"Il mio nome è Pietro" - Pietro Sarubbi a Liscate
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Combinazione Sarubbi a Liscate
Combinazione il Vangelo dell’indomani, domenica, era proprio la pagina degli Atti degli Apostoli in cui Pietro, con Giovanni, è sotto processo davanti al Sinedrio, ma non rinuncia a testimoniare Cristo. Esattamente questa la situazione in cui il capo degli apostoli è collocato nella pièce teatrale “Il mio nome è Pietro”, lungo intenso godibilissimo monologo in cui un San Pietro a tutto tondo che più credibilmente uomo non si può racconta la storia del suo incontro con Gesù e della sua vita cambiata non con un colpo di magia ma attraverso un lungo percorso di stupore, entusiasmi, dubbi, confusioni, incertezze, slanci impetuosi e improvvise paure, tradimenti vergognosi ma un amore sincero per Gesù. Un sabato sera di primavera tutto questo viene reso vivo vero palpitante e incontrabile dal grande attore Pietro Sarubbi sul palco del teatro parrocchiale a Liscate, borgo a est di Milano, citato dal Manzoni che vi fece transitare il suo Renzo Tramaglino diretto verso l’Adda di Vaprio, e per il resto sempre nei secoli dei secoli ignorato.
Combinazione Sarubbi si chiama proprio Pietro, ha una faccia maschia di sole e fatiche, di vento e salsedine da capo pescatore di paranza, i lungi capelli neri mossi come fossero al vento che ricordano la corsa al sepolcro vuoto di Gesù del famoso dipinto di Eugène Burnand. Ma non è una combinazione che lui e Pietro, sul palco perché nella vita, siano la stessa vicenda umana. Vicenda più che recitata, testimoniata. Almeno così è sembrato a me, che di teatro non m’intendo affatto. La compenetrazione fra attore e personaggio è totale non solo per la straordinaria capacità interpretativa di Sarubbi, che è indubbia, ma perché l’Imprevisto che è accaduto a Simone detto Pietro, e cioè di incontrare lo sguardo di Gesù e non poterne più fare a meno, è accaduto al Sarubbi di nome Pietro.
Combinazione gli è accaduto, a Sarubbi, proprio nell’occasione in cui avrebbe voluto interpretare Pietro ma Mel Gibson gli fece fare Barabba. Sì, proprio Mel Gibson, nel film La Passione di Cristo. L’Imprevisto si fa incontro a Sarubbi sul set, attraverso lo sguardo di Gesù verso Barabba, lo sguardo di Jim Caviezel su di lui stesso. «Barabba è simbolo della nostra civiltà, è l’uomo di cui Cristo prese il posto sulla croce, come se Cristo fosse morto per salvare lui, e quindi in lui si riassume l’umanità intera, salvata», ha scritto Gabriele Mangiarotti nella postfazione a Da Barabba a Gesù. Convertito da uno sguardo.
Sarubbi dopo la rappresentazione, che sta capillarmente portando in giro per l’Italia, quando in genere gli attori se ne vanno a riposare o a cenare, prosegue il monologo di Pietro parlando giù dal palco di sé, della sguardo di Gesù incontrato sul set, del sacerdote che un giorno, dopo aver visto il film “mi chiamò e mi disse: Guarda io seguo gli insegnamenti di un sacerdote che si chiama don Giussani - io neanche sapevo chi fosse - che ci ha insegnato tante cose nella vita, tra cui l’attenzione a riconoscere la verità dello sguardo. Ci vogliamo incontrare, ne vogliamo parlare?. E io ho risposto: sì. Sono mesi che sono in balia della confusione più totale. Parliamone”. E così, da quell’incontro è nata un’amicizia che prosegue tuttora”.
E così l’”ateo” Sarubbi ha sposato in chiesa la sua compagna, ha fatto battezzare i figli, vive da cristiano e lo dichiara apertamente a costo di smenarci non poco, in un mondo dello spettacolo come quello che c’è, in termini di occasioni di lavoro e di quattrini. Come Pietro davanti ai sommi sacerdoti: ti proibiamo di parlare di Gesù in pubblico, fai il bravo e vedrai che non ti facciamo niente di male e magari ne avrai anche qualche vantaggio. Ma il Pietro pescatore galileo e il Pietro attore milanese di quella proibizione, cioè del potere, se ne fregano.