra gli studi di grammatica (latino) e di retorica e la filosofia amorosa cortese, gettando le basi degli interessi speculativi del futuro Dante. Altri studi sono inoltre segnalati, o sono dedotti dalla Vita Nova o dalla Divina Commedia, per ciò che riguarda la pittura e la musica.
All'età di nove anni Dante si innamorò di Beatrice, la figlia di Folco Portinari. Si è detto che Dante la vide soltanto una volta e mai le parlò (ma altre versioni sono da ritenersi ugualmente valide). Più interessante però, al di là degli scarni dati biografici che ci sono rimasti, è la Beatrice divinizzata e dunque sublimata della Vita Nova: l'angelo che opera la conversione spirituale di Dante sulla Terra, lo studio psicologico che compie il poeta sul proprio innamoramento. L'introspezione psicologica, l'autobiografismo, ignoto al Medioevo, guardano già al Petrarca e più lontano ancora, al Rinascimento. Il nome Beatrice assumerà soprattutto nella Divina Commedia la sua reale importanza, in quanto, etimologicamente parlando, significa Portatrice di Beatitudine, tanto che solo questa figura potrà condurre Dante lungo il percorso del Paradiso.
È difficile riuscire a capire in cosa sia consistito questo amore, ma qualcosa di estremamente importante stava accadendo per la cultura italiana: è nel nome di questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce Stil Novo e condurrà i poeti e gli scrittori a scoprire i temi dell'amore, in un modo mai così enfatizzato prima.
L'amore per Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca mostrerà per la sua Laura) sarà il punto di partenza per la formulazione della sua concezione del Dolce Stil Novo, nuova concezione dell'amor cortese sublimata dalla sua intensa sensibilità religiosa (il culto mariano con le laudi arrivato a Dante attraverso le correnti pauperistiche del Duecento, dai Francescani in poi), per poi approdare alla filosofia dopo la morte dell'amata, che segna simbolicamente il distacco dalla tematica amorosa e l'ascesa del Sommo Poeta verso la Sapienza, luce abbacinante e impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso della Divina Commedia.
Filosofia e politica
Quando Beatrice morì nel 1290, Dante cercò di trovare un rifugio nella letteratura latina. Dal Convivio sappiamo che aveva letto il De consolatione philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone. Egli allora si dedicò agli studi filosofici presso le scuole religiose come quella Domenicana in Santa Maria Novella. Prese parte alle dispute che i due principali ordini religiosi (Francescani e Domenicani) pubblicamente o indirettamente tennero in Firenze, gli uni spiegando la dottrina dei mistici e di San Bonaventura, gli altri presentando le teorie di San Tommaso d'Aquino. La sua "eccessiva" passione per la filosofia gli sarebbe stata successivamente rimproverata da Beatrice nel Purgatorio.
Dante fu anche soldato, e l'11 giugno 1289 combatté nella battaglia di Campaldino che vide contrapposti i cavalieri fiorentini ad Arezzo; successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze. Dante stesso cita Carlo Martello d'Angiò nella Divina Commedia (Paradiso, Ct. VIII, 31 e Ct. IX, 1).
Opere - Il Fiore e Detto d'Amore
Due opere poetiche in volgare di argomento, lessico e stile affini, collocate in un periodo cronologico che va dal 1283 al 1287, sono state attribuite con una certa sicurezza a Dante dalla critica novecentesca, soprattutto a partire dal lavoro del filologo dantesco Gianfranco Contini: Il Fiore e Detto d'Amore sono due elaborati poemetti inscrivibili nell'opera giovanile del poeta, precedente al soggiorno bolognese del 1287.
Le Rime
Le Rime sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce il complesso della produzione lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle dell'età matura. Le rime giovanili comprendono componimenti che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo, quella guittoniana, quella guinizzelliana e quella cavalcantiana. Tra questo gruppo di testi Dante aveva scelto quelli che dovevano entrare a far parte della Vita Nova.
Vita Nova
La Vita Nova, che può essere considerata il racconto di una vicenda autobiografica resa come exemplum, narra la vita spirituale e l'evoluzione poetica di Dante; è strutturata in quarantadue (o trentuno[7]) capitoli in prosa collegati in una storia omogenea, che spiega una serie di testi poetici composti in tempi differenti, tra cui hanno particolare rilevanza la canzone-manifesto Donne ch'avete intelletto d'amore e il celebre sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.
L'opera è consacrata all'amore per Beatrice e fu composta probabilmente tra il 1293 e il 1295. La composizione delle rime si può far risalire, secondo la cronologia che Dante fornisce, tra il 1283 come risulta dal sonetto A ciascun alma presa e dopo il giugno del 1291, anniversario della morte di Beatrice. Per stabilire con una certa sicurezza la data della composizione del libro nel suo insieme organico, ultimamente la critica è propensa ad avvalersi del 1300, data non superabile, che corrisponde alla morte del destinatario Guido Cavalcanti: "Questo mio primo amico a cui io ciò scrivo" (Vita Nova, XXX).
Quest'opera ha avuto una particolare fortuna negli Stati Uniti, dove fu tradotta dal grande filosofo e letterato Ralph Waldo Emerson.
Convivio
Il Convivio (1304-1307), dal latino convivium, ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di Firenze. È un prosimetro che si presenta come un'enciclopedia dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi superiori. È scritta in volgare per essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il latino. L'incipit del Convivio fa capire chiaramente che l'autore è un grande conoscitore e seguace di Aristotele; questi, infatti, viene citato con il termine "Lo Filosofo". L'incipit in questo caso spiega a chi è rivolta quest'opera e a chi non è rivolta. Coloro che non hanno potuto conoscere la scienza sono stati impediti da due tipi di ragioni:
▪ Interne: malformazioni fisiche, vizi e malizia
▪ Esterne: cura familiare, civile e difetto di luogo di nascita
Dante ritiene beati i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove si mangia il "pane degli angeli", e miseri coloro che si accontentano di mangiare il cibo delle pecore. Dante non siede alla mensa, ma è fuggito da coloro che mangiano il pastume e ha raccolto quello che cade dalla mensa degli eletti per crearne un altro banchetto. A questo convivio saranno invitati solo coloro che sono stati impediti da ragioni esterne, perché gli altri non avrebbero la capacità di capire. L'autore allestirà un banchetto e servirà una vivanda (i componimenti in versi) accompagnata dal pane (la prosa) necessario per assimilarne l'essenza. Saranno invitati a sedersi solo coloro che erano stati impediti da cura familiare e civile, mentre i pigri sarebbero stati ai loro piedi per raccogliere le briciole.
De vulgari eloquentia
Contemporaneo al Convivio il De vulgari eloquentia è un trattato in lingua latina scritto da Dante Alighieri tra il 1303 e il 1304. Composto da un primo libro intero e da 14 capitoli del secondo libro, era inizialmente destinato a comprendere quattro libri.
Pur affrontando il tema della lingua volgare, fu scritto in latino perché gli interlocutori a cui Dante si rivolse appartenevano all'élite culturale del tempo, che forte della tradizione della letteratura classica riteneva il latino senz'altro superiore a qualsiasi volgare, ma anche per conferire alla lingua volgare una maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere di legge, religione e trattati internazionali, cioè argomenti della massima importanza. Dante si lanciò in una appassionata difesa del volgare, dicendo che meritava di diventare una lingua illustre in grado di competere se non uguagliare la lingua di Virgilio, sostenendo però che per diventare una lingua in grado di trattare argomenti importanti il volgare doveva essere:
▪ illustre (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa uso nello scritto),
▪ cardinale (tale che intorno ad esso ruotassero come una porta intorno al cardine, i volgari regionali),
▪ aulico (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlata nella reggia),
▪ curiale (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperata negli atti politici di un sovrano).
Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere ammesso la grande dignità del siciliano illustre, la prima lingua letteraria assunta a dignità nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani trovando nell'uno alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate dovrebbero costituire la lingua italiana. Dante vede nell'italiano la panthera redolens dei bestiari medievali, animale che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in particolare nel siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi: manca in effetti ancora una lingua italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli strati della popolazione italiana. Per farla riapparire era dunque necessario attingere alle opere dei migliori scrittori italiani, ma molti di quei libri attendevano ancora di essere scritti, e in questo senso il trattato di Dante è un appello ai dotti lettori alla cui penna chiedeva disperatamente aiuto.
De Monarchia
L'opera è divisa in tre libri. Nel primo Dante afferma la necessità di un impero universale e autonomo, e riconosce questo impero come unica forma di governo capace di garantire unità e pace. Nel secondo riconosce la legittimità del diritto dell'impero da parte dei Romani. Nel terzo libro Dante dimostra che l'autorità del monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità del pontefice. La posizione dantesca è per più aspetti originale. Essa è in contrasto tanto con i sostenitori della concezione ierocratica, quanto con i sostenitori dell'autonomia politica e religiosa dei sovrani nazionali rispetto all'imperatore e al papa.
Commedia
La Comedìa — titolo originale dell'opera — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al 1300 (anno giubilare, tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella selva oscura) e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'Inferno intorno al 1313, mentre il Purgatorio fu pubblicato nei due anni successivi. Il Paradiso, iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta.
Il poema è diviso in tre libri o cantiche, ciascuno formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all'intero poema); ogni canto si compone di terzine di endecasillabi. La Commedia tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante poesia didattica medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un viaggio immaginario nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo" dell'umanità, sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il Paradiso, rappresenta, sotto metafora, anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti entro i quali lo aveva rinchiuso il pregiudizio scolastico medievale. Dante è accompagnato sia nell'Inferno che nel Purgatorio dal suo maestro Virgilio; in Paradiso da Beatrice e da San Bernardo.
Epistola XIII a Cangrande della Scala
L'Epistola XIII a Cangrande I della Scala, risalente agli anni tra il 1315 e 1317, è l'ultima e la più rilevante delle sole tredici epistole dantesche attualmente conservate; essa contiene la dedica del Paradiso al signore di Verona, nonché importanti indicazioni per la lettura della Commedia: il soggetto (la condizione delle anime dopo la morte), la pluralità dei sensi, il titolo (che deriva dal fatto che inizia in modo aspro e triste e si conclude con il lieto fine), la finalità dell’opera che non è solo speculativa, ma pratica poiché mira a rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli alla felicità.
Egloghe
Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra il 1319 ed il 1320 a Ravenna, facenti parte di una corrispondenza con Giovanni del Virgilio, intellettuale bolognese, i cui due componimenti finiscono sotto il titolo di Egloga I e Egloga III, mentre quelli danteschi sono l'Egloga II e Egloga IV.
Dante nella cultura moderna
La vita e l'opera di Dante hanno avuto un'influenza determinante sulla costruzione dell'identità italiana e in generale sulla cultura moderna.
Alla figura di Dante papa Benedetto XV dedicò l'enciclica In Praeclara Summorum, scritta il 30 aprile 1921.
Numerosissimi gli scrittori e gli intellettuali che hanno utilizzato e continuano ad utilizzare la Commedia e le altre opere dantesche come fonte di ispirazione tematica, linguistica, espressiva. Di seguito si cerca di offrire un panorama sintetico, organizzato per periodi e per autori, della presenza di Dante nella cultura moderna italiana e mondiale.
Letteratura italiana del Novecento:
▪ Nell'opera poetica di Eugenio Montale è frequente la ripresa di termini e formule del Dante lirico e del Dante della Commedia.
▪ Il poeta Mario Luzi ha utilizzato più volte temi danteschi e in particolare 'purgatoriali', ad esempio nella lirica La notte lava la mente.
▪ In Se questo è un uomo di Primo Levi si trovano numerosi riferimenti alla discesa dantesca agli Inferi; uno dei capitoli è inoltre strutturato come una ripresa del viaggio di Ulisse nel canto XXVI dell'Inferno.
Letteratura straniera del Novecento:
▪ Il poeta Thomas Stearns Eliot trae ispirazione da Dante e al v. 63 del poema La terra desolata traduce letteralmente i versi 56-57 del canto terzo dell'Inferno: «i' non averei creduto / che morte tanta n'avesse disfatta». Il passo descrive una mattina londinese nella quale la folla delle persone che vanno al lavoro è associata all'immagine dantesca degli ignavi. Sempre in The waste land, in What the thunder said cita esplicitamente il v. 148 del canto XXVI del Purgatorio:"Poi s'ascose nel fuoco che gli affina". Inoltre riporta i vs 61-66 del XXVII canto dell'Inferno ad introduzione della poesia The Love Song of J. Alfred Prufrock.
▪ Nel racconto L'omnibus celeste lo scrittore inglese Edward Morgan Forster introduce un misterioso personaggio «giallastro, dalla mascella poderosa e dagli occhi infossati», che «si chiama Dan eccetera» che guida una strana vettura a cavalli, dentro la quale si trova la scritta «"Lasciate ogni baldanza voi ch'entrate"; al che il signor Bons borbottò un: satire intellettualoidi o che so io; e che baldanza era locuzione sbagliata, per speranza.» Alla fine di un percorso in mondi abitati dai grandi personaggi del mito e della poesia, il ragazzo che compie il viaggio «avvertì sulla fronte un fresco contatto di foglie. Qualcuno lo aveva cinto di una corona.»[8]
▪ Il poeta Ezra Pound fu un profondo conoscitore della poesia dantesca, che riprese in alcuni passaggi della sua opera principale, The Cantos.
▪ Il poeta argentino Jorge Luis Borges, considerato da molti lo scrittore più importante del novecento, ammirò la Commedia di Dante fino a dire che è la migliore opera letteraria di tutti i tempi, l'apice delle letterature. Ha scritto Nove saggi danteschi e ha tenuto molte conferenze sul "sacro poema". Nella sua opera a volte traduce dei brani della Commedia che inserisce nelle sue poesie come nel "Poema conjetural" che riprende l'episodio di Bonconte in Purgatorio, V.
▪ Nel 2010, il publisher canadese EA ha pubblicato il videogioco Dante's Inferno, sviluppato da Visceral Games. Tale videogioco narra le imprese di un improbabile Dante crociato che discende all'Inferno per recuperare l'anima di Beatrice. Nel corso di tutto il gioco, i diversi personaggi parlano citando i versetti originale della Divina Commedia.
Televisione:
▪ Nel 1965 la RAI ha dedicato al Sommo Poeta uno sceneggiato televisivo dal titolo Vita di Dante, interpretato da Giorgio Albertazzi.
E-Book:
▪ A partire dal 2008, con l'avvento di nuovi dispositivi touch quale iPhone e iPod touch appaiono edizioni interattive delle Divina Commedia.
▪ Nel 2010 compare una edizione interattiva per iPad in cui i testi vengono associati ad illustrazioni ricolorate di Gustave Doré, oltre a ricostruzioni virtuali e mappe sinottiche degli ambienti immaginati da Dante durante il suo viaggio.
Note
1. ^ «Durante, olim vocatus Dante»
2. ^ Boccaccio fu tra l'altro uno dei maggiori commentatori trecenteschi dell'opera di Dante, e copiò di suo pugno diversi manoscritti della Commedia e delle Rime dantesche.
3. ^ Cesare Marchi, “Dante”, Bergamo, RCS, 2006, p. 15
4. ^ a b c d Cesare Marchi, “Dante”, Bergamo, RCS, 2006, p. 14
5. ^ Sembra su diretto consiglio della moglie Caterina.
6. ^ Francesco Selmi, Dei Trattati morali di Albertano da Brescia, volgarizzamento inedito fatto nel 1268 da Andrea da Grosseto, Commissione per i testi di lingua, Bologna, Romagnoli, 1873, Osservazioni, p.389 (25*).
7. ^ L'edizione critica tradizionale di Barbi, 1921, conta 42 capitoli; quella di Gorni, 1996, ne rivede la suddivisione, contandone 31.
8. ^ E.M. Forster, I racconti, Garzanti, Milano,1988, pp.37-52
Bibliografia
La Bibliografia sulla vita e sull'opera di Dante è sterminata; normalmente, il primo strumento di ricerca è l'Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1970-1978. Si possono utilizzare anche le risorse informatiche, in primo luogo la bibliografia consultabile sul sito della Società Dantesca Italiana.
▪ 1560 - Anton Fugger (Norimberga, 10 giugno 1493 – Augsburg, 14 settembre 1560) è stato un banchiere tedesco, membro di una delle più importanti famiglie di banchieri d'Europa.
Anton era il terzo e ultimo figlio di Georg Fugger (fratello di Jacob Fugger) e Regina Imhof. Nacque a Norimberga il 10 giugno 1493 e nel 1527 si sposò con Anna Augsburger, la coppia ebbe 10 figli, 4 maschi e 6 femmine.
Lo zio Jacob morì il 30 dicembre 1525 e poiché non aveva figli che potessero ereditare le sue sostanze lasciò tutti i suoi beni al nipote Anton, che quindi si ritrovò proprietario di una fortuna stimata in oltre due milioni di fiorini, cifra impressionante per l'epoca.
Anton diresse le attività che furono dello zio insieme al fratello Raymund e al cugino Hieronymus, scelse di espandere le tratte commerciali fino a Buenos Aires, al Messico e alle Indie Occidentali. Dal punto di vista politico supportò attivamente gli imperatori Carlo V e Ferdinando I.
Nel corso della sua vita fu soprannominato "il principe dei mercanti" e pur facendo parte della piccola nobiltà (aveva ereditato dallo zio il titolo di conte) riuscì a far sposare i figli e le figlie con alcuni importanti nobili, introducendosi in questo modo nell'alta nobiltà.
▪ 1916 - Pierre Maurice Marie Duhem (10 giugno 1861 – 14 settembre 1916) è stato un filosofo, storico della scienza, fisico e matematico francese.
È conosciuto soprattutto per le sue opere riguardanti le indeterminazioni legate al metodo sperimentale e la storia del progresso scientifico durante il Medioevo.
Pensiero
Il suo nome è spesso associato in epistemologia alla cosiddetta tesi di Quine-Duhem, secondo cui poiché ogni modello teorico (ad esempio, la meccanica newtoniana, o l'elettromagnetismo) costruito per spiegare una serie di fenomeni è costituito da una moltitudine di ipotesi tra loro interconnesse, un'eventuale falsificazione del modello alla luce dei dati sperimentali non chiarisce di per sé stessa l'ambiguità riguardo quale (o quali) delle tante ipotesi è falsa. In questo modo la tesi di Quine-Duhem è spesso interpretata come una critica alla teoria falsificazionista di Karl Popper.
La storia della scienza presenta diversi esempi di come la questione sollevata dalla tesi di Quine-Duhem si presenti effettivamente. Ad esempio la scoperta di Nettuno, a metà Ottocento, avvenne grazie all'osservazione che l'orbita di Urano risultava non rispettare perfettamente le leggi di Newton. Un approccio rigorosamente falsificazionista avrebbe dovuto condurre all'abbandono della meccanica classica; ma le leggi di Newton non erano le sole ipotesi con cui si osservava il fenomeno, un'altra implicita ipotesi era che Urano fosse il pianeta più esterno del sistema solare. Ed era quest'ultima ipotesi che risultava falsificata dall'osservazione: le anomalie nell'orbite di Urano erano dovute agli effetti gravitazionali del più esterno Nettuno.
▪ 1927 - Isadora Duncan, pseudonimo di Dora Angela Duncan (San Francisco, 28 maggio 1878 – Nizza, 14 settembre 1927), è stata una danzatrice statunitense. È considerata una tra le più significative precorritrici della cosiddetta "danza moderna".
Ballerina del Novecento che instaurò dopo anni di rigide ed essenziali regole della danza classica la danza libera o moderna, nacque in California da madre irlandese e padre scozzese. Trascorse gli anni dell'infanzia tra le note dei brani di musica classica suonati dalla madre, insegnante di pianoforte. Fu educata allo spirito di libertà e indipendenza. Durante la sua esistenza assai movimentata, trascorsa in gran parte sul suolo europeo, i successi artistici si alternarono a delusioni personali ed episodi luttuosi, tra cui la morte prematura dei due figli, ancora bambini. Fu una donna emancipata ed ebbe intense relazioni affettive, tra cui quella con il poeta Sergej Esenin, conosciuto durante la permanenza in Russia. Egli morì tragicamente in circostanze oscure tre anni dopo il loro matrimonio. La Duncan morì tragicamente, strangolata dalla sua stessa sciarpa, le cui frange si erano impigliata nelle ruote della Bugatti sulla quale era appena salita, salutando gli amici con una frase che rimarrà famosa: "Addio, amici, vado verso la gloria!".
La creazione artistica
Le sue prime esibizioni si svolsero negli Stati Uniti alla fine del' Ottocento, ma non furono molto apprezzate. Nel 1900 danzò a Londra. Fu la prima di una lunga serie di esibizioni nel continente europeo, dove ottenne l'ammirazione di molti artisti e intellettuali dell'epoca. Ella fu artefice di una radicale rottura nei confronti della danza accademica: abolì nei propri spettacoli le scarpette a punta, che considerava innaturali, e gli artificiosi costumi indossati dalle ballerine dell'XIX secolo, preferendo indossare abiti semplici e leggeri, che ricordavano il peplo dell'antica Grecia, e danzando a piedi nudi. Tali scelte si coniugavano con l'esigenza di favorire la libertà e l'espressività dei movimenti. Le sue danze libere furono interpretazioni emotive, impressionistiche, di composizioni di celebri musicisti come Chopin, Beethoven, Gluck, nelle quali il suo corpo dolce ed espressivo suppliva alla povertà di mezzi tecnici. La Duncan desiderava fortemente creare la danza del futuro ispirandosi alla plasticità dell'arte greca, basandosi sul sentimento e sulla passione dettati dalla natura e dalla forza della musica. La sua importanza nella storia della danza è grande, sia per l'interesse che seppe suscitare nelle platee di tutto il mondo, sia perché le sue idee furono rivoluzionarie per la sua epoca e costituirono per i suoi successori l'impulso per la creazione di nuove tecniche diverse da quella accademica e per una nuova concezione della danza teatrale. Anche la compagnia dei Balletti Russi di Sergej Djaghilev ne fu influenzata notevolmente. Sergej Djagilev e Mikhail Fokin infatti la videro ballare per la prima volta a Pietroburgo nel 1905 e ne rimasero molto colpiti. Per la Duncan quello era un periodo di grandi successi internazionali. In seguito tornò in Russia per aprire una scuola di danza a Mosca su invito di Lenin.
▪ 1970 - Rudolf Carnap (Ronsdorf, 18 maggio 1891 – Santa Monica, 14 settembre 1970) è stato un filosofo e logico tedesco naturalizzato statunitensenel 1941. Membro del Circolo di Vienna ed influente esponente del neopositivismo.
Carnap nacque a Ronsdorf (oggi Wuppertal), frequentò il ginnasio di Barmen, poi dal 1910 al 1914 studiò a Jena. Si dedicò alla fisica e alla matematica ma, sotto la guida del neokantiano Bruno Bauch studiò anche la "Critica della Ragion Pura" di Kant avvicinandosi alla filosofia. Fu anche uno dei pochi a seguire il corso di logica matematica di Gottlob Frege. A causa della Prima guerra mondiale fu costretto a interrompere gli studi per servire la patria al fronte e successivamente studiò fisica all'Università di Berlino nel 1917-1918, dove Albert Einstein era stato appena nominato professore. In seguito Carnap frequentò l'università di Friburgo dove preparò una tesi su una teoria assiomatica dello spazio-tempo. Il dipartimento di fisica però lo ritenne troppo filosofico e Bruno Bauch del dipartimento di filosofia lo ritenne puramente fisico. Carnap quindi scrisse una nuova dissertazione, pubblicata nel 1922 come "Der Raum" ("Lo Spazio"), sotto supervisione di Bauch, sulla teoria dello spazio, da un punto di vista Kantiano più ortodosso.
Nel 1921, Carnap scrisse una lettera a Bertrand Russell, che in risposta gli mandò lunghi passaggi copiati a mano dai suoi Principia Mathematica, giacché né Carnap né l'università di Friburgo potevano permettersene un esemplare. Tra 1924 e 1925 Carnap seguì seminari tenuti da Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia e continuò ad interessarsi alla fisica dal punto di vista del positivismo logico.
Il circolo di Vienna
Ad una conferenza nel 1923 Carnap incontrò Hans Reichenbach il quale lo introdusse presso Moritz Schlick, un professore all'Università di Vienna che gli offrì una posizione nel suo dipartimento. Nel 1926 conseguì l'abilitazione con la sua opera Der logische Aufbau der Welt e accettò l'offerta di Schlick diventando docente (Privatdozent) all'Università di Vienna fino al 1931. A Vienna si unì al gruppo informale di intellettuali e scienziati Viennesi che sarebbe poi divenuto famoso col nome di Circolo di Vienna (Wiener Kreis), guidato da Schlick e annoverando tra i suoi membri Hans Hahn, Friedrich Waismann, Otto Neurath, Herbert Feigl, e Carl Gustav Hempel con presenza saltuaria di uno degli studenti di Hahn, Kurt Gödel. Carnap fece anche la conoscenza di Ludwig Wittgenstein quando questi visitò Vienna. Inoltre Carnap (assieme a Hahn e Neurath) nel 1929 scrisse il manifesto del Circolo, e nel 1930 assieme a Hans Reichenbach fondò la rivista filosofica Erkenntnis ("Conoscenza").
Nel 1928 Carnap pubblicò due delle sue opere principali: Der logische Aufbau der Welt (La costituzione logica del mondo) e Scheinprobleme in der Philosophie. Das Fremdpsychische und der Realismusstreit ("Pseudo-problemi nella filosofia. La psiche dell'altro e la controversia realista").
Nel primo sviluppò una versione rigorosamente formale dell'empirismo, definendo tutti i concetti scientifici in termini fenomenalistici, basati cioè sull'esperienza interiore. Pur essendoci paralleli e somiglianze, il fenomenalismo non è da confondersi con la fenomenologia. Il sistema formale dell'Aufbau era basato su un singolo predicato primitivo diadico, che viene soddisfatto quando due individui sono "simili". L'Aufbau era significativamente influenzato dai Principia Mathematica, e può essere paragonato alla metafisica mereotopologica che Alfred North Whitehead sviluppò negli anni 1916-1929. Comunque, sembra che Carnap presto si disamorò di quest'opera, in particolare non ne autorizzò una traduzione inglese fino al 1967.
Nei "Pseudo-problemi nella filosofia" sostenne che molte questioni metafisiche erano prive di senso, i.e. il modo in cui erano poste faceva violenza al linguaggio. Una implicazione di questa posizione radicale era sottinteso fosse l'eliminazione della metafisica dal pensiero e discorso razionale. Questa è la famigerata posizione per cui Carnap fu inizialmente più conosciuto.
Nel febbraio del 1930 Alfred Tarski (esponente della scuola logica di Leopoli-Varsavia) tenne una lezione a Vienna e nel novembre 1930 Carnap visitò Varsavia. Durante queste occasione imparò molto riguardo all'approccio alla semantica basato sulla teoria dei modelli.
Praga
Nel 1931 Carnap fu designato Professore di Filosofia naturale all'università germanofona di Praga, rimanendo in quella posizione fino al 1935. La scrisse il libro che lo avrebbe reso il più famoso membro del Circolo di Vienna e positivista logico la Logische Syntax der Sprache ("Sintassi logica del linguaggio" 1934). In quest'opera Carnap propose il suo "principio di tolleranza", in base al quale non esiste un uso "autentico" o "corretto" della logica o del linguaggio. Si è liberi di adoperare qualunque linguaggio se utile ai propri scopi. Nel 1933 W. V. Quine visitò Carnap a Praga, discutendo la sua filosofia per esteso. Così iniziò la relazione di mutuo rispetto tra i due uomini, che sopravvisse nonostante Quine si oppose veementemente ad alcune delle conclusioni filosofiche di Carnap.
Gli anni negli Stati Uniti
Non illudendosi sulle conseguenze che il Terzo Reich avrebbero scatenato in Europa, e considerando che le sue convinzioni socialiste e pacifiste lo avrebbero reso un bersaglio, nel 1935 Carnap emigrò negli Stati Uniti e ne ottenne la cittadinanza nel 1941. Nel frattempo a Vienna, Moritz Schlick fu assassinato nel 1936. Tra il 1936 e il 1952, Carnap fu professore di filosofia all'università di Chicago. Grazie in parte alla buona volontà di Quine, Carnap passò gli anni 1939-41 a Harvard, dove reincontrò Tarski. Carnap successivamente espresse una certa irritazione sul suo periodo a Chicago, dove lui e Charles W. Morris erano gli unici membri del dipartimento dedicati al primato della scienza e della logica. (I loro colleghi a Chicago erano tra gli altri Richard McKeon, Mortimer Adler, Charles Hartshorne, e Manley Thompson.) Nonostante ciò gli anni a Chicago furono molto produttivi. Carnap scrisse libri sulla semantica, sulla logica modale (arrivando quasi all'interpretazione, oggi considerata standard, dei mondi possibili proposta da Saul Kripke nel 1959), e sulle basi filosofiche della probabilità e dell'induzione. Lavorò brevemente (1952 - 1954 ) a Princeton prima di diventare professore alla University of California a Los Angeles (UCLA) nel 1954, essendo Hans Reichenbach deceduto l'anno prima. In precedenza aveva rifiutato l'offerta di una posizione simile perché sarebbe stato obbligato a firmare un giuramento di fedeltà dell'era McCarthy, una pratica a cui era opposto per principio. Durante il periodo all'UCLA, tornò al suo lavoro sulla conoscenza scientifica, occupandosi della distinzione tra proposizioni analitiche e proposizioni sintetiche e del principio di verificazione.
Morì a Santa Monica (California) il 14 settembre 1970. I suoi scritti sulla termodinamica e sulle fondamenta della probabilità e dei ragionamenti induttivi furono pubblicati postumamente.
Pensiero
All'interno della corrente neopositivista, Carnap volle dimostrare che il mondo fosse basato su una struttura di conoscenze fondate sull'esperienza empirica, senza correre tuttavia il rischio di condurre al soggettivismo.
Nella sua prima opera principale Der logische Aufbau der Welt ("La costituzione logica del mondo" 1928) Carnap teorizzò una ricostruzione empirista della conoscenza scientifica, indicando le basi del suo modello concettuale e oggettuale della scienza, costituite dalla teoria delle relazioni e dai dati elementari. Tentò di dimostrare che tutti i concetti che fanno riferimento al mondo fisico esterno, ai processi psichici nelle menti degli altri, e a fenomeni socio-culturali, in ultima analisi si basano su processi autopsichici, cioè su concetti interni al flusso della coscienza (Erlebnisstrom, propriamente "flusso dei vissuti") dell'osservatore.
I "mattoni" da cui partire per la conoscenza sono i protocolli, proposizioni che non hanno bisogno di essere giustificate, in quanto sono diretta conseguenza di un'esperienza empirica. Carnap distingue le scienze in due gruppi:
▪ scienze empiriche: i protocolli sono dei fatti verificati empiricamente ai quali viene applicato il metodo sintetico a posteriori (es. fisica e chimica);
▪ scienze formali: i protocolli sono rappresentazioni da astrazioni e il metodo è quello analitico a priori, sono strumentali e autonome rispetto alle scienze empiriche (es. matematica).
In Scheinprobleme in der Philosophie. Das Fremdpsychische und der Realismusstreit ("Pseudo-problemi nella filosofia. La psiche dell'altro e la controversia realista" 1928) e nell'articolo Überwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache ("Il superamento della metafisica tramite l'analisi logica del linguaggio" 1932) accusò i problemi tradizionali della metafisica di essere privi di senso, basandosi su una semantica verificazionista. Le proposizioni metafisiche sarebbero da considerare prive di senso, in quanto facenti uso di termini senza alcun riferimento empirico. In questa opera paragonò i metafisici a musicisti, privi però di talento artistico.
Sotto l'influenza di Otto Neurath, Carnap all'inizio degli anni trenta si distanziò sempre più dall'idea di un sistema costitutivo su pase autopsichica e sviluppò i.a. nel suo trattato Die physikalische Sprache als Universalsprache der Wissenschaft ("Il linguaggio della fisica come linguaggio universale della scienza" 1931) una concezione fisicalista del linguaggio, nella quale non erano più i fenomeni autopsichici (eigenpsychische Phänomene), ma oggetti fisici intersoggettivamente verificabili a formare il riferimento fondamentale. In quest'opera pose una distinzione tra il linguaggio sistematico (generale e leggi della natura) e il linguaggio dei protocolli (contenuto dell'esperienza immediata). Carnap si soffermò sul concetto di solipsismo metodico, in quanto ogni base di qualunque affermazione è il protocollo individuale che però deve necessariamente sfociare in un linguaggio universale fisico, che inglobi anche i fenomeni psichici e spirituali.
Nella sua seconda opera principale Logische Syntax der Sprache ("La sintassi logica del linguaggio" 1934) Carnap propose di rimpiazzare la filosofia tradizionale con la logica scientifica, i.e. l'analisi logica del linguaggio scientifico, che deve però possedere alcune qualità fondamentali quali la molteplicità e la relatività ed essere priva delle controversie filosofiche.
La sua terza opera principale Meaning and Necessity: A Study in Semantics and Modal Logic ("Significato e necessità: una ricerca nella semantica e logica modale" 1947) si occupò delle basi logico-modali della filosofia del linguaggio.
In particolare, Carnap si interessò alla costruzione di sistemi logici formali. Con il suo "principio della tolleranza" (Toleranzprinzip) e il principio della convenzionalità delle forme linguistiche sottolineò sempre la varietà dei sistemi di calcolo alternativi. Diede un contributo significativo anche alla teoria della probabilità nella sua opera Logical Foundations of Probability ("Le basi logiche della probabilità" 1950), dove si occupò con questioni di probabilità induttive e la distinzione tra probabilità statistica e probabilità logica. Verso la fine riconobbe che le domande filosofiche fondamentali riguardo al problema anima-corpo, degli universali e delle fondamenta dell'etica avessero una loro giustificazione autonoma.
▪ 1982 - Bashir Gemayel - (Beirut, 10 novembre 1947 – Beirut, 14 settembre 1982) è stato un politico libanese, fu presidente della Repubblica.
Figlio di Pierre Gemayel, il fondatore dell'influente partito libanese di destra delle Katā'ib, noto anche come "Falangi Libanesi", Bashir Gemayel nacque a Beirut il 10 novembre 1947 e studiò presso l'Université Saint-Joseph di Beirut, laureandosi nel 1971 in Giurisprudenza e nel 1973 in Scienze Politiche. Divenne membro del partito Katā'eb nel 1967 e nel 1971, dopo essere stato vittima di un breve rapimento ad opera di militanti palestinesi, venne nominato ispettore delle forze para-militari del partito. Nel 1975 venne nominato capo delle Forze Libanesi.
Nel 1980 scampò a un attentato ad opera di miliziani palestinesi, in cui morirono tre uomini della scorta e la figlia di 18 mesi.
Quando l'esercito israeliano invase il Libano nel 1982, Gemayel, a differenza delle milizie del Libano del Sud, non collaborò con le truppe occupanti e, con 57 voti su 92 membri dell'Assemblea nazionale, compresi alcuni rappresentanti musulmani, il 23 agosto 1982 fu eletto Presidente della Repubblica.
Il 14 settembre 1982, nove giorni prima dell'investitura ufficiale, Gemayel cadde vittima di un attentato, insieme ad altre 25 persone, perdendo la vita in un'esplosione nel quartiere cristiano di Ashrafiyyeh, nella parte orientale di Beirut.
L'omicidio del giovane presidente Libanese provocò come ritorsione, due giorni dopo, l'eccidio di Sabra e Shatila, in cui circa 700 palestinesi furono uccisi.
Il fratello Amīn venne eletto presidente al suo posto.