Giorgio Perlasca e Moshe Bejski: due figure luminose della nostra storia 1

Ho avuto modo di approfondire le vicende di due uomini che sono stati i protagonisti di vicende straordinarie nel corso della seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi: Moshe Bejski, polacco, prigioniero ad Auschwitz perché ebreo, diventato giudice della Commissione dei Giusti di Israele negli anni del dopoguerra e Giorgio Perlasca, italiano, commerciante, presente a Budapest negli anni 1944/45, protagonista della vicenda salvifica di migliaia di ebrei salvati dalla morte.
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Premessa
Il 6 marzo di ogni anno, dal 2012, si ricorda la giornata dei Giusti tra le Nazioni, voluta dal Parlamento Europeo per ricordare tutti coloro che in presenza di regimi dittatoriali e crimini contro l’umanità si sono prestati con la loro responsabilità e azione a salvare degli innocenti perseguitati, affermando il valore fondamentale della vita di ogni uomo, indipendentemente dall’appartenenza religiosa o razziale.
Partecipando a queste celebrazioni e rileggendo in particolare i testi di Gabriele Nissim (presidente dell’Associazione Gariwo, la foresta dei Giusti), ”Il tribunale del bene”, di Enrico Deaglio, ”La banalità del bene” e “L’Impostore” di Giorgio Perlasca, e altri saggi, ho avuto modo di approfondire le vicende di due uomini che sono stati i protagonisti di vicende straordinarie nel corso della seconda guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi: Moshe Bejski, polacco, prigioniero ad Auschwitz perché ebreo, diventato giudice della Commissione dei Giusti di Israele negli anni del dopoguerra e Giorgio Perlasca, italiano, commerciante, presente a Budapest negli anni 1944/45, protagonista della vicenda salvifica di migliaia di ebrei salvati dalla morte.
L’uno celebratore dei salvatori, l’altro celebrato come Giusto tra le nazioni.
La loro storia ci permette di completare la conoscenza dei fatti del passato e ci apre ad uno sguardo positivo e fiducioso sul futuro. La memoria, infatti (V. Mariano Vezzali, Memoria e Storia, Lineatempo 1994), è una delle componenti preziose della nostra persona, determinante nella ricostruzione storica degli eventi, nella conoscenza dell’identità di persone e popoli, nel patrimonio di valori tramandati di generazione in generazione, e ci spinge, nella comprensione più ampia di ciò che è successo, a non vedere solo il negativo, e a pensare che c’è sempre, per ogni uomo e in ogni tempo, la possibilità di vincere il male.

Prima Parte
Moshe Bejski

Mentre era prigioniero dei nazisti, nel 1943, in un campo di concentramento a 20 anni, Moshe Bejski (nato nel 1921 vicino a Cracovia) ha avuto la straordinaria fortuna, fra i tanti condannati ad una morte certa, di venir inserito in un elenco contenente i nomi degli ebrei che venivano prelevati dal lager per altra destinazione.
Questi erano infatti richiesti da un certo Oskar Schindler, imprenditore tedesco, che credo noi tutti conosciamo anche per il bellissimo film SCHINDLER’S LIST. Con il pretesto di impiegarli come personale necessario alla produzione di pentole prima e poi di materiale utile allo sforzo bellico presso la sua fabbrica, a Brinnlitz, situata ai confini con la Cecoslovacchia, Schindler ha salvato durante la seconda guerra mondiale 1200 ebrei dallo sterminio (Shoah), grazie ad una “lista” da lui compilata, nella quale ogni ebreo che aveva lavorato per lui era stato comperato dallo stesso Schindler in cambio di doni preziosi e diamanti consegnati a Amon Göth, il comandante del campo di concentramento di Plaszow, alla periferia di Cracovia, e quindi salvato.
E Bejski nella fabbrica d’armi aveva l’incarico di falsificare i timbri che autorizzavano il prelevamento di acquisti e viveri per i suoi operai, senza suscitare sospetti. Spesso Schindler usciva dal suo ufficio per parlare con le persone presenti in fabbrica e si mostrava attento e premuroso. “Questo era Schindler, questo era il suo cuore” diceva di lui Bejski quando rievocava la vita in fabbrica.
1200 furono i nomi inseriti nella “lista”.
Tornata la pace e liberati gli ebrei, Bejski si era laureato in diritto a Parigi e successivamente giunto in Israele, per anni non aveva voluto riparlare del suo internamento.
(continua)