Oddìo Dio: Intervista
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Oddìo Dio
Intervista
Tutto il gran parlare di “Dio” sentito in ogni tempo della mia vita non mi va e non mi è mai andato:
“mi va” è un’espressione perfetta, presa alla lettera non c’è atto cioè soggetto cui non convenga, nel sì o nel no.
Non mi va ossia non mi soddisfa, come un’ossessione che tutt’al più mi seda, come tutte le ossessioni: la confusione tra soddisfazione e sedazione è grande, la più grande.
Allora prendo un’altra strada, quella di intervistare sull’argomento un pensiero attestato che mi va, fino alla stima - intellettuale, che altro? - per esso: intendo il pensiero di Gesù come caput competente e non sciocco, attendendomene risposte sulla base di quei famosi quattro libriccini trattati come documenti di un pensiero, costituitosi appunto come tale in un certo accertabile intervallo temporale più o meno ampio.
A me, privo di presupposti di ogni sorta, e in particolare in materia di fede speranza carità(-amore), come pure di presupposti religiosi e di esigenze religiose,
- infatti muovo sollecitabile da offerte esterne (salute) non istigate da domande interne (patologia), cioè non prego né credo né spero né amo prima dell’offerta, e una rivelazione è appunto un’offerta -, l’intervista ha dato i seguenti risultati su quell’argomento e altri.
1° Su “Dio”:
Gesù non è teologo, semmai è patrologo senza “Dio” presupposto;
riferisce di persone a lui note per nome (Padre, Spirito), con le quali intrattiene rapporti formali-reali di specie distinte (due specie poi specificate a Nicea, 325);
almeno con la prima il rapporto è ereditario (co-governo del “Regno”, come Tito con Vespasiano cioè “a babbo vivo”);
“Dio”, nel suo discorso, in ogni caso non in greco, non è né nome di persona e nemmeno di un ente, né nome di un concetto, ma un jolly linguistico di cui accetta la ricorrenza;
Gesù, che manifestamente non è un Profeta, non avrebbe mai potuto enunciare “Dio è il più grande”, come invece ha poi fatto il Profeta Mohammed e, pochi secoli dopo, il proto-islamico cristiano Anselmo d’Aosta, partito da un tale identico postulato-presupposto per dedurne tutto quanto, cioè un Corano cristiano.
2° Sull’amore:
certo non è da lui la distinzione tra eros e agàpe cioè tra due amori, basso e alto, umano e divino, perché essendo uomo come avrebbe potuto essere tanto schizo-frenico?,
né l’ammissione nefasta che l’innamoramento (nefasto: fa uscire di testa) sia il modello dell’amore, quello stesso che prima di Gesù aveva seminato catastrofi (Omero narra il passaggio dall’innamoramento alla guerra, esperienza comune).
3° Sull’uomo:
si distacca da ogni asserzione antecedente e successiva (tutte e sempre a sfavore dell’uomo-corpo: Platone, Buddha, Kierkegaard), dato che per lui essere un uomo è un profitto non una perdita:
ciò è dichiarato dall’incarnazione all’ascensione, ossia apprezzamento stabile, in saecula saeculorum, dell’umanità come pregevole e desiderabile:
solo un “Dio” incompetente e sciocco - è il lato logico dell’obiezione docetista - si sarebbe incarnato, sarebbe risorto come uomo, e soprattutto sarebbe rimasto uomo, se questo non fosse stato il suo piacere cioè profitto:
è questa asserzione personale e universale la salus, salvezza e salute indivise,
e anche l’amore come partnership di profitti.
4° Sulla ragione:
Gesù non asserisce “la Ragione” (semmai è logico), bensì asserisce “Ho ragione io” a confronto con altre Ragioni, e come ragione per fidarsi.
5° Sulla fede:
Gesù non propone il presupposto “La Fede” (oltre a non averne non avendone bisogno), bensì pone la propria af-fidabilità” (innocenza, consistenza) affinché da questa, non da altra fonte, sia desunto (o no) il significato razionale di “fede”.
6° Sull’ontologia, e in generale sulla metafisica:
l’ente (l’albero) si giudica dai frutti, non dall’ente in sé:
Gesù è filosofo (non teologo), e filosofo non ellenizzante, e certo non parmenideo né platonico.
7° Sulla religione:
parla di molte cose, su cui dice la sua, in prima persona con la lingua che ha in bocca e il pensiero che ha in testa:
un laico per-fetto;
in particolare parla di altre due persone di cui ha personale conoscenza:
Gesù è il primo irreligionario della Storia, ossia non si iscrive nella Storia delle religioni (che è il sepolcro imbiancato come contenitore del contenuto “Gesù”).
8° Sulla morale:
il meno che si possa dire è che certo non è quella di Kant, oltre a non essere quella di Aristotele, né di Platone.
9° Et coetera.
Anche di Gesù penso di poter dire che il gran parlare di “Dio” presupposto non gli va:
tollerante com’è ma non indifferente, avendo una bocca almeno sbadiglia.
I risultati dell’intervista interessano tutti, e tra questi i miei compagni correligionari:
che vorrei poter chiamare come Freud chiamava gli ebrei, “co-irreligionari”, infatti un cristiano almeno cattolico non dovrebbe, proprio come Gesù, avere religione come invece l’ha Maometto:
con l’Islam non si dà guerra di religione.
Termino rinviando al mio precedente articolo in cui faccio professione di Cattolicesimo sine glossa, con speciale riguardo per il Papa, e anche per il Dogma come proposizione sensata antecedente la Teologia dogmatica (mi sono spesso appoggiato al Credo di Nicea, 325).
Sul Papa come singolarità cattolica razionale ma incompresa, e la sua infallibilità, ho un articolo in preparazione.
P.S.:
Informo del mio punto di partenza, da molto giovane, nell’indagine sul pensiero (personale, non potrebbe che esserlo) di Gesù: non mi tornava bene l’idea largamente condivisa che il cristianesimo sarebbe stato fondato da San Paolo, ossia che questi non avrebbe elaborato un pensiero chiaro e distinto a lui anteriore.