Testimoni di un'Alleanza
Se infedeli sono tutti..., di Novalis- Autore:
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Se infedeli sono tutti,
sempre a te resto fedele;
perché la gratitudine non sia
spenta mai su questa terra.
Per me ti avvolse il tormento,
svanisti per me nel dolore;
perciò ti dono con gioia
questo mio cuore in eterno.
Devo piangere spesso amare
lacrime per la tua morte;
sono di te dimentichi
molti dei tuoi, da vivi.
Tu che, pervaso da spirito
d'amore, tanto hai compiuto,
sei voce lontana nel tempo
che ormai più nessuno raccoglie.
Stai sempre, colmo di amore
fedele, al fianco di ognuno;
e se nessuno al tuo invito
risponde, tu resti fedele;
lo avvertono tutti, alla fine,
che vince l'amore costante,
e ai tuoi ginocchi come fanciulli
si stringono, piangendo amaramente.
Palpitare in me ti ho sentito,
oh non lasciarmi più solo;
lascia ch'io resti nell'intimo
con te congiunto in eterno.
Anche i miei fratelli al cielo
tornano ad alzare lo sguardo,
e naufragando in te per amore
si abbandonano sul tuo cuore.
(Novalis)
"Eternità vivente in sé sta Dio: Amor di Padre Amante e Figlio Amato: si bea" scriveva Rebora dando una splendida definizione della SS.ma Trinità. Ma la Trinità non si chiude in Sé e Dio chiama l'uomo ad un'alleanza sponsale con Lui: "Invita a nozze l'umanità" dice sempre Rebora, anche se il cuore dell'uomo è intriso di "sozze lusinghe, e muor, si perde". Ecco perché, affinché l'uomo possa essere degno di presentarsi "all'invito a nozze", "urge al creato Cristo, mistero di bontà".
Ed è proprio a Lui, a Cristo, che il testo di Novalis da noi scelto, si rivolge, quasi come una lunga ed accorata preghiera di lode e ringraziamento, poiché anche "se nessuno al tuo invito risponde - dice il poeta a Cristo - tu resti fedele" e "lo avvertono tutti" che "alla fine, … vince l'amore costante".
Alcune note biografiche di questo autore possono aiutarci nella comprensione del testo.
Novalis è lo pseudonimo di Georg Philip Friedrich Von Hardenberg.
Due cose, principalmente, influirono su tutta la sua vita e la sua opera: l'essere di salute precaria (ciò lo portò a vivere sempre con "lo spettro della morte" addosso) e l'educazione religiosa ricevuta (improntata ad un severo pietismo).
Oltre a questo, un lutto gravò presto la sua anima influendo su gran parte della sua produzione: la morte di Sofhie Van Kuhn, la sua fidanzata (morì all'età di quindici anni di tisi) di cui Novalis era profondamente innamorato (parlando di lei e dell'occasione in cui la conobbe e se ne invaghì perdutamente dirà: "Furono quindici minuti che cambiarono la mia vita"). La morte di Sophie lasciò, come dicevamo, nell'animo del poeta una ferita profonda che non si rimarginerà mai completamente. Per reagire a questa prostrazione interiore cercò rifugio nella letteratura e nella filosofia e si dedicò così intensamente agli studi, da divenire il maggior esponente del romanticismo tedesco.
È proprio sulla scia degli studi romantici affiancati da un profondo sentire religioso che, dopo la morte di Sophie, il rapporto affettivo con lei si evolve e si trasforma nello stilnovistico rapporto con la donna angelicata: Sophie diviene così la sua "Beatrice, colei che lo introduce alla "scuola di Amore" facendo del poeta un "fedele d'Amore", secondo un cammino progressivo articolato in quattro "tappe" che il poeta è chiamato a compiere seguendo il "maestro interiore" che è Cristo.
Elaborò, inoltre, una sua "filosofia" caratterizzata da un idealismo magico: egli considerava la produzione inconscia dell'io la vera "magia" (opposta al realismo magico del naturalismo e dell'occultismo).
Per lui la poesia è il reale (poesia nel senso etimologico di "creazione", dal verbo greco "poies": fare) perché "produce" il reale, la realtà "vera" che è quella prodotta dallo spirito, quella realtà che Novalis considera la "realtà assoluta".
Nell'ambito della sua produzione poetica, all'arduo e acceso intellettualismo degli "Inni della notte" fa riscontro nei "Cantici spirituali" e nei "Canti a Maria" un certo tono popolare, nei quali si esprime uno spirito di devozione fervido e volutamente elementare
Novalis, infatti, pur essendo protestante, aveva un'accentuata affinità con lo spirito del cattolicesimo e una profonda "dedizione" alla Vergine.
Torniamo, allora, alla poesia.
Con questo testo di Novalis, che abbiamo appena letto, compiamo, rispetto all'Ultima Cena presentata nel quadro del Tintoretto un passo in avanti nel tempo: il nostro autore guarda all'Alleanza che Cristo ha stipulato con l'umanità, dopo la consumazione del Sacrificio del Golgota: Novalis è, per così dire,"nostro contemporaneo", guarda, cioè, a Cristo e alla Sua fedeltà all'Alleanza sancita nel Suo Sangue, dal nostro medesimo "punto di vista storico", dal nostro "oggi" di credenti.
Perciò, ciascuno di noi, può ritrovarsi nei versi di questo poeta ottocentesco e fare sue le sue stesse parole per esprimere il proprio desiderio di corrispondere fedelmente alla fedeltà di Cristo.
Ovviamente, come qualcuno potrebbe subito obiettare, la differenza tra la Fedeltà di Dio e la nostra fedeltà di creature è, e resterà sempre, "abissale" ma - come mirabilmente nota S. Bernardo - questo poco importa, poiché anche se "è vero che non potranno mai essere equiparati il Creatore e la creatura; la sorgente infatti dà sempre molto di più di quanto basti all'assetato" e "Sebbene la creatura ami meno, se tuttavia ama con tutta se stessa non le resta nulla da aggiungere" poiché "Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo -Amore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà" (S. Bernardo, Discorso 83).
"Se infedeli sono tutti" dice allora il poeta, esternando il suo desiderio di corrispondere all'amore ricevuto da Cristo e la sua riconoscenza per questo amore sconfinato - "sempre a te resto fedele; perché la gratitudine non sia spenta mai su questa terra".
Infatti, scrive lo stesso Novalis, riconoscendo l'importanza che Cristo riveste nella sua vita: "Senza di te che cosa sarei stato? Destinato a paure e smarrimenti, solo mi sentirei nel vasto mondo. Non amerei più nulla con certezza, sarebbe un cupo baratro il futuro; … e seguirei con caldo pianto il corso selvaggio della vita… Ora che Cristo a me si è rivelato, io con certezza tutto gli appartengo, … La vita diventa un'ora d'amore, d'amore e gioia tutto il mondo parla. …Io rimango, per tutti i suoi mille regali, pieno d'umiltà, suo figlio".
"Per me ti avvolse il tormento, svanisti per me nel dolore; perciò ti dono con gioia questo mio cuore in eterno". Si ha qui, per così dire, un'antitesi tra il "dolore" redentivo di Cristo e la "gioia" che tale redenzione produce nell'animo del poeta credente: a Colui che per lui ha sofferto, Novalis dona con "gioia" il suo cuore "in eterno": il poeta risponde con amore all'Amore di Cristo, suo maestro interiore.
Novalis rammenta di aver "stipulato" questo "sodalizio" con il Signore, fin da bambino e "chiama" la Madre di Dio a testimone di questa "alleanza eterna" che egli, ancora fanciullo, sancì, un giorno ormai lontano nel tempo ma vicinissimo nel cuore e nel ricordo trepido, con il Bimbo divino.
Scrive, infatti, in un suo testo, rivolgendosi alla Vergine, "Spesso sei venuta nei miei sogni tu così bella, tu intima in te. Un piccolo dio ti stava tra le braccia / pietoso complice mi voleva aiutare; … li tuo bImbo mI prese la mano: / era il patto di non perderci nel tempo Tu hai sorriso con tanta dolcezza, / mi hai baciato, oh tempo come nella gioia annegato!"
"Devo piangere spesso amare lacrime per la tua morte" prosegue il testo. Novalis è cosciente di come questo Amore sia rifiutato dai suoi simili; perciò scrive: "sono di te dimentichi molti dei tuoi" e lo sono - sottolinea - "da vivi", quasi a voler rimarcare l'orrore e la tristezza profonda che invade il suo animo di fronte a tanta ingratitudine.
"Tu che, pervaso da spirito d'amore, tanto hai compiuto, sei voce lontana nel tempo che ormai più nessuno raccoglie" constata amareggiato. Eppure, nonostante tanta ingratitudine mostrata dagli uomini, nota il poeta un po' rincuorato ritrovando speranza e fiducia, Cristo sta "sempre, colmo di amore fedele, al fianco di ognuno".
"Lo avvertono tutti, alla fine, che vince l'amore costante" Novalis pensa certo anche alla sua personale esperienza di vita e, ricordando che solo Dio è l'Assoluto, riferendosi alla sua "esperienza di Dio", scriverà: "Tra le mille ore felici che ho trascorso nella vita, una sola in me resta per sempre: quella in cui tra mille dolori io sentii nel profondo del cuore chi per noi morì di passione. Il mio mondo era in frantumi … davanti a me solo angoscia e inganno: la pietra del sepolcro all'improvviso come dall'alto mi fu sollevata, e si dischiuse nell'intimo il cuore". Poi, come a stendere un "velo pudico" su questa sua intima esperienza interiore, soggiunge: "Chi ho visto, e chi alla sua mano mi apparve, non chieda nessuno".
Perciò - esulta il poeta nell'intimo del suo cuore - "Palpitare in me ti ho sentito" e soggiunge "oh non lasciarmi più solo; lascia ch'io resti nell'intimo con te congiunto in eterno".
Ma l'animo di Novalis non si chiude in uno sterile intimismo tra lui e Dio. Si apre ai fratelli, il suo pensiero si volge a loro e da qui scaturiscono gli ultimi versi nel desiderio/certezza che anch'essi facciano l'esperienza trasformante della fedeltà dell'amore di Dio che fa alleanza con ciascuno di noi.
E, allora, "anche i miei fratelli - gioisce il poeta - al cielo tornano ad alzare lo sguardo, e naufragando in te per amore si abbandonano sul tuo cuore".
Concludiamo con le parole stesse di Novalis che, dopo averci ricordato che "Cristo è la stella, Cristo è il sole, egli è la fonte della vita eterna; …ci ama tutti con intimo fervore, e diviene per noi cibo e bevanda" ci esorta dicendoci: "se vuoi rendergli grazie, sii fedele."