Il calendario del 10 Novembre

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

* 1444 - Battaglia di Varna: Le forze crociate di re Ladislao III di Polonia vengono sconfitte dai turchi del sultano Murad II. Ladislao muore in battaglia

* 1674 - Guerra Anglo-Olandese: Come previsto dal Trattato di Westminster, i Paesi Bassi cedono la Nuova Olanda all'Inghilterra

* 1871 - Henry Morton Stanley individua l'esploratore e missionario scomparso, Dottor David Livingstone a Ujiji, nei pressi del Lago Tanganica esclamando la famosa frase: "Il Dottor Livingstone, suppongo?"

* 1928 - Michinomiya Hirohito viene incoronato 124° Imperatore del Giappone

* 1942 - Seconda guerra mondiale: La Germania invade la Francia di Vichy a seguito dell'accordo dell'ammiraglio francese François Darlan per un armistizio con gli Alleati nel Nord Africa

* 1971 - In Cambogia, le forze dei Khmer Rossi attaccano la città di Phnom Penh e il suo aeroporto, uccidendo 44 persone, ferendone 30 e danneggiando 9 aerei

* 1975

  1. - Italia e Jugoslavia firmano il Trattato di Osimo.
  2. - Risoluzione 3379 delle Nazioni Unite: L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva una risoluzione che parifica il Sionismo al razzismo (la risoluzione verrà abrogata nel dicembre 1991)

* 1989 - Dopo 35 anni di governo comunista in Bulgaria, Il capo del Partito Comunista Bulgaro, Todor Zhivkov, viene sostituito dall'ex Primo Ministro Petre Mladenov che cambia il nome del partito in Partito Socialista Bulgaro

* 1995 - In Nigeria, l'autore televisivo, romanziere, imprenditore ed ambientalista Ken Saro-Wiwa e altri otto attivisti del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (Mosop), vengono impiccati dalle forze governative

* 2001 - Australia: il partito Conservatore di John Howard vince per la terza volta consecutiva le Elezioni politiche

* 2007 - Crisi internazionale Spagna-Venezuela. A Santiago del Cile, nel vertice tra Spagna e paesi latinoamericani il Presidente del Venezuela, Hugo Chávez, accusa l'ex Presidente del Governo spagnolo, José María Aznar, di essere un fascista e di aver agevolato il golpe del 2002. Dura replica di José Luis Rodríguez Zapatero e Juan Carlos I di Spagna.

Anniversari

* 1734 - Mariangela Virgili (Ronciglione, 8 settembre 1661 – Ronciglione, 10 novembre 1734) è stata una religiosa italiana, Terziaria Carmelitana sulla cui persona è in corso un processo di beatificazione.
Una venerabile figura caritatevole, carismatica, laica del Lazio del Settecento; Mariangela Virgili nacque a Ronciglione (Viterbo) l'8 settembre 1661, dalla famiglia ebbe un’ottima educazione nella fede cristiana, per cui sin da piccola maturò in lei la vocazione di consacrarsi completamente a Dio. Il suo desiderio era quello di entrare fra le suore carmelitane, ma fu impedita dalla povertà della famiglia; ad ogni modo, seguendo i consigli del padre spirituale e aderendo al desiderio di dare tutto il suo amore a Dio ed al prossimo, specie i più bisognosi, realizzò un ideale che le veniva suggerito: “Avrai per cella un angolo della tua casa e per monastero tutta Ronciglione” . 
Una forma di spiritualità e consacrazione che anticipò il vasto fenomeno, specie nel napoletano, delle “monache di casa ”. 
Costruì nella camera della casa un recinto di legno e quattro tavole su cui coricarsi, adattando il resto della casa per accogliere vedove e orfane e donne tolte dalla vita corrotta oppure insidiate dai signorotti senza scrupoli di quel tempo. 
Questa opera di redenzione e protezione, scatenò la reazione di persone losche, che attentarono, più di una volta, alla sua vita con armi da fuoco, rimanendo miracolosamente illesa. 
A 38 anni vestì l’abito di Terziaria carmelitana e dopo si dedicò con maggiore zelo a varie opere sociali e religiose; collaborò con il vicario foraneo del vescovo di Sutri, per far aprire a Ronciglione una casa delle Maestre Pie, fondate dalla viterbese Rosa Venturini, per educare e istruire le giovani. 
Per i giovani poté fondare le scuole superiori, gestite dai Padri Dottrinari del beato Cesare De Bus, il famoso “Collegio”, culla di tanti uomini illustri. Usufruirono della sua carità, i carcerati, i poveri, i bisognosi di assistenza, i nobili decaduti, gli ammalati dei tre ospedali cittadini e quelli a domicilio, fu consigliera illuminata per tutti quelli che ricorrevano a lei, sia locali che forestieri. 
Sopportò con pazienza e sottomissione a Dio, le infermità che la colpirono specie negli ultimi anni; morì a Ronciglione il 10 novembre 1734 ed ai suoi funerali parteciparono tutti i concittadini. 
La causa per la sua beatificazione fu introdotta l’11 febbraio 1778, proseguendo fino al 1796; dopo una lunga interruzione fu ripresa il 10 dicembre 1993 ed è tuttora in corso.

* 1936 - Primo Gibelli (Torino, 27 dicembre 1883 – Madrid, 10 novembre 1936) è stato un militare italiano. Primo Gibelli (ma il suo vero nome era Luigi Gorelli) è stato un militante comunista, profugo in URSS, comandante della squadriglia internazionale "Lafayette" nella Guerra di Spagna, morto in combattimento per difendere Madrid, primo straniero decorato con l'onorificenza di Eroe dell'Unione Sovietica e con l'Ordine di Lenin.

* 1938 - Mustafa Kemal Atatürk (Salonicco, 19 maggio 1881 – Istanbul, 10 novembre 1938) è stato un militare e politico turco, fondatore e primo presidente della Repubblica Turca (1923-1938).

L'infanzia e gli anni giovanili (1881 - 1905)
Mustafa Kemal nasce a Salonicco nel 1881 in una casa oggi diventata un museo. Il padre, Ali Rıza Efendi (presumibilmente nato il 1839) si sposò con la signora Zübeyde Hanım. Da questa coppia nacquero sei figli: Fatma (nata il 1872, morta il 1875), Ahmet (nato il 1874, morto il 1883), Ömer (nato il 1875, morto il 1883), Mustafa (Kemal Atatürk), Makbule (nata il 1885, morta il 1956) e Naciye (nata il 1889, morta il 1901). Fatma, Ahmet e Ömer morirono in tenera età a causa dell'allora contagiosa malattia della difterite.
La sorella più piccola di Atatürk, Naciye, morì a dodici anni per tubercolosi.

La nascita di una repubblica
"Giovane Turco" di media rilevanza prima della Grande Guerra, brillante generale durante il primo conflitto mondiale, fu promotore della Grande Assemblea Nazionale di Ankara (1920). Sconfiggendo i greci (1919-22), ristabilì l'unità e l'indipendenza della Turchia, quindi depose il sultano Maometto VI (1922), fondò la Repubblica (1923) e diede vita ad una serie di riforme fondamentali dell'ordinamento della nazione, sulla base di un'ideologia di chiaro stampo occidentalista. Abolì il califfato, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, adottò l'alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l'uso del Fez. Al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dello Stato, istituì tuttavia un sistema autoritario fondato sul partito unico.
Atatürk ("Padre dei Turchi") fu il cognome - assegnato esclusivamente a lui con apposito decreto - che nel 1934 il Parlamento della Repubblica attribuì a Mustafa Kemal quando egli impose l'adozione di regolari cognomi di famiglia come era uso nel mondo occidentale.
Membro della loggia massonica "Machedonia resorta et Veritas" di Salonicco, di costituzione italiana, nel corso della dittatura prese progressivamente le distanze dalla Massoneria.

La morte
«Il capo immortale e l'eroe senza rivali » (Preambolo della Costituzione della Repubblica Turca)

Mustafa Kemal morì di cirrosi epatica nel 1938 nel Palazzo Dolmabahçe, situato sulla riva del Bosforo, nel quartiere Beşiktaş di Istanbul e le sue spoglie riposano nell'Anıtkabir, mausoleo appositamente costruito per lui ad Ankara, capitale dello Stato repubblicano che egli contribuì in modo decisivo a creare.
Quella che guidò è spesso citata come esempio di rivoluzione nazionalista che trasforma una monarchia in una repubblica. Benché fosse lontanissimo dall'ideologia marxista, e anzi sostenesse l'inesistenza della questione di classe, i rapporti tra Mustafa Kemal e Lenin furono improntati a grande rispetto, e anche in seguito il buon vicinato con l'URSS[2] fu tra i cardini della politica estera kemalista. Le ragioni di questa scelta diplomatica sono da rintracciare, più che in affinità politiche, nel sostegno, anche economico, che l'Unione Sovietica concesse a Kemal durante la guerra di liberazione dall'occupazione degli Alleati.
A succedergli fu il suo braccio destro İsmet İnönü. I rapporti tra i due si erano deteriorati, ma Atatürk non volle o non poté esprimere una chiara scelta alternativa e la burocrazia del partito-Stato, il CHP, vedeva in İnönü il suo massimo garante. Con İnönü la Turchia continua la strada marcata da Mustafa Kemal, prima con un'accentuazione degli aspetti autoritari, poi, conclusasi la seconda guerra mondiale, con il passaggio al multipartitismo.
Atatürk è tuttora oggetto in Turchia di una religione civile. L'insulto alla sua persona è un vero e proprio reato. Questo riformatore ha lasciato una profonda e controversa eredità. La sua opera può essere considerata paradigmatica del problematico rapporto tra l'universalismo della civiltà occidentale e le altrui culture. Samuel Huntington considera il kemalismo una ben precisa ed estrema visione del mondo, secondo la quale la completa occidentalizzazione di società intrinsecamente non occidentale è possibile, necessaria e in sé desiderabile. Hamit Bozarslan invece sottolinea l'aspetto autoritario della politica kemalista che giunge alla completa identificazione tra Stato e persona, lasciando alle generazioni successive la missione di preservare la nazione, quale entità immodificabile definita una volta per tutte.
A Kemal Atatürk sono dedicati, fra gli altri, il nuovo stadio olimpico di Istanbul e il principale aeroporto di Istanbul.

* 1944 - Raffaele Menici (Temù, 13 dicembre 1895 – Passo dell'Aprica, 10 novembre 1944) è stato un militare, partigiano, e bancario italiano.
Durante la prima guerra mondiale aveva combattuto come alpino, richiamato nel secondo conflitto fu inviato sul fronte greco-albanese, come tenente colonnello del 6° alpini, dopo l'armistizio fu catturato dai tedeschi a Zara, riuscì a fuggire e a ritornare in Val Camonica.

Attività nella resistenza
Fu tra gli organizzatori della resistenza e comandante delle brigate dell'alta valle, nel 1944 fu incaricato da Ferruccio Parri di prendere contatto con i dirigenti Edison per difendere gli impianti idroelettrici della zona dai nazifascisti.
Rifiutò l'adesione alle brigate cattoliche Fiamme Verdi per evitare frizioni con le Brigate Garibaldi, costretto a prendere una decisione confluì nella 54ª Brigata Garibaldi attiva in Val Saviore e alta Val Camonica, il 5 ottobre 1944.
Dopo pochi giorni, le SS di stanza ad Edolo fanno irruzione nella sua casa e prelevano la moglie, la figlia sua sorella e i nipoti Idilia e Zefferino Ballardini il quale verrà giustiziato nel campo di Edolo. La moglie e la figlia furono deportate nel campo di campo di transito di Gries vicino a Bolzano. IL 18 ottobre, avendo fissato un incontro con i tedeschi per il rilascio della moglie, nel luogo dell'appuntamento trova i partigiani delle Fiamme Verdi, lo accusano di tradimento e lo costringono a seguirli in Val Brandet sede del comando della Brigata Schivardi, sottoposto a processo dal tribunale della brigata, riesce a provar la propria lealtà ma forzatamente obbligato all'espatrio in Svizzera. [1].
Non arrivò mai in Svizzera, scortato da un partigiano era diretto verso il passo dell'Aprica, quando fu raggiunto da una pattuglia tedesca in auto dalla quale partì una raffica di mitragliatrice che lo uccise.

Controversie dopo la morte
Mimmo Franzinelli nel 1995 pubblicherà sui "Quaderni della fondazioni Micheletti" un monografico dal titolo Un dramma partigiano. Fiamme verdi, garibaldini e tedeschi in Alta Val Camonica, nel quale sostiene la responsabilità delle Fiamme verdi; Ermes Gatti presidente dell'organizzazione ex partigiani cattolici nel 2002 pubblica un libro dal titolo Difendo le Fiamme Verdi. L'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia nella sua biografia definisce la sua morte come un agguato orchestrato dalle Fiamme Verdi e dai Nazisti[2]. Anche lo storico Paolo Pezzino riferendosi a casi confrontabili con quello di Dante Castellucci nella presentazione del libro il piombo e l'argento di Carlo Spartaco Capogreco cita il caso di Raffaele Menici:
«.......la vicenda dell’uccisione del capo partigiano russo Nicola Pankov, che si era rifiutato di unirsi con i suoi uomini (erano poco più che un drappello, una decina di persone) ad una formazione garibaldina, e viene quindi fatto fuori. Un altro storico Mimmo Franzinelli molto noto perché ha pubblicato poi vari libri tra cui uno importantissimo sull’OVRA, sempre in un “Quaderno” della Fondazione Micheletti, del 1995, parla di una vicenda (Un dramma partigiano. Il “caso Menici”) che questa volta coinvolge i verdi, cioè le formazioni autonome: un colonnello partigiano della Valcamonica, Raffaele Menici, il quale addirittura fu addirittura consegnato dalle Fiamme Verdi ai tedeschi, e da questi giustiziato, perché considerato un pericolo (perché troppo a sinistra) per l’egemonia cattolica sul movimento partigiano della zona. E di recente Massimo Storchi, che è il direttore dell’Istituto per la storia della Resistenza di Reggio Emilia, ha scritto un libro (Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La storia di “Azor”) sull’uccisione di Mario Simonazzi, il partigiano cattolico “Azor”, vicecomandante della 76° Brigata Sap, scomparso sulle colline dell’appennino emiliano nel marzo del ‘45, e ucciso probabilmente (la vicenda è ancora di ambigua interpretazione) da elementi garibaldini in un regolamento di conti appunto nel marzo del 1945 »[3]

Note
1. ^ [1] Lettera inviata a Venanzio Ballardini il 17 novembre 1944, Val Brandet
2. ^ [2] Biografia di Raffaele Menici dal sito di INSMLI
3. ^ Trascrizione della Relazione pronunciata dal Prof. Paolo Pezzino a Sarzana, il 16 marzo 2007,per la presentazione, in prima nazionale, del volume Il piombo e l'argento di Carlo Spartaco Capogreco

Bibliografia
▪ Ercole Verzeletti, Fazzoletti rossi,fazzoletti verdi: dissidio nella resistenza in val Camonica, Edizioni di cultura popolare, 1975
Ermes Gatti, Protagonista e testimone, una vita dedicata all'affermazione dei valori della libertà, LED Liberedizioni, 56pag

- Giacomo Ulivi (Parma, 29 ottobre 1925 – Modena, 10 novembre 1944) è stato un partigiano italiano. Studente di legge all'Università di Parma, decorato della Medaglia d'argento al valor militare alla memoria.
Nacque a Baccanelli di San Pancrazio Parmense, attuale frazione di Parma, dal discusso inventore Giulio Ulivi e da Maria Luisa Fornari. Trasferitosi con la famiglia a Roma l'anno successivo alla nascita, dal 1930 al 1932 visse a Bruxelles in seguito al trasferimento del padre, su invito del governo belga.
Rientrato a Parma insieme alla madre, compì gli studi elementari e ginnasiali, che allora duravano cinque anni, si iscrisse giovanissimo al Liceo Classico "Maria Luigia" dove ebbe tra i suoi insegnanti Attilio Bertolucci.
Terminò gli studi liceali nel 1942, con un anno di anticipo. Nell’autunno dello stesso anno si iscrisse alla Facoltà di medicina dell’Università di Parma ma, dopo alcune settimane, chiese e ottenne il passaggio alla Facoltà di legge. In questo periodo Ulivi maturò le proprie convinzioni antifasciste. Dopo l'8 settembre 1943 aderì attivamente alla Resistenza italiana, svolgendo funzioni di collegamento tra i CLN di Parma e di Carrara e tra i partigiani con gli ufficiali inglesi oltre alla diffusione della stampa clandestina.
L'11 marzo 1944 fu arrestato a Parma una prima volta ma fuggito in modo rocambolesco, continuò la sua attività per il CLN di Modena. Qui venne nuovamente arrestato ma riuscì nuovamente ad evadere. Il 30 ottobre 1944 fu catturato per la terza volta dalle Brigate Nere in Via Farini a Modena, mentre usciva dalla sede del Comando provinciale della RSI dopo aver ricevuto dal maresciallo Alessandro Bassi dei documenti falsi. Arrestato e tradotto nel carcere dell'Accademia Militare fu interrogato e torturato ma non rivelò nulla. Inizialmente amnistiato, fu infine fucilato, per rappresaglia all'occupazione di Soliera da parte dei partigiani, sulla Piazza del Duomo di Modena il 10 novembre 1944 da un plotone della Guardia Nazionale Repubblicana insieme ad Alfonso Piazza ed Emilio Po.
Gli fu conferita la Medaglia d'argento al valor militare.

Onorificenze
Medaglia d'argento al valor militare alla memoria

«Diciassettenne prendeva parte alla lotta per la liberazione con tutto lo slancio dell'età giovanissima brillando per la completa dedizione alla causa e lo sprezzo del pericolo. Arrestato una prima volta evadeva e si trasferiva a Modena dove riprendeva la sua intensa attività compiendo pericolosissime missioni di collegamento. Catturato nuovamente, sottoposto alle torture più atroci e raffinate le sopportava stoicamente senza nulla rivelare all'odiato nemico. Col corpo segnato dalle stigmate del martirio affrontava impavido e sereno il plotone di esecuzione. Esempio impareggiabile di amore ardente per la Madre Patria» — Modena, 10 novembre 1944

Riconoscimenti e dediche
• A Parma è stato intitolato a Giacomo Ulivi il locale Liceo Scientifico Statale.

Bibliografia
▪ Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli (a cura di) Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945), 16a ed. Torino, Einaudi [1952] 2003, pagg. 320-323 ISBN 978-88-06-17886-4
▪ Baldassarre Molossi, Dizionario dei parmigiani grandi e piccini (dal 1900 ad oggi), Parma, La Tipografica Parmense, 1957.
▪ Istituto storico della Resistenza, Lettere di Giacomo Ulivi, Modena, Cooperativa tipografi di Modena, 1974.

* 1982
- Leonìd Il'ìč Brèžnev - (Kamenskoe, 19 dicembre 1906 – Mosca, 10 novembre 1982) è stato un politico sovietico, l'effettivo capo assoluto dell'Unione Sovietica dal 1964 al 1982, anche se all'inizio in collaborazione con altri.
Fu segretario generale del Partito comunista dell'Unione Sovietica dal 1964 al 1982, e due volte a capo del Praesidium del Soviet supremo (capo dello stato), dal 1960 al 1964 e dal 1977 al 1982.

L'ascesa al potere
Brežnev nacque a Kamenskoe (oggi Dniprodzeržyns'k) in Ucraina, figlio di un operaio dell'acciaio. Il suo vero cognome era Brežnёv (Брежнёв, Brežnjòv) e così si fece chiamare fino al 1956. Nonostante fosse di famiglia russa, mantenne la pronuncia e le abitudini ucraine per l'intera vita. Come molti ragazzi appartenenti alle classi operaie, negli anni successivi alla rivoluzione russa ricevette un'educazione tecnica, prima in economia agraria, poi in metallurgia. Diplomatosi nell'Istituto di studi Metallurgici di Dneprodzerźinsk e laureatosi in Ingegneria Metallurgica, lavorò per qualche tempo in alcune industrie del ferro e dell'acciaio nell'Ucraina orientale. Si unì alle organizzazioni giovanili del PCUS, il Komsomol, nel 1923, e divenne membro del partito stesso nel 1931.
Nel 1935-1936 Brežnev partì per il servizio militare, e dopo l'addestramento alla scuola carristi divenne commissario politico in una compagnia di cavalleria corazzata. Nel 1936 fu anche direttore dell'Istituto Superiore Tecnico di Studi Metallurgici di Dneprodzerźinsk, prima di essere trasferito al capoluogo della regione, Dnepropetrovsk. Qui, nel 1939, diventò segretario di partito, incaricato di gestire le importanti industrie militari della città.
Brežnev apparteneva alla prima generazione di comunisti sovietici che non avevano una vera memoria di come fosse la Russia prima della rivoluzione, e che erano troppo giovani per aver partecipato a quelle lotte per il comando del Partito che si erano scatenate dopo la morte di Lenin nel 1924. Quando egli vi entrò Stalin ne era il capo indiscusso, e lui con molti altri crebbero politicamente nel segno dello stalinismo senza porsi dubbi o domande sulla bontà delle scelte che venivano dall'alto. Coloro che sopravvissero alle Grandi purghe del 1937-1939 ebbero una carriera incalzante e molto rapida, dal momento che molte posizioni nei ranghi medi e alti del Partito, del governo e delle Forze Armate restavano vacanti per l'eliminazione di chi le occupava.
Nel giugno 1941 la Germania nazista invase l'Unione Sovietica e, come molti ufficiali del Partito che godevano di considerazione, Brežnev fu immediatamente richiamato alle armi (i suoi ordini avevano la data del 22 giugno). Egli si occupò dell'evacuazione delle fabbriche di Dnepropetrovsk nell'Est russo, prima che la città cadesse in mano tedesca il 26 agosto, e fu poi riassegnato come politruk (политрук, commissario politico). In ottobre, Breźnev fu messo a capo dell'amministrazione politica per l'intero Fronte Meridionale, col grado di Commissario di Brigata.
Nel 1942, con l'Ucraina completamente in mano tedesca, Brežnev fu inviato in Caucaso come capo dell'amministrazione politica del fronte transcaucasico. Nell'aprile 1943 diventò capo del dipartimento politico della XVIII Armata, che successivamente fu inserita nel I Fronte Ucraino, quando l'Armata Rossa riprese l'iniziativa e cominciò l'avanzata verso occidente sul territorio ucraino. Il commissario politico del Fronte, suo diretto superiore, era Nikita Chruščёv, che divenne un importante alleato nella carriera di Brežnev. Alla fine della guerra in Europa Brežnev occupava la posizione di capo commissario politico del IV Fronte Ucraino, che entrò a Praga dopo la resa tedesca.
Nell'agosto 1946 Brežnev lasciò l'Armata Rossa col grado di Maggior Generale: era stato commissario politico per l'intera durata del conflitto, e si era occupato pochissimo di incarichi di comando militare vero e proprio. Dopo aver lavorato su alcuni progetti per la ricostruzione in Ucraina, tornò alla vita civile come primo segretario a Dnepropetrovsk. Nel 1950 divenne deputato del Soviet Supremo, il parlamento dell'URSS; nello stesso anno, fu primo segretario del PCM nella RSS Moldava, che era stata da poco assorbita nell'Unione Sovietica dopo l'annessione alla Romania. Nel 1952 divenne membro del Comitato Centrale del Partito Comunista, e successivamente del Praesidium (già noto come Politburo).

Brežnev e Chruščёv
Stalin morì nel marzo del 1953, e nella riorganizzazione che seguì fu abolito il Praesidium, assieme ad una generale ristrutturazione del Politburo. Anche se Brežnev non vi fu incluso, fu comunque nominato capo del Direttorato Politico dell'Esercito e della Marina, con il grado di Tenente Generale, una posizione di grande rilievo la cui assegnazione fu probabilmente non priva dell'influenza del suo mentore e amico, Nikita Chruščёv, il quale aveva da poco preso il posto di Stalin come segretario generale del partito. Nel 1955 venne nominato primo segretario del partito in Kazakhstan, una posizione a sua volta molto importante.
Nel febbraio del 1956 Brežnev fu richiamato a Mosca, promosso a membro candidato del Politburo, e fu incaricato dell'industria degli armamenti, del programma spaziale, dell'industria pesante e della loro amministrazione. In quei momenti, come membro dell'entourage di Chruščёv, egli diede supporto a quest'ultimo nella lotta contro la vecchia guardia stalinista della leadership di partito, il cosiddetto "Gruppo Anti-partito" guidato da Vyacheslav Molotov, Georgij Malenkov e Lazar Kaganovič. Seguendo la sconfitta della vecchia guardia Brežnev divenne un membro pieno del Politburo.
Nel 1959 Brežnev divenne secondo segretario del Comitato centrale e nel maggio 1960 fu promosso a presidente del Praesidium del Soviet supremo, rendendolo nominalmente Capo dello Stato. Anche se il vero potere era nelle mani di Chruščёv, che era segretario di partito, la posizione presidenziale permise a Brežnev di viaggiare all'estero, e così inizio a sviluppare il gusto per i ricchi abiti occidentali e le automobili, per le quali divenne poi famoso.

Il marxismo-leninismo di Brežnev
Divenne presidente dell'URSS nel 1964, dopo le dimissioni di Chruščёv dovute apparentemente ad una cospirazione guidata dallo stesso Brežnev, insieme ad Aleksandr Šelepin e al capo del KGB Vladimir Semičastny.
La sua politica (soprattutto quella estera) si basò su una versione del marxismo-leninismo che venne chiamata dottrina Brežnev (nota anche come teoria o "dottrina della sovranità limitata"). Egli dichiarò che l'Unione Sovietica era lo stato guida del comunismo e che aveva il diritto di intervenire, anche militarmente, negli affari interni dei paesi alleati. Si giustificò così, nel 1968, l'intervento in Cecoslovacchia dell'URSS (assieme ad altri contingenti dei paesi membri del patto di Varsavia), mettendo fine alla primavera di Praga.

La politica estera
Negli anni settanta fu il principale interlocutore della Ostpolitik del cancelliere della Germania Occidentale Willy Brandt. Tolse la Iugoslavia del maresciallo Tito dall'isolamento ideologico e politico a cui era stata condannata da Stalin e avviò dei rapporti di collaborazione con la Francia.
Nei confronti di Stati Uniti ed Europa occidentale egli perseguì una politica di distensione, riportando risultati significativi agli inizi degli anni settanta, ad esempio con la firma del primo trattato sulla limitazione delle armi strategiche SALT II. Tuttavia l'intervento sovietico in Afghanistan nel 1979 segnò un deterioramento nelle relazioni USA-URSS che portò tra l'altro al boicottaggio di due Olimpiadi, quelle del 1980 a Mosca, e quelle del 1984 a Los Angeles.
Negli ultimi anni della sua vita Brežnev, nonostante la salute malferma e la vecchiaia, consolidò il proprio potere: nel 1976 fu nominato maresciallo dell'Unione Sovietica, l'anno successivo venne rieletto alla presidenza del Soviet Supremo e nel 1981 fu di nuovo alla guida del PCUS. Poco prima di morire riaprì alcuni negoziati con la Repubblica Popolare Cinese.

La passione per le automobili
Ben nota era la grande passione del leader sovietico per le automobili, con una particolare predilezione per le grandi berline ad alte prestazioni. Dopo la sua elezione al vertice dell'URSS, i politici dell'intero pianeta fecero a gara per dimostrare la loro amicizia attraverso il dono di lussuose vetture.
Nel 1980 il garage di Breznev era giunto a contenere una cinquantina di fuoriserie, che egli faceva manutenere con scrupolo e che utilizzava a turno, guidandole personalmente a velocità sostenuta sulla Leningradskij Prospekt che, nelle occasioni, veniva opportunamente chiusa al traffico per diverse ore.
Fu in una di queste "scorribande", nel 1980, che Breznev distrusse la sua Rolls-Royce Silver Shadow del 1966, in un pauroso incidente. La vettura è ora conservata al Motor Museum di Riga e, all'epoca, venne immediatamente rimpiazzata dalla casa inglese.
Tra i pezzi più importanti della collezione, anche una speciale Mercedes Limousine a sei porte, costruita in soli due esemplari. L'altro venne donato all'imperatore Hirohito.
Il presidente americano Richard Nixon regalò al collega sovietico, nel 1972, una Cadillac Eldorado e, dietro esplicita richiesta dello stesso Breznev, nel 1974 gli fece recapitare una speciale versione personalizzata di Lincoln Continental.
Anche il comitato centrale del Partito Comunista Italiano, nel 1968 al termine della crisi internazionale causata dalla primavera di Praga, fece dono al leader comunista di una fiammante Maserati Quattroporte, all'epoca considerata una delle berline dalle più elevate prestazioni della produzione mondiale.
Dopo la morte di Breznev, la collezione venne smembrata, per finire nelle mani di commercianti stranieri di auto d'epoca.

- Elio Petri (Roma, 29 gennaio 1929 – Roma, 10 novembre 1982) è stato un regista e sceneggiatore italiano.
Petri manifesta sin da piccolo la sua passione per il giornalismo e a 16 anni ottiene il suo primo lavoro per un giornale locale. Nel 1949 diventa critico cinematografico per l'Unità e all'età di 23 anni inizia a lavorare nel mondo del cinema con De Santis, per il quale realizza un dossier d'interviste che servirà come base per la scrittura del film-inchiesta Roma ore 11 (1951). Realizza due cortometraggi, Nasce un campione (1954) e I sette contadini (1957), e lavora come sceneggiatore nei film di De Santis e Bragaglia.
All'età di 32 anni gira il suo primo lungometraggio, L'assassino (1961), poliziesco di analisi psicologica che nonostante alcuni problemi con la censura è accolto sotto buoni auspici. Il protagonista del film è Marcello Mastroianni, anche se il regista avrebbe voluto al suo posto Nino Manfredi. Nella sua prima opera sono già presenti i temi fondamentali del suo cinema: la nevrosi ed il potere.
Nel 1962 sposa a Roma Paola Pegoraro.
Nel 1963 dirige I giorni contati, film che narra la crisi esistenziale di uno stagnaro romano e che si giova di una grande prova attoriale di Salvo Randone, nel suo unico ruolo da protagonista al cinema.
Lavora con Alberto Sordi in Il maestro di Vigevano (tratto dall'omonimo libro di Lucio Mastronardi, 1963) ed ancora con Mastroianni nel fantascientifico La decima vittima (da un racconto di Robert Sheckley, 1965).
Le difficoltà con i grandi produttori lo spingono a lavorare con produttori esordienti, come nel caso di A ciascuno il suo (1967), un "western sulla mafia" tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia e interpretato da Gian Maria Volonté, Irene Papas e Gabriele Ferzetti. Nel film emerge con chiarezza una propensione al cinema d'impegno civile (o cinema politico) che troverà compiuta espressione nella sua "trilogia sul potere" degli anni Settanta.
Dopo la parentesi non del tutto riuscita di Un tranquillo posto di campagna (1968), allegoria sul ruolo dell'artista nella società contemporanea, e un episodio del film militante Documenti su Giuseppe Pinelli (1970), nello stesso anno Petri firma il suo film più noto, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, con un Gian Maria Volonté in stato di grazia nel ruolo di un commissario di polizia che uccide la propria invereconda amante (Florinda Bolkan) ma che, nonostante la sua confessione, non viene punito dai suoi colleghi preoccupati di difendere la reputazione dell'apparato. Il film suscita polemiche perché il personaggio protagonista sembra ispirato alla figura di Luigi Calabresi.[senza fonte] Sempre in merito alla medesima vicenda l'anno seguente sottoscriverà la lettera aperta pubblicata sul settimanale L'Espresso sul caso Pinelli. Il film comunque ottiene un grandissimo consenso da parte del pubblico e l'anno seguente si aggiudica l'Oscar al miglior film straniero.
Il sodalizio Petri-Volonté prosegue in La classe operaia va in paradiso (1971), corrosiva satira sulla vita in fabbrica, con cui nel 1972 (ex aequo con Il caso Mattei di Francesco Rosi, sempre con Volonté protagonista) conquista la Palma D'Oro a Cannes.
La "trilogia sul potere" elaborata da Petri assieme allo sceneggiatore Ugo Pirro si conclude nell'allegoria sul denaro La proprietà non è più un furto (1973), con Ugo Tognazzi protagonista.
Nel 1976 Petri porta al cinema un altro romanzo di Sciascia, Todo modo, che racconta il grottesco decadimento della Democrazia Cristiana nella descrizione di un'assise segreta dei vertici del partito presso un convento. Il film si avvale delle interpretazioni di Gian Maria Volonté (nei panni di una figura che richiama Aldo Moro, uccisa alla fine del film come lo stesso statista due anni dopo nella realtà), Marcello Mastroianni e Mariangela Melato, e delle musiche di Ennio Morricone.
Due anni dopo porta in televisione il capolavoro teatrale di Jean Paule Sartre, Le mani sporche, con Marcello Mastroianni protagonista.
Il film successivo, Le buone notizie (1979), con Giancarlo Giannini protagonista, è all'insegna di un pessimismo ormai inguaribile e pregno di propensioni metafisiche, che Petri esprime sovraccaricando volti, gesti e colori.
Nel 1982 Petri si accinge a girare con Mastroianni il film Chi illumina la grande notte, ma una breve malattia lo uccide a soli 53 anni.
Nel 2005 gli è stato dedicato il documentario Elio Petri. Appunti su un autore di Federico Bacci, Nicola Guarneri e Stefano Leone, presentato alle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia.

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* 1996 - Rudolf B. Schlesinger (Monaco di Baviera, 1909 – San Francisco, 10 novembre 1996) è stato un giurista tedesco-statunitense, di fondamentale importanza per il diritto comparato[1].
Nacque in Germania da padre tedesco che per caso era nato negli Stati Uniti: ebbero quindi entrambi la cittadinanza statunitense.[1] Studiò diritto inizialmente a Ginevra, Berlino e Monaco. Ottenne in seguito una seconda laurea alla Columbia Law School.
All'inizio degli anni trenta lavorò per una banca tedesca. Ebreo, anche se non praticante a detta della figlia, nel 1938 dopo la notte dei cristalli fuggì negli Stati Uniti, dove diventò uno studioso di diritto internazionale e comparato.
È stato professore alla Cornell Law School (1948 - 1975) e allo Hastings College of the Law dell'Università della California (fino al 1994) e membro onorario della American Society of Comparative Law. Nel 1956 è stato nominato "William Nelson Cromwell Professor of International and Comparative Law".
Organizzò i seminari di Cornell (1960 - 1967), che produssero l'opera Formation of Contracts. Il suo libro Comparative Law: Cases-Texts-Materials del 1950 è stato il primo casebook di diritto comparato.
L'8 marzo 1995 l'Università degli studi di Trento gli ha conferito una laurea honoris causa in giuriprudenza.[2]
Il 10 novembre 1996 lui e la moglie Ruth furono trovati senza vita nella casa di San Francisco, apparentemente suicidi.

Alcune opere
• Comparative Law: Cases-Texts-Materials (1950)
• Formation of Contracts — A Study of the Common Core of Legal Systems (1968)

Note
1. ^ a b Ugo Mattei. "Laudatio" pronunciata in occasione del conferimento della laurea ad honorem a Rudolf B. Schlesinger (pdf). Unitn, Trento, 8 marzo 1995. URL consultato il 21-11-2008.
2. ^ Lauree honoris causa conferite dall’Università degli Studi di Trento. Unitn. URL consultato il 21-11-2008.

* 1997 - Leonetto Amadei (Seravezza, 7 agosto 1911 – Marina di Pietrasanta, 10 novembre 1997) è stato un giurista e deputato italiano.
Laureatosi giovanissimo all'università di Pisa, Amadei fece il tirocinio presso lo studio dell'avvocato Luigi Salvatori, che negli anni 1919-1920 fu deputato socialista nel collegio della Versilia. Come avvocato, Leonetto Amadei patrocinò spesso cause in difesa dei più deboli, degli oppressi e dei lavoratori.
Nel 1946 venne candidato dal Partito Socialista Italiano alle elezioni per la Assemblea Costituente, e successivamente alla sua elezione nominato nella Commissione dei 75. Si impegnò soprattutto nell'elaborazione della prima parte della Costituzione della Repubblica Italiana.
Successivamente venne eletto deputato nella circoscrizione di Lucca, Livorno, Pisa e Massa Carrara, sempre nelle liste del PSI, e ricoprì anche l'incarico di Sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia nel primo Governo Rumor. Venne rieletto per diversi mandati parlamentari consecutivi fino al 1972, anno in cui divenne componente della Corte Costituzionale.
Nominato giudice costituzionale dal Parlamento il 27 giugno 1972, giura il 28 giugno 1972. È eletto Presidente della stessa Corte il 5 marzo 1979 e cessa dalla carica di Presidente il 28 giugno 1981.

Collegamenti esterni
Dati personali e incarichi nella Costituente. Camera dei Deputati. URL consultato il 8-2-2008.
Seduta n. 275 del 24/11/1997 - In morte di Leonetto Amadei. Camera dei Deputati. URL consultato il 8-2-2008.

* 2005 - Ornella Angeloni Accatino (Avezzano, 24 novembre 1921 – Roma, 10 novembre 2005) è stata una scrittrice e poetessa italiana.
Nata da una famiglia della borghesia romana caduta in difficoltà a causa dell’improvvisa morte del padre Alfredo Angeloni, Commissario Prefettizio a Fondi (all’epoca si sospettò addirittura di un delitto), Ornella si diploma giovanissima in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia e si laurea in Lingue, iniziando a collaborare con riviste letterarie e testate editoriali, trasformando la sua passione in una modesta ma continua fonte di sostentamento. Si distingue quasi subito per una ricca produzione di novelle e per un romanzo “Una linea sulla montagna" che ottiene una lusinghiera recensione sul Il Popolo d'Italia di Massimo Bontempelli che le apre le porte del mondo letterario romano. Inizia a collaborare a La Fiera Letteraria e al settimanale Vita.
Volontaria per il Sovrano Militare Ordine di Malta sul fronte di Anzio, nel 1952 sposa il pittore e teorico dell'arte Enrico Accatino, con il quale darà vita a un sodalizio artistico e spirituale che durerà tutta la vita, curando insieme a lui fondamentali opere sulla didattica dell’educazione visiva (Forma, Colore, Segno - Edart - Ciao Arte - La favola dell'Arte).
Al di là di traduzioni dal francese e dallo spagnolo e dalla pubblicazioni di saggi e romanzi come “Una madre di nome Maria”, “La Donna Bifronte”, "Caffè Ciamei", la qualità della sua scrittura si rivela nell’opera poetica che Ornella Angeloni coltiverà per oltre 40 anni, caratterizzandosi per uno stile assolutamente personale che riprende ed evolve le poetiche ermetiche, miscelando le visioni della grande letteratura mistica con la sensualità dei lirici greci. Premio Roma per la poesia nel 1991. Tra le ultime opere “Cerchi d’acqua” e “Mosaico di Sassi”. Tra i suoi maggiori estimatori il critico e poeta Ferruccio Ulivi, che ha dedicato alla sua opera numerosi scritti critici.

Lirica
▪ Animale di città (1967)
▪ Mosaico di Sassi (1998)
▪ Cerchi d’Acqua (2000)

Narrativa
▪ La lunga strada bianca (1948)
▪ Una linea sulla montagna (1952)
▪ Caffè Ciamei (1985)
▪ La donna bifronte (1991)

Saggistica
▪ Forma Colore Segno (1964)
▪ La favola dell’Arte (1968)
▪ Collana Ciao Arte (1984)
▪ Edart (1987)
▪ Una madre di nome Maria (1999)