Il calendario del 13 Agosto
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Eventi
▪ 1415 - Il re Enrico V d'Inghilterra sbarca in Francia alla guida di 8000 uomini
▪ 1521 - Tenochtitlán (l'odierna Città del Messico) cade nelle mani del conquistador Hernán Cortés
▪ 1704 - Guerra di successione spagnola: Battaglia di Blenheim - Il Duca di Marlborough e il Principe Eugenio di Savoia sbaragliano francesi e bavaresi
▪ 1920 - Guerra Polacco-Sovietica: inizia la battaglia di Varsavia, durerà fino al 25 agosto. L'Armata Rossa viene sconfitta
▪ 1923 - La prima grande nave arriva a Gdynia, il nuovo porto di mare polacco appena completato
▪ 1935 - Disastro di Molare: un'esondazione del lago di Ortiglieto dovuta al crollo di una diga provoca 111 vittime
▪ 1940 - Seconda guerra mondiale: inizia la Battaglia d'Inghilterra - La Luftwaffe lancia una serie di attacchi sulle basi aeree britanniche e sulle installazioni radar
▪ 1942 - Prima del cartone animato Bambi, di Walt Disney
▪ 1943 - Seconda guerra mondiale: Roma viene nuovamente bombardata dagli Alleati.
▪ 1960 - La Repubblica Centrafricana dichiara l'indipendenza dalla Francia
▪ 1961 - Berlino (Germania): il governo della Germania Est fa erigere il Muro di Berlino
▪ 1968 - Alekos Panagulis attenta alla vita del dittatore greco George Papadopoulos
▪ 1969 - Sharon Tate e le altre vittime della strage compiuta da Charles Manson vengono sepolte.
▪ 2008 - Federica Pellegrini vince, alle Olimpiadi di Pechino, la prima medaglia d'oro del nuoto femminile italiano.
Anniversari
▪ 662 - San Massimo il Confessore (Palestina, 579/580 – Lazica, 13 agosto 662) è venerato come santo dalle Chiese cattolica e ortodossa che lo ricordano il 13 agosto. Egli è chiamato il Confessore perché ebbe tagliate la mano destra e la lingua come condanna per aver rifiutato il monotelismo.
La biografia ufficiale di san Massimo risale al X secolo. L'autore ha fonti certe della vita solo dal Concilio del Laterano del 649. Non sappiamo donde egli attinga le notizie precedenti. Egli dichiara che san Massimo è di origine nobile, e che ha fatto gli studi propri degli uomini avviati alla carriera sia di corte che ecclesiastica.
È stato segretario dell'imperatore Eraclio. Si è inserito nelle discussioni della Chiesa (monofisismo e soprattutto monotelismo e monoergetismo). Fuggito in Africa da Costantinopoli, qui egli visse la vita monastica accanto a Sofronio, futuro patriarca di Gerusalemme. Dall'Africa andò a Roma e partecipò al Concilio lateranense per la condanna del monotelismo.
Nel 1973 è stato pubblicato un libro sulla vita siriaca di san Massimo. Questo testo non nutre simpatia per Massimo: l'intento è quello di umiliare il Confessore, cosa che la biografia bizantina evita. Sembrano tuttavia verosimili le notizie che esso ci dà della sua giovinezza. San Massimo è nato nel Golan, nel villaggio di Hasfin, da padre samaritano e madre di origine persiana (origine umile). Orfano a 9 anni, egli, che si chiamava Moschion, fu presentato dal prete Martyrios all'igumeno (abate) Pantaleone del monastero di San Caritone, detto la vecchia laura.
San Massimo sarebbe quindi cresciuto nell'ambiente monastico palestinese impregnato dalla conoscenza di Origene e dei padri greci. Egli abbandonò la Palestina nel 614 con l'invasione persiana e, giunto a Costantinopoli, conobbe Anastasio, che diverrà suo compagno inseparabile e suo discepolo; questi conosceva bene l'ambiente di corte, noto anche a Massimo. A Costantinopoli Massimo fu ospite nel monastero di Filippico a Crisopoli.
Nel 626 abbandona Costantinopoli sotto la minaccia persiana e va in Africa. A questo punto le due vite si assomigliano.
Incontra Sofronio e da questo momento inizia la battaglia molto forte contro il monotelismo e il monoenergismo. In questo periodo africano Massimo completa le sue opere spirituali. Dal 641 egli è molto impegnato nella lotta contro il monotelismo: nel 646 arriva a Roma e partecipa al sinodo romano in cui questa dottrina viene condannata. Ma la corte imperiale aveva emesso un decreto a vantaggio del monotelismo e, di conseguenza, aveva condannato il ditelismo. Per cui, il 17 giugno del 653, il papa Martino e san Massimo vengono arrestati e condotti a Costantinopoli; Massimo subisce un primo esilio a Bizja in Tracia. Due emissari della corte tentano di ottenere da Massimo una dichiarazione di compromesso.
Il monotelismo si basa sul discorso della volontà. Chi considera l'operazione nel suo termine vede una sola operazione, ma in Cristo l'operazione è duplice perché legata alla sua natura umana e divina. Allo stesso modo lo è la sua volontà.
In Gesù sia la natura divina che quella umana rimangono integre nelle loro operazioni. Pirro, patriarca di Costantinopoli, nella sua disputa con Massimo attribuisce tutte le sofferenze e la Passione all'umanità del Cristo soltanto, e di conseguenza tutte le operazioni alla sua divinità. Massimo sembra avere tale pensiero in mente quando in questa lettera enfatizza con eccezionale vigore lo scambio di proprietà (communicatio idiomatum), scrivendo:
«Egli opera umanamente ciò che è divino… e divinamente ciò che è umano (Ep. 19-593 A. 2f.)» ("San Massimo il confessore", tradotto ed annotato da P. Sherwood, pag. 5)
Sergio, patriarca di Costantinopoli, scrive nel suo giudizio:
«Alcuni sono scandalizzati perché parlare di una operazione sembra implicare il rifiuto delle due nature che il nostro Signore possiede – un'obiezione di scarsa rilevanza – dall'altro, molti si scandalizzano perché la frase “due operazioni” non si trova nei padri e implica due distinte volontà nel Nostro Signore».
Massimo viene riportato a Costantinopoli per un ultimo tentativo di riconciliazione davanti al patriarca, perché sembra che il papa Vitaliano abbia accettato una formula che avvicini a Costantinopoli (18 aprile 658). Massimo risponde:
«Il Dio dell'universo proclamando Pietro beato perché lo ha confessato come si conviene (Matteo 16,18) ha mostrato che la Chiesa cattolica è la giusta e salvifica confessione di lui medesimo (Cristo).»
Sono le ultime parole di Massimo. Dopo un esilio di altri 4 anni, nel 662, all'età di 82 anni, fu condannato da un sinodo monotelita alla flagellazione, poi gli tagliarono la lingua e la mano destra.
Deportato in una località con Anastasio e con un messo papale, il 18 giugno del 662 furono separati, e Massimo fu rinchiuso nella fortezza di Schemaris presso Lazica, dove morì il 13 agosto 662. Il Concilio Costantinopolitano III riabiliterà la sua persona e dichiarerà la dottrina delle due volontà in Cristo come dottrina cattolica.
Le fonti del pensiero
La formazione spirituale di san Massimo affonda nell’ampio terreno della cultura greca, da quella filosofica (neoplatonismo, ma soprattutto Aristotele) a quella patristica (i Cappadoci, in particolare Gregorio di Nazianzo). Vi è pure un rapporto con lo pseudo-Dionigi e Origene. L’approccio a Origene viene mediato da un altro grande pensatore che si chiama Evagrio Pontico, una delle grandi menti del cristianesimo antico del IV secolo. Pertanto il rapporto di Massimo con Origene è mediato, oltre che dai Cappadoci, anche da Evagrio.
Queste sono le fonti spirituali: ovviamente sono fonti che sono sotto un certo giudizio ecclesiastico, ma il genio di Massimo e il suo senso ecclesiale gli impediscono di prendere vie laterali del pensiero di Origene quali l’origenismo aveva preso (questo fenomeno sorgerà proprio in Palestina nel IV-V secolo). Massimo rimane in un rapporto forte con Origene, mediato dall’insegnamento essenziale della dottrina cristiana.
▪ 1699 - Marco d'Aviano, al secolo Carlo Domenico Cristofori (Aviano, 17 novembre 1631 – Vienna, 13 agosto 1699), è stato un presbitero, religioso e predicatore italiano, oggi venerato come beato dalla Chiesa cattolica.
Nato da Marco Pasquale Cristofori e da Rosa Zanoni, appartenenti alla ricca borghesia locale, ebbe la prima formazione scolastica e spirituale ad Aviano per poi frequentare, negli anni fra il 1643 e il 1647, il Collegium gesuita di Gorizia.
Il clima epico che si viveva in Veneto in quegli anni a causa della guerra di Candia ebbe un'influenza decisiva sulla vita del giovane. Animato dal desiderio di rendersi utile sui luoghi dell'assedio e disposto a versare il suo sangue per la difesa della fede, lascia Gorizia e arriva a Capodistria dove, in attesa di imbarcarsi su una nave della Serenissima, chiede ospitalità al locale convento dei cappuccini. Durante il suo breve soggiorno nel convento, prende la decisione di abbandonare la vita secolare e di entrare nel noviziato. Nel settembre 1648 viene accolto come novizio nel convento di Conegliano e dopo un anno, il 21 novembre 1649, pronuncia i voti prendendo il nome di Marco d'Aviano.
Dopo aver proseguito gli studi di teologia e di filosofia, il 18 settembre 1655 viene ordinato presbitero a Chioggia e ottiene nel 1664 la patente di predicazione. Riceve due incarichi come superiore nei conventi di Belluno (1672) e Oderzo (1674) per poi dedicarsi completamente all’attività di predicatore, attirando i fedeli grazie alle sue notevoli capacità oratorie.
L'8 settembre 1676, invitato a predicare a Padova presso il monastero di San Prosdocimo, benedice Vincenza Francesconi, una religiosa da molti anni gravemente ammalata. La sua improvvisa guarigione, unita anche ad altri episodi analoghi avvenuti nello stesso periodo a Venezia, rendono celebre frate Marco, cui vengono ormai attribuite doti taumaturgiche.
L'incontro con Leopoldo I
Guarisce da una lunga malattia il duca Carlo V di Lorena, comandante dell'esercito dell'Imperatore del Sacro Romano Impero. La sua fama, quindi, giunge anche alle orecchie di Leopoldo I, che lo invita a corte. Nel settembre 1680 a Linz avviene il primo incontro fra Marco e l'Imperatore. Tra i due nasce una profonda relazione spirituale e Marco approda a Vienna come confessore e consigliere di Leopoldo I e rimane fino alla sua morte un amico, un padre spirituale e un confidente per qualsiasi problema familiare, politico, economico, militare o religioso.
Tra i due personaggi esisteva una profonda complementarità di caratteri: all'indecisione e alla timidezza di Leopoldo si contrapponeva la sicurezza e il coraggio di Marco, che seppe dargli validi consigli sia per le questioni di fede e di coscienza, sia per i problemi relativi all'esercizio del potere.
La "missione impossibile" affidatagli dal Papa
Nel 1683 Papa Innocenzo XI affidò a Marco un incarico diplomatico molto delicato: ricreare la Lega Santa delle nazioni cristiane. L'espansione dell'Impero Ottomano procedeva in Europa senza freni: in quell'anno i turchi prendevano Belgrado. Vienna, dal canto suo, non aveva mai potenziato il suo confine orientale, che restava pericolosamente sguarnito. I turchi, dopo aver invaso l'Ungheria, avanzarono verso Vienna proprio da oriente.
Il Padre Marco, nel frattempo, era riuscito nella missione di coalizzare le potenze cristiane, superando i dissidi esistenti al loro interno. Le sue perorazioni e le sue amicizie con i potenti avevano indotto i regni di Spagna, Portogallo e Polonia e le Repubbliche di Firenze, Genova e Venezia a inviare aiuti e cospicui contingenti militari.
Il frate cappuccino non poté invece fare nulla presso la corte francese: Luigi XIV, che pure si vantava del titolo di "Re cristianissimo", si tenne alla larga dall'alleanza, anzi cercò di farla fallire nella speranza che la probabile sconfitta dell'Austria ad opera dei Turchi potesse accrescere il prestigio della Francia in Europa. Nonostante ciò molti francesi si armarono e raggiunsero Vienna come volontari.
L'unico sovrano ad aderire in persona fu il re di Polonia, Giovanni III. Marco racconta di aver faticato non poco a convincerlo data la rivalità, e antipatia personale, esistente tra Giovanni e Leopoldo d'Asburgo.
Giovanni si mosse verso Vienna alla testa della cavalleria polacca. Non era ancora stato scelto il comandante supremo dell'esercito cristiano. Per lignaggio, sarebbe spettato all'imperatore. Ma questo avrebbe significato la defezione di Giovanni. Il Padre Marco, compiendo un vero capolavoro diplomatico, convinse Leopoldo a rimanere fuori dalla scena. In linea gerarchica, il comando dell'esercito dell'imperatore spettava al duca Carlo V di Lorena, che era un devoto del Padre Marco. Per cui fu facile persuaderlo ad accettare di sottoporsi agli ordini del re di Polonia.
L'assedio di Vienna era cominciato il 14 luglio 1683. L'8 settembre le armate cristiane erano pronte a ingaggiare battaglia con i turchi. Padre Marco celebrò la messa nel campo allestito sul Kahlenberg (Monte Calvo), la collina che sovrasta Vienna. Al suo fianco sull'altare erano Giovanni III e Carlo di Lorena. Terminato il rito, il frate tenne uno dei suoi più fervidi sermoni in quel misto di italiano, latino e tedesco, caratteristico delle sue prediche.
La battaglia si svolse il 12 settembre e si concluse con la vittoria della Lega Santa e la ritirata dell'esercito turco. Papa Innocenzo XI proclamò la giornata "Festa del Santissimo Nome di Maria", poi inviò la sua benedizione a padre Marco. Il frate non ebbe altre ricompense. A Vienna padre Marco fu il personaggio più festeggiato. Attorno alla sua figura cominciarono a nascere storie di miracoli e prodigi.
L'anno dopo Marco ricevette un'altra chiamata dal papa. Innocenzo XI voleva che i sovrani europei si coalizzassero per cacciare, questa volta definitivamente, gli ottomani dall'Europa. Marco si adoperò per coordinare l'alleanza cristiana contro l'Islam. La sua popolarità era enorme, e così la sua autorevolezza. Il frate cappuccino partecipò assieme ai comandanti militari alla pianificazione dell'attacco.
Il primo obiettivo raggiunto fu la riconquista di Buda, avvenuta nel 1685. Marco era immancabilmente presente.
Nel 1689 morì papa Innocenzo XI. A Vienna i consiglieri dell'Imperatore si mostrarono disponibili a trattare la pace con i turchi. Il risultato fu che l'avanzata cristiana si fermò. Per otto lunghi anni il fronte non oltrepassò i confini dell'Ungheria.
Solo nel 1697 l'avanzata riprese, grazie al duca Eugenio di Savoia, che conseguì la vittoria definitiva contro l'esercito turco sul fiume Tibisco (Serbia), nei pressi di Zenta.
La pace venne firmata il 26 gennaio 1699 a Carlowitz.
Il 13 agosto dello stesso anno, assistito personalmente dall'imperatore e dalla moglie Eleonora, moriva padre Marco. Per permettere alla numerosa popolazione, accorsa da ogni dove, di rendere l'ultimo saluto al cappuccino, il sovrano diede ordine che le esequie si celebrassero il 17, e che il frate venisse seppellito in una tomba separata dagli altri confratelli. Quattro anni dopo le spoglie di Marco d'Aviano, anche in previsione di una causa di beatificazione, furono spostate all'interno della Chiesa dei Cappuccini di Vienna, dove si trovano ancor oggi, nello stesso edificio che ospita la Cripta Imperiale.
Dopo un lungo processo di canonizzazione, Marco d'Aviano è stato dichiarato beato il 27 aprile 2003.
▪ 1863 - Eugène Delacroix (Saint-Maurice, 26 aprile 1798 – Parigi, 13 agosto 1863) fu un artista e pittore francese, considerato fin dall'inizio della sua carriera il principale esponente del movimento romantico del suo paese.
La suggestiva pennellata tipica di Delacroix e il suo studio sugli effetti ottici ottenibili per mezzo del colore influenzarono profondamente l'opera degli impressionisti, mentre la sua passione per i temi esotici fu fonte di ispirazione per gli artisti del movimento simbolista. Abile litografo, Delacroix realizzò illustrazioni per diverse opere di Shakespeare, Sir Walter Scott e Goethe.
Contrariamente al suo principale rivale Ingres, che ricercava nelle proprie opere il perfezionismo tipico dello stile neoclassico, Delacroix prese spunto dall'arte di Rubens e dei pittori del Rinascimento veneziano, ponendo maggiore enfasi sul colore e sul movimento piuttosto che sulla nitidezza dei profili e sulla perfezione delle forme. Le opere della sua maturità furono caratterizzate dalle tematiche romantiche, che lo spinsero a viaggiare in Nordafrica in cerca di esotismo, invece di avvicinarsi ai modelli classici greci e romani.
Amico ed erede spirituale di Théodore Géricault, Delacroix fu ispirato anche da Byron, con cui condivise la forte fascinazione per le "sublimi forze" della natura e le loro manifestazioni spesso violente.
Delacroix tuttavia non cadde mai nel sentimentalismo né nell'ampollosità, e il suo modello di romanticismo fu quello di un individualista. Citando le parole di Baudelaire, "Delacroix amò appassionatamente la passione, ma fu freddamente determinato ad esprimere la passione stessa nel modo più chiaro possibile."
La Libertà che guida il popolo
Delacroix realizza la sua opera più importante nel 1830, con La Libertà che guida il popolo che, sia per la scelta del soggetto che per la tecnica esibita, mette in evidenza le differenze tra l'approccio all'arte romantico e lo stile neoclassico.
Si tratta probabilmente del suo dipinto più famoso e rappresenta un'indimenticabile immagine dei parigini che si sono sollevati in armi e marciano insieme sotto la bandiera tricolore.La donna rappresenta la libertà e l'indipendenza; Delacroix si ispira ad eventi a lui contemporanei per evocare l'immagine romantica dello spirito della libertà. I soldati che giacciono morti in primo piano servono come toccante contrappunto per la simbolica figura femminile, che è illuminata in maniera trionfale, come se si trovasse sotto l'occhio di bue di una scena teatrale. Nel quadro l'artista sembra aver cercato di rappresentare lo spirito e il carattere del popolo più che glorificare gli avvenimenti del momento, la rivolta contro Carlo X, che non otterrà altro che di insediare sul trono un altro re, Luigi Filippo.
Il governo francese acquista il dipinto, ma alcuni funzionari giudicano la sua celebrazione della libertà troppo incendiaria e non consentono che sia esposto in pubblico. Nonostante questo, a Delacroix vengono comunque commissionati dal governo numerosi affreschi e decorazioni di soffitti. Dopo la rivoluzione del 1848 che porta alla fine del regno di Luigi Filippo La Libertà che guida il popolo viene finalmente fatto esporre in pubblico dal neo-eletto presidente, Luigi Napoleone. È a tutt'oggi esposto al Museo del Louvre a Parigi.
La leggenda vuole che il ragazzo che stringe in mano le pistole sulla destra abbia ispirato a Victor Hugo il personaggio di Gavroche per il romanzo I miserabili del 1862.
▪ 1910 - Florence Nightingale (Firenze, 12 maggio 1820 – Londra, 13 agosto 1910) è stata una infermiera britannica nota come La signora con la lanterna. È considerata la fondatrice del nursing moderno in quanto fu la prima ad applicare il metodo scientifico all'assistenza infermieristica attraverso l'utilizzo della statistica. Inoltre, è importante poiché propose un'organizzazione degli ospedali da campo.
▪ 1946 - Herbert George Wells, meglio conosciuto come H. G. Wells (Bromley, 21 settembre 1866 – Londra, 13 agosto 1946), è stato uno scrittore britannico tra i più popolari della sua epoca; autore di alcune delle opere fondamentali della fantascienza, è oggi ricordato come uno degli iniziatori di tale genere narrativo.
Fu comunque uno scrittore prolifico in molti generi, tra i quali narrativa contemporanea, storia e critica sociale. Wells fu un franco sostenitore del socialismo e del pacifismo, come dimostrano le sue ultime opere, divenute gradatamente più politiche e didattiche. I romanzi nel mezzo della sua carriera (1900-1920) furono più realistici, contemplando la vita della classe medio-bassa, la "Nuova donna" e le Suffragette.
Fu un forte assertore dell'idea di "Stato mondiale", alla cui promozione dedicò l'ultima parte della propria vita.
▪ 1961 - Mario Sironi (Sassari, 12 maggio 1885 – Milano, 13 agosto 1961) è stato un pittore italiano.
Con una stilizzazione che si rifaceva ad arcaici modelli pre-rinascimentali, con un potente senso dei valori plastici e del colore, ha dato voce all'umanesimo civile d'intonazione fascista degli anni venti-trenta.
Nato a Sassari, ben presto la sua famiglia si trasferì a Roma, dove Sironi, abbandonati gli studi di ingegneria, iniziò a frequentare l’Accademia di Belle Arti e lo studio di Giacomo Balla, stringendo amicizia anche con Gino Severini e Umberto Boccioni. La sua ricerca personale partì dall'esperienza divisionista e, nel 1914, trasferitosi a Milano, si avvicinò al Futurismo, di cui condivise l'esperienza bellica di volontario ciclista a fianco di Marinetti e Sant'Elia. ( di questo periodo sono Il camion del 1914, collezione privata, Milano e Il ciclista del 1916, collezione privata).
Rientrato in Italia, collaborò in veste di illustratore al Popolo d’Italia, e, proprio in questa circostanza, fece la conoscenza di Margherita Sarfatti, anche lei collaboratrice della rivista.
Nei primi anni venti, la sua pittura restò di tipo futurista anche se, celatamente, nel suo stile si stavano facendo già strada forme sempre più monumentali (Paesaggio urbano del 1921), tendenti al metafisico, di cui diede una personale interpretazione nelle celebri periferie.
Nel 1920 Sironi firmò con Leonardo Dudreville, Achille Funi e Luigi Russolo il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura, che contiene in nuce le tesi poi fatte proprie dal gruppo Novecento, di cui Sironi fu uno dei fondatori. Nel 1922 entra a far parte del gruppo Novecento e il suo linguaggio figurativo, di conseguenza, si adegua ai dettami che Sarfatti aveva stilato in una sorta di programma contenente le precise normative a cui i membri dovevano attenersi.
Appartiene al periodo novecentista L’Allieva, un ritratto del 1924 in cui il ritorno al modello classico è evidente nella posa a tre quarti e nell’estrema monumentalità della donna, che richiamano esempi della tradizione quattro-cinquecentesca. Citazioni al mondo classico sono anche la statua in gesso posta alle spalle della ragazza ed il vaso-anfora, un elemento che si ritrova molto spesso nei lavori di questo periodo. Il Richiamo all'ordine di Sironi si manifesta in maniera differente rispetto a quella che gli altri artisti portano avanti negli stessi anni: è più tenebroso e cupo e dunque sarà impossibile scorgere nelle sue tele quelle vedute magiche, chiare e cristalline, tipiche del grande quattrocento italiano, che gli altri novecentisti invece promuovono nei loro lavori.
Al contrario della maggior parte degli artisti del Novecento, per lui la stilizzazione non divenne mai cliché e, sino all'ultimo, seppe trovare nuove forme espressive per la propria ricerca.
Dall’inizio degli anni trenta gli interessi artistici di Sironi si moltiplicarono, spaziando dalla grafica alla scenografia, dall’architettura alla pittura murale (Il Lavoro, 1933, per la V Triennale di Milano), dal mosaico all’affresco. La sua attività apparve sempre più finalizzata alla realizzazione di opere monumentali e celebrative del regime fascista, che si nutrono del recupero della tradizione aulica dell’arte italiana (L'Italia fra le Arti e le Scienze, 1935, Università di Roma).
Nel 1932 fu l'artista più impegnato per la realizzazione della Mostra della Rivoluzione Fascista che si tenne al Palazzo delle Esposizioni di Roma. (sale P, Q, R, S)
Tornato nel 1940 alla pittura da cavalletto, procedette in una ricerca che dalla densa corposità e plasticità delle opere precedenti sfociò in talune montagne e tele a composizione multipla, con risultati affini a quelli dell'astrattismo.
Nel dopoguerra la pittura di Sironi si fece cupa e drammatica, abbandonando il carattere monumentale e di grande eloquenza degli ultimi anni a favore di una diversa e più dimessa concezione spaziale, resa su tele di piccole dimensioni (La città, 1946, Galleria Narciso, Torino).
Nel 1949-1950, Sironi aderì al progetto della importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Il lavoro". La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì.
Nel 1965, gli venne dedica una retrospettiva nell'ambito della IX Quadriennale di Roma.
▪ 1984 - Alberto Lupo nome d'arte di Alberto Zoboli (Bolzaneto, 19 dicembre 1924 – San Felice Circeo, 13 agosto 1984) è stato un attore italiano del teatro, del cinema e della televisione.
Ecco il suo famoso duetto con Mina sulla canzone “Parole”