Eucaristia e Missione
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Vermeer ci introduce nell'atmosfera calda e familiare della casa di Lazzaro, e subito siamo risucchiati dentro una tensione che si risolve in un dialogo circolare: Maria semi rivolta verso l'osservatore, guarda Gesù, Gesù indica Maria col gesto della mano ma guarda Marta. Marta, a sua volta, guarda Gesù, ma tutta la sua persona è inclinata verso Maria.
Le tre figure occupano per intero lo spazio della tela. Non ci è dato di vedere nulla della casa, non si scorge la presenza di Lazzaro, siamo fin dal primo sguardo introdotti dentro l'intimità di un dialogo serrato.
Quest'opera non sembra avere alcuna attinenza con la missione evoca anzi un episodio evangelico che rimanda alla contemplazione.
La missione è tensione verso; è frutto di un incontro col mistero che si trasforma in annuncio. Quando si pensa alla missione le immagini evangeliche che spontaneamente si affacciano alla mente sono quelle dei due discepoli di Emmaus, o della donna Samaritana oppure ancora del cieco nato guarito presso la piscina di Siloe. Personaggi che esprimono l'annuncio missionario in tutto il suo dinamismo: essi dopo aver incontrato Gesù corrono, parlano, si espongono.
Di fronte a questi esempi nasce la domanda: È possibile essere missionari davanti all'Eucaristia? E in che modo?
I componenti della casa di Betania, ci aiutano a rispondere compiutamente a queste domande.
Vermeer ha tratteggiato nella sua tela un episodio narrato da Luca al cap. 10 del suo Vangelo:
Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".
Luca parla solo di Marta e Maria, conosciamo l'esistenza del loro fratello Lazzaro dal quarto Vangelo. Giovanni narra due episodi in cui le due sorelle presentano tratti di carattere del tutto simili a quelli di Luca. Vogliamo ricordarne uno in particolare perché avviene dentro le mura di questa casa e narra di una cena dall'alto valore simbolico:
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. Equi gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: "Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri? ". Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: "Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me".
Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
Alle soglie di una pasqua ebraica, che sarà l'ultima Pasqua di Gesù e la prima Pasqua cristiana, Gesù cena con gli amici di Betania. Dentro e attorno alla casa si raccolgono molte persone; ciò che esse vedono è la testimonianza di un'amicizia: tre fratelli hanno trovato il bene prezioso dello stare con Gesù. Di fronte a questo avvenimento si scatenano reazioni diverse: Giuda è indignato, la folla è incuriosita, i sommi sacerdoti temono per il loro futuro.
Si direbbe che stare con Gesù, condividere la sua Pasqua è una grande provocazione. Una provocazione che si scatena anzitutto dentro le mura domestiche: Marta è ritratta da Vermeer nell'atto di parlare. Le braccia vigorose sono rese ancor più evidenti dal candore della camicia che sporge dal corsetto. Un candore che immediatamente rimanda alla tovaglia, così come i colori del corsetto si riflettono nelle tinte del paniere che Marta tiene fra le mani. Questa energica padrona di casa è tutt'uno con il suo agire: "era tutta presa dai molti servizi", scrive Luca; "Marta serviva" annota più sobriamente Giovanni. Nell'ospitalità premurosa e zelante, nel suo "fare per Cristo e per i fratelli" Marta spende la sua vita, si dona senza sosta e senza calcolo.
Anche nel brano della risurrezione di Lazzaro ritroviamo in lei questo dinamismo schietto, pieno di calore umano: essendo morto il fratello e avendo saputo che Gesù sta per arrivare, Marta non ha esitazioni, gli va incontro e lo interroga: "Signore se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto." (Gv 11, 20-21)
Vermeer, come Giovanni, la dipinge tutta sbilanciata verso Gesù, impegnata in un dialogo aperto e franco, non teme di esternare i suoi dubbi. Ma qui, a differenza dell'episodio di Lazzaro in cui viene alla luce la limpida immediatezza della sua fede, Marta rivela la sua debolezza: Signore, non ti curi che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?
Qui Marta è provocata dall'atteggiamento della sorella e si confronta, misurando Maria col metro angusto delle sue vedute.
Maria, del resto, provoca anche noi. La sua posizione, rivolta verso l'esterno, invita ma braccio e gamba destra fanno da schermo all'osservatore, imbrigliano lo sguardo e lo obbligano a dirigersi verso l'oggetto della sua attenzione: Gesù.
Le operose mani di Marta lasciano lo spazio a mani abbandonate e quiete dentro un rincorrersi di toni uguali e distinti. Il manto blu del Maestro, la gonna verde-blu di Maria; l'abito bruno del Maestro, la camicia rosso-porpora di Maria.
Il continuo richiamarsi delle tonalità degli abiti dice il progressivo identificarsi di Maria con il suo Signore: "Maria, seduta ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola" (Lc 10,39). Maria è totalmente orientata verso Gesù, vive della sua parola, nulla chiede, ma in tutto si rimette a lui, si affida.
Quest'accoglienza disarmata e disarmante è una sfida, mette a nudo la radice della missionarietà: fare di Gesù, della Sua Persona e del Suo Mistero il centro della propria esistenza.
La scena è vista dal basso. Sul retro s'intravede - ed è l'unica concessione che ci fa l'autore - una porta. Al di là della quale vi è oscurità.
Una porta aperta sul mistero che di lì a poco si dovrà consumare: Lazzaro, fra quelle mura conoscerà la malattia e la morte.
Lazzaro lo conosciamo così: l'amico malato; l'amico che avvolto nel sonno della morte sarà svegliato. Prima della sua morte nessuno aveva parlato di lui. Lazzaro vive nella memoria per la sua morte.
Vermeer ci lascia indovinare il dolore, lo sconcerto che si scatena in quella casa lasciandoci guardare dentro un porta semi aperta. Dietro l'antro buio di quella porta vive la presenza misteriosa del fratello.
Anche nel vangelo di Giovanni Lazzaro non fa assolutamente nulla: è amato da Gesù, ma non si dice come mai meriti il suo amore. Nella malattia sperimenta l'attesa vana dell'amico, soffre di questo silenzio fino alla sua morte, fino alla perdita totale della sua dignità. Viene restituito alla vita, in modo del tutto gratuito, senza che gli sia stata data la possibilità di invocare la salvezza. All'ordine di Gesù "Lazzaro vieni fuori" obbedisce senza emettere un suono, non si riportano di lui successive espressioni di esultanza.
L'atteggiamento di Lazzaro davanti a Gesù è quello della assoluta gratuità.
Ed è questa assoluta gratuità che provoca, provoca i presenti con la stessa intensità dello spreco dell'olio di nardo profumato da parte di Maria: "Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù". (Gv 12, 9-11)
Colui che Gesù "aveva risuscitato dai morti" subisce una condanna proprio per questo, una condanna che viene deliberata mentre condivideva una cena - la sua ultima cena - con il Maestro. Come gratuitamente era stato restituito alla vita, così ora gratuitamente è chiamato a donarla per amore dell'Amico Gesù. La cena che egli consuma silenziosamente è l'invito a un'intimità piena e totale con Cristo che lo rende degno del martirio.
Marta, Maria e Lazzaro missionari?
Chiediamoci allora: come Marta, Maria e Lazzaro sono missionari?
La missionarietà dei tre fratelli la possiamo cogliere proprio nel loro modo di stare davanti a Gesù, di rapportarsi a lui.
Se la missione ha come suo scopo muovere gli animi a credere in Gesù vediamo come tutte e tre queste figure evangeliche, ciascuna nel suo modo proprio, realizzino questa mèta.
Ancora più interessante è rilevare come nessuno dei Giudei che sono giunti a credere in Gesù viene citato in riferimento a Marta, nonostante sia la figura apparentemente più "missionaria", la più dinamica, quella che esplode nell'atto di fede pubblico.
Credettero quelli che erano venuti da Maria (11, 45) e quelli venuti "per vedere Lazzaro" (12,9.11).
L'adesione a Gesù, totale e incondizionata, di Lazzaro è quella che evangelizza, che suscita discepoli, oppure nemici.
Al centro del dipinto di Vermeer c'è una tovaglia e un pane. Le due sorelle, dai tratti così diversi, hanno in comune lo sguardo fisso su Gesù.
Tutto questo ci riporta alla domanda iniziale. Come si può essere missionari davanti all'Eucaristia?
Marta
Marta stilizza in sé, la persona più concreta, dinamica e forse anche più intellettuale. È colei che cerca instancabilmente la verità, ha il coraggio di esporre le proprie vedute, di verificare i propri affetti mettendoli davanti a Dio.
In Marta si riconoscono coloro che davanti all'Eucaristia s'interrogano, scendono nel profondo di sé e si rendono disponibili ad agire, a servire. Quanti si rispecchiano in lei vivono una preghiera di intenso ascolto, orientata però alla carità fattiva, concreta, pronta a captare il soffio dello Spirito e a muoversi.
Lo stile missionario di Marta è la diaconia. Il Signore si serve della sua titubanza nel credere alla risurrezione del fratello per "incarnare" in lei, la titubanza di molti. La sua professione di fede diverrà poi la professione di fede di tutti coloro che, dopo la risurrezione di Lazzaro, credettero in Gesù. Marta serve il Signore e il Signore si serve di lei, dei suoi pregi e dei suoi difetti, dei suoi slanci e dei suoi ritardi.
Chi vive il rapporto con Gesù Eucaristia sullo stile di Marta, diviene servo del Signore e il Signore si serve di lui.
Maria
Maria è invece "la contemplativa". Il suo atteggiamento davanti a Gesù è quello dell'abbandono. È l'anima innamorata di Gesù, totalmente dedita a lui. La sua preghiera è silenziosa, si nutre di gesti simbolici, liturgici. È un'anima unificata, semplificata, capace dunque di cogliere e vivere in pienezza la dimensione simbolica dell' esistenza. Maria si muove all'unisono con la Parola di Gesù.
Maria diviene missionaria per la potenza dei suoi gesti.
Il suo pianto provoca il pianto di Gesù e spinge Dio a manifestarsi nella storia. Potremmo dire che Maria è missionaria anzitutto presso Dio.
Il gesto dell'unzione mentre provoca lo sdegno di Giuda, rivela la sua portata profetica. Rendendo omaggio al corpo di Gesù ella riconosce, proprio attraverso la potenza evocativa del simbolo, la sua divinità. Quanto umanamente appare insensato si trasforma in testimonianza di realtà divine ed eterne.
Maria diviene missionaria attraverso lo sconcerto che provoca la totale offerta di se stessa a Dio nell'apparente improduttività. È la missione di tutti coloro che "perdono" il loro tempo davanti all'Eucaristia, nella preghiera. È l'emblema della missionarietà claustrale-contemplativa.
Lazzaro
In Lazzaro si riconosce l'anima mistica, la cui quiete e il cui riposo è nell'amore di Dio per lei e nell'amore di lei per Dio. Non c'è altro. Non ci sono gesti, non parole. In questa forma di preghiera adorante la liturgia si compie.
È l'anima che passa attraverso le aridità, la notte dello spirito, che vive nella fede pura e che gode intimamente della assoluta gratuità con cui è amata da Dio.
Lazzaro è missionario nella sua assoluta passività, possiamo dire che al contrario di Maria, Dio è missionario in lui. Dio fa tutto, Lazzaro obbedisce a "peso morto". È la sua stessa persona (con ciò che Dio ha compiuto) ad essere memoria di Dio fra gli uomini.
Essere missionari davanti all'Eucaristia come Lazzaro significa vivere una progressiva identificazione con l'Eucaristia stessa. Essere trasformati in Gesù, percorrere con lui e in lui la sua stessa via, come Lazzaro che per la sua vita in Cristo divenne un candidato al martirio.
Nella chiesa quando la missione cessò di portare al martirio, nacque il monachesimo e nacque proprio come una forma radicale di Testimonianza, di martirio per il Signore.
Per questo i monaci, i contemplativi sono stampelle che Dio usa per andare verso gli uomini, sono voci potenti di silenzio che chiamano i cuori alla risposta, sono, nella loro apparente morte testimoni di una vita che non muore.