La visitazione
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Fra i tanti commenti pittorici della Visitazione abbiamo scelto quello di un pittore cinquecentesco, Jacopo Carrucci.
L'Artista
Jacopo Carrucci (1494-1556), detto il Pontormo dal suo luogo d'origine, fu un protagonista del manierismo fiorentino. Artista tormentato, dallo spirito acuto ma inquieto, era continuamente teso verso una perfezione mai raggiunta.
Vasari descrive come proverbiale la sua mania di disfare i suoi lavori perché mai soddisfatto: "Egli lavorava guastando e rifacendo oggi quello che aveva fatto ieri, si travagliava di maniera il cervello che era una compassione". Solitario, scontroso il Pontormo, come un visionario, dipinge figure che anelano ad altro, figure in continuo movimento, benché immobili.
L'opera
La Visitazione realizzata per la Pieve di Carmignano segna il punto più alto dell'attività dell'artista.
L'incontro tra Maria ed Elisabetta occupa l'intera scena. È l'incontro, infatti, ciò che conta, è in esso che il mistero si consuma. L'architettura sullo sfondo, arida e modernissima, crea un'atmosfera sospesa e irrazionale, "altra".
Gli abiti delle due donne, dalle tinte forti e dissonanti, si richiamano e si respingono insieme. Unico è il mistero che le avvolge, ma lontana è la natura delle rispettive maternità.
Maria è al centro della scena, forse si è inginocchiata per salutare Elisabetta, riconoscendo in lei l'opera divina. L'anziana cugina non glielo ha permesso e, nella mano sinistra, ancora s'indovina il movimento fermo di chi impugna l'altro e lo rialza con forza. Ed ora gli sguardi, penetranti ed eloquenti, s'incrociano in un attimo eterno. Anche Elisabetta riconosce il Mistero che è in Maria. La testimonianza delle due donne è silenziosamente scritta nelle vesti e nelle loro figure allungate oltre misura.
Gli abiti si gonfiano in modo innaturale, come nubi gravide di grazia sospese in un cielo senza vento, ma, mentre in Maria abito e manto formano un tutt'uno, in Elisabetta è il manto a gonfiarsi più vistosamente. Maria è tutta piena di grazia, è la Madre del Signore, tabernacolo della Sua Presenza; Elisabetta invece è rivestita di grazia a motivo del figlio che porta in seno.
Nelle forme allungate delle due cugine avvertiamo la tensione verso l'alto, il desiderio di un divino che sembra essersi fatto, d'improvviso, lontano. È la stessa tensione che si avverte nelle cattedrali gotiche, svettanti verso il cielo alla ricerca di un infinito che nell'orizzonte quotidiano è impallidito, cattedrali stupende, ma lontane dalla solida certezza che trasmettevano le basiliche romaniche, le quali erano espressione della fede di un popolo che, uscito dalle catacombe, poteva solennemente esprimere le sue verità eterne.
Qui, le due donne sono testimoni del Mistero, dentro a un mondo sordo alla voce di Dio, un mondo freddo e distaccato come la città che le accoglie.
Elisabetta carica della tradizione degli antichi padri, è tutta sbilanciata verso Maria. Il volto è scolpito dentro la serenità di chi sa di non aver creduto invano eppure su quello stesso volto resta, in fondo in fondo, un velo di melanconia. Il bimbo che porta in grembo non ha cancellato del tutto la minaccia di morte inscritta nella sterilità. Elisabetta è l'immagine di una fede che non può nutrirsi di sola tradizione, la fede ha radici nel passato, ma vuole rami giovani pronti a diramarsi nel cielo dell'oggi. Maria, dal canto suo, indugia un attimo prima di abbracciare la cugina. Trattiene lo slancio di lei e ne ricerca lo sguardo. Sì, le promesse fatte ai padri si sono adempiute: Dio è con noi, l'Emmanuele è presente, non più per mezzo di patriarchi e profeti, ma per mezzo del Figlio. Maria è l'immagine della novità del Vangelo che pur tuttavia non può fare a meno delle tradizioni antiche. Maria pure ha avuto bisogno di essere sorretta nella fede: Elisabetta, la cui maternità sconfigge la tragedia della sterilità, conferma la verità e la bontà dell'annuncio angelico.
Dio è qui, ma chi ne è consapevole? Chi con queste donne è, oggi, testimone del Mistero della Presenza di Dio nel mondo? Sono le domande che si agitavano nel cuore di Jacopo Carrucci così lontano nel tempo, eppure così vicino all'uomo moderno nello spirito. Pontormo, che appena venticinquenne si era chiuso nella Certosa di Val d'Ema - forse anche per sfuggire alla peste in Firenze (1522) - e aveva lungamente meditato la passione di Cristo, avvertiva la tensione di un mondo in continuo mutamento, dove l'uomo ricollocato al centro del cosmo dal rinascimento rischiava di perdere il suo riferimento a Dio.
Nei due volti queste e altre domande, forse le nostre domande, su Dio sul dolore. Due volti che si affacciano dietro l'abbraccio delle cugine e che disturbano, inquietano, interpellano l'osservatore.
Due donne ci obbligano a prendere posizione a non fuggire dalla domanda sul Mistero. Se ci soffermiamo un attimo a contemplarle non fatichiamo a ritrovare nei loro lineamenti gli stessi tratti delle due donne in scena. Sono Maria ed Elisabetta che con occhi mesti scrutano il futuro, scrutano le generazioni di credenti che le chiameranno, entrambe a diverso titolo, beate. Immergiamo lo sguardo nei loro occhi e subito i colori degli abiti tornano a impressionare la nostra retina. Il verde carico di blu di Maria: cioè il colore della storia (verde) impregnato di mistero (blu), il verde luminoso di Elisabetta segno di una storia trasfigurata dalla speranza, e infine il rosso che carico di luce si tramuta in rosa, è simbolo dell'amore umano, della vita umana illuminata dalla Carità divina.
Concludendo
Pontormo ci aiuta così a vedere nell'episodio della Visitazione il kairos eterno, scritto nei cieli e sempre attuale in ogni epoca e in ogni tempo. In queste due donne e nei loro figli si incrociano epoche e generazioni, s'incontra Dio e l'uomo, la solidità della tradizione e l'assoluta novità del Vangelo. E' il già di Dio che esplode nel non-ancora dell'uomo.
L'intimità di questo incontro così alto è volutamente violata dalla presenza delle due figure frontali: siamo chiamati tutti alla beatitudine della fede che esse hanno meritato, siamo chiamati ad essere testimoni del loro medesimo mistero. A noi la risposta, a noi di accendere la luce del già di Dio nell'oscuro non-ancora delle città degli uomini.