L'Ascensione di Gesù al Cielo

Curriculum Vitae, di Clemente Rebora
Autore:
Peraboni, sr. Maristella
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
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Mentre il creato ascende in Cristo al Padre,
nell'arcana sorte
tutto è doglia del parto:
quanto morir perché la vita nasca!
pur da una Madre sola, che è divina,
alla luce si vien felicemente:
vita che l'amore produce in pianto,
e, se anela, quaggiù è poesia;
ma santità soltanto compie il canto.

(Clemente Rebora)

Questa poesia, che ad una prima "lettura veloce" può forse sembrare quasi "ermetica", racchiude in sé tutta la spiritualità e la vicenda interiore del poeta.
Il testo fa parte della raccolta Curriculum Vitae in cui Rebora, ormai vecchio, stese, in forma poetica, quella che, a buon diritto, può considerarsi la sua autobiografia.
Tutta la lirica esprime "tensione" verso un "oltre". In essa, tutto è proteso verso Dio: dall'ascensione di Cristo (e in Lui quella dell'intero il creato) alla vita sulla terra, ogni cosa è descritta nel suo tendere al cielo.
Per comprendere, e gustare appieno, questa composizione, prima di passare in rassegna le varie espressioni testuali, è, però, opportuno richiamare alla mente alcuni cenni biografici dell'autore e alcune "note", riguardanti la sua spiritualità e la sua concezione poetica.
È innanzitutto da ricordare che Rebora nasce in una famiglia totalmente laica e cresce educato dal padre, fervente garibaldino, alla scuola degli ideali mazziniani e progressisti.
Dopo gli studi letterari si dedica con passione all'insegnamento, da lui considerato e vissuto come mezzo di formazione integrale della persona e "fucina" per creare uomini integri, capaci di cambiare in meglio la società in cui vivono.
Sempre in quegli anni inizia la sua collaborazione alla rivista letteraria "La Voce" dove, nel 1913, pubblica la sua prima raccolta poetica "Frammenti Lirici" riscotendo subito un rilevante successo letterario.
Nei suoi versi, il poeta riversa tutta la sua ansia interiore, la sua costante ricerca del senso e della verità dell'esistenza. Egli stesso si considerava "un Diogene senza lanterna". Egli era, come ebbe a definirlo Cigala, "il cercatore di infinito nella profondità delle cose e dell'uomo".
Per Elio Gioanola, tra gli autori che facevano capo alla rivista "La Voce" e che "testimoniano in versi il tormento profondo dell'uomo alienato ed esposto alle angosce delle estreme domande esistenziali, Rebora è colui che più di tutti ha trasfuso in poesia esistenzialità e moralità, disperazione e speranza, rifiuto dell'esistenza e ansia di assoluto, fino a costruire il più autentico monumento di poetica espressionistica della nostra letteratura novecentesca."
Rebora concepisce l'arte come testimonianza nuda, autentica, magari polemica, sempre carica di tensione morale ed esistenziale e la sua "poesia, - dice Gioanola - appare lacerata da un'inquietudine profonda… Egli ha intuito la sproporzione tra il comune operare umano e l'ansia delle domande sul senso dell'essere e dell'esistere".
Ben presto, la sua fama poetica ed il suo ardente impegno sociale fanno di lui uno stimato conferenziere e un e ricercatissimo "ospite" dei migliori salotti della "Milano bene".
Allo scoppio della Guerra vi partecipa, come di ufficiale, sul fronte del Carso.
Alla fine del conflitto mondiale torna all'insegnamento, scegliendo di dedicarsi agli studenti delle serali, dove esplica ampiamente la sua opera di promozione sociale ed umana. Vive, nel contempo, una vita austera e, "l'ignoto Battesimo operando", si sente sempre più attratto dalla religione. Questo lo si nota chiaramente nella sua opera poetica: sia "Canti anonimi" sia ne "I sedici libretti di vita" (in cui divulga opere di mistica orientale ed occidentale).
Decisive per la sua conversione alla fede cattolica sono le figure del Card. Schuster (da cui riceverà il Sacramento della Cresima) e di Rosmini (di cui abbraccerà il carisma nella mistica prospettiva di "patire e morire oscuramente scomparendo polverizzato nell'amore di Dio").
Il tema dell'amore è "l'asse portante" di tutta la vicenda reboriana. Amore che, prima della conversione, assumeva i toni dell'umanitarismo laico e dell'affetto fraterno verso gli amici, e che, dopo l'incontro con Dio, l'Amore vero, divenne un sentimento profondo di amore a Dio e di ardente carità verso i fratelli, oltre che strumento eccelso di conoscenza della verità e mezzo sicuro per giungere alla vera Sapienza.
Nel 1931 entra nell'istituto rosminiano di Domodossola dove nel '33 emette la Professione religiosa e nel 36 viene ordinato Sacerdote. Fu qui, nella vita sacerdotale vissuta all'interno del carisma rosminiano, che, dopo una vita vissuta all'insegna della ricerca del vero, come disse di sé lo stesso Rebora nel suo Curriculum Vitae, "dalla perfetta Regola ordinato, l'ossa slogate trovaron lor posto" e l'animo del poeta trovò, in fine, la sua pace e la pienezza.

Passiamo, ora, all'analisi di quanto il poeta, attraverso i suoi versi, ci comunica.
"Mentre il creato ascende in Cristo al Padre". È profondo questo "incipit" del testo reboriano. L'autore sottolinea, qui, che, "in Cristo", è tutto "il creato" che "ascende al Padre"; è la creazione stessa che, risorta con Cristo, entra nella nuova vita; è la Chiesa intera che, unita a Cristo, suo capo, ritorna alla vita di comunione con Dio.
Rebora vede oltre l'umana apparenza, guarda al trascendente, ponendosi dal punto di vista dell'eternità di Dio dove tutto è "presente", in uno spazio "a - temporale" in cui "alfa" e "omega" si intersecano e si fondono nell'unico "oggi" di Dio.
Ma il poeta, contemporaneamente, dopo questa apertura vissuta nel respiro di Dio, non dimentica "l'hic et nunc" della storia, non tralascia di guardare alla Chiesa che, ancora militante su questa terra, "nell'arcana sorte", vive la sua quotidianità temporale, dove ancora "tutto è doglia del parto", dove l'umanità, seppure anelante e protesa a Dio, cammina ancora in questa "valle di lacrime", conscia di "quanto morir" sia necessario "perché la vita - quella vera - nasca"
"Nell'arcana sorte tutto è doglia del parto", scrive il poeta. Si legge in controluce il carisma rosminiano abbracciato da Rebora: "perdersi per ritrovarsi", morire a sé per rinascere nell'amore. È per questo che egli esclama: "quanto morir perché la vita nasca!"… "vita che l'amore produce in pianto".
Nell'espressione "vita che l'amore produce in pianto" si può leggervi anche un risvolto squisitamente umano. Ciascuno di noi, infatti, affacciandosi all'esistenza, ha iniziato la sua "vicenda umana" …con un bel pianto: lo strillo del primo respiro che, immettendo aria nei nostri polmoni, ci ha immessi nella vita dell'umana società.
Così è, sembra suggerire Rebora, anche per la vita divina: non si arriva a Dio se non attraverso l'umana sofferenza che, vissuta nell'ottica della fede, altro non è che "doglia del parto".
Tutto è "segno", "analogia" che rimanda ad un oltre, che "tende a", o meglio, "ad-tende".
Questo tema era anche presente, anzi ne è la stessa chiave di lettura, della stupenda poesia-capolavoro "L'immagine tesa" che Rebora scrisse nel 1920, alle soglie della sua conversione al cattolicesimo. In essa, il poeta così si esprimeva: "Dell'immagine tesa / vigilo l'istante / con imminenza di attesa - / e non aspetto nessuno /nell'ombra accesa / spio il campanello / che impercettibile spande / un polline di suono - / e non aspetto nessuno: … / ma deve venire: / verrà se resisto,… / verrà forse già viene / il suo bisbiglio". "L'immagine tesa" spiegherà lo stesso Rebora, ormai vecchio è la persona del poeta stesso "assunta nell'espressione del viso proteso non solo verso un annunzio a lungo sospirato, ma forse (confusamente) verso il Dulcis Hospes Animae". "La voce di Dio - commenta Rebora - è sottile, quasi inavvertibile, è appena un ronzio. Se ci si abitua, si riesce a sentirla dappertutto".
Ma a questa vita "rinnovata", nota il poeta, "alla luce si vien felicemente" solo se si è accompagnati e sorretti "da una Madre sola, che è divina": Maria.
Non si può, infatti, parlare di Chiesa, e, di conseguenza, di un'autentica vita cristiana, di cui la Chiesa è Madre e Maestra, senza far riferimento alla Vergine Santa.
"Gli Atti degli Apostoli, - come magistralmente evidenzia il S. Padre - sottolineano che Maria si trovava nel cenacolo "con i fratelli di Gesù" (Atti l, 14),… Nella medesima circostanza Luca qualifica esplicitamente Maria come "la Madre di Gesù" (Atti l, 14) quasi a voler suggerire che qualcosa della presenza del Figlio asceso al cielo rimane nella presenza della madre. Ella ricorda ai discepoli il volto di Gesù ed è, con la sua presenza in mezzo alla comunità, il segno della fedeltà della Chiesa a Cristo Signore… Il titolo di "Madre", in questo contesto, annuncia l'atteggiamento di premurosa vicinanza con cui la Vergine seguirà la vita della Chiesa... Sin dall'inizio Maria esercita il suo ruolo di "Madre della Chiesa": Maria esercita, infine, la sua maternità verso la comunità dei credenti… educando, altresì, i discepoli del Signore alla costante comunione con Dio. Da queste brevi considerazioni emerge chiaramente come il rapporto tra Maria e la Chiesa costituisca un confronto affascinante tra due madri. Esso ci rivela chiaramente la missione materna di Maria e impegna la Chiesa a cercare sempre la sua vera identità nella contemplazione del volto della Theotokos."
Rebora, perciò, guardando alla Vergine Madre, non dimentica, ma anzi evidenzia, che è lei "la porta del cielo", è lei che, con il formarsi nel suo seno della vita umana di Gesù, ha donato a noi la possibilità di accedere alla vita divina che il peccato ci aveva precluso. Perciò Maria ci "ri-genera" e continuamente ci introduce nella vita eterna della Chiesa, corpo mistico del suo divin Figlio.
Anche S. Roberto Bellarmino ci ricorda che "Tutti i doni, tutte le grazie, tutti gli influssi celesti vengono da Cristo come dal capo e giungono al corpo della Chiesa attraverso Maria come attraverso il collo… Nel corpo non vi è che una sola testa e un solo collo. Così nella Chiesa… non vi è che un solo Figlio di dio e una sola Madre di Dio… Maria, è vicinissima alla testa; il suo compito è quello di congiungere il corpo alla testa".
"E se anela, quaggiù è poesia". "Se anela…"
dice il poeta. Tutta la vita di Rebora è stato un "anelare", un "tendere verso quell'oltre che scoprì, poi, essere Dio, e nel Quale soltanto la sua insopprimibile ansia di ricerca trovò la pace, poiché, come dice S. Agostino, il cuore dell'uomo è inquieto finché non riposa in Dio".
Rebora in Curriculum vitae, riguardando al periodo della sua giovinezza, anteriore alla scoperta della Fede, scrive di sé: "ammiccando l'enigma del finito sgranavo gli occhi a ogni guizzo; fuori scapigliato come uno scugnizzo, dentro gemevo senza Cristo" e aggiungeva: "un lutto orlava ogni mio gioire". "Immaginando m'esaltavo in fama / di musico e poeta e grande saggio: / e quale scoramento ne seguiva" poiché "Saggezza d'ogni stirpe affastellavo / a eluder la sapienza". Infatti, per dirla con Rebora, l'uomo resta "spatriato quaggiù, lassù escluso" se il suo cammino non incontra Dio.
Se ci si ferma a questa vita, l'uomo, resta solo con il suo "gemito interiore", un insopprimibile anelito all'infinito che è, come diceva S. Tommaso "desiderio di un bene assente" e "qualunque cosa tu dica o faccia - scrive Rebora - c'è un grido dentro: / non è per questo, non è per questo! / E così tutto rimanda / a una segreta domanda… / Nell'imminenza di Dio / la vita fa man bassa / sulle riserve caduche, / mentre ciascuno si afferra / a un suo bene che gli grida: addio!" poiché Rebora "quando l'anima non trova il punto di consistenza interiore, vaga verso soddisfazioni esteriori, che restano vane, perché non corrispondono mai alla vera realtà interiore".
Con questo testo il poeta ci ricorda, quindi, che l'anelare dell'uomo, se rimane nella sfera umana, non giunge alla sua pienezza, e "resta poesia", la quale, anche se è vertice, cui le umane capacità possono arrivare, non riesce a saziare l'uomo nel suo desiderio più intimo e l'animo, di conseguenza, non resta totalmente appagato e la gioia, procurata dalla conquista dell'umano sapere, resta effimera e caduca.
Questo ben lo sapeva il nostro autore che, nonostante la fortuna letteraria riscossa fin al suo esordio sulla rivista La Voce, con la raccolta Frammenti Lirici, nonostante fosse uno stimato e ricercato conferenziere, nonostante… finché non approdò all'incontro con Dio, rimase, come ebbe a definirlo Ungaretti, "uno spirito mobilissimo e tormentato".
Rebora è cosciente, e desidera rendere coscienti di ciò anche gli altri uomini, che solo l'apertura al divino, solo la concreta sequela della fede, conduce al possesso della verità e alla vera felicità: la "santità soltanto - insegna Rebora - compie il canto" della vita.

(Figura 1: Giotto, Ascensione, Padova, Cappella degli Scrovegni)