Epiclesi sulle Offerte e sulla Chiesa

L'acqua di Cana, di Vjaceslav Ivanovic Ivanov (1866-1949)
Autore:
Peraboni, sr. Maristella
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Non allietava il convito di nozze
i commensali – l'anfore eran vuote –
quando l'Ospite entrando, cenno fece
a che fossero d'acqua empiti gli orci

Impresso m'hai, Lucifero il suggello
Del pentagramma ardente nella carne,
d'un passionale corpo hai rivestito
la mia croce di prima, arca del Sole

La cera del suggello, il Sole ha fuso!
Cinque rose s'apriron, cinque piaghe
Stillano sangue… A quelle nozze, tutti
Lo Sposo abbeverò d'acqua di Cana!

Vjaceslav Ivanovic Ivanov (1866–1949)

Ivanov (di cui riportiamo, "in appendice" alcune note biografiche, troppo lunghe per essere integrate nel testo ma necessarie se si vuol mettere in luce la poliedrica figura di questo autore e, così, capirne meglio la poetica), è il più importante teorico del simbolismo russo. Visse a lungo anche in Italia: a Pavia, dove ebbe la cattedra universitaria di letteratura russa e a Roma, dove morì nel 1949.
Ivanov esercitò un ruolo di primissimo piano nell'ambito della cosiddetta "rinascita filosofico-religiosa" del primo Novecento russo: la sua riflessione, sia in ambito artistico che filosofico, influenzò, infatti, l'ambito di tutta la cultura Russia del primo ventennio del secolo.
Uno dei nodi concettuali che più travagliarono il dibattito interno al movimento simbolista, era il problema dello "statuto dell'arte". La domanda di fondo su cui ci si interrogava, era se l'arte sia solamente "arte" - ovvero una delle varie espressioni artistiche dell'animo umano, senza però alcun rimando a un "oltre" - oppure se essa rimandi a qualcosa di più, ad una dimensione che vada "oltre" quella artistica e le permetta (e con essa permetta anche alla corrente simbolista che se ne faceva portavoce), di assurgere ad una specie di "meta-concezione" del mondo (fino a svincolarsi dallo stesso contesto storico in cui nasce). Questo nodo cruciale - il problema dello statuto dell'arte e con essa del significato "sociale" della corrente simbolista (se cioè il simbolismo sia un semplice movimento letterario e artistico o "qualcosa di più") - costituisce la base dell'intera riflessione di Ivanov e della sua concezione del simbolo su cui si fonda tutta la sua espressione poetica e di cui troviamo traccia anche in questo testo.
Dopo queste semplici annotazioni di "ambientazione contestuale", possiamo passare a considerare il testo della poesia presentata e vedere come l'autore, in essa, ponga in correlazione la sua pena esistenziale (in cui non è difficile ravvisare l'ansia dell'esistenza di ogni uomo) con la presenza di Gesù a Cana ed il miracolo da Lui, ivi, compiuto.
"Non allietava il convito di nozze i commensali". L'autore ci presenta subito "il problema" dell'incresciosa situazione creatasi: "Il convito di nozze" "non allietava" "i commensali" perché "l'anfore eran vuote" e si sa, dove c'è il "vuoto" c'è tristezza.
Quel banchetto è figura di tutte quelle situazioni in cui manca il "vino della gioia", il "vino dell'Amore", "il vino di un rapporto vivo con Dio".
Senza l'Amore, tutto si rivela "spento", la vita diviene scialba ed insipida, nulla più dà soddisfazione, poiché ci si rende dolorosamente conto che anche i maggiori successi umani, non possono appagare il cuore e l'uomo, terminata la sua folle corsa alla ricerca dei fatui piaceri della vita, si trova, come direbbe Hesse, con le sue "variopinte voglie color della gioia" che "fan cadere spossate le braccia".
Ma proprio quando tutto sembra sull'orlo di terminare tragicamente, anche se il nostro autore non ne fa cenno e sembra voler passare la cosa "sotto silenzio" o darla, forse, per scontata, entra in scena Maria, la Madre di Gesù.
Facciamo, allora, quella che potrebbe, in un certo senso, essere considerata una "divagazione necessaria" abbandonando temporaneamente il testo e guardiamo al ruolo di Maria.
Considerando l'episodio delle nozze di Cana, e considerandolo, poi, in riferimento alla Celebrazione dell'Eucaristia, non possiamo, infatti, non parlare della Madre di Gesù in quanto, come insegnano i Padri, Ella è figura e modello della S. Chiesa e, come tale, è presente non solo a Cana, quando Gesù tramuta l'acqua in vino, ma anche ad ogni celebrazione Eucaristica, dove il vino diviene il Sangue del Suo Divin Figlio. A tal proposito, per evidenziare l'importanza di Maria in rapporto all'Eucaristia, basta considerare, come ci fa notare, Alexis Kniazeff, che "la Theotokos appare nella liturgia eucaristica bizantina… simbolicamente rappresentata da una particella di pane messa sul disco o patena durante il rito di preparazione delle sante specie o proskomide. [...] La Theotokos è rappresentata da una particella di forma triangolare. Il sacerdote la pone a destra dell'Agnello dIcendo: «In onore e memoria della benedetta e gloriosa sovrana, la Madre di Dio e sempre vergine Maria. Per le sue preghiere ricevi Signore, questo sacrificio sul tuo altare nel più alto dei cieli". Presentato in questo modo, il rito della proskomide, … per quanto riguarda la Madre di Dio, sottolinea il suo posto eminente nella Chiesa, la sua elevazione nella gloria il suo potere di intercessione e confessa che la Madre di Cristo, nella sua intercessione, prega anche per l'accettazione del sacrificio eucaristico offerto dalla Chiesa".
Dunque, consideriamo la figura di Maria alle nozze di Cana. Notiamo subito che, di fronte alla richiesta della Madre, leggendo il testo evangelico, ci scontriamo, almeno inizialmente, con un apparente rifiuto del Figlio. Ma si trattava davvero di un rifiuto? Qualcuno sostiene di no. Infatti, "Quale significato può avere… in tale contesto la riposta di Gesù a sua madre?" - si chiede p. Tarciso Stramare, il quale così risponde - "Incominciamo dalla nota espressione "Quid mihi et tibi?" (normalmente tradotta con "Che ho da fare con te, o donna?")… I grammatici affermano che non c'è nulla da obiettare alla traduzione del greco "ti emoì kaì soi" nel latino "quod meum est, tuum est", dichiarando in tal modo via libera al pieno accordo tra Gesù e Maria: "Ciò che è mio, è tuo".
"Del resto,
come nota Gaudenzio di Brescia, Maria, la Madre di Gesù, non avrebbe mai detto ai servi: «Fate tutto quello che vi dirà», se, essendo ricolma di Spirito anche dopo il parto divino, non solo non avesse conosciuto la potenza della risposta di Cristo, ma anche non avesse previsto l'intero disegno secondo cui egli avrebbe mutato l'acqua in vino. Quale sapienza poteva mai rimanere nascosta alla madre, che era stata capace di por Dio nel suo seno e che era la dimora degnissima di così grande virtù?… Questa Madre del Signore dunque, intercedette per noi pagani presso l'eterno Figlio di Dio e figlio suo secondo la carne, affinché concedesse a noi bisognosi la gioia del vino celeste".
Anche gli eventuali dubbi riguardo all'appellativo "donna" cadono se, come ci fa notare ancora p. Stramare, teniamo presente che "La "stranezza" di questo appellativo sulla bocca di Gesù,… non può non essere stata avvertita anche da Giovanni, che aveva familiarmente presentato Maria come "la madre di Gesù". Perciò, "tenuto conto che l'evangelista, il quale riporta il fatto di Cana, è lo stesso che descrive la morte di Gesù in croce, al Calvario, dove egli era stato testimone auricolare del termine "Donna" usato dal "Figlio" nei riguardi della "Madre" (cfr. Gv 19,26s.), se ne può dedurre che l'appellativo "donna" deve avere per lui una particolare motivazione e conseguente significato. Poiché nella solennità del momento della morte, Gesù aveva chiamato sua madre "donna", per indicare il ruolo che le veniva assegnato riguardo al "discepolo", perché non riconoscere, allora, che anche qui ci troviamo in un particolare momento storico, seppure non altrettanto solenne? L'appellativo "donna", così inatteso e singolare, non potrebbe essere stato scelto e usato di proposito da Giovanni per sottolineare, a modo di chiasmo con il Calvario, la nuova fase della vita storica di Gesù, ossia quella che "incomincia dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni" (At 10,37), generalmente denominata "vita pubblica"? Con l'"initium signorum" incomincia, infatti, la manifestazione terrena della "gloria" di Gesù, parte integrante di quell'"ora", caratteristica della teologia di Giovanni, la quale si estende appunto dal crepuscolo di Cana, l'"initium signorum", sino al meriggio di Gerusalemme, ossia all'esaltazione di Gesù sulla croce".
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che, come fa notare il Papa Giovanni Paolo II, alle Nozze di Cana "Maria era ispirata dal suo cuore misericordioso". Perciò "La Vergine compassionevole suggerisce a Gesù di intervenire col suo potere messianico". Lo sguardo di Maria a Cana - prosegue il Papa - "è uno sguardo penetrante, capace di leggere nell'intimo di Gesù, fino a percepire i sentimenti nascosti e a indovinarne le scelte". Perciò chiede al Figlio di intervenire e ai servi di eseguire quanto Egli dirà loro di fare… e Lui lo fa. Gesù esaudisce la richiesta ed interviene. Interviene Lui, "l'Ospite" il Quale, "entrando, cenno fece a che fossero d'acqua empiti gli orci"… e l'acqua viene tramutata in vino (il vino, nella Bibbia, è il "dono messianico" che fluisce dal monte di Dio; è lo Spirito Santo che, quale "vino nuovo", ricolma i credenti; è il Vino del Sacrificio Eucaristico effuso da Cristo, il Quale, offrendosi in sacrificio per noi, diviene nostro Salvatore dopo essersi fatto, incarnandosi nel grembo di Maria, nostro fratello).
In tal modo, Gesù, compiendo il miracolo richiestoGli dalla Madre, nota ancora il S. Padre, "mostra la sovrabbondanza con cui il Signore risponde alle umane attese, manifestando anche quanto possa l'amore di una madre".
"In quell'evento",
inoltre, "si delinea abbastanza chiaramente la nuova dimensione, il nuovo senso della maternità di Maria" (cfr. R.M. 21) ossia - spiega Giovanni Paolo - "la sollecitudine di Maria per gli uomini, il suo andare incontro ad essi nella vasta gamma dei loro bisogni e necessità".
Ecco che allora, grazie all'intervento di Dio e alla collaborazione dell'uomo (i servi che, su invito di Maria, compiono ciò che il Signore ordina loro di fare), la vita ricomincia, ritrova il suo senso e l'esistenza diventa una "festa di nozze" in cui la creatura ricambia l'amore del suo Creatore.
Il S. Padre ci ricorda, poi, che, "La richiesta di Maria: "Fate quello che vi dirà", conserva un suo valore sempre attuale per i cristiani di ogni epoca, ed è destinata a rinnovare il suo effetto meraviglioso nella vita d'ognuno. Essa esorta ad una fiducia senza esitazione soprattutto quando non si comprendono il senso e l'utilità di quanto il Cristo domanda".
Maria diviene così, fin da allora, sostegno nella fede per tutti coloro che in ogni tempo, si metteranno alla sequela di Gesù.
Perciò, anche noi, come i servitori di Cana, siamo chiamati lasciarci interpellare da Cristo e ad eseguire fiduciosi la richiesta di quell'Ospite che "entrando, cenno fece / a che fossero d'acqua empiti gli orci" e, per far questo, è bene per noi, porci alla scuola di Maria, la quale, docile alla voce dello Spirito e attenta alle necessità delle persone che si trovano accanto a lei, pone ogni sua fiducia in Dio, chiede al Figlio di intervenire ed ottiene, così, il miracolo.
Torniamo, ora, alla poesia di Ivanov. Nel prosieguo del testo proposto e preso in considerazione, la scena cambia, ma solo apparentemente. L'autore "tralascia" di considerare oltre l'episodio evangelico in sé, per applicarlo alla sua vita.
Seppure con espressioni enigmatiche, il poeta esprime, in modo sincero ma nel contempo - ci si passi il termine - pudico, velandola, cioè, con magistrali immagini altamente simboliche (non ci si dimentichi che Ivanov è il maggior poeta simbolista russo), la sua realtà interiore.
La sua anima, "arca del Sole" è stata macchiata dal "suggello" di un " pentagramma ardente", impressogli da "Lucifero… nella carne" e la sua "croce di prima" è stata rivestita "d'un passionale corpo".
Ma Lucifero non ha mai "l'ultima parola" e, anche qui, anche nella sua vita come nel banchetto delle nozze di Cana, interviene il Signore ed il poeta può così esclamare trionfante: "Il Sole ha fuso la cera del suggello" poiché "cinque rose s'apriron, cinque piaghe" che "stillano sangue". Nella Sua Passione redentiva, il Signore ha tramutato l'acqua "lustrale"- destinata, solitamente, ad una purificazione esteriore- contenuta nelle giare riempite dai servitori, nel Vino vivificante del Suo Sangue, "vino" che rinnova l'uomo dal "di dentro" e infonde in lui la rinascita della vita nuova, rinnovata dall'Amore che redime e si rende presente per ogni uomo in ogni tempo nel Sacrificio Eucaristico.
È nell'Eucaristia, infatti, che l'umanità vive i suoi sponsali con Cristo ed è proprio "a quelle nozze" - come scrive nella conclusione il nostro autore - che "tutti lo Sposo abbeverò d'acqua di Cana!"
Cristo, "lo Sposo a quelle nozze, tutti abbeverò" della potenza del Suo Mistero e, come evidenziava Giorgio La Pira, "L'inesauribilità del Mistero di Cristo diventa l'inesauribilità del mistero dell'uomo, e, trova soluzione ogni problema e si ravviva di colore nuovo ogni amore e ogni speranza" poiché viene fusa la "cera del suggello" "impresso… nella carne" dell'umanità da "Lucifero", il quale inducendo l'uomo a peccare, aveva "rivestito d'un passionale corpo… l'arca del Sole".
È facile intuire come il miracolo di Cana presenti un profondo significato eucaristico poiché la liturgia stessa presenta l'Eucaristia come una festa di nozze, quel banchetto nuziale che Gesù, in prossimità della Pasqua, istituì realizzando, così, il vero banchetto pasquale (cfr. Giovanni 2, 13) che è preludio di quello celeste nella gloria di Dio.
Tutti siamo, perciò, invitati a prendere parte a questo banchetto in cui, come dice Hopkins "Per noi dall'angoscia del Calvario / il vino fu spremuto nel tino;" ed "ora sul nostro Altare, custodita nei calici, / c'è la dolce vendemmia di nostro Signore" così che "nemmeno chiamiamo quel Banchetto Vivanda, / ma vero sangue del nostro Salvatore e nostro, / tanto siamo innestati alla Sua Pianta". Possiamo, perciò, far nostre le parole di Verlaine e con lui esprime il nostro desiderio di partecipare pienamente al Divino Mistero dicendo: "Mi ha ferito, mio Dio, il tuo amore infinito, / e la ferita in me a lungo vibra ancora. / … / Nell'onda del tuo Vino anneghi la mia anima, / riposi la mia vita sulla tua Mensa Sacra, / … / Tu conosci di me tutto, ogni cosa, / e sai la nuda povertà che è in me, / … ma quel che ho, mio Dio, lo dono a te".

Note biografiche di Vjaceslav Ivanovic Ivanov (1866–1949)

Vjaceslav Ivanovic Ivanov nasce a Mosca nel 1866.
Figlio di un modesto impiegato, fu, sin da bambino, soggetto a varie crisi di carattere religioso. Di temperamento deciso e al contempo "esuberante", soffocò in sé l'innata tendenza alla ribellione, assoggettandosi volontariamente a studi severi ed impegnativi che fecero affiorare le sue accentuate doti nell'ambito delle discipline storico-filosofiche.
Si recò a Berlino per motivi di studio e questo periodo berlinese fu per lui di capitale importanza poiché, l'incontro con le idee di Nietzsche, influì su tutto lo svolgimento della sua vita spirituale. Soggiornò poi a Parigi finché, nel 1892, Ivanov si trasferì a Roma, dove, tra l'altro, incontrò la poetessa Lidia Zinoveva Annibal. Questo incontro determinò il divorzio dalla moglie, Daria Dmitrievskaja, che gli era stata già compagna per vari anni e aveva contribuito a farlo conoscere al filosofo Vladimír Solov'ev, che influì sulla sua formazione culturale.
Rimase all'estero fino al 1905. Tornato in Russia, dopo aver pubblicato già la prima stesura del suo libro sulla religione di Dioniso (1903-'04) e la sua prima raccolta di versi "Gli astri piloti", Ivanov si stabili con la moglie a Pietroburgo, dove la loro casa, collocata a un sesto piano in una specie di torre, divenne il centro più ricercato della vita intellettuale del tempo. Per due anni fino al 1907 la loro vita trascorse felicemente, allietata anche dalla nascita di una figlia, Lidja. Nel 1907, la moglie morì improvvisamente di scarlattina lasciando Ivanov in un grave stato di prostrazione interiore. Il poeta, tuttavia, forse anche in ricordo della moglie, per vari anni, continuò le consuete riunioni letterarie che si svolgevano in casa sua, i cosiddetti «mercoledì della torre».
Nel 1911 sposò la figlia di primo letto della moglie defunta, Vera la quale, però, morì anch'essa precocemente (nel 1920), dopo avergli dato un figlio.
Il poeta decise allora di lasciare di nuovo la Russia e quando vi tornò, si stabilì a Mosca.
Il nuovo clima portato dalla Rivoluzione del 1917 (sebbene non fosse salutata da Ivanov, che pure aveva sofferto per il fallimento di quella del 1905, con eguale entusiasmo) gli dettò una delle sue più belle opere di poesia, "I sonetti invernali" e una delle più originali opere moderne di pensiero, "la Corrispondenza da un angolo all'altro" in collaborazione quest'ultima con il filosofo M. O. Gersenzon. Nel 1921 Ivanov fu nominato professore di greco all'Università di Baku, dove per tre anni tenne lezioni ai giovani talari su Omero ed Eschilo.
La sua fama era ormai affermata (a tutt'oggi, è ritenuto il principale teorico del simbolismo russo).
Nel 1924 dopo aver lasciato nuovamente la Russia (questa volta definitivamente) ed aver soggiornato a Pavia (dove fu insegnante al Collegio Borromeo) si trasferì a Roma (dove visse fino alla sua morte avvenuta nel 1949).
Nel 1926 chiese di essere ammesso ai pieni Sacramenti della Chiesa cattolica, senza abiurare, cioè senza sconfessare, la propria identità di russo ortodosso; in quell'epoca preconciliare, ottenere una risposta positiva dal Sant'Uffizio era un problema, che venne però risolto.
Questa sua scelta, molto singolare, soprattutto se si tiene conto del periodo in cui viene effettuata, ben evidenzia l'emblematica figura del nostro autore che - come dice Sergej Averincev dopo aver ricordato che fu proprio Vjaceslav Ivanov, "già nel 1930" che "coniò la metafora dell'Occidente cattolico e dell'Oriente ortodosso come i due polmoni dell'Europa cristiana" - "con tutto il cuore vuole respirare con entrambi i polmoni", immagine che presuppone e ben evidenzia le differenze reali di identità tra Oriente ed Occidente, la ricchezza che tali differenze costituiscono per l'uno e per l'altro ed il desiderio/necessità, che Ivanov sentiva in sé, di poter usufruire della totalità di questi patrimoni religiosi e culturali che costituiscono la cristianità cattolica ed ortodossa.