Che farsene dei dogmi

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Già da molto giovane mi infastidiva sentir dire che ai dogmi ci si crede ed è fatta, per esempio che a messa si recita il Credo e finita lì, poi magari usciti da lì si faranno opere di carità o di politica.

Questa categoria di credente dà ragione a quell’illuminante battuta di J. Lacan che dice:
“Non si sa mai bene che cosa credono quelli che credono e che cosa non credono quelli che non credono”.

Io vorrei fare osservare la praticità dei dogmi, intendo praticità discorsiva ossia i pensieri che abbiamo, le frasi che diciamo e le azioni che a pensieri e frasi si conformano:
lo voglio mostrare riferendomi a un preciso dogma, quello dell’ascensione.

L’ascensione è il discorso nitido, formale e alternativo di Gesù, e la fede sta nel credere che lui lo abbia perseguito dall’inizio fino a metterla in pratica.

Bisogna prestare attenzione a questo “perseguito”:
significa desiderato e coltivato, ossia che diventare e restare un uomo per Gesù era soddisfacente e desiderabile, e che era un profitto rispetto a non esserlo affatto:
ecco il senso dell’incarnazione, non quello di un sacrificio amoroso, né di una divina messinscena educativa come dicevano i docetisti.

In ciò Gesù si discostava fino alla contrapposizione dal discorso prevalente, se non unico, sull’uomo, sia nei pensatori più noti nell’antichità e nella modernità - Buddha, Platone, Kierkegaard -, sia nel pensiero più corrente:
ossia che “uomo” designa solo una brutta razza, che non vale la spesa ma tutt’al più la pena, una condizione cui non è collegabile la desiderabilità e la soddisfacibilità e il giudizio di profitto.

Sto aprendo (non “sfondando”) una porta già aperta ma che viene sempre richiusa:
1. fin dall’Inizio della Bibbia si precisa che l’uomo è costituzionalmente fatto “a immagine e somiglianza” di qualcuno che si suppone stare bene in proprio;
2. la risposta alla domanda biblica “Che cosa è l’uomo perché Lui se ne ricordi?” nel cristianesimo è perfino ovvia:
è un parente, tanto da rendere opportuno e desiderabile agire per riscattarlo (“redenzione”) come quando si riscatta un parente fatto schiavo dai pirati.

La parola “salvezza” è strettamente legata all’ascensione come fresco e univoco desiderio e giudizio di Gesù.

Discorsivamente cioè praticamente ciò ha tutte le conseguenze in identità e differenza.

Milano, 29 ottobre 2011