Il mio caro carrozzone

Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Catechismo dell'universo quotidiano"

Perché resto cattolico.

Devo introdurre una nuova parola né spiritosa né urtante, semplicemente descrittiva e sobria.
Nel farlo sfondo una porta aperta, pur trovando da ridire su questa espressione perché in una porta già aperta non c’è nulla da sfondare.
Infatti trovo un precedente nel noto e incontestato detto “Ecclesia casta et meretrix” di sant’Ambrogio, il quale comprendeva presto che c’era un compromesso da riconoscere senza finzione.
Tuttavia sono spinto a rettificare, perché trovo che in questo “p…na” il compromesso non sia adeguatamente rappresentato, ridotto com’è a un misto di disapprovazione e di popolana gaiezza, similmente alla Maddalena che però non era meretrice neanche un po’.

A porta già aperta da un tale insospettabile, procedo con due analogie la prima delle quali prepara la seconda:
1. la prima è con il puntello come compromesso. Posto un edificio, può darsi che un muro tenda a cedere, allora lo si puntella (con una trave o un contrafforte). Essendo possibile che il puntello eserciti una controspinta, allora lo si contropuntella, e così per tutti i muri. E poi c’è il soffitto, il pavimento eccetera. Ma risulterà pur sempre un abitato che bene o male regge:
qualcosa del genere pensava San Francesco - che non è il Santo povero … di mente cui è stato ridotto - quando restaurava la Porziuncola (per l’esattezza ha riparate tre chiese);

2. la seconda è con il carrozzone come compromesso. Posta una carrozza, può darsi che questa richieda di venire puntellata (del tutto diversamente) da ogni parte, ruote, assali, abitacolo eccetera. Ma risulterà pur sempre un mezzo di trasporto, un carrozzone appunto che bene o male va:
ma diversamente da San Francesco io non restaurerei niente:
non si deve riformare ma solo lasciar cadere in desuetudine (è così che penso la guarigione psicoanalitica):
ma solo dopo avere fotografato tutto in vista del Museo, Memorial di quanto eravamo comici nella seriosità e serialità.

Ho appena descritto il compromesso personale giussaniano (Luigi Giussani, 26 aprile, Think! www.societaamicidelpensiero.com), con irragionevole scandalo di taluni:
si è trattato di una decisa, originale e brillante asserzione di un fatto, ma con scissione del fatto dal pensiero (e discorso), e con conseguenze personali drammatiche. Considero invece edificante la descrizione che ne ho dato. Vero è che io sono facilitato dal non essere quasi scandalizzabile.

Descriverò tra poco il compromesso-carrozzone generale (che l’enfasi giussaniana sul “fatto” aspirava a correggere) in quattro capitoli, 1° 2° 3° 4°, facendoli precedere dall’esame di un’unica incertezza precedente.

Il carrozzone cerca anzitutto il compromesso nei riguardi di un’ovvietà della Rivelazione:
Gesù risorto (questo è miracolo) e più ancora asceso al cielo (questo è desiderio personale), lo è come uomo cioè motricità-sensibilità-pensiero:
si dica pure “trasfigurato” e “glorioso”, ma qualsiasi cosa significhino queste due parole che non respingo, se in ogni caso non si tratta di motricità-sensibilità-pensiero alla lettera si nega tutto e non è più vero niente, e tutto si riduce a una penosa religiosa “manfrina” (vecchia danza popolare), a un vago “Nirvana” cristianamente tinteggiato, privo di interesse per me e per tutti.

Qui si tratta della rivoluzione cristiana:
cavalco senza equivoci la parola “rivoluzione” nel suo preciso significato di nuova Costituzione rispetto a una vecchia Costituzione.

Questa Costituzione è nuova rispetto a quella antica (platonica, buddista, letteraria, popolare) che sotto espressioni teorico-linguistiche diverse non trova nell’essere uomo - sensibilità-motricità-pensiero - qualcosa di intrinsecamente buono e desiderabile come tale, tanto meno in saecula saeculorum, per quanto provvisoriamente intaccato da un delitto sopravvenuto benché precocemente (“peccato originale”):
nel migliore dei casi se ne ammette la sopportabilità, se possibile con isolotti di gradevolezza quando non di eccellenza, ma pur sempre con un senso di fallimento obbligato quantunque accettato o perfino coltivato.

La rivoluzione di Gesù sovverte proprio la questione della desiderabilità e del successo, ed è dichiarata - “voi dite … ma io vi dico” -, logicamente nitida e clamorosa benché sobria a un tempo:
infatti “incarnazione” conclusa nell’ascensione significa da parte di Gesù una dichiarazione, ben oltre il miracolo, di desiderabilità personale della cosiddetta “condizione umana” - motricità, sensibilità, pensiero -, senza concessioni alla litania esistenzialista quando parla di “condizione umana”, il “marciume nobile” di Cartesio.

Troppe volte e con legittimo fastidio personale ho sentito pronunciare come piagnisteo la domanda biblica “Che cos’è l’uomo perché Lui se ne ricordi?”:
ma la risposta è rivelativamente e catechisticamente ovvia e univoca:
non è un’immondezza, né un nulla, è un parente:
è il parente rapito e schiavizzato dai pirati o dai banditi che viene riscattato (“redenzione”):
me lo insegnavano già al Catechismo da bambino.

Vengo ora ai quattro capitoli-compromessi del carrozzone:
in questo sono rimaste, compromissoriamente rabberciate con arie spirituali, le quattro componenti dell’uomo vecchio-antico:
1° la Teoria invasiva dell’uomo-animale o istintivo (in particolare l’istinto sessuale),
2° la Teoria dell’amore come innamoramento,
3° la Teoria religiosa,
4° la Teoria ontologica.

Una parola su quest’ultima. Gesù è filosoficamente rivoluzionario asserendo (a ogni piè sospinto) che “L’albero si giudica dai frutti” ossia che l’ente si giudica dai frutti e non dall’ente (ontologia parmenidea divenuta poi perennis), unitamente all’asserzione che suo Padre “lavora sempre”, e non c’è lavoro che produttivo (salvo che Gesù parlasse senza sapere quello che diceva).
Una parola comica sull’innamoramento, rabberciato per mezzo della sua distinzione tra umano e divino. L. Borges chiedeva che senso mai avesse la Trinità. Rispondo che la Trinità comporta che l’amore è a tre (almeno), non a due (l’innamoramento appunto, a-tu-per-tu). Ho già messo in luce la comicità dantesca nel rappresentare i tre Enti sommi che si guatano negli occhi “come iri da iri” cioè lo schema dell’innamoramento. Si rendeva conto che, essendo tre in simultanea, li rappresentava strabici?
Una parola sulla religione: è chiaro che in un Dio incarnato - motricità-sensibilità-pensiero - non c’è più religione.
Una parola sull’istinto. Quando Gesù rimprovera la “concupiscenza” è chiaro che si riferisce a una pecca del pensiero nel configurare la relazione con una donna. Del resto chiunque potrebbe altrimenti rimproverarlo di incoerenza e iniquità: “Ma come?, prima ci crei con la concupiscenza e poi ce la rimproveri!”

Ho già detto che non sono per riformare (non condivido “ecclesia semper reformanda” di M. Lutero) ma per lasciar cadere in desuetudine, e del resto Gesù ha rivoluzionato non riformato.

Per concludere, io cattolico tengo questo carrozzone e mi ci tengo.

Cattolico?, ma sì, e ne rammento le componenti - che non sono affatto carrozzone -, che ricapitolo così:
A. il Papa. Devo questo convincimento alle mie numerose letture del passato (protestantesimo, Chiesa ortodossa). Erano anni in cui ero pronto a tutto, anche a “gettare alle ortiche” come molti miei coetanei. Almeno dal ’500 al ’700 “papista” era un’accusa e un’ingiuria. Un giorno ho concluso: tòh, sono papista! (ne ho già scritto come cosa interessante);
B. la messa. Sappiamo che il protestantesimo ha trovato da ridire. Solo per rapidità associo qui i Sacramenti;
C. il dogma (sorvolo sulle sue radici in Scrittura e Tradizione), proposizioni senza dogmatismo. Oggi quasi nessuno vi coglie qualcosa di motorio o movente, fuori dal meccanico-statico cantilenare formule incomprese. Oggi nella Chiesa quasi nessuno pensa che “Padre” significa, né che il Verbo non è il geometrico cerchietto dantesco bensì è Gesù in motricità-sensibilità-pensiero (dire “in carne e ossa” è debole, e debolissimo il docetista “mangiava e beveva”);
D. il pensiero di Cristo, la cui rimozione (so usare questa parola) domina indiscussa, donde il carrozzone.

Mi arresto a D., trattenendomi dall’aggiungere come E. il Diritto canonico. Ma in verità non mi trattengo, bensì considero la compagine A. B. C. D. come un Ordinamento (o una Costituzione) in cui il Diritto canonico trova posto.

Un Ordinamento ha il suo ordinante, una Costituzione il suo costituente, e questo è lo stesso pensiero di Cristo, non Cristo come fatto scisso dal pensiero.

Un pensiero è presenza, mentre aldilà dei criteri medico-legali di morte c’è il fatto che un cadavere non pensa cioè non è presente.

Questo Ordinamento esiste e non è carrozzone, benché sia sempre esistito nel compromesso del carrozzone, del che io non mi lamento neppure, tanto più che poi dovrei lamentarmi di lamentarmi:
da un carrozzone mi aspetto che almeno scarrozzi:
esso scarrozza bene o male, più male che bene, il pensiero di Cristo, sia pure nella rimozione, ma so che la rimozione conserva:
ecco perché non lascio il carrozzone.

Della Società detta “Chiesa” istituita da questo Ordinamento, sono Socio di diritto in forza del battesimo, da essa non potrei venire scomunicato stante la mia dichiarata ortodossia, e per via dello scarrozzato non ne getto la tessera.

Non è per eroismo ma per egoismo che tengo la tessera di una Società che vale ormai meno del due di picche (ci vuole tanto a costatarlo?)

E lo si capisce, perché nel carrozzone l’odore di docetismo è forte, e d’altronde il docetismo è la sola obiezione logica, prima che eresia, al cristianesimo:
il quale lo ha realizzato nel Barocco, cioè “la vita è sogno” ossia non è vero niente:
non possiamo certo dire che il cristianesimo abbia risolto bene l’obiezione che, per dirla in modo robustoso, faceva presente che, senza certezza della desiderabilità e del successo, solo un debile sarebbe asceso al cielo come uomo.

In Freud ho incontrato il primo pensatore non docetista:
uomo cioè motricità-sensibilità-pensiero:
ho scoperto che il docetismo lo è anzitutto sull’uomo, e siamo ancora anzi sempre più qui, cristiani o non cristiani.

Per il carrozzone provo perfino un rozzo affetto, e senza ostilità, come una volta disse di me il mio maestro e analista J. Lacan:
Il a du tendre”.

Milano, giovedì 28 aprile 2011