Offertorio
di Gabriela Mistral- Autore:
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Fa’ che attraverso ogni stato
- infanzia, vecchiaia, piacere, dolore -
la mia anima atteggi un invariato
e universale gesto d’amore.
Questo testo, composto di sole quattro righe, condensa in sé un’intera “lezione di vita” poiché, in esso, l’autrice mostra di voler fare, di tutta la sua esistenza, un’unica offerta al Padre, “un invariato e universale gesto d’amore”.
Gabriela Mistarl è lo pseudonimo che Lucila Godoy Alcayaga si scelse in omaggio a due grandi autori che amava: Gabriele D’Annunzio e Federico Mistral.
Gabriela nacque a Vicuna in Cile il 7 aprile 1889. Durante la giovinezza visse e lavorò, quale insegnante elementare, nell’ambiente, povero e semplice, dei villaggi rurali della cordigliera andina. Le immagini, maestose ed al tempo materne, delle Ande, oltre alla constatazione della condizione di povertà della sua gente, rimasero impresse indelebilmente nel suo cuore ed influenzarono profondamente il suo sentire poetico.
Letterariamente non aderì mai, direttamente, ad alcuna corrente culturale. La sua formazione, umana e poetica, affonda le sue radici nella Bibbia oltre che nella lettura appassionata di Dante, Isben e, come dicevamo prima, D’Annunzio e Mistral.
Le sue liriche, dunque, nascono quali “fiori spontanei” dalla ricchezza e dalla freschezza del suo animo profondamente sensibile e religioso.
Il suicidio (per motivi d’onore) del fidanzato la segnò intimamente facendole vivere un periodo di profonda prostrazione interiore da cui si riprese solo grazie alla sua fede intensa.
Fu questa tragica esperienza a ispirarle i Sonetos de la muerte nella cui prefazione, consapevole dell’estrema tristezza che caratterizza questi suoi canti, ella stessa scriverà: “Dio mi perdoni questo libro amaro … Rimane sanguinate in questi cento canti un passato doloroso, in cui anche il cantare s’insanguinò per darmi sollievo. Lo lascio addietro nella valle ombrosa e per più clementi pendii salgo alle balze spirituali, donde gran luce cadrà infine sopra i miei giorni … Dio e la vita mi concedano di compiere il voto”.
“Ironia della sorte” o “provvidenza divina”, fu proprio grazie ad essi che la Mistral vinse un concorso e con esso le si aprirono le porte del successo letterario.
Per “meriti letterari” le fu affidata prima una cattedra nel liceo delle Ande e poi la direzione dei licei di Punta Ares e di Santiago.
Su richiesta dell”Istituto de las Espansa, pubblicò il volume Desolacion in cui raccolse tutte le sue poesie. Nel frattempo, lasciato l’insegnamento, aveva intrapreso la carriera diplomatica, senza, per questo, interrompere la sua produzione poetica.
Nel 1945 vinse il Premio Nobel e nel 1951 quello dello stato Cileno. Morì il 10 gennaio 1957 a New York. È considerata, da alcuni critici, “la maggior forza spirituale” dell’America latina.
Fulcro della vita della Mistral furono l’Amore e la Croce di Cristo (contemplata ed amata quale espressione dell’amore supremo che spinse Cristo a morire in croce per noi).
In questo suo “sentire”, “amare” e “vivere” la Croce di Cristo quale “indissolubile compagna” della vita, possiamo veder riflesso, in un certo qual modo, quello che è stato anche l’insegnamento di madre M. Maddalena dell’Incarnazione, la nostra Fondatrice, la quale, invitando le sue figlie (e con esse ogni fedele) a riflettere sull’Essenza stessa della Celebrazione Eucaristica, ci ricorda “che la devozione alla Passione del Signor nostro Gesù Cristo è del tutto unita, a quella che si dee all’adorabile Sagramento dell’ Altare, la di cui venerazione potrebbe alle volte raffreddarsi, se non fosse sostenuta da quella che si ha alla Passione di Cristo Gesù che fa verso il divinissimo Sagramento la nostra divozione più tenera e più soda per la viva compassione che risveglia la memoria di un Dio che muore per noi: la fa maggiormente ardente nella considerazione di quanto ha patito per noi un Dio Salvatore, vieppiù costante e più intima per l’impressione che produce al cuore il riflesso di tali atroci patimenti per mezzo dei quali ha dimostrato Gesù Cristo Signor nostro l’eccesso della sua ardentissima carità, ch’Egli ha avuto verso di noi”.
Questo continuo riferimento all’Amore crocifisso permise, inoltre, alla Mistral, di dilatare il suo cuore alla comprensione di ogni sofferenza umana e alla fraterna condivisione dell’altrui dolore nella consapevolezza che tutto “è misericordia di Dio” poiché, ci ricorda l’autrice, “Chi ti lascia una spina nella mano tremante, ti offre nell’altra un motivo di sorriso” e soggiunge, quasi a rispondere ad “eventuali obiezioni”: “Non dire ch’è un gioco crudele. Tu non sai (nella chimica di Dio), perché è necessaria l’acqua delle lacrime”.
Gabriela sentiva forte in sé il senso della maternità. Non ebbe figli propri ma visse profondamente la maternità spirituale. Intense e bellissime sono le liriche che ella dedica a questo tema e, identificandosi ora nella figura della madre, ora in quella del figlio, esprime mirabilmente il “Mistero della vita” che supera il semplice piano dell’umano e apre al trascendente. Scrive, ad esempio, “Per il bambino che porto dormente, il mio passo s’è fatto riguardoso, il cuore mi s’è fatto pio, da quando sostiene il mistero”.
La nostra poetessa, attraverso la completa dedizione ai fanciulli nell’ambito della sua opera di educatrice, fa, dunque, di tutta la sua esistenza, un’unica offerta di sé al Padre. Si affida a Lui. Prendendo “a prestito” alcuni versi di un testo di Claudel, potremmo dire che ella “sta in piedi dinanzi a Dio e gli offre la sua anima perché la legga. Non c’è nulla nel suo cuore che rifiuti o che ritiri”. Certo, nell’applicarle a Gabriela, è necessario fare i “dovuti distinguo”, in quanto Claudel attribuì queste parole alla Vergine, a colei che è, come direbbe Dante, “umile e alta più che creatura”; ma, dopotutto, una simile attribuzione, non è nemmeno “fuori luogo”, dato che ciascuno di noi è chiamato a porsi alla scuola di Maria e, nell’Offertorio della Liturgia Eucaristica, ad offrire come Lei tutto se stesso. Così ci ammonisce anche Madre Maddalena quando dice: “All’offertorio Si offrirà per le mani del Sacerdote nell’offerire ch’egli fa, le due specie di pane e di vino, chiedendo a Dio la grazia che nel suo cuore non ci sia che Lui, per esser vittima degna di presentarglisi con Gesù Cristo suo Figliuolo come membro unito al suo corpo”.
La Messa, infatti, come sottolinea Madre M. Maddalena, è la rinnovazione incruenta del Sacrificio del Golgota. “In quello si sagrificò Egli senza di noi a nostra Redenzione; ma in questo sopra l’Altare vuole che anche noi ci offriamo in sagrificio per Lui, e a Lui a gloria dell’Eterno suo Padre, affinché essendo sue membra facciamo insieme con Lui nostro capo un medesimo corpo, ed una medesima vittima formando così un Sagrificio completo, per mezzo del quale non solo siamo giustificati, ma diventiamo altresì grati: a Sua Divina Maestà, in virtù di questa ineffabile Unione, che si contrae con Gesù medesimo Autore di: ogni Santità, ed oggetto delle divine compiacenze”.
Offrendoci, dunque, in unione a Cristo, veniamo non solo giustificati ma diveniamo, altresì graditi a Dio poiché, continua la Madre, unendoci al Sacrificio di Cristo, giungiamo a “fare con Lui un’ istesso corpo, una medesima vittima, e un sol Sagrificio. In questa guisa veniamo noi stessi a partecipare dei suoi meriti, della dignità della sua divina Persona, e delle ammirabili compiacenze di Dio suo Padre verso:di Lui”.
Risuona, qui, l’eco delle parole di Origene che così si esprime: “… Mostro che l’Alleanza di Dio è nella mia carne se posso dire, come dice Paolo, che “sono crocifisso con Cristo; infatti non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me” … Il Signore ci accordi di credere con il cuore, di confessare con la bocca e di confermare con le opere che l’Alleanza di Dio è nella nostra carne affinché gli uomini, vedendo le nostre opere buone, diano gloria al Padre nostro che è nei cieli in Gesù Cristo nostro Signore, al quale è gloria nei secoli dei secoli. Amen”.
All’Offertorio siamo così chiamati non solo a “guardare a Gesù” che, sull’altare, si offre quale “Vittima Santa e santificante”, ma altresì a divenire “uno con Lui”, offrendoci anche noi al Padre fino a giungere a poter dire con S. Paolo, “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Solo così Cristo, agendo in noi, potrà far sì “che attraverso ogni stato - infanzia, vecchiaia, piacere, dolore – l’anima atteggi un invariato e universale gesto d’amore”.
Per poter riuscire in questo, però, come ci suggerisce ancora Madre M. Maddalena, dobbiamo costantemente chiedere l’aiuto del Signore ed invocarlo: “O Gesù amabilissimo, avvalora la mia fede, infiamma il mio cuore, così che io possa fare degnamente ciò che tu vuoi da me”.
“Per tutte queste ragioni”, scrive Madre M. Maddalena nel suo Atto di imitazione, “Tu sei, Gesù nostro, il modello perfetto su cui dobbiamo regolare tutta la nostra condotta” e prosegue, poi, “Perciò, per quanto ci è possibile, ecco che ci dedichiamo e ci sottomettiamo fin da questo momento alla tua imitazione, amabilissimo nostro Salvatore”. Cosciente però, come dicevamo poc’anzi, che “noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2 Cor 4,7) soggiunge: “Ma, nostro incomparabile Salvatore, noi attendiamo molta costanza e molta fermezza unicamente dalla tua grazia, che ci hai meritata e che ci applicherai per mezzo del tuo Sacramento”.
E così, la nostra poetessa, dopo aver fatto di tutta la sua vita un’unica oblazione a Dio, può serenamente rivolgersi al Signore e pregarlo: “Ed ora Cristo abbassami le palpebre, / metti la brina sulla mia bocca: / che invano scorrono tutte le ore, / e furon dette tutte le parole” poiché “gli altrui figli educai, colmo il granaio / feci di grani divini. / Or solo da Te spero, / Padre nostro che sei nei cieli: prendi / la testa mendica, se stanotte la morte mi prende”.
Ma anche la morte, dopo una vita vissuta nella fede, condotta nella totale offerta di sé a Dio e nella dedizione ai fratelli, non è, per Gabriela come per noi, l’ultima parola.
“Non credo - scrive infatti la poetessa rivolgendosi al Signore - di svanire al di là della morte. Perché mi avresti allora riempita di plasma, … perché ogni mattina irraggeresti la luce sul mio viso e sul mio cuore, se non fosse per raccogliermi come si raccoglie il racimolo moro, che il sole di mezz’autunno ha dolcificato come il miele? Né diaccia né disamorata è la morte. Ma è un ardore, un tremendo ardore che secca e trita le carni, per strappar l’anima a tutte le sue pene”. Il “nostro granello di grano” viene così, attraverso una quotidiana morte a noi stessi per una continua conformazione a Cristo, tritato per divenire pane spezzato esalante il buon profumo di Cristo.
Perciò “La vita – per la Mistral - è oro e dolcezza di grano; / l’odio è breve, e immenso l’amore” e anche nelle difficoltà inevitabili che la vita presenta, l’autrice dice: “E ora non solo comprendo chi prega, / ma intendo anche chi prende a cantare”.