In vita e in morte siamo tuoi

Testimonianze di una morte santa avvenuta a Reggio Calabria il 29 agosto 1953
Autore:
Parisi, Maria e Rosetta
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Testimonianza di Maria sui giorni 26/27/28 agosto 1953
Sono le quattro del mattino, mi trovo accanto al lettino di mamma che ha bisogno continuamente dell’ossigeno. Mi fa sedere proprio accanto, sulla poltrona, mi stringe la mano dolcemente e poi con calma ma con voce decisa mi dice: “Domani mattina vai da don Tortorella e digli di venire per darmi tutto quanto è necessario per la buona morte”. Mi fece quindi un’altra stretta per assicurarmi che non c’era da impressionarsi e chiuse gli occhi… aggiungendo: “E’ così”. Dopo mezz’ora circa: “Ti raccomando di preparargli il caffè”. Dopo un’altra ora: “Non andare a dirglielo dopo la Messa, bensì prima, perché abbia il modo di disporre le sue cose con calma, poiché qui dovrà trattenersi molto; diglielo a papà, a tutti”.
Sono le 6,30… ritorno dalla Messa e mi rimetto accanto a mamma. Qualcuno entra nella stanza. “Chi è?” chiede mamma. “E’ Rosetta” rispondo. “Com’è vestita?” “Pronta per andare a Messa”. “Va bene. Vi raccomando: stamattina tutti vestiti per benino”. Si telefona al fratello Bruno, alla sorella Antonietta, si fanno chiamare zio Nino, zio Totò… Sono le nove circa, la stanza è piena di persone… intanto mamma sotto l’azione della morfina ha gli occhi pesanti, non si rende conto della Comunione che deve ricevere e chiede del medico. Dietro incoraggiamento si confessa e fa la S. Comunione… si riprende. Non parlerà mai più di medico. Don Tortorella è ritornato, mamma gli chiede se le ha dato la S. Comunione. Assicurata si rende conto che è vero, ma protesta di averlo chiamato non solo per la S. Comunione, bensì per l’estrema unzione.
C’è un’atmosfera paradisiaca dovuta alla tranquillità e serenità con cui mamma riceve il sacramento dei morti. Qualcuno piange, altri singhiozza angosciato ma il volto di mamma è così dolce che per accostarci a baciarla bisogna trattenere ogni inquietudine. Sono i baci dell’addio e mamma è ora sorridente. Seduta sul letto coi piedi a terra esprime tutta la sua felicità per la funzione così bella, svolta alla presenza di tanti parenti… “Come sono felice! E che combinazione… tutti presenti… anche Monsignore, come sono contenta!” L’atmosfera di quell’ora rimane ormai nel mio cuore come quella di una festa nuziale… per la solennità e l’intimità dei sentimenti.
Arriva, dopo la funzione, la nonna poi zia Maddalena da Milazzo.
Tanti altri amici e parenti sono seduti sui gradini della contigua chiesa della Madonna dell’Itria e seguono la malattia di mamma. Noi figli siamo i più legati, i più stretti al suo letto dal quale nulla ci sposta.
Continuiamo a pregare… purtroppo il momento è così grave che bisogna farsi coraggio. Le luci si sono spente, pare che scrosci la pioggia e ci sia temporale fuori ed è l’ora di pregare di più.
Nella penombra della sera si dà inizio alla preghiera della buona morte. Tutti in ginocchio. Passa qualche ora e mamma ripete: “leggi la preghiera della buona morte”. “L’abbiamo già detta ma la ripetiamo”. Mi sento in dovere di annunziare per la seconda volta: “si rilegge la preghiera della buona morte per espressa richiesta di mamma”. Siamo ormai al nuovo giorno. Si prega e si spera che duri per il Viatico. Alle 4 mi accorgo che mamma è calda e durerà per le 6, ma Rosetta mi dice qualcosa silenziosamente. A mamma non sfugge questo parlare sottovoce e domanda. Le rispondo: “Diceva Rosetta se non fosse il caso di chiamare don Tortorella”. “Che ore sono?” “Le 5, le 5,10 è quasi giorno”. “No, mamma, intervengo io per non farle perdere il merito del sacrificio, sono le 4 circa”. “E allora don Tortorella non c’è”. Pensa qualche attimo poi aggiunge: “Può andare Paolo con la bicicletta a chiamarlo”. Ora non le si può rifiutare; subito la macchina di Bruno va dal Reverendo e ritorna immediatamente. Si preparano sul tavolinetto due candele, si accostano vicino al lettino e nell’oscurità della notte si sente questo angolo di Paradiso aprirsi sul letto di una madre sofferente. “La può prendere tutta l’Ostia?” domanda il reverendo. “Mamma cosa dici?” risponde: “Tutta, sì tutta la prendo”. Solleva con sforzo la testa cadente e riceve il pane degli Angeli. Alla Comunione fu un crescendo di preghiere ad alta voce… perché c’era il timore che finisse da un attimo all’altro e si viveva attimo per attimo come per l’ultimo, così per ore ed ore.
Due volte in quella penosissima mattinata sentii l’odore del cadavere e la vidi improvvisamente, nella parte centrale del volto, fatta nera… poi ritornava normale.
Impossibile chiamarci per prendere qualcosa; anzi mamma stessa disse: “lasciala stare a lei che deve pregare”. Mi si pregò di fare almeno più adagio. Disse: “No… forte”. Solo una volta disse: “Hai la bocca asciutta” e aggiunse forse “basta”. Ma basta per me, perché non mi stancassi, perché era solo questa la preoccupazione di mamma: che noi non ci affliggessimo, perché soffriva senza mandare un lamento e si premurava di ognuno di noi nella speranza di saperci non troppo sacrificati.
Ritornò verso le 9 il Reverendo e disse che poteva dare l’indulgenza plenaria a mamma. Voleva trovare le parole adatte per prepararla sufficientemente e senza sgomentarla. Io che nello sguardo e nell’espressione di mamma leggevo chiaramente il pensiero, dovetti interromperlo: “Reverendo dite tutto a mamma, poiché mamma è pienamente cosciente delle sue condizioni”. Mamma approvò col capo… poi raccolta e attenta, seduta coi piedi a terra seguì passo passo la benedizione facendosi per tre volte il segno di croce come si richiedeva.
Alle 11 ripassa nuovamente don Tortorella. Vede lo stato gravissimo di mamma e mi dice: “C’è un’ultima cosa da fare: chiedere la benedizione del Santo Padre, ma chi sa se arriviamo in tempo”. Lo mando a precipizio ed egli generosamente si affretta ad andare in Curia per fare la richiesta.
Intanto mamma è sempre grave, io prego con lei. Quando la mia voce si abbassa si innalza quella di Rosetta. E’ un crescendo, odioso per alcuni presenti, opprimente. Ma io sento di essere con mamma in viaggio verso il Paradiso. “Accompagnami con le Ave fino all’ultimo” mi dice mamma. Poi: “anche altre preghiere purché preghi”. Questo era il comando di mamma ed io che inoltre avevo chiesto al Signore di farmi soffrire con lei, di farle compagnia, potevo cessare un minuto di accompagnarla con la preghiera? Ma il viaggio è lungo e faticoso. Sento di avere fatta molta strada, ma che non posso continuare ancora. La guardo, il suo volto è quello di un Cristo crocifisso, gli occhi fatti chiari, languidi e profondi dalla sofferenza, il capo chino che si curva forzatamente sul collo, le mani afferrate alla bocca dell’ossigeno. Ma quando la vedo tentare di baciare, capisco che vuole il crocifisso e l’aiuto a portarlo alle labbra… e lo bacia quel bel crocifisso in articulo mortis che, come lei sa è di Michelina Priolo. Eccola seduta, poi a letto, poi obliquamente… non trova pace, allora prende il Crocifisso, lo gira dalla parte delle stazioni, lo guarda e il volto ha un lampo di luce, di sollievo certamente, poi avvolge la corona intorno alla mano, come faceva sempre quando si recava in chiesa. E noi sempre accanto, in ginocchio, spesso a baciarla, e sembrava che in quei baci trovasse il suo cibo più adatto.
Sono le 12,30. Mamma da qualche giorno non può nemmeno inghiottire, va avanti con l’ossigeno e le iniezioni. Ecco Antonietta con un’iniezione anzi domanda prima di farla. Io mi agito disperatamente: “Come potete chiedere a noi?” fargliela significava prolungare il martirio, non fargliela sottrarle qualche minuto di vita.
Mi accosto a mamma e al suo orecchio dico piano: “Mamma, deve arrivare la benedizione del S. Padre. Sia quel che vuole Dio” prima aveva col capo accennato “per prolungare” ora fa un gesto di rassegnazione e mi segue quando io dico: “Signore se è possibile passi da me questo calice, se no la tua volontà sia fatta e non la mia” queste parole pronunziamo per l’iniezione e per un uovo che a quest’ora le fanno succhiare. Quindi ancora preghiere: il S. Rosario, la litania della Vergine, la Coroncina al S. Cuore, la litania al S. Cuore, le litanie dei Santi.. e mamma sempre sospesa tra la vita e la morte in un modo che comincia ad innervosirmi perché mi chiedo se può volersi tanta prova. Se aveva sofferto così eroicamente non avrebbe potuto perdere tutti i meriti non sopportando più gli atroci dolori che io leggevo sul suo volto traboccare?
Ma alle 16 circa mi convinco che non deve essere poi in quelle condizioni disperate che io credo. Infatti il suo volto e le sue mani si sono riscaldati ancora. Non ricordo in quale modo mi riesce possibile allontanarmi dal suo letto. Siamo più tranquilli, però ritorno subito a rivederla… ritrovo tutto tranquillo, mamma sta veramente meglio.
Roma 29 settembre 1986
Testimonianza di Rosetta
Sento il bisogno di scrivere di un episodio fondamentale della mia vita che in determinati periodi,e questo è uno di quelli, mi si ripresenta alla mente (o al cuore?) in maniera opprimente e a volte mi tiene sveglia quasi tutta la notte.
Voglio parlare della morte di mia madre Angelina Battaglia che è stata una donna straordinaria. Ha vissuto nella semplicità e nel sorriso i grandi sacrifici della sua vita attingendo forza nella Comunione quotidiana e nella corona del Rosario che teneva sempre avvolta nella mano mentre si recava in chiesa. “Vado a prendere il Pane per i miei figli” confidò una volta a una persona amica.
Mia madre è morta il 29 agosto del 1953 e io avevo vent’anni. Il mercoledì delle ceneri di quell’anno, 18 febbraio, ebbe un incidente stradale. Un camioncino la travolse facendola rotolare più volte sull’asfalto. Esteriormente non presentava molte ferite ma dentro era tutta rotta. La testa però non aveva subito danni e questo le ha consentito di vivere in piena lucidità il suo periodo di purificazione. Dopo una degenza ospedaliera sembrava ristabilita e il suo ritorno a casa la rivide rituffata con tutta la sua sorridente laboriosità (era intelligentissima) nelle mille faticose faccende domestiche. Verso giugno cominciò ad avvertire dolori alle spalle, all’altezza dei polmoni. Si trattava di cancro (di origine traumatica?). Si mise a letto ed ebbe tutte le cure del caso ma non l’intervento chirurgico perché il danno era ormai troppo vasto.
Si cominciò a pregare con lei e per lei che conservava sempre una grande serenità e un lieve sorriso. Solo una volta mi confidò: “dentro ho come tanti gatti che mi sbranano”.
Accanto al suo letto si allestiva ogni mattina un piccolo altare perché quel Gesù che lei per tanti anni era andata a ricevere in chiesa, ora le veniva portato ogni giorno in casa dal sacerdote.
Quando le condizioni si aggravarono ulteriormente, mia sorella Maria sentì il bisogno e anche il dovere di parlarle della morte imminente che l’attendeva perché diceva che un momento così importante della vita va vissuto con consapevolezza per poterci sempre più uniformare alla volontà di Dio. Non mi fu dato di assistere al loro intimo colloquio ma vidi mia madre conservare la sua serenità.
Ormai accanto a lei si pregava incessantemente e mia madre ripeteva come poteva con noi tutte le preghiere anche quelle terribili che si usavano una volta per i moribondi.
Una mattina ci informò che voleva ricevere l’Estrema Unzione e noi che ci precipitavamo a chiamare il sacerdote fummo fermati dalle sue parole: “Non c’è fretta, morirò fra tre giorni” il sacerdote poteva venire con tutta calma, intanto noi figli dovevamo indossare i nostri abiti migliori e avvisare parenti, amici e conoscenti perché venissero a partecipare alla “festa”. Così a poco a poco la casa si riempì di gente. Mia madre volle sedersi sul bordo del letto e curva e rimpicciolita dalla malattia (non aveva ancora sessant’anni) si dispose in gran raccoglimento a ricevere il suo ultimo sacramento. Tutti eravamo in preghiera. Tutti sentivamo di vivere un’esperienza eccezionale. Lei era felice che tanti fossero presenti e salutò tutti e benedisse noi figli. Dopo tre giorni, all’alba del sabato, spirò e in quel momento mia nonna materna che abitava in un paese vicino vide passare accanto al suo letto una fanciulla vestita di bianco che le sorrideva e la salutava con la mano.
Nello stesso giorno di sabato si svolsero i funerali. Eravamo in tanti a piedi dietro il feretro a formare un corteo (una processione?) e recitavamo il Rosario nei suoi misteri gloriosi.
Era per tutti certamente un forte momento di grazia.
Questo ricordo incandescente mi fa ripetere con la “Sapienza” che veramente “la memoria della virtù è immortale”.
Quali umane ricchezze possono stare a confronto con la ricchezza di questo ricordo?