La Presentazione di Gesù al Tempio

Beato Angelico, La Presentazione di Gesù al Tempio, Firenze, Convento di S. Marco
Autore:
Riva, Gloria
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
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Quando Guidolino di Pietro (questo il vero nome del Beato Angelico), già pittore affermato entrò nel convento domenicano di Fiesole c'era ad attenderlo, quale guida e maestro, padre Antonino Pierozzi, uomo di fede e di straordinaria apertura mentale, passato alla storia col nome di sant'Antonino. A quell'epoca due tendenze diverse attraversavano l'ordine domenicano, una più incline allo studio e l'altra maggiormente dedita alla predicazione. Per favorire lo sviluppo di entrambe le correnti il Vescovo di Firenze volle realizzare un secondo convento affinché vi si stabilissero i frati predicatori, detti gli Osservanti (gli altri frati, più studiosi, furono detti dell'Ordine Maggiore). Sorse così, a Firenze, sotto il patrocinio di Cosimo de Medici il nuovo convento di San Marco progettato da Michelozzo e con il diretto intervento, per quanto riguarda gli affreschi (che - non dimentichiamolo - andavano stesi sull'intonaco ancora bagnato) di Fra Giovanni, detto, appunto, il Beato Angelico.
La cella numero dieci del suddetto Convento era destinata al Priore e padre Antonino sarà il primo ad occuparla, l'Angelico decide di affrescarvi la scena della Presentazione di Gesù al Tempio. Il senso è chiaro: come nell'episodio evangelico Simeone seppe riconoscere la vera identità di Gesù e della Madre sua, così il Priore è chiamato a riconoscere le vocazioni dei nuovi candidati alla vita monastica.


Sotto un catino absidale a forma di conchiglia, simbolo che rimanda alla concezione verginale di Maria, si svolge l'incontro tra la sacra Famiglia e il santo vegliardo. Anna di Fanuele e san Pietro martire contemplano la scena in profondo raccoglimento.
Il centro dell'affresco è rappresentato dalle mani di Maria, mani che offrono e che accolgono ad un tempo. Il volto della Vergine è di una serenità straordinaria eppure la drammaticità del suo gesto - evidenziata dall'oracolo della spada di Simeone - la si individua già nei colori del suo abito - il manto viola della sofferenza e l'abito rosso della passione - e nel fuoco del Sacrificio che arde sull'altare, le cui fiamme innalzandosi accompagnano il gesto della giovane Madre.


Il pittore fissa l'attimo in cui Simeone incontra lo sguardo del Bambino Gesù, il dialogo serrato che intercorre tra i due è il fulcro reale della scena, eppure gli altri non ne sono esclusi, anzi le mani di tutti i presenti creano un movimento circolare che concorre a far gravitare la scena attorno a quello sguardo.
Anna col profilo rivolto verso la Sacra Famiglia, estatica, guarda e indica Gesù; Giuseppe, Maria e San Pietro martire guardano Gesù e il santo vecchio Simeone. Siamo così introdotti anche noi nel mistero di quell'incontro, nel mistero di un "vedere" che è conoscere, anzi "riconoscere".
Simeone stende le labbra accennando quasi un sorriso, ma lo sguardo si fa grave e con la fronte corrugata indaga meditabondo dentro al mistero di quel bimbo che, sullo splendore della sua innocenza vede già gravare l'ombra di una così grande croce. La croce, del resto, avvolge Gesù più delle fasce stesse. Disegnata in rosso nell'aureola prosegue idealmente lungo tutto il corpicino dell'Infante, fino a comparire di nuovo all'altezza dei piedi, nel panno color carminio che li avvolge.


Una luce calda dorata investe il Bimbo e il Vegliardo. È una luce che tutto pervade e che, avvolgendo dolcemente i corpi, li stacca dal fondo evidenziando la bellezza delle loro forme. La speranza, potentemente presente nel verde dell'abito dell'anziano profeta, riempie il cuore di chi, trascinato dalla gestualità dei personaggi così mirabilmente dipinti, s'immerge, a sua volta, nella contemplazione dello sguardo che Gesù rivolge a Simeone.
Quando siamo riconosciuti, riconosciamo. Quando siamo amati, amiamo. Dio ci ama per primo con l'amore tenero e discreto di un bambino, ma la nostra risposta fa sì che quest'amore raggiunga in noi la piena maturità di un sentimento antico di giorni, ma sempre nuovo nella speranza. Quando Dio ci guarda allora siamo sottratti all'anonimato, allora la nostra anima vibra nella consapevolezza di esistere davanti a Lui, di essere capace di Dio e di essere chiamata da Dio a diventare strumento del suo amore che riconosce e chiama ogni uomo.