La Trasfigurazione di Gesù
La Trasfigurazione in sant'Apollinare in Classe- Autore:
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A cinque chilometri da Ravenna, nei pressi dell'antico glorioso Porto di Classe, sede della flotta romana, Giuliano Argentario edificò su ordine del vescovo Ursicino una delle più perfette Basiliche dell'arte ravennate. La Basilica venne consacrata nel 549 dal vescovo Massimiano e dedicata a Sant'Apollinare, primo vescovo (II sec) di Ravenna e martire. Oggi, Sant'Apollinare in Classe si erge in piena campagna e tutto ciò che rimane dell'antico Porto sono gli scavi archeologici situati proprio a ridosso della Basilica.
La Basilica è a tre navate; percorrendo quella centrale siamo cullati dal ritmo dolce ed elegante di dodici colonne in marmo greco, venate trasversalmente. Lo sguardo del visitatore viene catturato immediatamente dallo scintillio delle tessere musive del catino absidale. Lo splendido mosaico si fonde perfettamente con l'architettura del presbiterio costituendo così un prezioso commento meditativo a quanti si accostavano all'altare per la celebrazione eucaristica.
L'occhio inesperto non percepisce immediatamente che il mosaico ripropone la scena lucana della trasfigurazione. Secondo il gusto bizantino, che ricercava la purezza dello stile, la scena evangelica è resa sul piano totalmente simbolico.
Distinguiamo nel mosaico tre settori. Un primo settore, in alto, è avvolto di luce dorata e di improvvisi squarci d'azzurro: sono i cieli altissimi dimora del Dio vivo. La mano di Dio sbuca di tra le nubi additando il Figlio eletto e alludendo al monito evangelico: Ascoltatelo! Ai lati appaiono Mosè ed Elia. Un secondo settore è immerso nel verde di pascoli ubertosi dove il Santo Vescovo Apollinare (sul modello del Buon Pastore) attorniato dal suo gregge (dodici pecore come i dodici apostoli) alza le mani al cielo in atteggiamento orante. Nel terzo settore, quello intermedio, sempre immerso in un vasto e rutilante prato fiorito si svolge la scena della trasfigurazione: tre pecore simboleggianti Pietro, Giacomo e Giovanni, contemplano una croce gemmata con al centro il volto di Cristo. La croce sovrasta un tappeto dorato di novantanove stelle, simbolo indicante la totalità dell'umanità e del cosmo, ai lati della croce troviamo alcune epigrafi che rivelano l'identità del Cristo: le lettere alfa e omega (al termine dei bracci orizzontali), che alludono all'inizio ed alla fine dei tempi; in alto la parola greca icthys (pesce), acrostico di Jesùs Christòs Theoù Yiòs Sotèr e, sotto, la frase latina salus mundi (salute del mondo); dal tutto leggiamo il titolo "Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore, principio e fine della vita, salute del mondo".
Il segno della croce gemmata ripresenta il tema lucano dell'"esodo" di Cristo, oggetto della conversazione dello stesso Gesù con Mosè ed Elia. Oggi sfugge la forza espressiva del simbolo, ma nel VI secolo doveva comunicare la sua drammatica contraddizione: la croce, patibolo orrendo, strumento di morte, elevato a oggetto preziosissimo e segno di vita. Questa croce, che domina l'intera scena, è ponte di comunione fra cielo e terra, è il Cristo totale, capo e corpo, del quale si vede il volto circonfuso di gloria, mentre il corpo - la Chiesa - ancora sofferente per le persecuzioni gode però già misticamente della stessa gloria del capo.
Sotto la croce l'immagine singolare del vescovo orante, soluzione iconografica del tutto originale se si pensa alla teoria di vergini e di martiri presenti nella vicina e omonima chiesa di Sant'Apollinare Nuovo. La solitaria figura del santo Vescovo si distacca anche dal modello iconografico che l'ha generata: il Buon Pastore. S. Apollinare, infatti, non tiene fra le braccia o sulle spalle, un agnello, né regge il vincastro, ma leva le braccia al cielo in orante risposta alla mano indicante Cristo di Dio Padre. All'ombra della sua preghiera ecco radunarsi il gregge dei fedeli.
La scena rimanda a quella reale che si svolge proprio sotto il mosaico dove, all'altare della celebrazione, il sacerdote offre per e con la comunità dei credenti il divino Sacrificio. All'interno del catino absidale vibrante di luce si crea così un intenso rapporto fra la croce gemmata, il vescovo orante e la comunità dei credenti ivi radunata. Anche la descrizione dei verdi pascoli del mosaico concorre a rafforzare il rapporto: essa ripropone, infatti, con sorprendente fedeltà e realismo l'ambientazione naturale della campagna ravennate.
I tre protagonisti dell'evento della trasfigurazione, Pietro, Giacomo e Giovanni, a differenza di Mosè ed Elia, non hanno fattezze umane, ma sono raffigurati come pecore, del tutto simili al gregge sottostante, senza peraltro particolari elementi identificativi. In questo modo la comunità dei credenti è invitata a identificarsi con quel gregge e a sperimentare l'intima comunione con la Chiesa trionfante, cogliendo il rito della celebrazione eucaristica come epifania del Signore in cui l'opacità della materia viene trasfigurata in Presenza di Luce. Al radicarsi di tali sentimenti contribuisce non solo il segno imponente della croce gemmata, ma la tecnica stessa del mosaico, la quale celebra il riscatto della materia dalla condizione di opacità a quella, spirituale, della trasparenza, della luce e dello spazio.
Concludendo alla luce di questa catechesi visiva possiamo affermare che l'altare della celebrazione eucaristica si trasforma per ogni credente in un Tabor luminoso, dove ciascuno è invitato a rileggere la propria vita alla luce di quella salita a Gerusalemme che, mentre rivela le trame oscure del male, vede affermarsi il trionfo della verità e dell'amore. Allo stesso modo dunque il credente, offrendo a Cristo se stesso e la propria vita, riposa nella certezza che tutto concorre al bene per coloro che amano Dio e sono chiamati secondo il suo disegno. Egli, al pari di Pietro Giacomo e Giovanni, ad ogni liturgia Eucaristica si trasfigura in testimone di Luce per un mondo che cammina nell'oscurità delle sue prospettive anguste.