Il calendario del 1 Novembre
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Eventi
▪ 885 - La festa di Tutti i Santi viene spostata dal 13 maggio al 1º novembre da Papa Gregorio
▪ 1295 - Dante Alighieri diventa membro del Consiglio dei Trentasei del Capitano del Popolo
▪ 1512 - Il soffitto della Cappella Sistina, dipinto da Michelangelo, viene mostrato al pubblico per la prima volta
▪ 1604 - Al Palazzo di Whitehall di Londra, prima dell'Otello di William Shakespeare
▪ 1611 - Al Palazzo di Whitehall di Londra, prima de La Tempesta di William Shakespeare.
▪ 1683 - La colonia della Corona Britannica di New York viene divisa in 12 contee
▪ 1745 - Papa Benedetto XIV pubblica la Lettera Enciclica Vix pervenit, sull'usura e altri guadagni disonesti
▪ 1755 - Terremoto di Lisbona del 1755: in Portogallo, Lisbona viene distrutta da un terremoto e dal conseguente tsunami, che uccide tra le sessanta e le novantamila persone
* 1765 - Il parlamento britannico impone lo Stamp Act (tassazione del trasferimento di determinati documenti provenienti dalle colonie inglesi in America), allo scopo di aiutare il pagamento delle operazioni militari britanniche nell'America del Nord
▪ 1800 - John Adams diventa il primo presidente degli Stati Uniti ad abitare la Casa Bianca
▪ 1848 - A Boston (Massachusetts), apre la prima scuola medica per donne
▪ 1884 - La conferenza Internazione sui meridiani che si svolge a Washington DC adotta il sistema dei fusi orari
▪ 1885 - Papa Leone XIII pubblica la Lettera Enciclica Misericors Dei Filius, sulla natura soprannaturale della Chiesa, sul potere ecclesiastico e sul potere civile, sulla iniquità delle ideologie moderne, sulla tendenza moderna ad emarginare la Chiesa e la sua autorità, sulla ingiustizia delle concezioni libertarie, sulla libertà religiosa, sulla funzione degli amministratori cattolici
▪ 1894 - Lo Zar Alessandro III di Russia muore e gli succede il figlio Nicola II
▪ 1897 - Un gruppo di studenti del Liceo Classico "Massimo D'Azeglio" di Torino fonda la Juventus
▪ 1911 - Gli italiani in Libia compiono il primo bombardamento aereo della storia
▪ 1914
- - Prima guerra mondiale: Battaglia di Coronel. Si tratta della prima sconfitta navale britannica della guerra
- - Papa Benedetto XV pubblica la Lettera Enciclica Ad beatissimi apostolorum principis, sulle funeste condizioni che portano alla guerra, sui mali delle concezioni moderne, sulla erranza delle nuove ideologie, sulle divisioni tra Cattolici, sui mali del modernismo, sulla eccessiva indipendenza dei chierici
▪ 1922 - L'Impero ottomano viene abolito e il suo ultimo sultano, Mehmet VI, abdica
▪ 1943 - Seconda guerra mondiale: lancio dell'Operazione Goodtime, i Marines statunitensi invadono l'isola di Bougainville nelle Isole Salomone
▪ 1944 - Seconda guerra mondiale: lancio dell'Operazione Infatuate, l'esercito inglese sbarca a Walcheren in Olanda
▪ 1946 - Karol Wojtyla, il futuro Giovanni Paolo II, diventa sacerdote.
▪ 1950
- - Pio XII proclama il dogma dell'Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria
- - I nazionalisti portoricani Griselio Torresola e Oscar Collazo tentano di assassinare il presidente statunitense Harry S. Truman
▪ 1952 - Operazione Ivy - Gli Stati Uniti detonano con successo la prima bomba all'idrogeno; nome in codice "Mike" ["m" for megaton], Sull'Isola Eniwetok nell'Atollo di Bikini, situato nell'oceano Pacifico
▪ 1954 - Alcuni guerriglieri del Front de Libération Nationale eseguono molteplici attacchi contro alcune istituzioni nazionali algerine, comportando così l'inizio della Guerra d'Algeria
▪ 1960 - Durante la campagna elettorale per le presidenziali USA, John F. Kennedy annuncia l'idea dei Corpi della pace
▪ 1962
- - Esce in Italia il primo numero di Diabolik
- - Viene lanciata nello spazio la prima sonda diretta verso Marte, ma la missione russa "Mars 1" sarà un fallimento: la sonda si perde a 106 milioni di chilometri dalla Terra
▪ 1973 - Scandalo Watergate: Leon Jaworski viene nominato nuovo procuratore speciale del Watergate.
▪ 1981 - Antigua e Barbuda ottiene l'indipendenza dal Regno Unito
▪ 1993 - Entra in vigore il Trattato di Maastricht, che stabilisce formalmente l'Unione europea
▪ 1994 - George Lucas abbandona le attività quotidiane della sua industria cinematografica per iniziare un anno sabbatico (in questo periodo scriverà il prequel in tre episodi di Guerre Stellari)
▪ 1998 - Viene istituita la Corte Europea dei diritti dell'uomo
▪ 2004 - Uccisa sui Pirenei Cannelle, l'ultima orsa femmina originaria del luogo. Il suo cucciolo è scappato ai cacciatori, ma gli esperti non sono fiduciosi sulla sua sorte
▪ 2007 - MTV Europe Music Awards a Monaco di Baviera
Anniversari
▪ 1546 - Giulio Pippi, detto Giulio Romano (Roma, 1499[1] – Mantova, 1 novembre 1546), è stato un architetto e pittore italiano, importante e versatile personalità del Rinascimento e del Manierismo.
Fin da giovanissimo fu tra i principali collaboratori e l'allievo più dotato[2] di Raffaello Sanzio all'interno dell'affollata bottega. Collaborò con il maestro nelle sue grandi imprese pittoriche come gli affreschi della villa Farnesina, delle Logge e delle Stanze Vaticane. Alla prematura morte di Raffaello nel 1520 ne ereditò la bottega e le commissioni assieme al collega Giovan Francesco Penni. In tale periodo si occupò di coordinare gli affreschi di Villa Madama e di completare la sala di Costantino nelle stanze Vaticane in cui gli viene riconosciuta l'esecuzione di alcune scene come La battaglia di ponte Milvio (1520-1524).
I suoi primi autonomi progetti di architettura furono a Roma: la Villa Lante sul Gianicolo per Baldassarre Turini da Pescia (1518-1527) ed il Palazzo Maccarani Stati (1521-1524).
Fu invitato, come artista di corte, a Mantova da Federico II Gonzaga a cui era stato indicato da Baldassarre Castiglione, letterato e suo ambasciatore a Roma. Nonostante la prestigiosa carriera avviata a Roma, accettò l'invito, ma attese a Roma il completamento dei lavori che Raffaello non aveva avuto modo di terminare, per reggiungere la città lombarda nel 1524.
Il suo primo incarico a Mantova fu la realizzazione di un casino fuori delle mura della città, in una località chiamata Te, dove marchese Federico II aveva delle stalle. Giulio Romano realizza un grandioso edificio a metà tra il palazzo e la villa extraurbana conosciuto come Palazzo Te, utilizzando numerosi aiuti, tra cui, per esempio, Raffaellino del Colle.
Nel 1526 venne nominato prefetto delle fabbriche dei Gonzaga e "superiore delle vie urbane", che gli davano la qualifica di sovrintendere a tutte le architetture e le produzioni artistiche della corte portando avanti un'ampia opera come pittore e architetto, improntata a un fasto decorativo e gusto della meraviglia e dell'artificio ingegnoso e bizzarro che ebbero larga diffusione nella cultura manierista delle corti europee.
Dopo l'elevazione a ducato della casata, Giulio Romano si occupò della sistemazione anche del Palazzo Ducale dove realizzò tra l'altro, il cortile della Cavallerizza oltre che alcuni affreschi. Nel decennio 1530-1540, si occupò di molteplici progetti tesi a trasformare Mantova secondo le ambizioni del nuovo duca Ercole.
Quando Vasari lo visitò nel 1541, trovò un uomo ricco e potente. Il suo status gli consentì di realizzare per sé un palazzo nel centro di Mantova denominato Casa di Giulio Romano.
Nel 1546 la morte gli impedì di ritornare a Roma per divenire primo architetto della fabbrica di San Pietro.
Opere
Palazzo Te a Mantova
Costruito tra il 1524 e il 1534, a Palazzo Te si mescolano varie funzioni: abitativa, di svago, di ospitalità, di intrattenimento e di rappresentanza. Il vasto edificio ha un impianto a corte quadrata di chiara discendenza vitruviana, ispirato ad una domus romana, con quattro entrate sui quattro lati. Si presenta come un blocco basso e massiccio con i prospetti esterni caratterizzati in modo diverso sui vari lati, anche se la facciata meridionale non è stata realizzata. La facciata principale posta a settentrione, verso la città è la cosiddetta Loggia Grande, caratterizzata dall'ingresso sormontato da un timpano, con tre grandi aperture a serliana su colonne binate. Gli altri prospetti sono caratterizzati da lesene doriche lisce poste ad interassi diversi secondo un ritmo complesso e da un possente bugnato liscio e rustico, alternanza questa che concorre a creare uno squilibrio anticlassico, caratteristica del nuovo linguaggio architettonico manierista. Nel cortile interno, scandito da semicolonne doriche sormontate da una possente trabeazione, i timpani spezzati ed i triglifi centrali scivolati in basso con forte effetto dinamico sono ulteriori elementi mirati a suscitare stupore.
All'interno, nella Sala di Amore e Psiche, troviamo un composito sistema di riquadrature prospettiche della volta. Nella Sala dei Giganti viene applicato uno sperimentalismo illusivo, raffigurando figure grottescamente deformate e il crollo di enormi architetture, così da dare l'impressione a chi vede l'opera di essere sepolto sotto le rovine e risucchiato dal gorgo musivo del pavimento. Inoltre lo spazio architettonico è stato aumentato e reso grandioso tramite l'affresco e la smussatura degli angoli delle pareti. Il paradosso è la chiave di lettura che va a sostituire la logica e la razionalità rinascimentali.
Disegni
▪ Progetto per il cortile dello scomparso Palazzo Branconio dell'Aquila a Roma, 1518 ca, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe.
▪ Allegoria delle Virtù di Federico II Gonzaga, 1531-1534, penna e inchiostro marrone, gesso nero e lumeggiature bianche, 249 x 317 mm, Los Angeles, J. Paul Getty Museum.
▪ Vittoria, Giano, Crono e Gea, 1532-1534, penna, inchiostro marrone e nero bagnato su gesso nero, 374 x 317 mm, Los Angeles, J. Paul Getty Museum.
▪ Nascita di Bacco, 1533 ca, penna, inchiostro marrone e nero bagnato su gesso nero, 250 x 406 mm, Los Angeles, J. Paul Getty Museum.
▪ Bambino nudo con braccia aperte, gesso rosso su carta bianca, 270 x 209 mm, Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe.
Opere pittoriche
Relativamente al periodo trascorso nella bottega di Raffaello, l'integrazione ed il sistema di lavoro all'interno della bottega di Raffaello rende arduo agli studiosi l'attribuzione di disegni, di parti più o meno secondarie solo di affreschi ma anche di pale di altare o di altre opere di Raffaello nonché di singole opere pittoriche su tavola che gli studiosi, tra molti dubbi, attribuiscono all'esecuzione di Giulio Romano ed al disegno di Raffaello, con le molte variabili che tale schema presuppone e con le complicazioni dovute alla morte prematura del maestro. Lo stile pittorico di Giulio Romano, tuttavia, ben presto si differenzia notevolmente da quello raffaellesco, rifuggendo dalla tipica "dolcezza" del maestro e dallo "sfumato" leonardesco, a favore di un segno inciso, quasi grafico e da una tavolozza fredda[3].
▪ Affreschi di Villa Giulia a Roma
▪ Affreschi di Villa Madama a Roma
▪ La Madonna col Bambino e san Giovannino, 1516 ca, olio su tavola, 29 x 25 cm, Parigi, Museo del Louvre.
▪ La Sacra Famiglia, ca 1518, olio su tavola, 147,4 x 116 cm, Madrid, Museo del Prado.
▪ Madonna col Bambino e san Giovanni Battista, ca 1518-1523, olio su tavola, Edimburgo, National Gallery of Scotland.
▪ Santa Maria Maddalena sostenuta dagli angeli, ca 1520-1521, olio su tela, 165,1 x 236,2 cm, Londra, National Gallery.
▪ Madonna col Bambino, 1520-1522, olio su tavola, 195 x 77 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi.
▪ Sacra Famiglia, ca 1520-1523, olio su tavola, Los Angeles, J. Paul Getty Museum.
▪ I simboli degli Evangelisti, ca 1520-1525, olio su tavola, 22 x 22 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum.
▪ Cristo in gloria, la Vergine, san Giovanni Battista e santi, 1521-1522 ca, olio su tavola, 134 x 98 cm, Parma, Galleria Nazionale.
▪ Madonna col Bambino, 1522-1523, olio su tavola, 37 x 30,5 cm, Roma, Palazzo Barberini, Galleria Nazionale di Arte Antica.
▪ Madonna col Bambino e sant'Anna (Madonna della Gatta), 1523 ca, olio su tavola, 171 x 143 cm, Napoli, Gallerie Nazionali di Capodimonte.
▪ Madonna col Bambino e san Giovanni Battista, 1523 ca, olio su tavola, 126 x 85 cm, Roma, Galleria Borghese.
▪ Donna allo specchio, 1523-1524, olio su tela trasportata su tavola, 111 x 92 cm, Mosca, Museo Puskin.
▪ Sacra Famiglia e committenti (Pala Fugger), 1523-1524 ca, olio su tela, Roma, Santa Maria dell'Anima.
▪ Due amanti, 1523-1524 ca, olio su tavola trasferito su tela, 163 x 337 cm, San Pietroburgo, Ermitage.
▪ Santa Margherita, ca 1528, olio su tavola, 185 x 117 cm, Parigi, Louvre.
▪ Nascita di Bacco, ca 1530, olio su tavola, Los Angeles, J. Paul Getty Museum.
▪ Adorazione dei pastori e santi, 1532-1534, olio su tavola, 275 x 212 cm, Parigi, Musée du Louvre.
▪ Plutone sul carro, ca 1532-1536, olio su tela, 92 x 62 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum.
▪ Trionfo di Tito e Vespasiano, 1537, olio su tavola, 120 x 70 cm, Parigi, Musée du Louvre.
▪ Affreschi nella Sala di Troia, 1536-1540, Mantova, Palazzo Ducale.
Note
1. ^ Secondo quanto riportato da Vasari, che lo conobbe, la data di nascita dovrebbe essere anticipata intorno al 1495: G.Vasari, Le Vite...
2. ^ G. Vasari, Le Vite...
3. ^ Renato Barilli, Maniera moderna e manierismo, 2004, ISBN 88-07-10363-X, 9788807103636
▪ 1903 - Christian Matthias Theodor Mommsen (Garding, 30 novembre 1817 – Charlottenburg, 1º novembre 1903) è stato uno storico, numismatico, giurista epigrafista e studioso tedesco.
«Al più grande maestro vivente della scrittura storica, con speciale riferimento al suo maggior lavoro, La storia di Roma » (Motivazione del Premio Nobel)
Considerato generalmente il più grande classicista del XIX secolo. Il suo studio della storia romana è ancora di importanza fondamentale nella ricerca contemporanea.
Nato a Garding, Schleswig-Holstein, allora parte della monarchia Danese, crebbe a Oldesloe e fece i suoi primi studi ad Altona.
Mommsen studiò giurisprudenza a Kiel dal 1838 al 1843. Grazie ad una borsa di studio, poté visitare la Francia e l'Italia per approfondire la storia classica. Durante la rivoluzione del 1848, Mommsen fu corrispondente a Rendsburg e divenne professore di legge nello stesso anno all'Università di Lipsia. A causa dei suoi punti di vista liberali dovette dimettersi nel 1851, ma già nel 1852 ottenne una cattedra in Diritto romano all'Università di Zurigo e poi, nel 1854, all'Università di Breslau.
Nel 1858 fu chiamato all'Accademia delle scienze di Berlino e divenne professore di storia romana all'Università di Berlino nel 1861, dove tenne lezioni fino al 1887. Ricevette alti riconoscimenti per i suoi successi scientifici: la medaglia Pour le Mérite nel 1868, la cittadinanza onoraria di Roma e il premio Nobel per la letteratura nel 1902 per l'opera maggiore Römische Geschichte (Storia romana ). Mommsen e la moglie Marie (figlia dell'editore Karl Reimer di Lipsia), ebbero 16 figli, alcuni dei quali morirono in giovane età. Due nipoti, Hans e Wolfgang, sono eminenti storici tedeschi.
Opere scientifiche
▪ Storia di Roma : il lavoro più famoso di Mommsen, un classico dei trattati di storia, comparve in tre volumi fra il 1854 e il 1856, esponendo la storia romana dalle origini alla fine della repubblica romana ed al governo di Cesare, che Mommsen ritrasse come uno dei maggiori statisti di tutti i tempi. Le vicende politiche, particolarmente della tarda repubblica, sono attentamente confrontate con gli sviluppi politici del XIX secolo.
Mommsen non scrisse mai una continuazione della sua storia romana che comprendesse le vicende del periodo imperiale, ma alcune note prese durante le sue lezioni sull'impero romano, fortunosamente ritrovate nel 1980, sono state pubblicate nel 1992, e tradotte in varie lingue tra cui l'italiano.[1] Nel 1885 apparve una descrizione delle province romane nel periodo imperiale come quinto volume della sua Storia di Roma (Le province dell'impero romano da Cesare a Diocleziano ), sebbene non esistesse un quarto volume.
▪ Legge Costituzionale Romana : (1871-1888). Questo trattato sistematico della legge costituzionale romana in tre volumi ha tuttora una grande importanza nello studio della storia antica.
▪ Diritto penale romano (1899)
▪ più di 1500 ulteriori studi e trattati in singole edizioni.
Mommsen pubblicò centinaia di lavori - una bibliografia del 1905 elenca oltre mille articoli - dando un nuovo ordine allo studio della storia romana. Ha aperto la strada alla epigrafia, lo studio delle iscrizioni su pietra e legno. Se il suo lavoro più noto è l'incompiuta Storia di Roma, il suo lavoro più rilevante è forse il Corpus Inscriptionum Latinarum, una collezione di iscrizioni romane alla cui raccolta contribuì l'Accademia delle Scienze di Berlino.
Mommsen come organizzatore scientifico
Durante il periodo in cui fu segretario della "Classe Storico-Filologica" dell'Accademia di Berlino (1874-1895), Mommsen organizzò innumerevoli progetti scientifici, principalmente edizioni delle fonti originali.
Corpus Inscriptionum Latinarum
All'inizio della sua carriera scientifica, Mommsen già prevedeva una collezione di tutte le iscrizioni latine antiche conosciute, quando pubblicò le iscrizioni del Reame di Napoli (1852). Egli ricevette ulteriore slancio da Bartolomeo Borghesi di San Marino. Il Corpus Inscriptionum Latinarum completo doveva essere costituito da sedici volumi, di cui quindici comparsi durante la vita di Mommsen, cinque curati da Mommsen stesso. Il principio di base dell'edizione (al contrario delle raccolte precedenti) fu il metodo dell'autopsia (che in greco significa letteralmente "vedere da sé"), poiché tutte le iscrizioni esistenti furono esaminate de visu e confrontate con l'originale.
Ulteriori pubblicazioni e progetti di ricerca
Mommsen ha pubblicato inoltre alcune raccolte fondamentali relative alle fonti del diritto romano: il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano e il Codex Theodosianus. Inoltre ha svolto un ruolo importante nella pubblicazione dei Monumenta Germaniae Historica, l'edizione dei testi dei padri della chiesa, una ricerca sul Limes (il confine tra impero romano e tribù germaniche) e innumerevoli altri progetti.
Mommsen uomo politico
Mommsen fu delegato al Landtag Prussiano nel 1863 - 1866 e di nuovo nel 1873 - 1879 e delegato al Reichstag nel 1881 - 1884, inizialmente per il liberale 'Deutsche Fortschrittspartei '(Partito progressista tedesco), più tardi per i 'Nationalliberalen' ed infine per i "Secessionisti". Era molto interessato ai problemi riguardanti le politiche scientifiche ed educative, tenendo posizioni nazionalistiche. Deluso dalla politica imperiale, al cui futuro guardava in modo pessimistico, alla fine raccomandò una collaborazione fra liberali e socialdemocratici.
Per quanto riguarda le politiche sociali, Mommsen fu in disaccordo con Bismarck, nel 1881, sul problema se gli ebrei potessero essere detentori di diritti eguali a quelli degli altri cittadini tedeschi, e nel 1879 con il suo collega Heinrich von Treitschke sul cosiddetto 'Berliner Antisemitismusstreit', la "controversia antisemita".
Onorificenze
Cavaliere dell'Ordine di Massimiliano per le Scienze e le Arti
— 1871
Note
1. ^ Alexander Demandt, Barbara Demandt, Theodor Mommsen, i Cesari e la decadenza di Roma. La scoperta della "Römische Kaisergeschichte", a cura di Paolo Vian, Roma, Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell'Arte in Roma, 1995 (titolo originale: Theodor Mommsen. Römische Kaisergeschichte, 1992)
Bibliografia
▪ Wilhelm Weber, Theodor Mommsen (1929)
▪ W. Warde Fowler, Theodor Mommsen: His Life and Work (1909)
▪ Mommsen, Theodor: Römische Geschichte. 8 Volumes. dtv, München 2001. ISBN 3-423-59055-6
▪ Heuß, Alfred: Theodor Mommsen und das 19. Jahrhundert. Kiel 1956; reprinted Stuttgart 1996. ISBN 3-515-06966-6
▪ Wickert, Lothar: Theodor Mommsen. 4 volumes. Frankfurt/Main, 1959?1980.
▪ Rebenich, Stefan: Theodor Mommsen: eine Biographie. Beck, München 2002. ISBN 3-406-49295-9
▪ Alexander Demandt e Barbara Demandt, Theodor Mommsen, i Cesari e la decadenza di Roma. La scoperta della "Römische Kaisergeschichte", a cura di Paolo Vian, Roma, Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell'Arte in Roma, 1995
▪ 1944 - Andrej Szeptytzkyj, (Prylbyči, 29 luglio 1865 – Leopoli, 1º novembre 1944), fu metropolita di Leopoli (1900-1944). Fondò nel 1900 i Monaci Studiti Ucraini.
Secondo lo storico Jaroslav Pelikan «fu la figura più rilevante...nell'intera storia della Chiesa ucraina del XX secolo».
Nacque in un villaggio della Galizia, allora territorio dell'Impero Austro-Ungarico, da una famiglia aristocratica ucraina, che nel corso del XIX secolo si era polonizzata e convertita al cattolicesimo. Tra i suoi antenati troviamo importanti figure di ecclesiastici, fra cui due metropoliti di Kiev, Atanasy e Lev. Suo nonno materno era lo scrittore polacco Aleksander Fredro. Uno dei suoi fratelli fu il beato Klymentiy Szeptytzkyj, monaco studita, mentre un altro fratello Stanisław Szeptytzkyj fu generale dell'esercito polacco.
Dopo aver prestato il servizio militare nell'esercito asburgico, studiò legge a Cracovia e Breslavia, laureandosi nel 1888: durante il periodo della sua formazione ebbe modo di viaggiare e visitare città come Mosca e Roma, dove venne ricevuto in udienza da papa Leone XIII.
Contro il parere del padre, decise di entrare come monaco nell'Ordine Basiliano di San Giosafat a Dobromyl, cambiando il suo nome di battesimo, Aleksander, in quello religioso di Andrej (in onore dell'apostolo Andrea, fondatore della Chiesa bizantina): portati a termine gli studi teologici presso il seminario della Compagnia di Gesù a Cracovia, il 22 agosto 1892 venne ordinato sacerdote a Przemyśl; nel 1896 fu eletto rettore del monastero basiliano di Sant'Onofrio a Leopoli.
Alla morte del cardinale Sylwester Sembratowicz (1836-1898), l'imperatore Francesco Giuseppe d'Asburgo lo elesse vescovo dell'eparchia di Stanislaviv: con l'assenso di Leone XIII, il 17 settembre 1899 venne consacrato vescovo. Dopo solo un anno (il 12 dicembre 1900) venne trasferito alla sede metropolitana di Leopoli, da cui dipendevano tutte le diocesi della Chiesa greco-cattolica ucraina.
Si adoperò per la restaurazione dell'autentico monachesimo orientale nella sua Chiesa fondando alcuni monasteri secondo il typikon studita (poi ordine dei Monaci Studiti Ucraini) e soprattutto per l'unità delle Chiese cattolica ed ortodossa.
Nel 1910 compì un lungo viaggio attraverso il nuovo continente, visitando le diocesi ucraine degli U.S.A. e del Canada e partecipando al XXI congresso eucaristico internazionale di Montreal.
Nel settembre del 1914, allo scoppio della I guerra mondiale, l'Ucraina occidentale venne occupata dalle truppe della Russia zarista, da sempre ostile alle comunità cristiane in comunione con Roma: il metropolita Szeptytzkyj venne arrestato e rimase prigioniero fino al marzo del 1917, quando la Rivoluzione rovesciò il regime dello Zar. Il periodo che seguì (1918-1922) fu particolarmente travagliato: la Galizia fu teatro degli scontri tra polacchi e bolscevichi, al termine dei quali la regione venne annessa all'U.R.S.S., e per i cattolici iniziarono nuove persecuzioni.
Nel 1929 fondò a Leopoli un'accademia teologica e ne nominò rettore Josyf Slipyj, che fu poi suo coadiutore e successore. Il metropolita Andrej Szeptytzkyj si spense nel 1944 e fu sepolto nella cattedrale di San Giorgio a Leopoli.
Il processo per la sua beatificazione iniziò nel 1958.
* 1945 - Rupert Mayer (Stoccarda, 23 gennaio 1876 – Monaco di Baviera, 1º novembre 1945), faceva parte dell'Ordine dei gesuiti e della congregazione maschile mariana. Nel periodo del nazionalsocialismo Rupert fece parte della resistenza antinazista cattolica.
Nacque in una famiglia con molti fratelli. Dopo la maturità, nel 1894, studiò filosofia e teologia a Friburgo in Svizzera, a Monaco di Baviera ed a Tubinga. Il 2 maggio 1899 fu consacrato prete a Rottenburg. Dal 1912 lavorò come padre gesuita a Monaco di Baviera. Già negli anni '20 vide nel movimento nazista un grande pericolo incombente sull'umanità predicando che un cattolico tedesco non avrebbe mai potuto essere nazionalsocialista essendo le due cose incompatibili. Nonostante il divieto nazista di raccogliere denaro per la Caritas, sfidò i nazisti mettendosi davanti alla chiesa di San Michele a Monaco e raccogliendo denaro per questa istituzione cattolica. Per via delle sue coraggiose prediche antifasciste la Gestapo lo arrestò e gli vietò di predicare. Lui, una volta rilasciato, continuò con le sue prediche sempre più coraggiose. Il 5 gennaio 1938 fu nuovamente arrestato ed incarcerato nel campo di concentramento di Landsberg.
Grazie ad un accordo, fu rilasciato il 3 maggio 1938. D'allora in poi Rupert Mayer non predicò più, ma si rifiutò categoricamente si svelare il segreto confessionale. Il 3 novembre fu arrestato una terza volta e portato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, vicino a Berlino e lontano dalle comunità cattoliche tedesche. Visto che il suo stato di salute si deteriorava sempre di più, i nazisti, per non far di lui un martire, lo internarono successivamente nel monastero di Ettal vicino ad Oberammergau, dove non aveva contatti con il mondo esterno. In quel monastero fu internato per pochi mesi anche il pastore evangelico Dietrich Bonhoeffer, anch'esso antifascista. A guerra finita Rupert Mayer tornò a Monaco, nel convento dei Gesuiti, riprese a predicare ma morí nello stesso anno (novembre 1945) mentre stava predicando dal pulpito della chiesa di Michaelskirche.
È sepolto nella cripta della chiesa della congregazione mariana a Monaco, la Bürgersaalkirche.
Nel 1978 fu beatificato da papa Giovanni Paolo II, che visitò la sua tomba.
La sua tomba è mèta di numerosi pellegrini ed è uno dei luoghi più spirituali nella capitale bavarese. Il suo coraggio è esemplare per molti. Sul retro dell'altare si trova allestito un piccolo museo sul beato Rupert Mayer.
▪ 1956 - Pietro Badoglio (Grazzano Monferrato, 28 settembre 1871 – Grazzano Badoglio, 1º novembre 1956) è stato un militare e politico italiano, maresciallo d'Italia, senatore e Capo del Governo dal 25 luglio 1943 all'8 giugno 1944. Fu nominato marchese del Sabotino motu proprio dal re Vittorio Emanuele e duca di Addis Abeba.
Gli anni precedenti alla I Guerra Mondiale
Figlio di Mario Badoglio, modesto proprietario terriero, e di Antonietta Pittarelli, facoltosa borghese, il 5 ottobre 1888 fu ammesso alla Regia Accademia di Savoia, con sede a Torino, dove conseguì il grado di Sottotenente il 16 novembre 1890 e di Tenente il 7 agosto 1892. Nel febbraio 1896 fu inviato in Eritrea con il generale Antonio Baldissera e partecipò alla spedizione su Adigrat per liberare dall'assedio il maggiore Marcello Prestinari. Successivamente rimase sino alla fine del 1898 di guarnigione sull'altopiano. Tornato in Italia, fu promosso Capitano il 13 luglio 1903 e partecipò fin dall'inizio alla guerra di Libia (1911-12), ove fu decorato al valor militare per aver organizzato l'azione di Ain Zara e promosso Maggiore per merito di guerra, per aver pianificato l'occupazione dell'oasi di Zanzur [2].
La Prima guerra mondiale
L'ascesa di Badoglio nei primi due anni di guerra
Tenente Colonnello il 25 febbraio del 1915, all'inizio della I Guerra Mondiale, Pietro Badoglio fu assegnato allo Stato Maggiore della 2ª Armata e al comando della 4ª divisione, nel cui settore insisteva il Monte Sabotino, privo di vegetazione e fortemente fortificato dagli Austriaci, che, fino ad allora era giudicato imprendibile. In tale occasione, riuscì a convincere lo Stato Maggiore che per conquistare quella cima bisognava ricorrere a una tattica diversa da quella dell'attacco frontale, che aveva provocato migliaia di morti.
Invece di uscire allo scoperto, Badoglio ebbe l'idea di espugnarlo attraverso un dedalo di gallerie scavate nella roccia, quasi a contatto delle posizioni nemiche. I lavori per scavare e rafforzare le successive trincee durarono mesi.
Nel frattempo Badoglio, promosso Colonnello nell'aprile 1916 e divenuto capo di Stato Maggiore del 6º corpo d'armata, continuò a dirigerli e comandò personalmente la brigata che prese d'assalto di sorpresa il Sabotino, e ne effettuò la conquista con poche perdite. Il 6 agosto 1916 fu promosso Maggior Generale per merito di guerra, e, in novembre, prese il comando della brigata Cuneo. Nel maggio del 1917 fu incaricato nel comando (incarichi superiori al grado) del 2º corpo d'armata qualche giorno prima dell'inizio della decima battaglia dell'Isonzo e conquistò il Vodice e il Monte Kuk, posizioni ritenute anch'esse quasi imprendibili.
Fu allora che il Comandante della 2ª Armata, Luigi Capello propose la promozione di Badoglio a Tenente Generale per merito di guerra e, nella successiva undicesima battaglia dell'Isonzo lo destinò al comando del 27º corpo d'armata [1].
La disfatta di Caporetto e le responsabilità di Badoglio
Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano era Luigi Cadorna. Sul fronte dell'Isonzo, Cadorna aveva disposto, a sud (destra), la 3ª Armata comandata dal Duca d'Aosta e costituita da quattro corpi d'armata; a nord (sinistra), la 2ª Armata, comandata dal generale Luigi Capello, e costituita da otto Corpi d'armata. L'offensiva austro-tedesca iniziò alle ore 2.00 del 24 ottobre 1917 con tiri di preparazione dell'artiglieria, prima a gas, poi a granate fino alle 5.30 circa. Verso le 6.00 cominciò un violentissimo tiro di distruzione a preparazione dell'attacco delle fanterie. I rapporti del comando d'artiglieria del 27º Corpo d'armata (colonnello Cannoniere) indicano che il tiro tra le 2.00 e le 6.00 produsse perdite molto lievi. Solo nella conca di Plezzo i gas ebbero effetti apprezzabili.
L'attacco delle fanterie cominciò alle ore 8.00 con uno sfondamento immediato sull'ala sinistra, nella conca di Plezzo sul fianco sinistro della 2ª armata. Tale parte di fronte era presidiata a sud, tra Tolmino e Gabrije (paese a metà strada tra Tolmino e Caporetto), dal 27º Corpo d'armata di Pietro Badoglio. A complicare le cose sopraggiunse la situazione – solo leggermente meno drammatica - del fronte del 4º Corpo d'armata (Cavaciocchi), confinante a sud con il Corpo d'armata comandato da Badoglio. Il vero disastro, infatti, cominciò quando il nemico, arrivò a Caporetto, da entrambi i lati dell'Isonzo.
La debole, intempestiva ed inefficace risposta delle artiglierie italiane sul fronte del 27º Corpo d'armata, è una delle ragioni accertate dello sfondamento, ma il motivo per cui ciò avvenne è tutt'oggi fonte di disquisizioni. Incuneato tra i due corpi d'armata ed in posizione più arretrata era stato disposto molto frettolosamente anche il 7º Corpo d'armata comandato dal generale Luigi Bongiovanni. La sua efficacia fu nulla. La mancanza di riserve dietro il 4º Corpo d'armata, fu senz'altro uno dei motivi principali che contribuirono alla disfatta.
Nel dettaglio, le ragioni che permisero lo sfondamento furono:
▪ Disposizione eccessivamente offensiva della 2ª Armata (generale Capello) ed in particolare del 27º Corpo d'armata (Badoglio), con le artiglierie ed alcune unità (tre divisioni su quattro sulla sinistra dell'Isonzo) troppo avanzate rispetto alla prima linea di fronte e un fianco sinistro eccessivamente debole.
▪ Comunicazioni difettose a tutti i livelli, rese ancora più precarie dalle condizioni meteorologiche (pioggia battente e nebbia a valle; bufere di neve in quota) e conseguente assenza di azioni di comando e di manovra.
▪ Mancanza di esperienza difensiva: le precedenti undici battaglie dell'Isonzo erano state tutte offensive.
▪ Utilizzo difettoso e di scarsa efficacia dell'artiglieria. L'ordine, più o meno esplicito, di non rispondere al tiro di preparazione (ore 2.00 - 6.00) era, infatti, fino ad allora, la regola di utilizzo delle artiglierie nell'esercito italiano. Solo nella primavera del 1918, e proprio a causa della sconfitta di Caporetto, furono cambiate le regole di risposta al fuoco.
▪ Debolezza e disposizione sbilanciata delle riserve, tutte a sud della linea di sfondamento.
Badoglio, pur essendo a pochi chilometri dal fronte, seppe dell'attacco delle fanterie nemiche solo verso mezzogiorno, e riuscì a comunicarlo al comando della 2ª Armata (Capello) soltanto qualche ora dopo. Cadorna seppe della gravità dello sfondamento e del fatto che il nemico aveva conquistato alcune forti posizioni solo alle ore 22.00.
Completamente isolato durante il resto del giorno 24 ottobre, Badoglio fu costretto continuamente a spostare la sua postazione di comando, perché soggetto a massicci e precisi tiri dell'artiglieria nemica; ciò in quanto i suoi messaggi in chiaro, trasmessi via radio, indicanti ai reparti le nuove posizioni del comando, venivano sistematicamente intercettati. Nel contempo le pessime condizioni meteorologiche impedivano l'uso anche dei segnali ottici ed acustici. Tale situazione logistica impedì al generale piemontese di svolgere un'azione di comando incisiva e, al momento giusto, non fu in grado di dare alle sue artiglierie l'ordine del tiro controffensivo, condizione imprescindibile per la difesa dei reparti in quanto, in precedenza, aveva dato la precisa disposizione che la controffensiva sarebbe dovuta iniziare solo dietro suo ordine esplicito.
Al di là delle responsabilità di singole piccole e medie unità, le colpe maggiori di ordine strategico non possono che essere attribuite al comando supremo (Cadorna) e al comando d'armata interessato (Capello), mentre quelle di ordine tattico ai tre comandanti dei corpi d'armata coinvolti (oltre che Badoglio, quindi, anche Cavaciocchi e Bongiovanni). Tutti vennero giudicati colpevoli dalla commissione d'inchiesta di prima istanza, del 1918-19, con l'unica eccezione di Badoglio.
Tuttavia l'errore tattico più sconcertante ed oggettivamente misterioso fu senza dubbio operato da Badoglio sul suo fianco sinistro (riva destra dell'Isonzo tra la testa di ponte austriaca davanti a Tolmino e Caporetto). Questa linea, lunga pochi chilometri, costituiva il confine tra la zona di competenza del Corpo d'armata di Badoglio (riva destra) e la zona assegnata al Corpo d'armata di Cavaciocchi (riva sinistra). Nonostante tutte le informazioni indicassero proprio in questa linea la direttrice dell'attacco nemico, la riva destra fu lasciata praticamente sguarnita con il solo presidio di piccoli reparti, mentre il grosso della 19ª divisione e della brigata Napoli era arroccato sui monti sovrastanti [2]. In presenza di nebbia fitta e pioggia, le truppe italiane in quota non si accorsero minimamente del passaggio dei tedeschi in fondovalle, e, in sole 4 ore, le unità tedesche risalirono la riva destra arrivando integre a Caporetto, sorprendendo da dietro le unità del IV Corpo d'armata (Cavaciocchi).
Le conseguenze della disfatta e la Vittoria finale
Già il 25 ottobre 1917 il Parlamento italiano negò la fiducia al governo presieduto da Paolo Boselli che fu costretto a dimettersi. Il giorno 30 ottobre il governo si ricostituì sotto la guida di Vittorio Emanuele Orlando, il quale, nei colloqui dei giorni precedenti, aveva richiesto al Re la rimozione di Cadorna. Tale richiesta fu presentata, il 5 novembre, anche dai Primi ministri di Francia e Gran Bretagna e dai comandanti supremi delle truppe alleate Foch e Robertson; la sostituzione di Cadorna fu imposta come condizione per l'invio dei rinforzi alleati.
Di conseguenza, con Regio Decreto del 9 novembre 1917, il generale Armando Diaz, fino a quel momento comandante del 23º Corpo d'armata (non investito direttamente nella disfatta), fu nominato Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Al generale Diaz, tuttavia, furono affiancati, con il grado di sotto-capo di Stato Maggiore (vice-comandante), i generali Gaetano Giardino e Pietro Badoglio. Successivamente, il 7 febbraio 1918, Badoglio, rimase vice-comandante unico.
In tale situazione, solo in data 12 gennaio 1918, con Regio Decreto n. 35, fu istituita la Commissione d'inchiesta su Caporetto, che concluse i lavori, a guerra finita – ed ormai vittoriosa – il 13 agosto 1919, quando Pietro Badoglio stava per succedere a Diaz, in qualità di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano. Ciò spiega perché la Commissione confermò l'attribuzione della colpa della disfatta a Luigi Cadorna, estendendola a Capello, Cavaciocchi e Bongiovanni, sia pur ammettendo un concorso di circostanze sfavorevoli, ma non citò neanche il generale Badoglio [3]; sembra, anzi, che tredici pagine riguardanti l'operato di Badoglio siano state sottratte dalla relazione, al momento della sua presentazione in Parlamento [4].
Il giudizio degli storici sull'operato di Badoglio come Vice Capo di Stato Maggiore è generalmente positivo. Secondo Carlo Sforza [5], Badoglio rappresentò il contraltare ardimentoso all'equilibrio sensato e freddo del Comandante Diaz. Introdusse un nuovo criterio organico nell'avviamento delle nuove classi di leva, raggruppandole in reparti omogenei, in modo che la loro freschezza non si diluisse e si raffreddasse a contatto con i veterani; ammaestrato dall'esperienza curò meglio il servizio d'informazioni e, sia pur riluttante, ideò la vittoriosa manovra aggirante che consentì all'esercito il conseguimento della vittoria finale nella battaglia di Vittorio Veneto [6] . Il 3 luglio 1919, gli venne conferita la medaglia d'argento al valore militare per le operazioni di ripiegamento sul fiume Tagliamento, durante la ritirata successiva alla battaglia di Caporetto. Alla fine della guerra (1918), fu nella commissione che a Padova ottenne l'armistizio del 4 novembre con gli Austriaci. Il 6 novembre 1918 fu nominato Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine militare di Savoia.
Il primo dopoguerra e l'avvento del fascismo
Nominato Senatore il 24 febbraio 1919, il 13 settembre successivo (e sino al mese di novembre) divenne commissario straordinario militare per la Venezia Giulia. Rivestiva tale ruolo quando Gabriele D'Annunzio procedette all'Impresa di Fiume. Il 2 dicembre 1919 Badoglio fu promosso Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, succedendo ad Armando Diaz; ricoprì tale incarico sino al 3 febbraio 1921, quando venne collocato a disposizione per ispezioni, divenendo anche membro del Consiglio per l'Esercito.
Alla vigilia della marcia su Roma (ottobre 1922), Badoglio fu consultato dal sovrano sulla gravità della situazione. Il generale piemontese sostenne che la dimostrazione si sarebbe dispersa al primo colpo di arma da fuoco, e chiese poteri straordinari (che però non gli vennero concessi) per ristabilire la situazione [7].
Nel 1923, dopo l'insediamento del fascismo, fu nominato – a richiesta - ambasciatore in Brasile. Successivamente, il 4 maggio 1925, assunse per primo l'istituenda carica di Capo di Stato Maggiore Generale, che mantenne ininterrottamente sino al 4 dicembre 1940. Riprese inoltre l'incarico, collegato alla carica precedente di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Il 25 giugno 1926 fu promosso Maresciallo d'Italia (insieme a Enrico Caviglia, Emanuele Filiberto Duca d'Aosta, Gaetano Giardino e Guglielmo Pecori Giraldi), grado istituito appositamente per quegli ufficiali che si erano particolarmente distinti durante la guerra mondiale, in precedenza attribuito solamente a Diaz e a Cadorna. Il 1º febbraio 1927 lasciò l'incarico di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito al Generale Giuseppe F. Ferrari.
Il 18 dicembre 1928 fu nominato Governatore unico della Tripolitania e della Cirenaica. Tre giorni prima di partire per Tripoli gli fu conferito il Collare dell'Ordine dell'Annunziata, insieme agli altri tre Marescialli d'Italia nominati nel 1926.
In quanto governatore unico della Tripolitania e della Cirenaica, il 20 giugno1929, Badoglio dispose l'evacuazione forzata della popolazione della Cirenaica, per la quale circa centomila persone furono costrette a lasciare tutti i propri beni portando con sé soltanto il bestiame [8]. La massa dei deportati fu rinchiusa in tredici campi di concentramento nella regione centrale della Libia, dopo una marcia forzata di oltre mille chilometri nel deserto. Solo in sessantamila sopravvissero alla deportazione (1932-33).
Sotto il profilo dell'amministrazione civile della colonia, Badoglio perseguì l'attuazione di un ampio programma di opere pubbliche, quali la costruzione della lunga strada litoranea e la realizzazione di edifici pubblici nelle città di Tripoli e Bengasi. Fu richiamato in Patria il 4 febbraio 1934.
La conquista coloniale
Il 30 novembre 1935, Badoglio fu inviato a Massaua quale Comandante del corpo di spedizione in Etiopia, in sostituzione del generale Emilio De Bono. Quest'ultimo aveva aperto le ostilità con l'Impero etiopico il 3 ottobre precedente, con l'occupazione di Adigrat, Adua, Axum e Macallè, ma stava procedendo troppo lentamente per i canoni del regime fascista. Badoglio non trovò una situazione particolarmente favorevole. Gli Italiani, infatti si erano spinti circa cento chilometri avanti e gli Abissini, riorganizzatisi, avevano ripreso l'iniziativa da entrambi i lati, con l'intenzione di tagliare in due l'offensiva italiana.
Badoglio, anziché proseguire nell'avanzata, prese ulteriore tempo per migliorare la situazione logistica e tattica, ripiegando su Axum. Infatti, dopo aver atteso l'arrivo di altre tre divisioni, più altre due sul fronte somalo, poté disporre di 200.000 uomini, 750 cannoni, 7.000 mitragliatrici e 350 aerei, contro 215.000 Abissini, pressoché privi di artiglieria ed aeroplani. Dopo tre mesi di sosta, il Maresciallo, con una manovra convergente sostenuta dall'artiglieria e dall'aviazione, riprese l'iniziativa conseguendo la vittoria dell'Amba Aradam (11-15 febbraio 1936) e annientando il grosso dell'esercito nemico (80.000 uomini). Il 28 febbraio era occupata l'Amba Alagi e il 31 marzo, presso il Lago Ascianghi, veniva sbaragliata la guardia del corpo del negus, mentre quest'ultimo fuggiva imbarcandosi a Gibuti. Il 5 maggio 1936, alle ore 16, Badoglio entrava vittorioso in Addis Abeba. Quattro giorni dopo, dal balcone di Piazza Venezia, Benito Mussolini proclamava ufficialmente la costituzione dell'Impero, con Badoglio Viceré.
Già nel luglio del 1936 il deposto imperatore Hailé Selassié, tuttavia, aveva denunciato, all'assemblea della Società delle Nazioni che: “Mai, sinora, vi era stato l'esempio di un governo che procedesse allo sterminio di un popolo usando mezzi barbari, violando le più solenni promesse fatte a tutti i popoli della Terra, che non si debba usare contro esseri umani la terribile arma dei gas venefici”. Solo recentemente, però, è stata fatta piena luce sulle le modalità di "combattimento" utilizzate dagli Italiani nella Guerra etiope [9]. L'aviazione italiana, contravvenendo al Protocollo di Ginevra del 17 giugno 1925, sottoscritto anche dall'Italia [3], utilizzò su larga scala il terribile gas iprite, che, irrorato dagli aerei in volo a bassa quota, sia sui soldati che sui civili, venne usato con la precisa finalità di terrorizzare la popolazione abissina e piegarne ogni resistenza.
I Documenti pubblicati dimostrano che Mussolini in persona aveva espressamente autorizzato Badoglio all'uso dei gas tra il 28 dicembre 1935 e il 5 gennaio 1936 e tra il 19 gennaio e il 10 aprile[4]. Un'ulteriore autorizzazione fu successivamente data per la repressione dei ribelli. Il Maresciallo tuttavia, aveva già iniziato autonomamente con l'uso delle armi chimiche sin dal 22 dicembre 1935 e non l'aveva interrotta nemmeno tra il 5 e il 19 gennaio 1936 [10].
A guerra terminata, Badoglio lasciò la reggenza d'Etiopia e gli venne conferita la tessera onoraria del Partito Nazionale Fascista. Il 1º novembre 1937, venne nominato presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche succedendo allo scomparso Guglielmo Marconi. Il suo nome appare tra i firmatari del Manifesto della razza in appoggio all'introduzione delle leggi razziali fasciste. Nel 1939, il suo paese d'origine prese il nome di Grazzano Badoglio.
La Seconda guerra mondiale
Di nuovo in guerra
Il 29 maggio 1940, Benito Mussolini convocò a Palazzo Venezia il Maresciallo Badoglio e tutto lo stato maggiore dell'esercito, in una riunione segreta, comunicando la decisione di entrare in guerra a fianco della Germania. Il 10 giugno successivo l'Italia dichiarava guerra alla Francia e al Regno Unito e, contestualmente, Vittorio Emanuele III firmava il decreto che conferiva a Benito Mussolini il comando operativo di tutte le Forze Armate. Pare ormai acclarato che tale delega sia stata proposta dallo stesso Badoglio[11].
Il Maresciallo, intimamente contrario a sferrare un attacco al quale non riconosceva chances di successo aveva disposto solo piani difensivi per il Fronte Occidentale, quello con la Francia. Quando il duce ebbe necessità di attaccare – essendo imminente la resa dei francesi di fronte ai tedeschi - Badoglio traccheggiò, adducendo difficoltà ad elaborare piani offensivi [12]. Il 18 giugno la Francia venne investita dall'attacco di oltre 300.000 uomini. Nonostante la rotta generale dell'esercito francese le truppe italiane segnarono il passo e, il 23 giugno, alla fine delle ostilità, l'offensiva aveva prodotto la conquista della sola cittadina di frontiera di Mentone, costata 1237 morti e dispersi, contro 187 vittime francesi. Il 24 giugno Badoglio presiedette la Commissione d'armistizio con la Francia a Villa Incisa, all'Olgiata, presso Roma.
Nell'ottobre del 1940, Mussolini, in un incontro riservato a Palazzo Venezia comunicò a Badoglio e a Roatta, all'epoca Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, l'intenzione di dichiarare guerra alla Grecia. Secondo quanto sostenne Roatta, i due generali fecero presente al Capo del governo l'esigenza di impiegare almeno venti divisioni, per il cui trasferimento in Albania sarebbero stati necessari almeno altri tre mesi [13]. Dai verbali della riunione ufficiale con l'intero stato maggiore, che si tenne il 15 ottobre alle ore 11, tuttavia, non risulta che Badoglio abbia posto alcuna obiezione, approvando passivamente l'intervento militare.
Successivamente, il 10 novembre, dopo i primi rovesci militari, si tenne un'ulteriore riunione tra Mussolini e i Capi di stato maggiore. In tale occasione Badoglio fu lapidario: non poteva essere addebitata alcuna colpa allo stato maggiore dell'esercito che, sin dal 14 ottobre aveva fatto presente i tempi e i modi necessari per l'intervento, senza essere ascoltato [14]. Mussolini non replicò, ma, nei giorni successivi, Badoglio fu oggetto di aspre critiche da parte del gerarca Roberto Farinacci, sul quotidiano "Regime Fascista". Il Maresciallo presentò allora le sue dimissioni dalla carica di Capo di Stato Maggiore Generale, che ricopriva ininterrottamente da oltre quindici anni. Il 4 dicembre 1940 le dimissioni furono accettate da Mussolini, che nominò al suo posto il generale Ugo Cavallero.
Il 30 aprile 1941 il Maresciallo Badoglio fu colpito dal lutto per la morte per causa di servizio di suo figlio Paolo, tenente pilota di complemento, a Sebha, in Libia. Il 19 novembre 1942 perse anche la moglie Sofia.
La caduta di Mussolini
Le iniziative politiche finalizzate alla destituzione di Benito Mussolini furono principalmente due: la prima, interna al Partito stesso, capeggiata da Dino Grandi, che si concretizzò con l'Ordine del Giorno presentato al Gran Consiglio del Fascismo e messo ai voti nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943. La seconda nell'ambito militare, portata avanti dal Capo di Stato Maggiore Vittorio Ambrosio (che aveva sostituito Ugo Cavallero), dal suo braccio destro generale Giuseppe Castellano e dal generale Giacomo Carboni, mirante alla sostituzione del duce con un elemento di spicco dell'esercito. Entrambe queste autonome iniziative contavano sull'intervento decisivo del sovrano. Una terza iniziativa fu portata avanti dagli elementi liberaldemocratici prefascisti, che, però, non trovò terreno fertile presso Vittorio Emanuele III. In tale quadro, il Maresciallo Badoglio, portò avanti una serie di incontri, miranti a far conoscere la propria disponibilità ad assumere gli incarichi che gli sarebbero stati richiesti.
Sin dall'estate del 1942, Badoglio era stato contattato a tal proposito dalla principessa Maria Josè di Savoia, mostrandosi ancora molto prudente di fronte alle sue avances. I contatti erano, però, continuati [15]. Successivamente, il 6 marzo 1943, il Maresciallo era stato ricevuto dal re, lasciandogli capire che si sarebbe mosso solo con il suo appoggio [16]. Dalla prima metà di aprile ebbe ripetuti incontri con gli esponenti dell'Italia liberale prefascista (Bonomi, Spataro), dichiarandosi d'accordo a dar vita a un governo politico [17]. L'incontro decisivo tra il Maresciallo Badoglio e Vittorio Emanuele III si ebbe il 15 luglio, e, in tale incontro il sovrano fece intendere al generale piemontese che il nuovo capo del governo sarebbe stato lui, ma che era assolutamente contrario a un governo politico e che, almeno inizialmente, non si sarebbe dovuto chiedere l'armistizio [18].
Dopo l'infruttuoso incontro del 19 luglio 1943, tra Mussolini e Hitler, l'azione del Capo di Stato Maggiore generale Ambrosio e del suo entourage fu definitivamente indirizzata alla sostituzione del duce del fascismo con Badoglio o, in subordine, con Caviglia. Mantenendo sempre un filo diretto con il sovrano, anche tramite il Ministro della Real Casa Pietro d'Acquarone, Ambrosio conobbe da quest'ultimo, il giorno 20, la decisione del re di procedere alla destituzione di Mussolini [19]. In realtà Vittorio Emanuele III ruppe gli indugi solo il 25 luglio, una volta approvato dal Gran Consiglio del Fascismo l'ordine del giorno Grandi, che rimetteva nelle mani del sovrano il Comando Supremo delle Forze Armate; proprio quella prerogativa, che, su proposta del Maresciallo Badoglio, il re aveva delegato a Mussolini, al momento di entrare in guerra.
Badoglio Capo del Governo
Nella mattinata del 25 luglio 1943, prima ancora di ricevere Benito Mussolini a Villa Savoia, il settantaquattrenne Vittorio Emanuele III conferì a Pietro Badoglio l'incarico di formare il nuovo Governo; il Maresciallo d'Italia accettò, controfirmando l'apposito decreto [20] [21]. Il nuovo Capo del governo aveva settantadue anni. Più tardi, alle ore 17.00, avvenne l'arresto del Primo Ministro uscente. Il primo atto del Capo del governo, nel tardo pomeriggio, e prima ancora di stilare la lista dei Ministri, fu quello di incorporare nell'esercito regolare la milizia fascista, che cessava, così, di essere una forza militare e politica di partito. Alle ore 20.00, la radio diffuse il comunicato che il Re aveva accettato le dimissioni di Benito Mussolini e aveva nominato Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato, il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio. Alle ore 22.45, seguì il discorso del nuovo primo ministro con alla fine le parole:
«la guerra continua e l'Italia resta fedele alla parola data ... chiunque turbi l'ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito».
L'annuncio – contrariamente alle attese - provocò immense dimostrazioni di festa, al grido di: «Viva il Re, Viva Badoglio». I veicoli più disparati si colmavano di passeggeri recanti scritte e bandiere, che percorrevano le strade cittadine[22]; inoltre, manifestazioni spontanee di cittadini provvedevano a rimuovere dai palazzi i simboli del passato regime. Ciò indusse Badoglio, il giorno 26, a emanare un altro provvedimento con il quale l'autorità militare era investita di pieni poteri relativamente all'ordine pubblico, veniva istituito il coprifuoco, vietate le pubbliche riunioni e limitati i giornali ad una sola edizione quotidiana; veniva inoltre diretto un secondo proclama alla nazione.
Il 27 luglio si insediò il Governo Badoglio I, cui parteciparono, tra gli altri, Umberto Ricci agli Interni, Raffaele Guariglia agli Esteri, Leopoldo Piccardi all'Industria e Commercio, Antonio Sorice alla Guerra, e Raffaele De Courten alla Marina; non ne faceva parte nessun politico, ma era composto da sei generali, due prefetti, sei funzionari e due consiglieri di stato. Data la delicatezza della situazione del paese sul piano internazionale, non fu oggettivamente appropriata la scelta del nuovo ministro degli esteri che, al momento, si trovava ad Ankara quale ambasciatore d'Italia e non sarebbe potuto essere a Roma prima di quattro o cinque giorni. Nel frattempo era stato arrestato il generale Ugo Cavallero, con l'accusa di preparare un colpo di stato fascista. Successivamente Cavallero fu liberato per iniziativa di Vittorio Emanuele III, ma venne nuovamente arrestato alla fine di agosto e custodito a Forte Boccea.
La prima riunione del nuovo governo si tenne il 28 luglio, e venne deliberato lo scioglimento del partito fascista, la soppressione del Gran Consiglio e dei tribunali politici, e l'interdizione di costituire qualsiasi nuovo partito politico per tutta la durata della guerra; si preannunciavano, tuttavia, nuove elezioni generali a quattro mesi dalla cessazione dello stato di guerra. Le leggi razziali, continuavano a rimanere in vigore. Lo stesso giorno, Badoglio inviava una lettera ad Hitler, ribadendo che, per l'Italia, la guerra continuava nello stesso spirito dell'alleanza con la Germania [23].
Contemporaneamente l'ex duce del fascismo veniva trasportato prima sull'isola di Ponza (27 luglio), poi, il 7 agosto, fu trasferito a La Maddalena, infine, il 28 agosto, a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Il 20 avvenne l'uccisione di Ettore Muti.
Dagli atti sopra descritti, sembrerebbe che, nelle prime due settimane di governo (25 luglio-7 agosto), l'azione del Governo Badoglio fosse improntata al mantenimento di un regime militare sul piano interno, e, in politica estera, tentare di far accettare alla Germania l'uscita dell'Italia dall'alleanza, in cambio dell'impegno alla più rigida neutralità, e successivamente negoziare su tali basi con gli anglo-americani. Un'idea - quella della "neutralizzazione del paese" che circolava negli ambienti militari già prima della caduta di Mussolini[24]. Il prosieguo della vicenda, dimostrerà quanto velleitaria e priva di presupposti fossero tali linee politiche, sia sotto il profilo interno, che in quello internazionale. Sul piano interno, infatti, i Partiti politici e le organizzazioni sindacali si erano ricostituite quasi subito, rendendo vane le disposizioni governative: il 26 luglio a Milano, nella notte del 27, a Roma, sotto la presidenza di Ivanoe Bonomi, e il successivo 2 agosto, a Roma, si erano riuniti i rappresentanti della Democrazia Cristiana, del Partito Liberale Italiano, del Partito Socialista Italiano del Partito d'Azione, e del Partito Comunista Italiano [5]; né erano cessate le dimostrazioni di piazza, che provocarono complessivamente 83 morti e 516 feriti [6]. Tale situazione costrinse il Governo a sottoscrivere con i cinque partiti l'accordo di Roma del 7 agosto 1943, riconoscendoli legalmente, precisando inoltre che non vi fosse alcun divieto a ricostituire le organizzazioni sindacali. Tre giorni dopo, infatti, furono soppresse le corporazioni fasciste e la legislazione in materia del passato regime. È tuttavia problematico attribuire per intero a Badoglio la responsabilità della linea politica e di tutte le decisioni adottate dal governo tra il 25 luglio e l'8-9 settembre 1943. Data la situazione istituzionale, lo svolgimento delle vicende della nomina del primo ministro, e la composizione stessa del governo, il re manteneva indubbiamente un ruolo centrale nella direzione politica del paese. Accanto al Consiglio dei ministri, infatti, esisteva un Consiglio della Corona, presieduto dal sovrano, che – come si vedrà in seguito – avrebbe preso le decisioni più importanti; di tale organismo facevano parte Badoglio ed altri militari influenti quali il Capo di Stato Maggiore generale Ambrosio, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Roatta e il comandante dei servizi segreti Giacomo Carboni, in ruoli subordinati al re.
Fu infatti il Consiglio della Corona, e non il governo, che lo stesso 7 agosto, a Roma, approvò a maggioranza di due terzi, la decisione di uscire dalla guerra [7].
L'armistizio
Le reazioni degli anglo-americani, all'indomani del venticinque luglio, sembravano aprire più di uno spiraglio alla conclusione di un accordo separato, finalizzato all'uscita dell'Italia dal conflitto, garantendone contemporaneamente l'integrità del territorio dalle truppe tedesche. In tal senso si pronunciarono Winston Churchill il 27 luglio alla Camera dei Comuni [25], Franklin D. Roosevelt il giorno dopo [26]e, ancor più esplicitamente il generale Dwight D. Eisenhower dalle antenne di Radio Algeri [27].
Tuttavia, nonostante la disponibilità degli anglo-americani, il governo italiano, restava immobile. Tale attendismo, oggettivamente inadeguato alle esigenze di rapidità delle decisioni, fu aggravato dalla necessità di attendere l'insediamento al Ministero degli Esteri dell'ambasciatore Raffaele Guariglia, che rientrò da Ankara soltanto il 30 luglio. Al contrario, il 30 luglio stesso, la Germania dava inizio all'Operazione Alarico, preparata dal feldmaresciallo Erwin Rommel su ordine di Hitler del 18 maggio 1943 e approvata da quest'ultimo sin dal 4 giugno 1943. Ciò comportò la dislocazione in Italia, nell'arco di tre settimane, di diciassette divisioni tedesche. Verso il 10 agosto, la 2ª divisione paracadutisti dalla Francia e un'altra dalla Germania si portarono indisturbate nei pressi di Roma e, dopo il 15 agosto vennero occupate militarmente Trieste, Gorizia, Udine, La Spezia, Pistoia e Firenze [28].
Di fronte all'attendismo del governo italiano, e alla pericolosa iniziativa dell'esercito tedesco, il 2 agosto, il generale Eisenhower, diramava da Algeri un comunicato molto più duro dei precedenti nei confronti dell'Italia e, in particolare, verso il Maresciallo Badoglio. Solo allora, dopo un infruttuoso contatto con gli ambasciatori anglo-americani presso il Vaticano [29], fu effettuato un primo timido tentativo di trattative da parte di Blasco Lanza D'Ajeta, consigliere di legazione italiano a Lisbona, che, il 4 agosto 1943, avvicinò l'ambasciatore britannico in Portogallo. In tale incontro il nostro diplomatico, sulla base delle istruzioni avute a Roma due giorni prima da Guariglia, rappresentava agli alleati le difficoltà italiane a sganciarsi dall'alleanza con la Germania, comunicando che il giorno dopo (5 agosto) il nostro Ministro degli Esteri si sarebbe incontrato con il suo collega tedesco a Tarvisio e avrebbe effettuato un tentativo in tal senso [30]. Il giorno dopo, tuttavia, il Ministro Guariglia non riuscì nel suo tentativo di sganciamento dai tedeschi; anzi, in tale sede, al Ministro fu estorta la “parola d'onore” che il governo italiano non avrebbe, direttamente o indirettamente trattato con gli anglo-americani [31].
Nel frattempo, tra il 4 e il 17 agosto, gli anglo-americani cominciarono un'escalation di bombardamenti aerei su tutte le maggiori città italiane: (Napoli, Milano, Torino, Genova, Terni e la stessa Roma). Inoltre il 17 agosto veniva completata la conquista della Sicilia.
In tale situazione, solo il 12 agosto 1943, a 18 giorni dalla destituzione di Mussolini, aveva inizio il primo tentativo effettivo di trattative di pace, affidato al generale Giuseppe Castellano. Nemmeno tale missione, tuttavia, fu attuata con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva. Le istruzioni che il generale ebbe, per bocca del Capo di Stato Maggiore Ambrosio furono di esporre la nostra situazione militare, ascoltare le intenzioni degli alleati e, soprattutto “dire che noi non possiamo sganciarci dalla Germania senza il loro aiuto” [32]. Per garantire la segretezza della missione [33], Castellano fu inviato in treno in territorio neutrale (Lisbona), e ci mise sei giorni; conferì con i rappresentanti del Comando Alleato solo il 19 agosto. Ripartì in treno il giorno 23, giungendo finalmente a Roma il 27 agosto. La missione era durata quindici giorni. Nel frattempo, per affiancare lo stesso Castellano, furono mandati a Lisbona in aereo il generale Rossi ed il generale Zanussi, che si presentarono ai rappresentanti alleati appena ripartito Castellano per Roma.
Il 27 agosto Castellano illustrò a Badoglio e a Guariglia le clausole imposte dagli anglo-americani: costoro avevano chiesto la resa senza condizione, da attuarsi mediante la sottoscrizione di un accordo (il cosiddetto “armistizio corto”) in dodici articoli; entro la data del 30 agosto doveva essere comunicata l'adesione o meno del governo italiano tramite un apparecchio radio di cui Castellano era stato dotato; in caso di risposta affermativa, le parti si sarebbero incontrate nuovamente in una località della Sicilia da definire. Dopo l'accettazione della resa incondizionata e la cessazione delle ostilità, le parti avrebbero sottoscritto un'intesa più dettagliata (il cosiddetto “armistizio lungo”). Il sovrano fu reso edotto delle clausole dell'armistizio solo due giorni dopo (29 agosto). Una prima risposta dell'Italia fu definita il 30 agosto, quando lo stesso Badoglio diede istruzioni al generale Castellano di tornare in Sicilia per esporre le tesi contenute in un memorandum redatto dal Ministro degli Esteri Guariglia; secondo tale atto l'Italia non avrebbe potuto chiedere l'armistizio prima di ulteriori sbarchi alleati che mutassero le situazioni di forza a sfavore dei tedeschi. Il generale era inoltre munito di un appunto esplicativo del capo del Governo che precisava che gli sbarchi dovevano essere effettuati da almeno quindici divisioni tra La Spezia e Civitavecchia [34]. Il giorno dopo, alle ore 9.00, in aereo, previa comunicazione tramite l'apparecchio radio di cui era stato munito, il nostro delegato raggiunse di nuovo Termini Imerese e di lì fu portato nella località scelta per la firma dell'armistizio “corto”: Cassibile, presso Siracusa. Ivi, da Lisbona via Algeri, era stato trasportato anche il generale Zanussi, al quale – invece - erano state consegnate le clausole dell'armistizio “lungo”. Di fronte all'esposizione del rappresentante italiano, gli alleati furono irremovibili e confermarono le loro richieste. Di conseguenza, Castellano e Zanussi furono rimandati a Roma quella sera stessa, sempre per via aerea e vi arrivarono quando il maresciallo Badoglio era già andato a dormire [35]. Fu quindi il 1º settembre che avvenne la decisiva riunione al vertice, cui parteciparono il capo del Governo, il Ministro degli Esteri Guariglia, il Capo di Stato Maggiore Ambrosio, il generale Castellano, il generale Roatta, il generale Carboni e il Ministro della Real Casa Pietro d'Acquarone, in rappresentanza del re, che, inspiegabilmente, era assente. L'unico al corrente delle condizioni dell'armistizio lungo era il generale Roatta, che era stato informato da Zanussi, e non il maresciallo Badoglio [36]. Nonostante le obiezioni del generale Carboni, l'armistizio “corto” fu formalmente accettato. Il giorno dopo, Castellano fu riaccompagnato per via aerea in Sicilia privo, però, di una delega ufficiale alla sottoscrizione dell'accordo, richiesta dagli alleati. Tale circostanza comportò al generale un nuovo viaggio aereo di andata e ritorno e, finalmente, su delega del Re, Giuseppe Castellano, il giorno 3 settembre 1943, pose la sua firma alla conclusione della guerra tra l'Italia e le potenze alleate.
L'8 settembre
Sin dalla fine di agosto il Capo di Stato Maggiore Ambrosio aveva diramato alle Forze Armate la circolare op. 44, con la quale si ordinava “di interrompere a qualunque costo, anche con attacchi in forze ai reparti armati di protezione, le ferrovie e le principali rotabili alpine” e di “agire con grandi unità o raggruppamenti mobili contro le truppe tedesche”. Tale circolare ne ricalcava una precedente del 10 agosto; peraltro, la sua attuazione era condizionata ad ordini successivi. Sembra che Badoglio sia stato all'oscuro di tali istruzioni sino al giorno 3 settembre e che sia rimasto estraneo alla redazione dei due promemoria diramati in seguito dallo Stato maggiore [37].
Nel frattempo, sottoscritto l'armistizio “corto”, gli alleati avevano trattenuto il generale Castellano a Cassibile e il 5 settembre avevano rimandato a Roma i suoi due accompagnatori, il Maggiore Marchesi e il pilota Vassallo, senza comunicare la data esatta in cui doveva essere reso noto l'armistizio[38]. Castellano, tuttavia aveva dato loro una lettera per il generale Ambrosio con l'erronea indicazione – da riferire a Badoglio - che tale data sarebbe caduta tra i giorni 10 e 15 settembre, probabilmente il 12. I due emissari italiani, inoltre, avevano con loro dei documenti dove si comunicava che gli alleati, il giorno della dichiarazione dell'armistizio, avrebbero proceduto all'attuazione di uno sbarco aeronavale di una divisione aviotrasportata, in quattro aeroporti nei pressi della Capitale (Operazione Giant 2). Presa visione di tali documenti, il Capo di Stato Maggiore diramò un promemoria alle forze di stanza intorno a Roma, per mantenere il saldo possesso degli aeroporti romani di Cerveteri, Furbara, Centocelle e Guidonia. La mattina del 6 settembre, vi fu una riunione alla quale parteciparono il re, Badoglio, Ambrosio, e Ministro della Real Casa Acquarone. Dopo tale riunione, Ambrosio diramò un'ulteriore promemoria alla marina e ai comandanti delle truppe di stanza in Grecia e in Jugoslavia, di tenersi allertati, per il ricevimento di ordini “a viva voce” [39].
La sera del 7 settembre, dopo essere sbarcati a Gaeta, giunsero a Roma due ufficiali americani (Maxwell D. Taylor e William Gardiner). Alle ore 23.00 i due ufficiali incontrarono il generale Carboni per concordare i particolari dell'Operazione Giant 2, comunicandogli ufficialmente che, l'indomani alle 18.30, doveva essere resa nota l'avvenuta sottoscrizione dell'armistizio. A tale annuncio, il generale Carboni fu preso dal panico e, contrariamente a quanto assicurato ad Ambrosio il giorno prima, sostenne con forza che lo schieramento italiano non avrebbe potuto resistere più di sei ore alle truppe tedesche. Il colloquio si trasferì nella residenza di Badoglio che, data l'ora tarda, fu appositamente svegliato, e dove il Comandante dei Servizi segreti riuscì a convincere il Capo del governo del suo punto di vista. Badoglio dettò allora un radiogramma per il generale Eisenhower, in cui si chiedeva l'annullamento dell'Operazione Giant 2 e il rinvio della dichiarazione dell'avvenuto armistizio. Per tutta risposta, la mattina dell'8 settembre, il generale Eisenhower dettò un radiogramma ultimativo al Maresciallo Badoglio e richiese il ritorno dei due ufficiali americani; inoltre, dopo aver annullato – come richiesto - l'Operazione Giant 2, all'ora prevista, dalle onde di Radio Algeri, rese nota la stipula dell'armistizio tra l'Italia e le forze alleate. Alle 18.45, si tenne una concitata riunione del Consiglio della Corona. Nonostante la contrarietà del generale Carboni, i presenti decisero di accettare lo stato di fatto e il Capo del governo fu incaricato di comunicare alla nazione la conclusione della resa.
Alle ore 19.45, dell'8 settembre 1943, dai microfoni dell'E.I.A.R., il Maresciallo Pietro Badoglio comunicò agli italiani che:
«Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower… La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».
Più tardi, Ambrosio cercò il Capo del governo per fargli dare attuazione alla circolare op. 44, ma non riuscì a rintracciarlo, non pensando che il Maresciallo fosse a dormire. Un timido tentativo lo effettuò la mattina dopo, senza alcun esito [40]. Secondo Ruggero Zangrandi, Badoglio avrebbe posto un veto assoluto a quella diramazione, anche se, successivamente, il maresciallo avrebbe escluso che gli fosse mai stata chiesta alcuna autorizzazione [41].
All'alba del 9 settembre, secondo Indro Montanelli e Mario Cervi la superiorità germanica era incontestabile nell'Italia settentrionale, ma il rapporto era rovesciato nell'Italia centrale e nell'Italia meridionale, poiché le divisioni tedesche erano alle prese con gli anglo-americani che, dopo lo sbarco presso Reggio Calabria risalivano dal fondo lo stivale, e stavano per stabilire una testa di ponte a Salerno [42]. In particolare a Roma, la situazione – sulla carta – era abbastanza favorevole all'esercito italiano (sei divisioni schierate, più altre due che stavano arrivando, per un totale di 50.000 uomini e 200 mezzi corazzati, a fronte di due divisioni tedesche, per soli 30.000 uomini, sia pur dotati di 600 mezzi corazzati). Con il controllo degli aeroporti garantito con l'Operazione Giant 2 e il conseguente controllo dello spazio aereo, si poteva oggettivamente resistere, per i giorni necessari ad attendere l'arrivo delle truppe alleate dal meridione. Della situazione di svantaggio era pienamente consapevole e sinceramente preoccupato il Comandante tedesco, Albert Kesselring temendo – sembra - più della superiorità numerica dell'esercito italiano, le capacità strategiche del Maresciallo Badoglio [43]. Di avviso contrario fu Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano Roatta che, in quelle ore, consegnò al generale Carboni un ordine scritto con il quale lo si nominava Comandante di tutte le truppe dislocate in Roma, escludendo, però, la difesa della capitale.
In tale clima il sovrano e il Maresciallo Badoglio, il 9 settembre, alle ore 5.10, si accinsero a partire clandestinamente per raggiungere il Sud, via Pescara, percorrendo proprio la Via Tiburtina, ove stava ripiegando anche un Corpo d'armata motorizzato, inizialmente previsto a difesa di Roma. Del convoglio facevano parte la regina Elena, il principe Umberto, Ambrosio e Roatta. Nella concitazione del momento - e nella consapevolezza che i tedeschi erano già sulle tracce di Mussolini - non fu effettuata alcuna fermata per prelevare l'ex duce del fascismo, prigioniero sul Gran Sasso, a poche decine di chilometri dal percorso effettuato [44].
Badoglio si imbarcò la mattina del 10, da Pescara, con la corvetta Baionetta (classe Gabbiano, serie Scimitarra)[45]. Poco dopo la corvetta fece sosta nel vicino porto di Ortona, dove si imbarcarono i sovrani e gli altri componenti della spedizione, diretti a Brindisi. Roma si arrese ai tedeschi il 10 settembre alle ore 16.00.
A Brindisi si stabilì la sede del governo che, sotto la tutela dell'Amministrazione Militare anglo-americana, ebbe giurisdizione sulle provincie di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto. Il 29 settembre 1943 Badoglio firmò a Malta il cosiddetto armistizio lungo.
Il II Governo Badoglio e gli anni del II dopoguerra
Il primo problema che Badoglio dovette porsi nella nuova sede, fu quello dell'agibilità delle funzioni governative, in quanto alcuni ministri erano rimasti a Roma (Guariglia, Ricci, Sorice, De Curten e Piccardi)[46]. Il problema fu inizialmente risolto nominando alcuni Sottosegretari facenti funzione di Ministri. Successivamente, nel febbraio 1944 quando il governo si stabilì a Salerno (divenuta Capitale d'Italia), ricevendo dagli alleati il controllo di tutta l'Italia meridionale, Badoglio provvedette alla sostituzione dei Ministri assenti. Il secondo problema - più importante - fu quello del riconoscimento politico del governo stesso. Badoglio tentò di risolverlo sin dall'ottobre 1943, offrendo l'incarico di Ministro degli Esteri a Carlo Sforza, che, rientrato in Patria dopo un esilio durato sedici anni, era accreditato come il personaggio di maggior spicco dell'antifascismo democratico. Sforza pose come condizione l'abdicazione di Vittorio Emanuele III; successivamente, si fece portavoce di una soluzione che avrebbe posto sul trono il nipote infante (Vittorio Emanuele IV) del sovrano, con la reggenza del Maresciallo Badoglio. Quest'ultimo mise al corrente di tale evenienza il sovrano [47], che, naturalmente, espresse la sua contrarietà.
L'impasse fu superato con l'accettazione di una proposta di Enrico De Nicola, cui Sforza aderì, consistente nel formale mantenimento della titolarità del trono da parte di Vittorio Emanuele III, ma il trasferimento di tutte le funzioni al figlio Umberto, quale Luogotenente del Regno. Tale trasferimento si sarebbe concretizzato con l'ingresso degli alleati nella Roma liberata. Ciò consentì la formazione a Salerno, il 22 aprile 1944, del primo governo politico post-fascista, sostenuto dai sei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Alla vice presidenza fu nominato il comunista Palmiro Togliatti; ministri senza portafoglio: Benedetto Croce, Carlo Sforza, il socialista Mancini e il democristiano Rodinò. Data la debolezza della sua Presidenza, il governo Badoglio II resse solo poche settimane, sino a quando l' 8 giugno 1944, il Maresciallo Badoglio dovette rassegnare le dimissioni nelle mani del nuovo Luogotenente del Regno. Gli successe Ivanoe Bonomi.
Alla fine di giugno del 1944 Badoglio si ritirò a Cava de' Tirreni con la nuora e i nipotini, che gli furono di conforto nell'assenza del figlio Mario, deportato in Germania e rinchiuso nei campi di concentramento di Mauthausen e Dachau. Sopravvissuto, Mario Badoglio premorrà al padre, nel 1953, per i postumi della prigionia. Nel marzo 1946 l'Alta Corte di Giustizia dichiarò il Maresciallo decaduto dalla carica di Senatore, con la quasi totalità dei componenti dell'assemblea vitalizia. Nel 1948 la Corte di Cassazione annullò tale sentenza, reintegrandolo nelle funzioni parlamentari.
Il Trattato di pace sottoscritto il 10 febbraio 1947, prevedeva, all'art. 45, l'impegno, da parte dell'Italia, per assicurare l'arresto e la consegna, ai fini di un successivo giudizio, di tutte le persone accusate di aver commesso o ordinato crimini di guerra. Nel maggio 1948 il Governo etiope inviò all'apposita commissione dell'ONU per i criminali di guerra, una lista di dieci presunti criminali, comprendente il Maresciallo Pietro Badoglio, per il deliberato uso di gas e bombardamento di ospedali, ordinato durante la campagna del 1935-36. L'Etiopia si era appellata ad un'altra clausola del Trattato di pace, che indicava un ininterrotto stato di guerra tra essa e l'Italia sin dal 3 ottobre 1935; successivamente (novembre 1948), pertanto, chiese la consegna degli accusati per sottoporli a processo. L'Italia peraltro, riuscì a ottenere dagli alleati la rinuncia all'applicazione di tali clausole, impegnandosi a provvedere direttamente al giudizio di tutti i presunti criminali, individuati dalla Commissione ONU [8].
Quando la Commissione d'inchiesta italiana iniziò i lavori (che, peraltro si conclusero con l'archiviazione delle posizioni di tutti gli accusati) il nominativo di Badoglio non compariva più in nessun elenco [48].
Rientrato a Grazzano, dopo la Liberazione, il Maresciallo volle che la casa natìa, una volta ristrutturata, diventasse un asilo infantile, intitolato alla mamma Antonietta Pittarelli e destinato ad accogliere gratuitamente i piccoli del paese, riservandosi alcuni locali, da destinare a museo. Nei mesi estivi era lui stesso ad accompagnare i visitatori, illustrando i vari cimeli esposti e le vicende della sua vita militare.
Pietro Badoglio morì a Grazzano il 1º novembre 1956 per un attacco di asma cardiaca. I funerali si svolsero il 3 novembre successivo, anniversario della firma dell'armistizio di Villa Giusti, con la partecipazione dei rappresentanti del Governo, delle Autorità e con tutti gli onori militari.
Nel 1991, dopo la chiusura dell'asilo Pittarelli, la casa natìa del Maresciallo d'Italia fu destinata a Centro culturale, per conto della Fondazione Badoglio, divenuta proprietaria di tutti i locali.
Il soldato discusso, l'uomo discusso
I ruoli ricoperti nella sua carriera militare ed in quella politica esposero Badoglio a interpretazioni ostili di diverso orientamento, ma la mole delle critiche rivoltegli è tale che desta sensazione: fu mal visto e peggio reputato da destra come da sinistra, dai militari come dai politici, dai repubblicani come dai monarchici, dagli americani come dai tedeschi. Resta l'uomo che lega indissolubilmente il suo nome a Caporetto, all'iprite e all'8 settembre.
Del soldato è discussa la velocità della carriera. Circa l'utilizzazione dell'iprite, i fatti (sconosciuti allora all'opinione pubblica italiana) sembrarono inaccettabili anche per un tempo nel quale ancora non erano intervenute le profonde mutazioni culturali del dopoguerra e i limiti della morale bellica dell'epoca, erano alquanto più elastici degli odierni.
Nel 1965, fu tolto il segreto di stato alle risultanze dell'apposita commissione d'inchiesta sulla mancata difesa di Roma dell'8-10 settembre 1943. Risultò così che i tre commissari, riuniti tra il 1944 e il 1945 sotto la Presidenza del comunista Palermo, avevano dato un'interpretazione strettamente militare all'evento, attribuendone la responsabilità al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Mario Roatta e al comandante delle truppe dislocate in Roma generale Giacomo Carboni. Fu così che Badoglio, dopo i fatti di Caporetto e i crimini della campagna d'Etiopia, sfuggì per la terza volta ai rigori di una Commissione d'inchiesta.
La carriera bruciante, la mancanza assoluta di sanzioni (Caporetto) e la stessa lunga convivenza istituzionale forzosa con Mussolini sono apparsi a molti come segnali di qualche incongruenza che troverebbe spiegazione solo nell'appartenenza di Badoglio alla Massoneria. Tale presunta affiliazione, tuttavia, non trova riscontro in alcun documento ufficiale[49].
Piemontese (del Monferrato) come il Re, sembrò avere sempre il costante sostegno dalla Corona, sebbene non fosse sempre stato graditissimo nemmeno al Quirinale [50] .
I racconti di Badoglio
A proposito dell'arresto di Mussolini, Badoglio descrisse una versione del colloquio di Villa Ada fra il Re e Mussolini, che non trova suffragio di attendibilità presso gli storici, anche perché il colloquio era a due e nessuno dei (due) presenti ne parlò.
Dell'armistizio spiegò che era stato siglato perché la rete ferroviaria era stata resa inservibile e perché la Germania aveva inviato in Italia truppe non richieste, aveva ridotto le forniture di carbone e si era appropriata di un carico di grano, quest'ultima cosa grave al punto da non lasciare più tempo da perdere. Contattato Eisenhower, continuò, «vennero dei patti un po' imbrogliati che non sto a chiarirvi».
Circa alcune sue reiterate dichiarazioni riprese da De Felice, secondo le quali Mussolini avrebbe avuto in programma di chiedere un armistizio per il 15 settembre, la circostanza non trova riscontri probanti [51].
Note
1. ^ Indro Montanelli, L'Italia di Giolitti, Rizzoli, Milano, 1974, pp. 365-366
2. ^ Cartine della relazione ufficiale dello stato maggiore, Vol IV, tomo 3 ter
3. ^ Relazione della Commissione di Inchiesta su Caporetto, R.D. 12 gennaio 1918, n. 35, Stabilimento Poligrafico per l'Amm.ne della Guerra, Roma, 1919
4. ^ Indro Montanelli,L'Italia di Giolitti, Rizzoli, Milano, 1974, p. 371.
5. ^ Carlo Sforza,L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Mondadori, Roma, 1945, p. 47.
6. ^ Indro Montanelli,L'Italia di Giolitti, Rizzoli, Milano, 1974, p. 397 e sgg.
7. ^ Denis Mack Smith,Storia d'Italia 1861-1958, vol. 2°, Laterza, Bari, 1965, p. 583.
8. ^ Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Biblioteca Neri Pozza, Vicenza 2005, p. 183
9. ^ Angelo Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d'Etiopia, Editori riuniti, Roma 1996
10. ^ Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Biblioteca Neri Pozza, Vicenza 2005, p. 202 e sgg.
11. ^ Benito Mussolini, Storia di un anno: il tempo del bastone e della carota, Mondadori, Milano, 1945
12. ^ L'attacco alla Francia in quel preciso momento venne ritenuto come un atto estremo di fellonia e venne etichettato come una vera propria "pugnalata nelle spalle". Alle rimostranze di Badoglio, secondo il quale "l'esercito italiano non ha neppure le camicie" Mussolini ribatté "voi non capite io ho bisogno di qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo di pace". Cfr. Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 20
13. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 41
14. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 57
15. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 39.
16. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 40.
17. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 42.
18. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 84.
19. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 53.
20. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 329
21. ^ Non furono esatte le dichiarazioni che Badoglio rese il 25 ottobre 1943 al Times: “Fui chiamato dal re alle ore 17 del 25 luglio e nominato capo del nuovo governo: Io non so quello che accadde tra il momento del voto in Gran Consiglio e l'invito fattomi dal Re” (Cfr. Times, 25 ottobre 1943).
22. ^ cfr. La gazzetta del Popolo, 27 luglio 1943
23. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 353
24. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 48
25. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 355
26. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 356
27. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 356
28. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 387 e sgg.
29. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 344
30. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 428
31. ^ Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 433
32. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 348
33. ^ Probabilmente i Tedeschi erano già al corrente della missione, in quanto già l'11 agosto, Hitler aveva avvertito i suoi generali che “gli Italiani continuano i loro negoziati a tutta velocità… essi rimangono con noi solo per guadagnar tempo” (cfr. Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 348)
34. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 369
35. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 371
36. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 371
37. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, pp. 378-79
38. ^ Eisenhower non lo comunicò a Castellano nemmeno 24 ore prima della dichiarazione da Radio Algeri dell'8 settembre alle ore 18.30. Cfr. Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 392
39. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, pp. 386-87
40. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, pp. 409-11
41. ^ Ruggero Zangrandi,1943:25 luglio-8 settembre, Feltrinelli, Milano, 1964, pp. 486-7
42. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 407
43. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, p. 418
44. ^ Badoglio sapeva che i tedeschi erano sulle tracce di Mussolini sin da quando aveva trasferito l'ex duce dalla Maddalena al Gran Sasso; Skorzeny, infatti era arrivato sull'isola sarda il giorno dopo del trasferimento dell'ex capo del governo e si era subito messo sulle tracce della nuova destinazione. Cfr. Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983
45. ^ Agostino Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Milano, ed. Rizzoli, 1995
46. ^ Il governo, senza Badoglio, aveva continuato riunirsi a Roma sino al 13 settembre, diretto ad interim dal Ministro Ricci
47. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della guerra civile, Rizzoli, Milano, 1984, p. 418
48. ^ [1]
49. ^ Mola, Aldo A. Storia della massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1992, p. 435 n.
50. ^ Indro Montanelli, Mario Cervi, L'Italia della disfatta, Rizzoli, Milano, 1983, pp. 359 e sgg.
51. ^ Renzo De Felice, Introduzione, in: Dino Grandi, 25 luglio quarant'anni dopo, Il Mulino, Bologna, 1983, p. 86
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▪ Indro Montanelli; Mario Cervi, L'Italia della guerra civile, Milano, Rizzoli, 1984.
▪ Relazione della Commissione di Inchiesta su Caporetto, R.D. 12 gennaio 1918, n. 35, Roma, Stabilimento Poligrafico per l'Amm.ne della Guerra, 1919.
▪ Massimo Rendina, L'Italia 1943/45. Guerra civile o Resistenza?, Roma, Newton Compton, 1995.
▪ Carlo Sforza, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, Mondadori, 1945.
▪ Antonio Spinosa, Vittorio Emanuele III: l'astuzia di un re, Milano, Mondadori, 1990.
▪ Ruggero Zangrandi, 1943:25 luglio-8 settembre, Milano, Feltrinelli, 1964.
▪ 1968 - Geórgios Papandréu (Kalentzi, 13 febbraio 1888 – Atene, 1º novembre 1968) è stato un politico greco.
La sua vita politica fu un'altalena di carcere e di cariche governative, un alternarsi di repubblica e monarchia, una sarabanda di unioni e scissioni di partiti, un tentativo di trovare continuità e coerenza in una situazione di continua instabilità, finché tutto finì col regime dei colonnelli.
Deputato liberale alla Camera nel 1923, con l'instaurazione della Repubblica divenne ministro dell'Economia nel 1925, fu deportato dal generale Theodoros Pangalos, tornò al governo con Eleftherios Venizelos, e gli restò a fianco fino al 1935, quando uscì dal partito liberale per fondare quello socialdemocratico. Con la restaurazione monarchica del 1936 fu deportato nell'isola di Andros.
Liberato 5 anni dopo, partecipò alla Resistenza antifascista, fu arrestato di nuovo dagli italiani nel 1942 e nel 1944 riuscì a fuggire in Egitto, dove fu nominato capo del governo greco in esilio.
La guerra civile lo costrinse a dimettersi nel gennaio 1945, ma dopo il 1947 partecipò con vari incarichi ai governi di Dimitrios Maximos, di Nikolaos Plastiras, e infine di Sofocle Venizelos, figlio del vecchio leader liberale Eleuterio Venizelos.
Con Venizelos ebbe urti e alleanze, si associò e dissociò alternativamente, finché non raggiunse con l'Unione di centro una concentrazione di forze e una vastità di consensi elettorali tali da consentirgli, nel 1964, di tornare al potere con un programma politico di rinnovamento democratico. Ma bastò un anno alle forze di destra per riuscire a rovesciarlo, approfittando di un suo contrasto con la Corona.
Incominciò allora l'ultima battaglia di Papandreu contro il potere della corte, a favore di un regime di legalità costituzionale. In grandi comizi, chiese al popolo di decidere se in Grecia dovesse comandare la Corte o il Parlamento.
Ma qualcuno aveva già deciso che il comando non doveva toccare né all'una né all'altro: il 21 aprile 1967 il colpo di Stato dei colonnelli costrinse il re all'esilio e riportò Papandreu in carcere.
▪ Il vecchio leader morì un anno dopo, in casa sua, ma sotto la sorveglianza dei suoi carcerieri.
▪ 1971 - Gertrud von Le Fort (Minden, 11 ottobre 1876 – Oberstdorf, 1º novembre 1971) è stata una scrittrice tedesca. Figlia di un ufficiale prussiano, di famiglia luterana, ha compiuto studi di teologia, storia e filosofia presso l'Università di Heidelberg e, in seguito, di Berlino. Rimase profondamente impressionata da Edith Stein, cui era molto legata, e da papa Pio XII, che ebbe modo d'incontrare; per questo, si è convertita al cattolicesimo nel 1925. La sua opera letteraria è consacrata ai vari aspetti della fede cristiana.
Nel 1952, ha vinto il premio Gottfried-Keller-Preis.
Opere
▪ Inni alla Chiesa, poesie (1924).
▪ Il velo della Veronica (1928).
▪ Il Papa venuto dal ghetto (1930).
▪ L'ultima al patibolo (1931), che ispirò Georges Bernanos per scrivere, nel 1948, I dialoghi delle Carmelitane, a sua volta all'origine del film omonimo del 1960.
▪ Le Nozze di Magdeburgo (1938).
▪ 1972
- Carlo Emanuele Basile (Milano, 21 ottobre 1885 – Stresa, 1º novembre 1972) è stato un politico e scrittore italiano.
Nato da nobile famiglia di origine siciliana, era figlio del senatore Achille Basile e di Carlotta Bossi.
A soli sette anni rimase orfano del padre. Trascorse l'infanzia nella Villa Carlotta, dimora della famiglia Basile, situata sul lago Maggiore a Stresa. Dopo aver studiato al liceo di Novara, frequentò l'Università di Torino, dove si laureò in giurisprudenza nel 1909. Appassionato di letteratura, conseguì una seconda laurea in lettere nel 1913. L'anno seguente pubblicò il suo primo romanzo La vittoria senz'ali, che ottenne un discreto successo.
Arruolatosi nei Lancieri di Novara, partecipò come volontario alla Prima guerra mondiale, col grado di tenente, meritandosi due medaglie di bronzo ed una croce di guerra al Valore Militare.
Nel 1917 sposò Francesca dei marchesi Bourbon del Monte Santa Maria, da cui ebbe cinque figlie femmine ed un solo maschio, morto all'età di un anno.
Fu sindaco e poi podestà di Stresa negli anni 1914-27 e 1931-35.
Nel 1922 fu tra i primissimi ad aderire al fascismo. All'interno del partito salì rapidamente la scala gerarchica: prima segretario del Fascio di Stresa (1923-1925), poi segretario federale di Novara (1926-1929) e di Torino (1928-1929). Quindi, nel 1928, per volontà di Mussolini in persona, fu nominato console della Milizia e, l'anno seguente, membro del Direttorio Nazionale del Partito Fascista.
Nel 1926 gli fu riconosciuto il titolo di Barone.
Partecipò come volontario alla guerra di Etiopia ed alla guerra di Spagna.
Fu Deputato al Parlamento Nazionale nella XXVIII, XXIX e XXX legislatura (1929-1943).
Aderì alla Repubblica Sociale Italiana, ricoprendo le cariche di Prefetto di Genova (1943-44) e, successivamente, di Sottosegretario alle Forze Armate, col grado di colonnello (1944-45).
Dopo la caduta del fascismo, fu accusato di aver commesso numerosi crimini mentre era prefetto di Genova, ma nel 1947 fu prosciolto dalla Corte d'Assise di Venezia con formula piena.[1].
Svolse ancora attività politica nel Movimento sociale italiano. Nel 1958, dopo una lunga gestazione, pubblicò il romanzo Le quattro mie amiche, che trae spunto dal viaggio di 14 giorni da lui realmente compiuto insieme alla moglie nel 1922, da Stresa a Venezia, su una chiatta denominata chiocciola da lui ideata e fatta costruire appositamente dai cantieri Taroni.
Opere principali
▪ La vittoria senz'ali, Milano, 1914.
▪ Dopo la guerra, vedrai, Milano, 1919.
▪ L'erede, Milano, 1923.
▪ La tua legge, Milano, 1924.
▪ Studio in do minore, commedia in tre atti, Intra, 1932.
▪ Le quattro mie amiche, Bologna, 1958.
▪ Gabriel nuntius semper adamas, Milano 1965.
Note
▪ 1. Storia della Guerra Civile in Italia 1943-1945 - 3 vol. (quinta ed. Eco Edizioni, Melegnano, 1999 - prima ed. Edizioni FPE, Milano, 1965) pag. 1759. Basile, infatti, benché accusato di una lunga serie di atroci crimini, risultò innocente e, alla fine, venne assolto con formula piena
- Ezra Pound, nome completo Ezra Weston Loomis Pound (Hailey, 30 ottobre 1885 – Venezia, 1º novembre 1972), è stato un poeta statunitense che visse per lo più in Europa e fu uno dei protagonisti del modernismo e della poesia di inizio XX secolo. Costituì la forza trainante di molti movimenti modernisti, principalmente dell'imagismo e del vorticismo.
Il critico Hugh Kenner così disse del suo incontro con Pound:
«Compresi subito di trovarmi davanti al centro del modernismo.»
I primi anni
Nacque il 30 ottobre 1885 a Hailey, nell'Idaho, ove il padre era occasionalmente giudice fondiario. Trascorse la giovinezza a Filadelfia. Iniziati gli studi, si prefisse fin da adolescente di essere poeta.
Nel 1898, con una prozia, visitò per la prima volta l'Europa. Studiò alla Cheltenham High School, allo Hamilton College di Clinton e all'Università di Pennsylvania, a Filadelfia, dove conobbe e frequentò i futuri poeti William Carlos Williams e H. D. (pseudonimo di Hilda Doolittle), che fu un suo amore giovanile. Nel 1907-1908 insegnò letteratura spagnola e francese al Wabash College (Indiana), ma si dimise dopo essere stato criticato per i suoi atteggiamenti disinvolti.
Nel 1908 lasciò gli Stati Uniti per l'Europa. Approdò dapprima a Gibilterra, poi si stabilì a Venezia. Qui pubblicò il suo primo libro di poesie, A lume spento. Nel settembre 1908 raggiunse Londra, dove rimase 12 anni.
La rivoluzione londinese
La prima poesia di Pound fu ispirata dalle sue letture dei preraffaelliti, da altri poeti dell'Ottocento e dalla letteratura medievale, in particolare dalla letteratura cortese, ma anche da letture di filosofia neo-romantica e occultismo. Trasferitosi a Londra e dopo un periodo parzialmente antiquario (Personae, 1909; Canzoni, 1910), sotto l'influsso di Ford Madox Ford e T. E. Hulme cominciò ad adottare un linguaggio poetico e forme di poesia più moderni (Lustra, 1915).
Credeva che William Butler Yeats fosse il più grande dei poeti contemporanei: lo conobbe e ne divenne amico, svolgendo per alcuni anni funzione di segretario del poeta irlandese. La collaborazione tra Yeats e Pound fu indispensabile a far sì che ciascuno riuscisse a modernizzare la propria poesia. Durante la guerra, Pound e Yeats trascorsero alcuni periodi insieme nel casolare Stone Cottage nel Sussex, in Inghilterra, studiando fra l'altro letteratura giapponese, specialmente i drammi del genere Nō. Nel 1914, sposò un'artista inglese, Dorothy Shakespear.
Negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, Pound fu tra i principali promotori dell'imagismo e del vorticismo. Questi movimenti, che richiamarono l'attenzione sull'opera di poeti e artisti quali James Joyce, T.S. Eliot, Wyndham Lewis, William Carlos Williams, H.D., Richard Aldington, Marianne Moore, Rebecca West e Henri Gaudier-Brezska, ebbero importanza cruciale nella nascita del modernismo di lingua inglese. La guerra distrusse la fiducia di Pound nella moderna civiltà occidentale, ed egli decise di abbandonare Londra per Parigi, ma non prima di aver pubblicato Omaggio a Sesto Properzio (Homage to Sextus Propertius) nel 1919 e Hugh Selwyn Mauberley nel 1920. Se questi due fondamentali poemetti rappresentano l'addio di Pound a Londra e alla sua cultura, i Canti (The Cantos), che iniziò a pubblicare nel 1917, annunciavano il suo futuro cammino letterario.
Parigi: la "festa mobile" e la scelta italiana
Nel 1920 abbandonò la conservatrice Londra per Parigi, pulsante scena per avanguardie culturali ed avanguardisti. Frequentò Constantin Brâncuşi, Francis Picabia, Georges Braque, Ernest Hemingway (che testimonierà: "Io gl'insegnai a tirare di pugilato e Pound a me ciò che si doveva e non si doveva scrivere"), Pablo Picasso, Jean Cocteau, Tristan Tzara, Erik Satie. Presentò James Joyce a Sylvia Beach, proprietaria della famosa libreria Shakespeare & Co., che nel 1922 pubblicò Ulisse.
Nel 1921-22 aiutò a rivedere e scorciare il manoscritto di The Waste Land di Thomas Stearns Eliot, che dedicò il poema "Ad Ezra Pound - il miglior fabbro", citando la definizione che nel Purgatorio, Canto 26, Guido Guinizelli dà del trovatore Arnaut Daniel. Negli anni di Londra e Parigi e anche in seguito si adoperò perché Eliot, Joyce ed altri artisti potessero avere agio di lavorare, sollecitando finanziamenti e aiutandoli di persona.
A Parigi si dedicò con sempre maggior passione agli studi musicali, scrivendo un eccentrico Trattato d'armonia e componendo in collaborazione con amici musicisti il melodramma Le Testament, da François Villon, che ebbe la sua prima esecuzione in forma concertistica nel 1926. Nel 1925 usciva a Parigi un primo volume di XVI Canti.
Stanco dell'atmosfera urbana e del freddo nord, nel 1924 si stabilì definitivamente in Italia, a Rapallo, cittadina ligure sul golfo del Tigullio, dove avrebbe potuto dedicarsi indisturbato alle sue passioni artistiche e storiografiche e allo sport preferito, il tennis.
Il ventennio italiano
Anche a Rapallo Pound creò un circolo di amici artisti e progettò iniziative letterarie e musicali, quali il Supplemento Letterario (1931-1932) del Mare (settimanale rapallese) e le stagioni di concerti degli "Amici del Tigullio" che si svolsero per tutti gli anni trenta. Nei concerti era spesso impegnata Olga Rudge, violinista americana che nel 1925 diede a Pound una figlia. Nel 1926 nacque a Parigi, dalla moglie Dorothy, Omar Shakespear Pound. ("Si noti il crescendo", commentò Pound.)
Negli anni 1930 rivolse i suoi interessi sempre più alla politica e all'economia, pubblicando un pamphlet dal titolo ABC dell'economia, e Jefferson e/o Mussolini, opera in cui dava un'interpretazione liberale e artistica del dittatore italiano (il quale tuttavia gli concesse una sola udienza nel 1933). Insieme diede diverse sistemazioni alle sue intuizioni critiche nei volumi Come leggere, ABC del leggere, Rinnovare, Guida alla cultura, Carta da visita. In particolare "Rinnovare" ("Make it new"), motto confuciano, divenne la sua insegna. A Confucio e alla scrittura cinese dedicò diversi studi, traduzioni e gruppi di canti. Infatti negli anni di Rapallo pubblicò via via i volumi contenenti i canti 31-41 ("Jefferson"), 42-51 ("La quinta decade: Siena") e 52-71 ("Cina - John Adams"). In questi volumi il poema d'ispirazione dantesca diventa una rivisitazione di momenti storici esemplari e un atto di accusa contro l'"usura" (canto 45).
Lontano dagli Stati Uniti dal 1911, vi ritornò nel 1939 con l'intenzione, affermò, di mediare fra le posizioni della patria e del paese di adozione, ma non trovò ascolto. In compenso il suo collegio, l'Hamilton College, gli conferì il dottorato ad honorem.
Dal 1941 al 1943 Pound realizzò a Roma per la radio italiana numerose trasmissioni in inglese in cui difendeva il fascismo e accusava gli angloamericani e la finanza internazionale di aver provocato la guerra contro i paesi che si erano ribellati al giogo dell'usura. Trasmesse in Gran Bretagna e Stati Uniti, queste trasmissioni gli valsero un'incriminazione per tradimento da parte del governo americano.
Durante la Repubblica Sociale Italiana (ottobre 1943 - aprile 1945) continuò la sua attività giornalistica e compose due canti in italiano (72-73) in cui ribadiva la solidarietà al fascismo.
Il 3 maggio 1945 fu arrestato da partigiani italiani e consegnato ai militari statunitensi, che lo trattennero per alcune settimane a Genova e poi lo trasferirono in un campo di prigionia dell'esercito americano a Metato, presso Pisa. (Vedi Ezra e Dorothy Pound, Letters in Captivity 1945-1946, New York, Oxford Univ. Press, 1999, e Mario Curreli, Scrittori inglesi a Pisa, Pisa, ETS, 2005.)
Dopo alcune settimane di reclusione in una cella di sicurezza (la "gabbia da gorilla", disse lui), subì un tracollo fisico e mentale. Gli fu assegnata una tenda presso l'infermeria e gli fu consentito di scrivere e utilizzare la macchina da scrivere nelle ore serali. Instancabile, trascorse i mesi pisani componendo gli undici Canti pisani (dal 74 all'84) e traducendo ancora Confucio.
A fine novembre fu trasferito in aereo a Washington per il processo. In seguito a una perizia psichiatrica che lo dichiarò infermo di mente, il processo fu rinviato e Pound fu internato nell'ospedale criminale federale di St. Elizabeths di Washington.
Al St. Elizabeths Hospital di Washington
Recluso nell'ospedale di St. Elizabeth, circondato da un grande parco, Pound fu visitato regolarmente dalla moglie e da vecchi e nuovi amici artisti: Eliot, Cummings, William Carlos Williams, Marianne Moore, e tra i giovani: Robert Lowell, James Laughlin (che, con "New Directions", fu suo editore), Sheri Martinelli, e molti altri. Trovò anche proseliti per le sue idee sociali e ispirò la pubblicazione di opere rare di Louis Agassiz, Alexander Del Mar, Edward Coke, ecc. Questi stessi autori diventavano nel frattempo protagonisti dei canti che continuava a scrivere e pubblicare. Nel 1948 i Canti pisani ottennero il Premio Bollingen per la poesia della Library of Congress provocando non poche polemiche visto che Pound era nel contempo ospite involontario del governo americano in un manicomio criminale. Della giuria facevano parte T.S. Eliot e W.H. Auden, che in questo modo pensavano di attirare l'attenzione sulla pietosa situazione del non più giovane poeta. Ma la polemica finì più per nuocere che per giovare e per molti anni del caso Pound non si parlò più.
Nel 1957 un gruppo di amici fra cui Hemingway, Robert Frost e Archibald MacLeish si prodigarono perché si trovasse una soluzione. La pubblica accusa, verificato che Pound non si sarebbe potuto processare, perché un processo era incompatibile con l'infermità mentale, ritirò le accuse, e il poeta tornò in libertà, ripartendo poco dopo per l'Italia.
Il caso del mancato Premio Nobel
Nel 1959 Pound fu candidato al Premio Nobel dallo scrittore Johannes Edfelt, nella sua veste di presidente del Pen Club di Svezia. Come risulta però dal resoconto finale della riunione della Commissione Nobel del 14 settembre 1959[1], essa non gradì Pound che, pur non trovandosi più in condizioni di prigionia dagli americani, venne escluso dal premio. Il presidente della Commissione Nobel Anders Osterling osservò che il candidato non raggiungeva i requisiti necessari per il premio, in quanto responsabile della propagazione "di idee che sono decisamente in contrasto con lo spirito del Premio Nobel".[2]
L'Italia: Brunnenburg, Roma, Zoagli, Venezia
Brunnenburg, nel comune di Tirolo, a monte di Merano, era abitazione dell'egittologo Boris de Rachewiltz che aveva sposato Mary, figlia di Pound ed Olga Rudge. Pound abitò dal 1958 al 1962 fra Tirolo, Rapallo, Sant'Ambrogio (Zoagli) e Roma. Dal 1962 Olga Rudge si prese cura di lui a Venezia e a Rapallo.
In questo periodo Pound pubblicò un volume di Cantos, Thrones 96-109 (1959) e lavorò all'ultima sezione della sua opera, rimasta incompiuta per l'aggravarsi della stanchezza e della depressione.
Nel 1964, "Le Testament", melodramma di Pound su parole di Villon, fu eseguito in forma di balletto al Festival dei Due Mondi di Spoleto per iniziativa di Gian Carlo Menotti. Anche negli anni seguenti Pound tenne letture nell'ambito del Festival, circondato dall'affetto di poeti come Lawrence Ferlinghetti e Pier Paolo Pasolini, che lo intervistò a Venezia per un servizio della RAI.
Morì a Venezia il 1º novembre 1972. Riposa nel locale cimitero all'isola di San Michele, con accanto Olga Rudge, sopravvissutagli 26 anni.
La poetica poundiana
La maggior parte dei critici considera come manifesto della poetica di Pound la poesia In a station of the Metro.
«The apparition of these faces in the crowd;
Petals on a wet, black, bough.»
Già a prima vista capiamo perché Kenneth Lincoln lo definirà «global translator» (trad. traduttore globale): come può un poeta impregnato di modernità conciliare questa sua tradizione con Dante e Guido Cavalcanti, Torquato Tasso e Ludovico Ariosto e allo stesso tempo attingere a piene mani dall'Haiku (componimento poetico nato in Giappone, composto da tre versi caratterizzati da cinque, sette e ancora cinque sillabe)?
Il rimando alla poesia giapponese è chiaro vista la brevità e cripticità del messaggio, ma dov'è la tradizione cristiano-giudaica? e dov'è la vena modernista europea?
Per rispondere a queste domande conviene immergerci nel testo vero e proprio:
agli anglofoni il titolo suonerà strano, infatti vi è una intensa eco della station of the Cross (trad. Stazione della Via Crucis): già dall'inizio abbiamo l'elemento cristiano che viene giustapposto preponderantemente con tecnica modernista alla Metro (la metropolitana di Parigi).
La tradizione francese e più in generale europea si fa avanti con forza tramite il secondo (primo per importanza) termine della poesia vera e propria: apparition: in francese, così come in italiano, (ricordiamoci che è stata scritta a Parigi e che Pound conosceva perfettamente sia il francese che l'italiano) questo termine non solo significa la comparsa di una immagine, ma ha anche una sfumatura religiosa che fa intendere come il miracolo sia una cosa possibile nella realtà a tutti (ecco un altro elemento cristiano-dantesco), ma è compito del poeta trascrivere l'esperienza mistica qualunque ella sia.
Proseguendo nella lettura ci si imbatte nell'aggettivo these che si può tradurre agevolmente con queste: infatti l'esperienza mistica trasposta dal poeta in versi non è limitata solo a quel momento della realtà in cui è avvenuto (sennò avrebbe dovuto usare quelle), ma è una esperienza che attraverso la poesia può essere rivissuta appieno e non solo dallo scrittore, ma da tutti quelli che hanno già fatto quella identica esperienza.
Il primo verso si conclude con la formula faces in the crowd che ricorda l'espressione che usa Pound per descrivere la propria poetica: splotches of colour (trad. macchie di colore) che infatti è presente manifestamente in questo componimento poetico con l'uso del termine petals: questa parola è giustapposta come una macchia accanto ad un'altra vicino a termini che di per se non la introducono né la spiegano chiaramente. Pound con questo termine, in questo termine sta unendo due tradizioni: quella Haiku, che prevede l'uso di frasi gnomiche o addirittura sole parole giustapposte in modo da essere il più concisi possibile, e quella modernista caratterizzata dal flux of thoughts (trad. flusso di pensieri) di un personaggio che procede per connessioni logiche tra termini o pensieri e generalmente questo flusso si compie (come mostra Dubliners - Gente di Dublino di James Joyce) nell'epiphany (momento di apparizione della verità sulla propria condizione). Questa poetica modernista spiega brillantemente l'uso del primo termine (apparition), ovverosia il poeta è «un uomo che parla ad altri uomini», parla un linguaggio diverso da quello comune, ma anche lui può, ma non è detto che debba avere l'apparizione della propria condizione caduca (faces e petals possono essere sostituiti l'uno con l'altro nel primo verso senza differenze metriche) in un luogo qualsiasi come può avvenire ad ognuno di noi, nel caso di Pound questa apparition è avvenuta nella Metro parigina.
L'importanza di Pound
La poesia e la poetica di Pound hanno avuto molta influenza. Le sue prime opere portarono nella lirica inglese un linguaggio più concentrato e sperimentale, e una visione sincretistica in cui entravano America ed Europa, Oriente e Occidente. Fecero scuola i suoi rifacimenti dal cinese e le sue "maschere" provenzali. Pound fu anche influente promotore di Cavalcanti e Dante presso il pubblico inglese, sulla scia di Dante Gabriel Rossetti e altri. I Cantos sono un'epica autobiografica sulla cui struttura e riuscita la critica non è concorde, ma pochi dubitano della grandezza di alcune pagine, specie nei Canti pisani del 1945.
Scritti su Ezra Pound
▪ AA.VV. - G.Accame, F.M.D'Asaro, G.De Turris, F.Grisi, A.Pantano (1985). EZRA POUND 1985 - L'ECONOMIA ORTOLOGICA di Ezra Pound Roma, A.Pantano ed.
▪ Accame, Giano (1995). Ezra Pound economista. Contro l'usura. Roma: Settimo Sigillo.
▪ Auriti, Giacinto (2003), Il paese dell'utopia. La risposta alle cinque domande di Ezra Pound, Chieti: Tabula Fati.
▪ Bacigalupo, Massimo (1981). L'ultimo Pound. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura.
▪ Bacigalupo, Massimo (1985). Ezra Pound. Un poeta a Rapallo. Genova: Edizioni San Marco dei Giustiniani.
▪ Carpenter, Humphrey (1988). A Serious Character: The Life of Ezra Pound. Boston: Houghton Mifflin.
▪ Nemi D'Agostino (1960). Ezra Pound. Roma: Edizioni di Storia e Letteratura.
▪ Boris de Rachewiltz, (1965) L'Elemento magico in Ezra Pound. All'insegna del pesce d'oro. Milano.
▪ Fisher, Margaret (2002). Ezra Pound's Radio Operas. Boston: The MIT Press.
▪ Hughes, Robert (2004). Complete Violin Works of Ezra Pound. Emeryville: Second Evening Art.
▪ Hughes, Robert and Fisher, Margaret(2003). Cavalcanti: A Perspective on the Music of Ezra Pound. Emeryville: Second Evening Art.
▪ H.D. [Doolittle, Hilda] (1994). Fine al tormento. Ricordo di Ezra Pound. Con le lettere di Ezra Pound all'autrice. Milano: Rosellina Archinto.
▪ Kenner, Hugh (1973). The Pound Era. Berkeley: University of California Press.
▪ Longenbach, James (1991). Stone Cottage: Pound, Yeats and Modernism. New York: Oxford: Oxford University Press.
▪ Makin, Peter (2006). Ezra Pound's Cantos: A Casebook. New York: Oxford University Press.
▪ Mancuso, Girolamo (1974). Pound e la Cina.Milano: Feltrinelli.
▪ Nadel, Ira. (1999). The Cambridge Companion to Ezra Pound. Cambridge: Cambridge University Press.
▪ Oderman, Kevin (1986). Ezra Pound and the Erotic Medium. Durham, N.C.: Duke University Press.
▪ Perelman, Bob (1994). The Trouble with Genius: Reading Pound, Joyce, Stein, and Zukofsky. Berkeley, CA: University of California Press.
▪ Antonio Pantano Ezra Pound e la Repubblica Sociale Italiana, Pagine, 2009.
▪ Pound Ezra (1962), Il fiore dei Cantos: XVIII interpretazioni. Saggio introduttivo di Vittorio Vettori. Pisa, Giardini, Biblioteca dell'Ussero.
▪ Redman, Tim (1991). Ezra Pound and Italian Fascism. Cambridge: Cambridge University Press.
▪ Ricciardi, Caterina (2006). Ezra Pound. Ghiande di luce. Rimini: Raffaelli.
▪ Singh, G. (1979). Pound. Firenze: La Nuova Italia.
▪ Singh, G. - Pantano, A. (1994) La Musa di Ezra Pound: OLGA RUDGE , Roma, ed. dell'APE.
▪ Stock, Noel (1970). The Life of Ezra Pound. London: Routledge & Kegan Paul.
▪ Surette, Leon (1994). The Birth of Modernism: Ezra Pound, T.S. Eliot, W.B. Yeats, and the Occult. McGill-Queen's University Press.
▪ Tryphonopoulos, Demetres P., e Stephen J. Adams (2005). The Ezra Pound Encyclopedia. Westport, Conn.: Greenwood Press.
▪ Vignoli, Giulio (2000). Artisti in Riviera: Sibelius, Nietzsche e Pound a Rapallo, in Scritti politici clandestini, Genova, ECIG, pag. 19.
▪ Zapponi, Niccolò (1977). L'Italia di Ezra Pound. Roma: Bulzoni.
Note
1. ^ Enrico Tiozzo, docente di letteratura italiana all'Università di Goteborg, pubblicato sul fascicolo del giugno 2010 della rivista 'Belfagor'
2. ^ Nobel, rivelato il motivo della bocciatura di Pound: E' fascista, niente premio. adnkronos.com
* 1978 - Giuseppe Berto (Mogliano Veneto, 27 dicembre 1914 – Roma, 1º novembre 1978) è stato uno scrittore italiano.
Giuseppe Berto nacque a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, il 27 dicembre 1914 da Ernesto, maresciallo dei Carabinieri in congedo, e Nerina Pesciutta, sua compagna d'infanzia.
Il padre, abbandonata l'arma per amore della moglie, aveva aperto un negozio di cappelli ed ombrelli e, con il suo aiuto, s'improvvisava venditore ambulante nei mercatini dei dintorni. La cappelleria era anche sede della locale ricevitoria del Lotto Regio e delle riunioni di ex Carabinieri organizzate da Ernesto.
Nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, il giovane Berto, primo maschio di cinque figli, venne iscritto a frequentare il Ginnasio nel Collegio Salesiano Astori di Mogliano, dove studiò con grande diligenza soffrendo al pensiero dei sacrifici economici sostenuti dalla famiglia per mantenerlo agli studi. Frequentò successivamente il Liceo pubblico a Treviso e lo portò a termine nonostante lo scarso impegno, aiutato dalla fortuna, e da quanto aveva imparato al Ginnasio. Scoraggiato dallo scarso profitto del figlio, il padre lo avvertì che non avrebbe provveduto a mantenerlo all'Università. È questo un episodio emblematico del tormentato rapporto col padre, mai risolto, nodo cruciale della sofferta esperienza personale e letteraria di Berto.
Costretto ad arrangiarsi da solo, si arruolò nell'esercito e venne mandato in Sicilia. Ancora militare si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell'Università di Padova, perché tra tutte era la meno costosa. Tuttavia fu più attratto dai caffè e dal biliardo che non dalle lezioni di Concetto Marchesi e Manara Valgimigli.
Scoppiata nel 1935 la guerra d'Abissinia, Berto partì volontario per l'Africa Orientale, combattendo per quattro anni come sottotenente in un battaglione di truppe di colore, prima di rimanere ferito al piede destro, e, per il suo eroico comportamento in battaglia, fu insignito di una medaglia d'argento e una di bronzo al valor militare; un vero affare, poiché ancor oggi - scriveva egli stesso nel 1965 - riscuotevo il relativo assegno. Il sentimento patriottico contraddistinse l'intera giovinezza di Berto come risposta all'educazione fascista. Non dimentichiamo che aveva fatto parte nel 1929 degli Avanguardisti, successivamente dei Giovani fascisti e dei Gruppi Universitari fascisti, infine era stato capo manipolo della Gioventù Italiana del Littorio.
Tornato in Italia nel 1939, cercò di riprendere gli studi in un clima però poco favorevole, a causa dell'imminente scoppio della seconda guerra mondiale nella quale l'Italia entrò nel 1940. Rivestita allora la divisa, terminò gli esami che ancora gli mancavano e si laureò nel 1940 con una tesi in Storia dell'Arte. Sempre nello stesso anno, in autunno, pubblicò sul Gazzettino sera di Venezia in quattro puntate il racconto lungo La colonna Feletti, quasi un reportage su un episodio realmente accadutogli e dedicato alla memoria di quattro compagni coraggiosamente caduti in Africa Orientale. Il racconto, di scadente qualità, rivela però una notevole vocazione narrativa, di tono giornalistico, esso si "distacca dalla letteratura acclamata in quegli anni", come scriverà lo stesso Berto.
Ancora in autunno, presentata invano una domanda di volontario, dovette insegnare latino e storia nell'Istituto Magistrale di Treviso e nell'anno successivo italiano e storia nell'Istituto Tecnico per geometri della stessa città. Furono due esperienze dalle quali egli ricavò la persuasione che quello non era il suo mestiere.
Abbandonato per sempre l'insegnamento e desideroso di andare in guerra, poiché il Regio Esercito voleva al contrario spedirlo a frequentare un corso di perfezionamento per la promozione a capitano a Parma, preferì arruolarsi nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, chiedendo di essere inviato a combattere in Africa settentrionale. Si ritrovò così nel settembre 1942 nel VI Battaglione Camicie Nere a Misurata. Spedito urgentemente al fronte dopo il disastro di El Alamein, il VI Battaglione partecipò all'affannosa ritirata dalla Cirenaica alla Tunisia affrontando sul Mareth una colossale battaglia e uscendone quasi interamente distrutto, sebbene si fosse battuto con coraggio e valore. Su questa vicenda lo scrittore si atterrà, molti anni dopo per la stesura del volume-diario Guerra in camicia nera (Garzanti, Milano 1955). Berto, addetto al rifornimento viveri se la cavò fuggendo e, fallito un tentativo di rientrare in Italia, venne spedito a rinforzare il X Battaglione Camicie Nere "M", i fedelissimi di Mussolini. Con questa unità, in cui era finito per caso, passò gli ultimi giorni della guerra africana rintanato in una buca per scampare alle cannonate degli inglesi, lottando con i pidocchi e la malinconia, cadendo infine prigioniero il 13 maggio 1943. Intanto tra il '40 e il '42 molte di quelle che fino a quel momento erano state sue grandi certezze (la grandezza della Nazione, la potenza militare italiana, l'unione di tutto il popolo intorno al Duce, una finale onestà del fascismo) cominciarono a vacillare e sempre più forti divennero i dubbi.
Trasferito negli Stati Uniti, passando da un campo di concentramento all'altro, finì a Hereford, nel Texas dove ebbe come compagni di prigionia Gaetano Tumiati, Dante Troisi e Alberto Burri che iniziava allora la sua attività di pittore. Questa esperienza fu molto importante perché fece rinascere in lui il desiderio di scrivere, passione inconscia e frustrata della sua giovinezza.
Alcuni compagni fondarono una rivista intitolata "Argomenti" che veniva letta a turno nell'unica copia manoscritta. Nella ricerca di collaboratori, essi si rivolsero anche a Berto, per il solo fatto che risultava laureato in lettere e il Nostro, messo per la prima volta davanti ad un compito di scrittore e non più di giornalista, sbagliò, ossia elaborò un bel pezzo di prosa ritmica, dannunziana da cima a fondo, dove esaltava la vicenda delle stagioni al suo paese.
Sempre nell'ambiente della prigionia entrò in contatto con la letteratura americana: Furore di Steinbeck e qualche racconto di Hemingway. In prigionia, Berto scrisse numerosi racconti, i primi brevi e scherzosi, i successivi sempre più lunghi e impegnati, tre dei quali rielaborati successivamente entrarono a far parte del volume Un po' di successo (Longanesi, Milano, 1963), con i titoli Economia di candele. Gli eucaliptus, Il seme tra le spine. Più importanti i romanzi, anch'essi del '44, Le opere di Dio, il primo scritto da Berto, e soprattutto La perduta gente, di pochi mesi posteriore.
Tornato a casa nel febbraio del '46, tentò senza successo di attirare l'attenzione degli editori sui manoscritti che aveva riportato dalla prigionia. La fortuna gli fece incontrare Leo Longanesi il quale fiutò l'affare. Il romanzo (La perduta gente) uscì tra il Natale del '46 e il Capodanno del '47: "soltanto quando lo vide nelle vetrine dei librai Berto seppe che Longanesi l'aveva intitolato Il cielo è rosso, era un titolo bellissimo e astuto, che magari aveva poco a che fare col testo ma restava immediatamente impresso in chi lo vedeva. Berto sa che una parte non piccola del successo del romanzo è dovuta a quel titolo", scriverà lo stesso autore ne L'inconsapevole approccio.
Il cielo è rosso
Il romanzo[1], che divenne immediatamente un successo internazionale, narra le difficili vicende di un gruppo di ragazzi che la guerra ha abbandonato al loro destino e che tra violenze e orrori ritrovano solidarietà e umanità.
Nel '48 il romanzo, apprezzato dalla critica nazionale e internazionale, vinse il Premio Firenze per la letteratura[2] assegnato da una giuria di livello: Silvio Benco, Attilio Momigliano, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Pietro Pancrazi. L'opera fu pubblicamente lodata anche da Ernest Hemingway intervistato da Eugenio Montale a Venezia nel 1958.
Nel '50 Claudio Gora ne trasse l'omonimo film.
Nel 1954 venne ristampato da Longanesi e successivamente da Rizzoli nel '69.
Dopo Il cielo è rosso
Inconsapevolmente Berto si trovò "intruppato in quella schiera di artisti chiamati neorealisti", racconterà in seguito lo stesso autore in un articolo apparso sul Resto del Carlino il 1º giugno 1965. Sull'onda del successo de Il cielo è rosso per altro non confermato dalle Opere di Dio, Berto scrisse Il brigante, uscito presso Einaudi nel '51, da cui furono tratti un film di Renato Castellani e una riduzione radiofonica. La sua uscita non risollevò le sorti dell'autore e il libro fu stroncato da Emilio Cecchi. Come nei suoi romanzi precedenti fuori da precisi riferimenti si riflette nel Brigante una congerie sincera e spesso poeticamente patetica di rivendicazione sociale e di umana fratellanza, vale a dire di marxismo e di Cristianesimo, come l'autore li sperimentava nel clima egualitario e rinnovatore suscitato dalla guerra.
Trasferitosi a Roma, tornò a Mogliano a causa dell'aggravarsi delle condizioni di salute del padre, che di lì a poco morirà per un cancro. A Roma conobbe e sposò una ragazza del luogo, da cui ebbe una figlia, Antonia, nata il 9 novembre 1954. Gli insuccessi ottenuti aprono la strada di una lunga malattia che verrà diagnosticata come nevrosi da angoscia, che lo affliggerà per quasi un decennio impedendogli di lavorare con continuità. Prima che la malattia raggiungesse il culmine, Berto ricostruì e ordinò in un diario, edito da Garzanti nel 1955 col titolo Guerra in camicia nera, gli avvenimenti che aveva annotato prima di essere fatto prigioniero. Il romanzo-diario testimonia la dolorosa e lenta evoluzione dal neorealismo ad uno psicologismo a sfondo umoristico. Dal 1955 al '64 tentò di uscire dalla nevrosi passando da una cura all'altra, si occupò di giornalismo e scrisse scadenti sceneggiature cinematografiche. Il racconto La Luna è nostra del 1957 lo vede nei panni di sé stesso, giornalista, alle prese con Febo Còrtore, uno strano e misterioso meccanico. Nel 1963 rimase famoso nelle cronache lo scontro, a cui seguì una vertenza giudiziaria, con Alberto Moravia, che non apprezzava l'opera di Berto, in occasione dell'assegnazione del premio Formentor alla giovane autrice Dacia Maraini in occasione del suo secondo romanzo L'età del malessere.
Finalmente Berto trovò sollievo per le sue condizioni psichiche approdando ad una terapia psicoanalitica presso l'abruzzese Nicola Perrotti[3], esperienza questa per lui determinante.
Il male oscuro
Il 1964 è probabilmente l'anno fondamentale della carriera letteraria di Berto; esce infatti Il male oscuro che, in precedenza rifiutato da più di un editore, si aggiudicò in una sola settimana i due premi letterari Viareggio e Campiello. Autentico caso letterario, il romanzo ripercorre autobiograficamente la vita dell'autore alla ricerca delle radici della sua sofferenza; frutto del percorso psicanalitico, opera una dissoluzione delle strutture narrative in modo nuovo e personalissimo, in un contesto di generale rinnovamento.
Anche da quest'opera verrà tratto un film, diretto nel 1989 da Mario Monicelli.
Gli ultimi anni
Contraendo un debito, frattanto, Berto aveva acquistato un terreno a Capo Vaticano, in Calabria, dove, bonificata la sterpaglia, edificò una villa destinata a diventare il suo rifugio per gran parte dell'anno "l'isola degli aranci sta dall'altra parte celeste e gialla e un poco verde nella sua breve lontananza, e in mezzo c'è un piccolo tratto di mare proprio piccolo ma non ho il coraggio di passarlo, padre non ho coraggio, (...) e del resto non tutti coloro che volevano la terra promessa poterono giungervi, non tutti furono degni della sua stabile perfezione, e così verso sera cerco un posto da dove si possa guardare la Sicilia, di notte l'altra costa è una lunghissima distesa di lampadine con segnali rossi e bianchi (...) ecco qui mi costruirò con le mie mani un rifugio di pietre e penso che in conclusione questo potrebbe andar bene come luogo della mia vita e della mia morte" (Il male oscuro cit., pag. 366).
Nel biennio successivo al grande successo del Male oscuro pubblica altri due romanzi La fantarca e La cosa buffa.
Nella produzione successiva, libri d'impegno si alternano a pagine occasionali, Berto sciupa quasi coscientemente e con rabbia il suo talento. Lontano da circoli o accademie letterarie, non si associa ad alcun partito, non vota ed è politicamente incerto. "A destra lo ritengono un comunista, i comunisti pensano che sia fascista, e i fascisti lo giudicano un traditore. Egli per conto suo, è convinto d'essere pressappoco un anarchico" (Corrado Piancastelli, Berto, Collana: Il castoro, 40, Firenze, La nuova Italia, 1970. pag. 113).
Dopo anni di silenzio collabora a sceneggiature cinematografiche, tra le quali spicca quella del film del 1970 Anonimo veneziano di Enrico Maria Salerno. Nel 1972 pubblica per i tipi della Rizzoli un curioso pamphlet dal titolo Modesta proposta per prevenire, che suscitò un certo dibattito politico letterario.
Scritto in soli sei mesi il suo ultimo libro, La gloria (Mondadori, 1978) è una riabilitazione di Giuda, una contraddittoria, eretica autodifesa in cui Giuda parla di se stesso come di uno strumento necessario al compiersi di un "evento già scritto". L'opera lo laureò vincitore del Premio Campiello.
Dopo un lungo soggiorno in una clinica di Innsbruck e una parimenti lunga convalescenza a Capo Vaticano, durante la quale trovò il tempo per comporre una breve apologia, Intorno alla Calabria, dedicata agli amici, Berto muore di cancro nella clinica Villa Flaminia di Roma, facente parte del Gruppo Cofisan[4], il 1º novembre 1978.
Postumo è uscito da Marsilio Editori nel 1986 il volume di saggi Colloqui col cane.
È seppellito nel cimitero di San Nicolò, frazione di Ricadi. Anche grazie alla notorietà derivante dalle sue opere il comune di Ricadi e le zone vicine, come Tropea, sono diventate importanti mete turistiche.
Per onorarne la memoria e per divulgarne l'opera, è stata costituita l'associazione "Amici di Giuseppe Berto" con sedi a Ricadi ed a Mogliano Veneto, comuni gemellati ormai da anni. Compito dell'Associazione è anche quello scegliere il vincitore del Premio Letterario che si svolge alternativamente ogni anno nei due comuni gemellati.
Note
1. ^ Nel libro Il Male oscuro, pubblicato dalla BUR (2a edizione 2006), con prefazione di Carlo Emilio Gadda, a pag. XVIII della biografia acclusa, viene erroneamente attribuita a Giuseppe Berto l'assegnazione del Premio Strega nel 1948 per Il cielo è rosso. In realtà Berto non ha mai partecipato al Premio Strega che nel 1948 fu invece assegnato a Vincenzo Cardarelli per Villa Tarantola. L'opera Il cielo è rosso, pubblicata per prima volta da Longanesi nel 1946, fu premiata nel 1948 dal "Premio Firenze per la Letteratura".
2. ^ Sito del Premio Firenze per la letteratura
3. ^ Nicola Perrotti (fondatore della rivista "Psiche") sul sito della "Società Psicoanalitica Italiana"
4. ^ Villa Flaminia sul sito del "Gruppo Cofisan"
▪ 2000 - Sir James Cochran Stevenson Runciman, conosciuto anche come Sir Steven Runciman (Northumberland, 7 luglio 1903 – Radway, 1 novembre 2000), è stato uno storico britannico, noto medievalista e bizantinista.
Compié i suoi studi a Eton e a Cambridge e divenne in questa università Lecturer (equivalente al vecchio assistente universitario). A Cambridge ebbe come mentore il grande storico e libero pensatore John Bagnell Bury, del quale Runciman si definì "il primo e solo studente". In realtà, in un primo tempo Bury si mostrò ostile nei confronti di Runciman. Quando Runciman gli accennò della sua familiarità con il russo, Bury gli assegnò una serie di articoli bulgari da tradurre e pubblicare; fu l'inizio di una solida collaborazione.
Durante la seconda guerra mondiale in parallelo a quanto capitò a Ronald Syme, Runciman lavorò nel biennio 1940-1941 nel servizio diplomatico di Sua Maestà britannica in veste di addetto stampa presso l'Ambasciata britannico a Istanbul. Al pari di Syme, anch'egli insegnò all'Università di Istanbul, dal 1942 fino al termine del conflitto mondiale, tenendovi gli insegnamenti di "Arte e Storia bizantina".
Dal poi dal 1960 lavorò come Conservatore al British Museum.
Opere tradotte in italiano
I seguenti libri tradotti sono indicati con la data di pubblicazione più recente:
▪ La civiltà bizantina. Sansoni, Firenze, 1960.
▪ I vespri siciliani. Dedalo, Bari, 1997.
▪ Gli ultimi giorni di Costantinopoli. Piemme, Casale Monferrato, 1997.
▪ La teocrazia bizantina. Sansoni, Firenze, 2003.
▪ Storia delle Crociate. 2 voll., Einaudi, Torino, 1966 (rist. BUR, Milano, 2006).)
▪ 2006 - Monsignor Gino Molòn (Laveno Mombello, 6 gennaio 1923 – Canzo, 1º novembre 2006) è stato un presbitero, insegnante e scrittore italiano. Studiò la vita e gli scritti disant'Ambrogio, e ne curò la pubblicazione.
Laureato cum laude in lettere classiche e ordinato sacerdote il 15 giugno 1946 dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, dopo i primissimi anni di sacerdozio divenne professore ordinario presso i seminari arcivescovili dell'arcidiocesi di Milano di Masnago, Seveso e Venegono Inferiore.
Nel dicembre del 1965 il cardinale Giovanni Colombo lo nominò prevosto e vicario foraneo di Canzo; anche con l'abolizione del vicariato di Canzo nel 1972, in qualità di prevosto parroco della basilica di Santo Stefano protomartire, così elevata nel 1899 da papa Leone XIII, mantenne la dignità prevosturale e acquisì, così come previsto nella bolla pontificia di Papa Leone XIII, pro tempore sed non ad personam il titolo di prelato d'onore di Sua Santità. Nel 1983 portò a termine il restauro della basilica prepositurale plebana di Canzo, ponendo l'altare come da disposizioni conciliari facendo realizzare la nuova mensa, creata dall'istituto "Beato Angelico" di Milano.
Nel 1998 per raggiunti limiti d'età, come previsto dalle norme canoniche, viene nominato prevosto emerito di Canzo con incarichi pastorali la Santa Sede gli confermò il titolo di monsignore tramutandolo in onorifici titulo ad personam del quale scelse però di non fregiarsene. Risiedette a Canzo fino al giorno della sua morte avvenuta il 1º novembre 2006. Durante la sua permanenza nella cittadina comasca fu un punto di riferimento per i fedeli (e i non fedeli) e seppe farsi amare da tutti con insigni opere sino ad oggi visibili e tangibili nella comunità canzese. Diceva di lui monsignor Cesare Curioni: "monsignor Gino Molon ha sicuramente un calibro episcopale; [...] i suoi studi sull'innologia ambrosiana, sono d'insigne qualità e del tutto unici nel loro genere".[1] Nel suo testamento spirituale egli cita questi versi biblici: "Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio..." (Rom 15,7)[2]
Studioso di sant'Ambrogio e dei suoi Inni
Monsignor Molon fu profondo conoscitore della vita, degli inni e delle opere di sant'Ambrogio. Egli cercò di scoprire, partendo dalla vita del santo e vescovo di Milano, le particolarità che lo distinguevano da qualsiasi altro vescovo del tempo.[3] Studiò in particolare l'innologia ambrosiana traducendone, con rispetto della metrica, molti testi tra cui il Preconio Pasquale ambrosiano: sua è la versione tuttora utilizzata dalla Santa Chiesa Milanese. Tradusse anche l'inno Intende qui regis Israel, melodia propria della vigilia del Natale del Signore. Scrisse molti libri alcuni dei quali vengono tuttora adottati come manuale di studio dell'innologia ambrosiana.
Opere
Curò l'edizione di diverse opere di sant'Ambrogio, tra le quali:
• Sant'Ambrogio, i suoi Inni, edizioni NED, 1996, in latino con testo a fronte in quattro diverse traduzioni in italiano
• Ambrogio Vescovo Insegna e Canta, edizioni Città Nuova, 2002: Inni Liturgici Ambrosiani in Canto Bilingue (Latino - Italiano);
• XVI Anno Santambrosiano - Inni di Sant'Ambrogio - Canto Bilingue, contenente il Preconio Pasquale Ambrosiano (traduzione italiana secondo il Messale ambrosiano del 1986) curò la traduzione ritmata, l'introduzione didattico esplicativa e le didascalie (CD Audio, PIAMS - Milano, 1997).
Note
1. ^ Dichiarazioni di mons. Cesare Curioni nel periodo assese
2. ^ Testamento Spirituale di monsignor Gino Molon, Archivio Preopositurale di Canzo
3. ^ Sant'Ambrogio, i suoi Inni, edizioni NED, 1996 - Prefazione
▪ Adrienne Shelly, attrice e regista statunitense (n. 1966)
▪ 2009
- Fortunata (Natuzza) Evolo (Paravati, 23 agosto 1924 – Paravati, 1º novembre 2009) è stata una mistica italiana.
Nacque a Paravati, una frazione del comune di Mileto, antica città della Calabria, dove Ruggero il normanno aveva stabilito la capitale della sua contea e la prima diocesi di rito latino dell'Italia meridionale. Il padre, Fortunato, qualche mese prima che lei nascesse, nella speranza di poter aiutare la famiglia, era emigrato in Argentina, da dove non tornò mai più. La madre, Maria Angela Valente, rimasta sola con una numerosa famiglia da accudire, si adattò ai lavori più umili per sfamare la famiglia. Natuzza (un diminutivo di Fortunata molto diffuso in Calabria) cercò di aiutarla accudendo gli altri fratelli, non potendo frequentare regolarmente la scuola e restando quindi con un livello di istruzione molto limitato, quasi analfabeta.
A 14 anni, per aiutare la famiglia andò a lavorare come domestica in casa dell’avvocato Silvio Colloca, guadagnandosi subito la fiducia di quella famiglia. Ma dopo poco tempo Natuzza fu al centro di episodi strani e apparentemente inspiegabili, definibili oggi come paranormali, quali la vista per lei reale di persone che invece erano già defunte.
Uno di questi episodi si svolse così: “Due persone che Natuzza non conosceva andarono a fare visita alla signora Alba Colloca che le ricevette in salotto e ordinò alla ragazza di preparare il caffè da offrire loro. Natuzza preparò quattro caffè e li portò su un vassoio, ma quando la signora li offrì agli ospiti, Natuzza le chiese perché non avesse servito il caffè anche al sacerdote che era seduto con loro. In realtà non c’era nessun sacerdote, ma Natuzza insistette che era lì e lo descrisse minutamente. I due ospiti confermarono subito che Natuzza aveva descritto con grande precisione un loro parente sacerdote che era morto qualche anno prima.” Altre volte la ragazza vide e descrisse altre persone che in realtà erano parenti o amici dei Colloca che erano defunte da tempo. Inoltre spesso veniva trovata completamente svenuta, per poi raccontare che aveva parlato con la Madonna, con Gesù o con degli angeli.
Tutto ciò preoccupò la famiglia Colloca che decise di rivolgersi al parroco don Antonio Albanese, che la esorcizzò. Infine una sera i Colloca, preoccupati per quei fatti inspiegabili, pensarono di licenziarla. Ma quando la signora Colloca andò per comunicarle quella decisione, Natuzza, prima che lei potesse parlare, la accolse piangendo e le chiese perché volessero mandarla via, qualche momento prima era entrata nella sua camera una signora anziana, con la voce rauca, che lei non conosceva e che aveva detto di essere la madre della signora Colloca, che l’aveva già informata. Quella signora era la madre della signora Colloca, morta prima che Natuzza potesse conoscerla.
Nel 1941 Natuzza si ritirò da quel lavoro, andò a vivere presso la nonna materna e pensò di farsi suora, ma venne sconsigliata, proprio perché protagonista di tutti quegli episodi inquietanti. La madre decise allora di farla sposare e le propose il matrimonio con un giovane, figlio di amici, di professione falegname, che in quel momento prestava servizio nell’esercito. Il futuro marito accettò di sottoscrivere un contratto in cui si impegnava ad accettare di avere una moglie un po' particolare e a lasciarle tutta la libertà possibile affinché lei potesse seguire la sua vocazione di disponibilità verso il prossimo. Trovandosi lo sposo in guerra, il matrimonio avvenne per procura il 14 agosto 1943. Fu un matrimonio felice e la coppia ebbe cinque figli.
Per tutta la vita si moltiplicarono gli episodi paranormali [1], quali presunte apparizioni e presunti colloqui con Gesù Cristo, la Madonna, angeli, santi e defunti, la comparsa di stimmate ed effusioni ematiche accompagnate da stati di sofferenza durante il periodo pasquale, momenti di estasi. Svariate testimonianze le attribuirono anche il "dono dell'illuminazione diagnostica". Per decine di anni ricevette presso la sua abitazione migliaia di persone provenienti da tutto il mondo per incontrarla, principalmente nella speranza di avere notizie dall'aldilà dai propri defunti o indicazioni sulle proprie malattie. Moltissimi testimoniarono di aver ricevuto grazie e benefici dopo la visita alla sua persona.
Su sua ispirazione si costituì nel 1987 un'associazione (poi diventata fondazione, presso cui Natuzza ha trascorso il resto della sua vita) con l'obiettivo di creare a Paravati un complesso che inglobasse un santuario mariano, strutture per l'assistenza medica e centri per giovani, anziani, disabili, tra cui, già realizzati, il centro anziani "Pasquale Colloca" e quello per i servizi alla persona "San Francesco di Paola"[2]. Ispirati da Natuzza e dalla sua testimonianza di fede sorsero inoltre, dal 1994, dei "Cenacoli di preghiera" riconosciuti dalle autorità ecclesiastiche[senza fonte] e diffusi sul territorio nazionale e all'estero.
Il 9 aprile 2007 Rai International trasmise da Paravati di Mileto lo spettacolo "Notte degli angeli", a lei dedicato, organizzato dal promoter musicale Ruggero Pegna e condotto da Lorena Bianchetti, ispirato al libro "Miracolo d'amore" (Rubbettino Editore), storia della guarigione dello stesso Pegna dalla leucemia.
Morì alle 5 di mattina del 1 novembre 2009, nel centro per anziani che lei stessa aveva fondato grazie alle offerte dei fedeli, a causa di un blocco renale[3].
L'analisi del CICAP
Il CICAP si è occupato di Natuzza Evolo in un tentativo di analisi psicologica preliminare [4].
L'indagine del CICAP, focalizzandosi sulla visione di entità sovrannaturali da parte di Natuzza procede tramite un'analogia e invita il lettore a riflettere "su cosa proverebbe di fronte a qualcuno che affermasse di vedere lo spirito di un proprio caro morto" e su cosa, invece, proverebbe "se lo spirito apparso fosse quello di Napoleone". Se da un lato l'emozione suggestiva nel rivedere un vecchio parente ci spingerebbe a dare autenticità al fatto, dall'altro, privando la visione di quella particolare emozione, si sarebbe spinti a considerarla un'allucinazione. "L'apparente realismo dell'allucinazione è conseguenza solo di effetti emotivi e suggestivi".
Il dossier passa poi all'analisi della trance estatica, descrivendola come "uno stato di depersonalizzazione, ossia una condizione ben nota in psicopatologia in cui un individuo si sente proiettato in un posto diverso da quello in cui si trova".
Il CICAP conclude questa sezione dell'analisi riprendendo in qualche maniera quanto affermato in principio "sarebbe indispensabile osservare i suoi segni ininterrottamente e per diversi giorni, allo scopo di comprendere il fenomeno e rilevare eventuali modificazioni fisiologiche delle stigmate. Tuttavia, questo paziente lavoro di osservazione non è mai stato effettuato con nessuno".
La conclusione del dossier è che, considerate tutte le premesse, "ancor più di un'accurata diagnosi dermatologica, sono la personalità, la storia e la cultura che ci lasciano seri dubbi sull'autenticità del fenomeno. Il caso Natuzza non è così incredibile come i media vogliono presentarlo, ma si tratta di un fatto culturalmente limitato e inquadrato in un contesto religioso ben preciso"[5].
In sintesi, quindi, in merito al fenomeno Natuzza, il CICAP afferma: “Non si vuol discutere della buona o cattiva fede della signora Natuzza, sebbene in un discorso scientifico nulla dovrebbe essere trascurato, ma in assenza di un contatto diretto non è corretto esprimere giudizi su quest'aspetto. Pochi sono gli elementi significativi che vengono in nostro aiuto per tracciare un quadro, per quanto approssimato, del fenomeno Natuzza".
Del resto, a questo suo tentativo di analisi, il CICAP premette: "Non avendo effettuato in modo diretto una diagnosi sul soggetto, ci si può basare solo su quanto si riesce a capire dalle dichiarazioni fatte dalla stessa Natuzza in un'intervista televisiva".
Note
1. ^ Cfr. le informazioni contenute nei cinque volumi scritti dal prof. Valerio Marinelli (vedi bibliografia), tra cui diverse interviste alla donna e numerose testimonianze di avvenute guarigioni o grazie ricevute che i pellegrini attribuiscono alla sua intercessione. Cfr. anche il documentario etnografico realizzato dal prof. Luigi Maria Lombardi Satriani.
2. ^ Articolo su "La Villa della Gioia"
3. ^ Campane a festa e non a lutto per la mistica Natuzza Evolo. Corriere della Sera. URL consultato il 1 novembre 2009.
4. ^ Il caso di Natuzza Evolo di Armando De Vincentiis
5. ^ De Vincentiis, A. 1999. Estasi, Roma: Ed. Avverbi
Bibliografia
▪ Maricla Boggio, Luigi M. Lombardi Satriani, Natuzza Evolo di Paravati, (documentario), 1985.
▪ Businco, L., Collicelli A. (1948). Il "caso" Natuzza Evolo. Notiziario di metapsichica. Roma.
▪ Nicola Valente, Natuzza, la radio dell'altro mondo a Paravati, Roma, Fratelli Palombi, 1950.
▪ Valerio Marinelli, Natuzza di Paravati: umile serva del Signore, Vibo Valentia, Edizioni Mapograf, 1985.
▪ Incontrare Natuzza: una testimonianza divina di fede, carità, amore, Vibo Valentia, Edizioni Mapograf, 1992.
▪ Francesco Mesiano, I fenomeni paranormali di Natuzza Evolo, Roma, Edizioni Mediterranee, 1974.
▪ Valerio Marinelli, A study of bilocative phenomena of Natuzza Evolo : preceded by a brief description of her other paranormal phenomena, Bologna, Officine grafiche Pitagora-Tecnoprint, 1978?.
▪ Anna Maria Turi, Natuzza Evolo: emografie, bilocazioni e guarigioni spirituali della mistica di Paravati, Roma, Edizioni Mediterranee, 1995. ISBN 978-88-272-1064-2
▪ François Brune, Les Miracles - Et Autres Prodiges, Parigi, Editions Du Félin, 2000. ISBN 978-2-86645-355-8
▪ Anna Maria Turi, Stigmate e stigmatizzati, Roma, Edizioni Mediterranee, 2001. ISBN 978-88-272-0950-9
▪ Maricla Boggio; Luigi M. Lombardi Satriani, Natuzza Evolo. Il dolore e la parola, Roma, Armando Editore, 2006. ISBN 978-88-8358-845-7
▪ Giuseppe Notaro, C'era una volta... Ed è proprio la fede in Dio che mi fece conoscere Natuzza Evolo..., Reggio Calabria, La Procellaria Editrice, 1998
- Alda Merini (Milano, 21 marzo 1931 – Milano, 1º novembre 2009) è stata una poetessa e scrittrice italiana.
«Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita. » (Alda Merini, La pazza della porta accanto[1])
Nata in una famiglia di condizioni modeste (padre dipendente delle Assicurazioni Generali Venezia e madre casalinga, minore di tre fratelli, una sorella e un fratello, che la scrittrice fa comparire, sia pure con un certo distacco, nella sua poesia), Alda Merini frequenta da ragazza le scuole professionali all'Istituto "Laura Solera Mantegazza" e cerca, senza riuscirci per non aver superato la prova di italiano, di essere ammessa al Liceo Manzoni.
Nello stesso periodo, si dedica allo studio del pianoforte, strumento da lei particolarmente amato. Esordisce come autrice giovanissima, a soli quindici anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti che scoprì il suo talento artistico. Nel 1947, Merini incontra "le prime ombre della sua mente"[2] e viene internata per un mese nella clinica Villa Turro. Quando ne esce alcuni amici le sono vicino e Giorgio Manganelli, che aveva conosciuto a casa di Spagnoletti insieme a Luciano Erba e Davide Turoldo, la indirizza in esame presso gli specialisti Fornari e Musatti.
Giacinto Spagnoletti sarà il primo a pubblicarla nel 1950, nell'Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949, con la lirica "Il gobbo", datata 22 dicembre 1948, e "Luce", del 22 dicembre 1949, dedicata a Giacinto Spagnoletti.
Nel 1951, su suggerimento di Eugenio Montale e di Maria Luisa Spaziani, l'editore Giovanni Scheiwiller stampa due poesie inedite dell'autrice in "Poetesse del Novecento".
Nel periodo che va dal 1950 al 1953 la Merini frequenta per lavoro e per amicizia Salvatore Quasimodo. Nel 1953 sposa Ettore Carniti, proprietario di alcune panetterie di Milano, ed esce, presso l'editore Schwarz, il primo volume di versi intitolato "La presenza di Orfeo". La seconda raccolta di versi, intitolata "Paura di Dio" con le poesie che vanno dal 1947 al 1953, esce, sempre presso Schwarz, nel 1955 alla quale fa seguito "Nozze romane" e nello stesso anno, edita da Bompiani l'opera in prosa "La pazza della porta accanto".
Nasce in quello stesso anno la prima figlia, Emanuela, e al medico curante della bambina, Pietro De Paschale, la Merini dedica la raccolta di versi "Tu sei Pietro" che viene pubblicata nel 1961 dall'editore Scheiwiller.
Dopo "Tu sei Pietro" inizia un triste periodo di silenzio e di isolamento, dovuto all'internamento al "Paolo Pini", che dura fino al 1972, con alcuni ritorni in famiglia durante i quali nascono altre tre figlie'[3]). Si alterneranno in seguito periodi di salute e malattia, probabilmente dovuti alla sindrome bipolare, della quale hanno patito anche altri grandi poeti ed artisti quali Charles Baudelaire, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Lord Byron e Virginia Woolf.
La Terra Santa
Nel 1979 la Merini ritorna a scrivere, dando il via ai suoi testi più intensi sulla drammatica e sconvolgente esperienza del manicomio, testi contenuti in quello che può essere inteso, come scrive Maria Corti[4] "il suo capolavoro": "La Terra Santa" con la quale vincerà nel 1993 il Premio Librex Montale.
Ma le pene della scrittrice non sono finite. Nel 1981 muore il marito, e la scrittrice, rimasta sola e ignorata dal mondo letterario, cerca inutilmente di far ascoltare la sua voce. Racconta Maria Corti[5] che lei stessa si era recata presso i maggiori editori italiani senza alcun successo, fintanto che, nel 1982, dopo aver raccontato a Paolo Muri, che a quei tempi dirigeva la rivista "Il cavallo di Troia", la sua amarezza, costui le offrì uno spazio sulla sua rivista per trenta poesie da pubblicare sul n°4, inverno 1982 - primavera 1983 che lei, insieme ad Alda Merini, aveva scelto su un dattiloscritto di un centinaio di testi e che in seguito, insieme all'editore Scheiwiller, avevano aggiunto alle trenta liriche altre dieci e nel 1984 veniva dato alla stampa "La Terra Santa".
In quel periodo la Merini dà in affitto una camera della sua abitazione ad un pittore di nome Charles e inizia a comunicare telefonicamente con l'anziano poeta Michele Pierri che, in quel difficile periodo del ritorno nel mondo letterario, aveva dimostrato di apprezzare la sua poesia. Lo sposa nell'ottobre del 1983 e va a vivere a Taranto, curata e protetta dal marito che era stato di professione medico ; era infatti il primario di Cardiologia all'ospedale ss Annunziata.
Scrive le venti poesie-ritratti de La gazza ladra che si fanno risalire al (1985) e rimaste inedite fino al volume Vuoto d'amore oltre alcuni testi per Pierri. Sempre a Taranto porta a termine L'altra verità. Diario di una diversa.
L'altra verità. Diario di una diversa.
La Merini fa ritorno a Milano nel luglio del 1986 dopo aver sperimentato nuovamente gli orrori dell'Ospedale Psichiatrico di Taranto e si mette in terapia con la dottoressa Marcella Rizzo alla quale dedica più di una poesia. Nello stesso anno riprende a scrivere e ad incontrare i vecchi amici, tra cui Vanni Scheiwiller, che le pubblica L'altra verità. Diario di una diversa, il suo primo libro in prosa che, come scrive Giorgio Manganelli nella prefazione al testo, "... non è un documento, né una testimonianza sui dieci anni trascorsi dalla scrittrice in manicomio. È una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio - non un luogo - in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale numinoso dell'essere umano"[6] al quale seguiranno "Fogli bianchi" nel 1987, "La volpe e il sipario" (1997) e "Testamento" (del 1988). Nel 1987 è finalista nel premio letterario Premio Bergamo.
Caffè sui Navigli
Sono questi, per la Merini, anni fecondi dal punto di vista letterario e di conquista di una certa serenità. Nell'inverno del 1989 la poetessa frequenta il caffè-libreria "Chimera", situato poco lontano dalla sua abitazione sui Navigli, e offre agli amici del caffè i suoi dattiloscritti. Sarà in questo periodo che nasceranno libri come "Delirio amoroso" (1989) e "Il tormento delle figure" (1990).
Negli anni seguenti diverse pubblicazioni consolidano il ritorno sulla scena letteraria della scrittrice. Nel 1991 escono "Le parole di Alda Merini" e "Vuoto d'amore" a cui fa seguito nel 1992 " Ipotenusa d'amore "; nel 1993 viene dato alla stampa "La palude di Manganelli o il monarca del re", il volumetto "Aforismi", con fotografie di Giuliano Grittini e "Titano amori intorno" uscito presso l'editore "La vita felice", con sei disegni di Alberto Casiraghi. È questo l'anno in cui le viene assegnato il Premio Librex-Guggenheim "Eugenio Montale" per la Poesia, premio che la consacra tra i grandi letterati contemporanei e la accosta a scrittori come Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Franco Fortini.
Reato di vita. Autobiografia e poesia
Nel 1994 vede la luce il volume "Sogno e Poesia", da "L'incisione di Corbetta", con venti incisioni di altrettanti artisti contemporanei. Nel 1995 viene pubblicato da Bompiani il volume "La pazza della porta accanto" e da Einaudi "Ballate non pagate".
Sempre nel 1994 esce nelle "Edizioni Melusine" "Reato di vita, autobiografia e poesia". Nel 1996, con il volume "La vita facile", le viene attribuito il "Premio Viareggio" e nel 1997 il "Premio Procida-Elsa Morante".
Risale al 1996 anche la pubblicazione di una libretto edito da La Vita Felice intitolato "Un'anima indocile" composto da poesie vecchie e nuove, da un diario-confessione, da brevi racconti e da una intervista fatta all'autrice.
Nel 1997 vengono pubblicate dall'editore Girardi la raccolta di poesie "La volpe e il sipario", con illustrazioni di Gianni Casari, dove è più che mai evidente la tecnica della poesia che nasce spontaneamente in forma orale e che altri trascrivono. Fenomeno, questo, che "pur essendo tipicamente contemporaneo, di una scelta dell'oralità a svantaggio della scrittura, è per ora unico dentro all'universo della poesia contemporanea...[7]. Si assiste pertanto, a proposito di Merini, al fenomeno di un'oralità che conduce sempre più verso testi assai brevi e, infine, all'aforisma.
Nel novembre 1997 viene pubblicato il libro "Curva di fuga" con poesie e scritti inediti di Alda Merini e incisioni di Giovanni Bonaldi. Il libro viene presentato nella Rocca Sforzesca di Soncino (CR) in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Soncino alla poetessa.
Aforismi e magie
Sono questi gli anni in cui la produzione aforistica di Merini diventa molto ricca, come testimonia nel 1997 "Il Catalogo Generale delle Edizioni Pulcinoelefante", edito da Scheiwiller. I minitesti di Alda Merini risultano essere più di cinquecento.
Nel 1999 in "Aforismi e magie", pubblicato da Rizzoli, viene raccolto per la prima volta il meglio di quel genere. Il volume viene illustrato dai disegni di Alberto Casiraghi, amico, poeta ed editore della Merini che ha sollecitato, raccolto e accompagnato con i suoi piccoli libri "Pulcinoelefante", questa nuova vocazione.
La collaborazione con i piccoli editori - che comprendono, oltre "Pulcinoelefante", lo "Zanetto", la "Vita felice", il "Melangolo" e altri - ha portato ad altri minitesti come, tra gli ultimi pubblicati, "Lettera ai figli", edito da Michelangelo Camilliti per l'edizione "Lietocollelibri" e illustrato da otto disegni onirici e surreali di Alberto Casiraghi.
Da ricordare il volume edito da "l'Incisione", "Alda Merini", che contiene poesie inedite della poetessa e disegni dell'artista Aligi Sassu, opere stampate su torchio in litografia e serigrafia.
La sua vita, più bella della poesia
Nel 2000 esce nell'edizione Einaudi "Superba è la notte", un volume che è il risultato di un lavoro minuzioso compiuto su numerose poesie inviate all'editore Einaudi e a Ambrogio Borsani. I versi che compongono la raccolta sono stati scritti nel periodo che va dal 1996 al 1999. Non essendo stato possibile dare al materiale un ordine cronologico i curatori si sono basati sull'omogeneità tematica e stilistica complessiva dell'opera.
Nel 2001 posa seminuda per la copertina dell'album Canto di Spine del complesso degli Altera, nel quale sono messe in musica composizioni sue e di altri poeti del Novecento.[8]
Nel 2002 viene stampato dall'editore Salani, un volumetto dal titolo "Folle, folle, folle d'amore per te", con un pensiero di Roberto Vecchioni che nel 1999 aveva scritto Canzone per Alda Merini[9] e nel 2003 la "Einaudi Stile Libero" pubblica un cofanetto con videocassetta e testo dal titolo Più bella della poesia è stata la mia vita. Nel 2009 esce il documentario Alda Merini, una donna sul palcoscenico, del regista Cosimo Damiano Damato, presentato alle Giornate degli Autori della 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Il film vede la partecipazione di Mariangela Melato.
La fase mistica
Molto importante è il carattere mistico della più recente poetica della Merini. E' dall'incontro tra Alda Merini e Arnoldo Mosca Mondadori che nascono una serie di libri editi da Frassinelli e che hanno come filo conduttore la mistica della poetessa. Mosca Mondadori raccoglie e cura i versi della Merini: il primo libro pubblicato è " L'anima innamorata " (2000), cui seguono testi sempre di carattere religioso, tre dei quali ("Corpo d'amore", "Poema della croce", "Francesco, canto di una creatura"), introdotti da Monsignor Gianfranco Ravasi. Nel 2002 viene pubblicato "Magnificat, un incontro con Maria", corredato da disegni di Ugo Nespolo, nel 2003 "La carne degli Angeli"' con venti opere inedite di Mimmo Paladino; poi "Corpo d'amore" (2004) con le opere di Luca Pignatelli, "Poema della Croce" (2005), "Cantico dei Vangeli" (2006), "Francesco, canto di una creatura" (2007) "Mistica d'amore" (2008), "Padre mio" (2009). Di questo lavoro avvenuto tra il 1997 e il 2009 sono viva testimonianza le registrazioni, ancora inedite, grazie a cui è possibile ascoltare Alda Merini mentre crea i suoi versi.
Clinica dell'abbandono
Nel 2003 e 2004 viene pubblicato dall'Einaudi "Clinica dell'abbandono" con l'introduzione di Ambrogio Borsani e con uno scritto di Vincenzo Mollica. Il libro è diviso in due sezioni: la prima, "Poemi eroici", che comprende versi scritti alla fine degli anni novanta, la seconda, "Clinica dell'abbandono", che raccoglie i versi degli ultimi anni. Questo volume riproduce, con alcune aggiunte, il testo del cofanetto con videocassetta "Più bella della poesia è stata la mia vita".
Nel febbraio del 2004 Merini viene ricoverata all'Ospedale San Paolo di Milano per problemi di salute. Da tutta Italia vengono inviate e-mail a sostegno di un appello lanciato da un amico della scrittrice che richiede aiuto economico. Sorgono numerosi blog telematici e siti internet nei quali viene richiesto l'intervento del sindaco di Milano Gabriele Albertini. La scrittrice ritorna successivamente nella sua casa di Porta Ticinese.
Dal 15 marzo sempre del 2004 è in vendita l'album, intitolato Milva canta Merini, che contiene undici motivi cantati da Milva tratti dalle poesie di Alda Merini più una traccia cd rom. L'autore delle musiche è Giovanni Nuti. Il 21 marzo, presente la stessa Merini, in occasione del suo settantatreesimo compleanno, viene eseguito un recital al Teatro Strehler di Milano, occasione per la presentazione del disco (riproposto poi con successo nello stesso teatro per un ciclo di serate musicali nel maggio 2005, sempre con la presenza della poetessa sul palco).
Durante l'estate 2004 molte sono state le iniziative sorte per far conoscere in maniera più diffusa la poesia di Alda Merini. Si cita ad esempio l'incontro che si è tenuto il 21 luglio al Teatro Romano dal titolo "Ebrietudine, omaggio ad Alda Merini", sei cantate composte da Federico Gozzelino su poesie di Alda Merini.
Alla fine del 2005 esce per Crocetti Editore "Nel cerchio di un pensiero (teatro per voce sola)" raccolta nata dalle dettature telefoniche di Alda Merini a Marco Campedelli. Vengono riportate 53 poesie, quasi tutte inedite curate nella edizione da Roberto Fattore, Luca Bragaja, lo stesso Marco Campedelli e Massimo Natale. Per sottolineare la natura orale e "orfica" dei componimenti è stato scelto di non inserire segni di interpunzione tra e nei versi per lasciarli liberi così come sono nati.
Del 2005 è anche la raccolta Le briglie d'oro (Poesie per Marina 1984-2004), edita da Scheiwiller. Nel 2006 si avvicina al genere noir con "La nera novella", edita da Rizzoli. Del 2008 è la pubblicazione del libro in prosa sotto forma epistolare intitolato "Lettere al dottor G" edito da Frassinelli.
Muore il 1 novembre 2009 a causa di un tumore osseo al San Paolo di Milano[10]. Dopo l'allestimento della camera ardente, aperta il 2 e il 3 del mese, i funerali di stato sono stati celebrati nel pomeriggio del 4 novembre nel Duomo di Milano.[11]
Inizia il lavoro della critica
▪ Alda Merini, dall'orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009) (prefazione di Pino Roveredo), Riccardo Redivo, Asterios editore, Piccola bibliothiki, novembre 2009, pp.240.
▪ Sul mensile internazionale di cultura poetica intitolato Poesia dell'editore Crocetti, che riporta sulla copertina la fotografia a colori di Alda Merini, è uscito un articolo di critica di Aldo Nove[12] intitolato "Alda Merini. Poetessa punk" e uno di Cristiana Ceci[13]dal titolo "Alda Merini:"In manicomio avevo trovato la felicità".
Opere
▪ La presenza di Orfeo , Schwarz, Milano, 1953
▪ Paura di Dio, Scheiwiller, Milano, 1955
▪ Nozze romane, Schwarz, Milano, 1955
▪ La pazza della porta accanto, Bompiani, Milano, 1955
▪ Tu sei Pietro , Scheiwiller, Milano, 1961
▪ Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove, Lalli, Poggibonsi, 1980
▪ Le rime petrose, edizione privata, 1983
▪ Le satire della Ripa, Laboratorio Arti Visive, Taranto, 1983
▪ Le più belle poesie, edizione privata, 1983
▪ La Terra Santa , Scheiwiller, Milano, 1984
▪ La Terra Santa e altre poesie, Lacaita, 1984
▪ L'altra verità. Diario di una diversa, Scheiwiller, Milano, 1986
▪ Fogli bianchi. 23 inediti, Biblioteca Cominiana, 1987
▪ Testamento, a cura di Giovanni Raboni, Crocetti Editore, 1988
▪ Delirio amoroso, 1989
▪ Il tormento delle figure, 1989
▪ Delirio amoroso, il Melangolo, Genova, 1990
▪ Il tormento delle figure, Genova, Il Melangolo, 1990.
▪ Le parole di Alda Merini, Roma, Stampa Alternativa, 1991
▪ Vuoto d'amore, Torino, Einaudi, 1991.
▪ Valzer, Ts. 1991
▪ Balocchi e poesie, Ts. 1991.
▪ Cinque poesie, Mariano Comense, Biblioteca Comunale, 1992
▪ Ipotenusa d'amore , Milano, La Vita Felice, 1992
▪ La palude di Manganelli o il monarca del re, Milano, La Vita Felice, 1992
▪ La vita felice: aforismi, Osnago, Pulcinoelefante, 1992
▪ La vita più facile: Aforismi, Osnago, Pulcinoelefante, 1992
▪ Aforismi, Nuove Scritture, 1992
▪ La presenza di Orfeo (Paura di Dio, Nozze Romane, Tu sei Pietro), Milano, Scheiwiller, 1993
▪ Le zolle d'acqua. Il mio naviglio, Cernusco sul Naviglio (Milano), Montedit, 1993
▪ Rime dantesche, Crema, Divulga, 1993
▪ Se gli angeli sono inquieti. Aforismi, Firenze, Shakespeare and Company, 1993
▪ Titano amori intorno, Milano, La Vita Felice, 1993
▪ 25 poesie autografe, Torino, La città del sole, 1994
▪ Reato di vita. Autobiografia e poesia, Milano, Melusine, 1994
▪ Il fantasma e l'amore, Milano, La Vita Felice, 1994
▪ Ballate non pagate a cura di Laura Alunno, Torino, Einaudi, 1995
▪ Doppio bacio mortale, Faloppio, Lietocollelibri, 1995
▪ La pazza della porta accanto, Milano, Bompiani, 1995
▪ Lettera ai figli, Faloppio, Lietocollelibri, 1995
▪ Sogno e poesia, Milano, La Vita Felice, 1995
▪ Aforismi, Milano, Pulcinoelefante, 1996
▪ La pazza della porta accanto, Milano, Mondadori, 1996
▪ La Terra Santa: (Destinati a morire, La Terra Santa, Le satire della Ripa, Le rime petrose, Fogli bianchi) 1980-987, Milano, Scheiwiller, 1996
▪ La vita facile: sillabario, Milano, Bompiani, 1996
▪ Refusi, Brescia, Zanetto, 1996
▪ Un poeta rimanga sempre solo, Milano, Scheiwiller, 1996
▪ Immagini a voce, Motorola, 1996[14]
▪ La vita felice: sillabario, Milano, Bompiani, 1996
▪ Un'anima indocile, Milano, La Vita Felice, 1996
▪ Sogno e poesia, Milano, La Vita Felice, 1996
▪ La vita facile: aforismi, Milano, Bompiani, 1997
▪ Ape Regina, testi di Alda Merini e musiche di Andrea Donati, Amiata Records, ARNR 2597, Firenze 1997
▪ L'altra verità. Diario di una diversa, Milano, Rizzoli, 1997
▪ La volpe e il sipario , Legnago, Girardi, 1997, ISBN 8817864714
▪ Le più belle poesie di Alda Merini, Milano, La Vita Felice, 1997
▪ Orazioni piccole, Siracusa, Edizioni dell'ariete, 1997
▪ Curva in fuga, Siracusa, Edizioni dell'ariete, 1997
▪ Ringrazio sempre chi mi dà ragione. Aforismi di Alda Merini, Viterbo, Stampa Alternativa, 1997
▪ 57 poesie, Milano, Mondadori, 1998
▪ Favole, Orazioni, Salmi, scritti raccolti da Emiliano Scalvini, Soncino, Editrice la Libraria, 1988
▪ Eternamente vivo, Corbetta, L'incisione, 1998
▪ Fiore di poesia (1951-1997) (a cura di Maria Corti), Torino, Einaudi, 1998, ISBN 8806173774
▪ Lettere a un racconto. Prose lunghe e brevi, Milano, Rizzoli, 1998
▪ Aforismi e magie, Milano, Rizzoli, 1999
▪ Il ladro Giuseppe. Racconti degli anni sessanta, Milano, Scheiwiller, 1999
▪ L'uovo di Saffo. Alda Merini e Enrico Baj, Milano, Colophon, 1999
▪ La poesia luogo del nulla, Lecce, Manni, 1999
▪ Le ceneri di Dante: con una bugia sulle ceneri, Osnago, Pulcinoelefante, 1999
▪ L'anima innamorata, Milano, Frassinelli, 2000
▪ Superba è la notte , a cura di Ambrogio Borsani, Torino, Einaudi, 2000
▪ Due epitaffi e un testamento, Osnago, Pulcinoelefante, 2000
▪ Vanni aveva mani lievi, Aragno, 2000
▪ Le poesie di Alda Merini, Milano, La Vita Felice, 2000
▪ Tre aforismi, Osnago, Pulcinoelefante, 2000
▪ Amore, Osnago, Pulcinoelefante, 2000
▪ Vanità amorose, Bellinzona, Edizioni Sottoscala, 2000
▪ Colpe d'immagini, Milano, Rizzoli, 2001
▪ Corpo d'amore: un incontro con Gesù, Milano, Frassinelli, 2001
▪ Folle, folle, folle d'amore per te, Milano, Salani, 2002
▪ Maledizioni d'amore, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2002
▪ Il paradiso, Osnago, Pulcinoelefante, 2002
▪ Anima, Osnago, Pulcinoelefante, 2002
▪ Ora che vedi Dio, Osnago, Pulcinoelefante, 2002
▪ Un aforisma, Osnago, Pulcinoelefante, 2002
▪ La vita, Osnago, Pulcinoelefante, 2002
▪ Una poesia, Osnago, Pulcinoelefante, 2002
▪ Magnificat: un incontro con Maria, Milano, Frassinelli, 2002
▪ Invettive d'amore e altri versi, Torino, Einaudi, 2002
▪ Il maglio del poeta, Lecce, Manni, 2002
▪ La carne degli angeli, Milano, Frassinelli, 2003
▪ Più bella della poesia è stata la mia vita, Torino, Einaudi, 2003
▪ Delirio Amoroso, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2003
▪ Alla tua salute, amore mio: poesie, aforismi, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2003
▪ Poema di Pasqua, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2003
▪ Il mascalzone veronese, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2003
▪ Lettera a Maurizio Costanzo, Faloppio, Lietocollelibri, 2003
▪ La clinica dell'abbandono, Torino, Einaudi, 2004
▪ Cartes (Des), Vicolo del Pavone, 2004
▪ Dopo tutto anche tu, San Marco dei Giustiniani, 2004
▪ El Disaster, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2004
▪ Lettera ai bambini, Faloppio, Lietocollelibri, 2004
▪ La volpe e il sipario. Poesie d'amore, Milano, Rizzoli, 2004
▪ La voce di Alda Merini. La dismisura dell'anima. Audiolibro. CD audio. Milano, Crocetti,2004
▪ Poema della croce, Milano, Frassinelli, 2004
▪ Uomini miei, Milano, Frassinelli, 2005
▪ Il Tavor, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2005
▪ Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie, Lecce, Manni. 2005
▪ La presenza di Orfeo - La Terra Santa, Milano, Scheiwiller, 2005
▪ Nel cerchio di un pensiero, Milano, Crocetti, 2005
▪ Io dormo sola, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2005
▪ Figli e poesie, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2005
▪ Le briglie d'oro. Poesie per Marina 1984 - 2004, Milano, Scheiwiller, 2005
▪ La famosa altra verità, Acquaviva delle Fonti (Ba), Acquaviva, 2006
▪ L'altra verità diario di una diversa, Milano, Rizzoli, 2006
▪ Un segreto andare, Alpignano, Alberto Tallone Editore, 2006
▪ Lettere di Pasolini, Acquaviva delle Fonti (Bari), Acquaviva, 2006
▪ Cantico dei Vangeli, Frassinelli, 2006
▪ Il tempo di una sigaretta", Terre Sommerse, 2006 intervista di Niccolò Carosi
▪ Francesco, canto di una creatura, Frassinelli, 2007
▪ Mistica d'amore, Frassinelli, 2008
▪ Lettere al dottor G, Frassinelli, 2008
▪ Padre mio, Frassinelli, 2009.
Onorificenze
Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana— Roma, 1º giugno 2002 [15]
Il 18 marzo 2002 è stata insignita del Sigillo longobardo, onorificenza assegnata ogni anno dal Consiglio regionale della Lombardia nell'ambito della tradizionale "Festa dello Statuto".
Il 16 ottobre del 2007 le viene concessa dalla Facoltà di Scienze della Formazione di Messina, la laurea magistrale honoris causa, in "Teorie della comunicazione e dei linguaggi".
In più occasioni è stata avanzata la sua candidatura al premio Nobel per la Letteratura.[16]
Note
1. ^ Alda Merini, La pazza della porta accanto, a cura di Guido Spaini e Chicca Gagliardo, Bompiani, 1955, pag. 59
2. ^ Maria Corti in Introduzione di Vuoto d'amore, Einaudi, Torino,1991, pag. VI
3. ^ da Maria Corti in op. cit., pag. VIII
4. ^ Maria Corti in Introduzione a Alda Merini. Fiore di poesia. 1951-1997, Einaudi, Torino, pag. XI
5. ^ Maria Corti in op. cit., pag. XII
6. ^ Giorgio Manganelli in Introduzione a Alda Merini, L'altra verità. diario di una diversa, Rizzoli, 1997, pag. 7
7. ^ op. cit., pag. XVIII
8. ^ Gli Altera cantano poesie e Alda Merini posa nuda per loro. Musicaitaliana.com S.r.l., 15-11-2001. URL consultato il 30-11-2009.
9. ^ Ogni uomo della vita mia / era il verso di una poesia / perduto, straziato, raccolto, abbracciato.../ ogni amore della vita mia / è cielo e voragine, / è terra che mangio per vivere ancora. Roberto Vecchioni, Canzone per Alda Merini, 1999
10. ^ È morta la poetessa Alda Merini cantò il dolore degli esclusi. La Repubblica. URL consultato il 1 novembre 2009.
11. ^ Funerali di Stato
12. ^ Aldo Nove, in ""Poesia", Mensile internazionale di cultura poetica, Anno XXII, Dicembre 2009, N. 244
13. ^ Cristiana Ceci, op., cit.,
14. ^ La raccolta di dieci brevi poesie nacque in occasione di una manifestazione promozionale della Motorola. La nota azienda di dispositivi elettronici volle invitare la Merini, il fotografo Ferdinando Scianna e l'attrice Asia Argento alla presentazione di un nuovo telefono cellulare. A causa della sua indigenza, la poetessa fino al 1993 non aveva potuto permettersi neppure un telefono fisso, pur prediligendo questo mezzo di comunicazione. Carlo Brambilla. Uno slogan in versi per il nuovo cellulare, pp. 22. La Repubblica, 26-05-1996. URL consultato il 08-11-2009. Il telefono le sue rime. In mostra versi e foto, pp. 47. Corriere della Sera, 26-06-1996. URL consultato il 08-11-2009.
15. ^ Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana - MERINI Sig.ra Alda
16. ^ *"... candidata dalla Académie Francaise al Premio Nobel" Carlo Brambilla. Uno slogan in versi per il nuovo cellulare, pp. 22. La Repubblica, 26-05-1996. URL consultato il 08-11-2009. La poetessa Alda Merini è stata candidata al premio Nobel per la letteratura 2001. La segnalazione dell' autrice di «Ballate non pagate» (premio Viareggio) e «La pazza della porta accanto» è stata inoltrata dall'Accademia reale di Svezia dal Pen club Italia. "Alda Merini candidata al Nobel, pp. 39. Corriere della Sera, 23-01-2001. URL consultato il 08-11-2009. "per la poetessa è attivo da tempo un comitato che raccoglie firme per portarla al Nobel. Hanno aderito all'iniziativa, tra gli altri, Dario Fo, Carla Fracci, Gianfranco Ravasi, Lucio Dalla, Paolo Bonolis, Ottavia Piccolo, Giulio Giorello, nonché figure di rilievo milanesi, tra le quali ricordiamo monsignor Brambilla di San Simpliciano." Arnaldo Torno. Alla fiera dei vecchi libri un omaggio alla Merini. Corriere della Sera, 09-05-2009. URL consultato il 08-11-2009. Arnaldo Torno. . Corriere della Sera, 09-05-2009. URL consultato il 08-11-2009.