L'Incoronazione di Maria, Regina del cielo e della terra
Canti a Maria, di Herman Hesse- Autore:
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Non sgridarmi! Non so pregare,
voglio solo, passando innanzi,
salire i tuoi gradini
e vedere i tuoi occhi.
C'e un puro splendore
sulla tua fronte, che mi colma di gioia:
l'ho così spesso adornata di corone
nel tempo della mia fanciullezza.
Senza ornamento e splendore di perle
lasciami deporre sui gradini,
muto implorando la tua benedizione,
l'appassita corona della mia giovinezza.
Lotte, strade, ferite innumeri,
non gustate aspre vittorie
di guerre combattute senza gloria
trovano stanche ora la meta.
Variopinte voglie color della gioia
fan cadere spossate braccia,
il loro riso e alla fine,
e spenta la rossa fiamma.
Morenti, pallide, febbrili
vogliono, dimentiche del mondo,
stanche su duri gradini premere
la sfiorita amorosa bocca.
Il mio sguardo non può il tuo incontrare,
la mia anima, che tanto ha sofferto,
più non può chinata la tua supplicare:
voglia la perduta sorella benedire!
Sommessamente ora nell'intimità più profonda
Essa vuole ricordare silenziosa e dolente
i sororali tempi che furono,
le beatitudini volte in vergogna.
Il poeta "torna", forse dopo "lunga assenza", alla presenza di Maria. È un ritorno calmo, sereno, come l'incontro con una Madre che sempre accoglie i suoi figli. Ciò nonostante, un lieve imbarazzo sembra aleggiare intorno a questo incontro: il cuore del poeta è dinnanzi a quello della Madre e, nel suo animo, un mal celato pudore affiora nonostante l'apparente "disinvoltura" dell'"incipit".
Il modo con il quale, all'inizio di questa poesia, il poeta si rivolge alla Vergine appare, infatti, ma solo a prima vista, un po' "scanzonato", quasi irriverente: "Non sgridarmi" dice, ma poi aggiunge, quasi a mo' di scusa, "non so pregare".
Sembra quasi di vederlo: lì, in piedi, ormai uomo maturo, dinnanzi alla statua della Madonna, forse un po' impacciato, data la non "dimestichezza" con l'argomento "fede", probabilmente rimasta per lui un "ricordo d'infanzia".
Eppure è lì, a ritrovare la sua fanciullezza perduta, la sua puerile innocenza, quella fede infantile che l'aveva così spesso colmato di quell'intima gioia che, poi, una volta cresciuto, le varie vicende della vita non erano più state in grado d'offrirgli. L'autore si rivolge alla Vergine, come sa, come ricorda, … e quanta fede, quanto sentimento autentico e filiale fiducia dimostra nelle sue parole!
Il poeta guarda al simulacro della Madonna: ne contempla la figura e nel suo cuore, rasserenato, va col pensiero ai ricordi della sua fanciullezza, tempo in cui egli ha "così spesso adornata di corone" la fronte della statua della Vergine.
Egli confida pienamente nella materna comprensione di Maria poiché sa, come diceva Bernanos, che "Lo sguardo della Vergine è il solo veramente infantile, il solo vero sguardo di bambino che mai si sia posato sulla nostra vergogna e la nostra miseria" e che "per pregarla bene è necessario sentirsi addosso questo sguardo che non è affatto di indulgenza - perché non c'è indulgenza senza una qualche esperienza amara - ma è sguardo di compassione affettuosa, di stupore doloroso, non so di quale altro inconcepibile, indicibile sentimento che la rende più giovane del peccato, più giovane della razza dalla quale discende e benché Madre in virtù della grazia, Madre delle grazie, figlia cadetta del genere umano".
Dolcissimo, quindi, risulta quel "non sgridarmi" che ben esprime un certo qual timore fanciullesco di essere "maternamente ripreso", a causa della "lunga assenza", dalla Madre celeste.
Ma l'affetto è più forte del timore: "voglio - spiega infatti l'autore alla Madonna - vedere i tuoi occhi". È la ricerca di un amore puro, che rasserena l'animo e avvolge di quiete ogni moto interiore, colmando il cuore di una gioia profonda. È il desiderio di ritrovare quel rapporto interiore che, tra lui e la Vergine, si era instaurato nell'infanzia e che, anche a distanza di molti anni, sebbene assopito, non si è estinto e riemerge ora, dopo,"Lotte, strade, ferite innumeri, non gustate aspre vittorie" e "variopinte voglie color della gioia" che qui, ai piedi della Vergine, "trovano stanche ora la meta".
"C'e un puro splendore sulla tua fronte, - dice Hesse alla Vergine, quasi a mo' di affettuoso complimento - che mi colma di gioia". È la gioia serena che affiora al ricordo dell'innocenza puerile ormai smarrita ma non ancora del tutto perduta.
"La tua fronte… l'ho cosi spesso adornata di corone nel tempo della mia fanciullezza" rammenta, infatti, l'autore, guardando al volto della Vergine che, egli, intimamente, vede circonfuso di "un puro splendore". Le corone, con le quali il poeta fanciullo ornava il capo della Madonna erano, con tutta probabilità, corone di fiori; fiori campestri, magari, di quelli che così spesso, i bambini, spinti da un affetto spontaneo verso la Mamma Celeste, raccolgono per lei e che ben si prestano a simboleggiare le Virtù e la Grazia che hanno caratterizzato tutta la vita della Vergine e che, ora, nello splendore del Paradiso, la adornano come "magnifica corona".
"Curvano vago serto in sul bel crine / le stelle a te, che son del cielo i fiori, - diceva Giuseppe Battista (poeta del XVII sec) - ed alla tua beltà, ch'avviva i cori, / servaggio fan le gerarchie divine …"
Inoltre, Maria, è "incoronata" poiché, assunta nella gloria, ella è stata costituita "Regina del cielo e della terra".
"È certo - come ricorda Pio XII nell'Enciclica "Ad Coeli Regina" - che in senso pieno, proprio e assoluto, soltanto Gesù Cristo, Dio e uomo, è re; tuttavia, anche Maria, sia come Madre di Cristo Dio, sia come socia nell'opera del divin Redentore… ne partecipa la dignità regale, sia pure in maniera limitata e analogica. Infatti, da questa unione con Cristo re deriva a lei tale splendida sublimità, da superare l'eccellenza di tutte le cose create,… nasce quella regale potenza, per cui ella può dispensare i tesori del regno del divin Redentore,… ha origine l'inesauribile efficacia della sua materna intercessione presso il Figlio e presso il Padre… Godano dunque tutti i fedeli cristiani di sottomettersi all'impero della vergine Madre di Dio, la quale, mentre dispone di un potere regale, arde di materno amore", infatti, "avendo per noi un affetto materno e assumendo gli interessi della nostra salvezza, ella estende a tutto il genere umano la sua sollecitudine".
"Il titolo di Regina - commenta Giovanni Paolo II - non sostituisce certo quello di Madre: la sua regalità rimane un corollario della sua peculiare missione materna, ed esprime semplicemente il potere che le è stato conferito per svolgere tale missione."
Maria, dunque, sebbene sia stata assunta in cielo e sia divenuta regina, non solo non ha abbandonato l'umanità, ma, proprio in virtù della sua maggior vicinanza a Dio, si fa ancor più prossima agli uomini. "Assunta alla gloria celeste - ci ricorda il Santo Padre - Maria si dedica totalmente all'opera della salvezza per comunicare ad ogni vivente la felicità che le è stata concessa. È una Regina che dà tutto ciò che possiede, partecipando soprattutto la vita e l'amore di Cristo".
Hesse, infatti, dopo aver "chiarito" il motivo che lo aveva spinto a recarsi presso di Lei, presenta a Maria, passandoli quasi in rassegna, i suoi anni passati, trascorsi, appunto, tra "Lotte, strade, ferite innumeri" e "non gustate aspre vittorie di guerre combattute senza gloria".
"Che desolazione", sembra quasi tacitamente ammettere Hesse, guardando al fatuo luccichio delle "Variopinte voglie color della gioia" che l'avevano abbagliato negli anni giovanili e che ora - dice il poeta con un velo di tristezza nella voce e, soprattutto, nel cuore - al ripensarci, "fan cadere spossate braccia".
L'analisi dell'autore non si ferma però qui, all'amara constatazione del giovanile inganno, ma prosegue, aperto alla speranza e alla fiducia nella materna comprensione di Maria ed è così che, anche quest'insieme di esperienze deludenti, "trovano stanche ora la meta" e, ai piedi della Vergine, trovano il loro "recupero" e "redenzione" poiché, "dimentiche del mondo" desiderano solo ", stanche su duri gradini premere la sfiorita amorosa bocca".
Quale differenza - ammette lo stesso poeta - tra la splendida corona della Grazia di Maria e le "variopinte voglie color della gioia" che hanno costellato l'ormai "appassita corona della" sua "giovinezza".
Il contrasto è tale che il poeta, conscio di ciò, preso da un momentaneo scoraggiamento, esclama: "il mio sguardo non può il tuo incontrare, la mia anima… più non può la tua supplicare".
Ma, subito dopo, consapevole che la sua miseria è ampiamente superata dall'infinito amore materno della Vergine, timidamente avanza una preghiera: "voglia la perduta sorella benedire!" con l'intima certezza che la sua richiesta sarà esaudita.
È così che l'anima del poeta, "Sommessamente ora nell'intimità più profonda" può "ricordare silenziosa e dolente i sororali tempi che furono", quando, tra lui e la Madonna, il rapporto era vivo, fervente e spontaneo.
Ma anche adesso, il ricordo delle passate "beatitudini volte in vergogna" non si tramuta in disperazione, né in rassegnato abbandono di ogni speranza. Esso è, sì, una dolente constatazione, ma è anche una nostalgica rievocazione del "bel tempo che fu" accompagnata e sorretta dal desiderio profondo di tornare alla passata familiarità con la Madre di Dio e attraverso di essa, forse anche alla vita di fede completa.
Quella del poeta è, per così dire, l'ansia di colui che anela alla gioia paradisiaca alla quale sa di poter giungere solo con l'ausilio della Vergine Madre.
M. Maddalena de Pazzi sosteneva che senza Maria "non vi sarebbe stato paradiso, … non vi sarebbe stato il cielo glorioso, perché tanti posti sarebbero rimasti vuoti. Maria è tutto Dio, perché essendo in lei una persona della santissima Trinità, di conseguenza vi erano anche le altre… E Maria vorrebbe che fosse in noi tutto quello che è in lei, tutto Dio per unione - chi aderisce a Dio è un solo spirito con lui - tutto il paradiso". "Nella bellezza dei tuoi occhi - diceva rivolta alla Vergine - si è compiaciuto tutto il paradiso, si è curvato il trono della Santissima Trinità… Sì, Maria, tu sei quella porta per la quale noi siamo introdotti nella patria celeste e per la quale Dio è disceso in terra."
Terminiamo, allora, con una preghiera di Giacomo di Milano: "Salve, o Regina, voglio militare sotto di te, mi consegno totalmente in tuo potere perché tu in tutto mi guidi e mi governi. Non mi lasciare a me stesso perché sono fin troppo consapevole di ciò che sono. Qualunque cosa sarà lasciata a me stesso sappi che sarà miseramente distrutta. …Davvero, Signora, sei regina di misericordia, perché non vi è in questa vita uno che sia così disperato, così misero che non attiri su di se la tua misericordia salutare, se si rifugia sotto la tua protezione. Davvero, Signora, quando guardo a te, non vedo se non misericordia e, infatti, sei diventata Madre di Dio per i miseri. Sei cinta di misericordia da ogni lato e sembra che tu non desideri altro che compatire. Sei molto compassionevole con i miseri, li hai adottati quali tuoi figli, hai voluto guidarli e perciò sei giustamente chiamata "Regina di misericordia".
(Figura 1: L'Incoronazione di Maria, Beato Angelico, Firenze)