Giorgio Perlasca e Moshe Bejski 9 - Occorreva ogni giorno rischiare di più

Così, di giorno in giorno, era possibile aumentare il numero dei protetti mentre gli altri ebrei erano scacciati dai loro nascondigli e barbaramente trucidati per le strade e piazze dove la neve si tingeva di rosso.
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Volti"

Perlasca stava mentendo sulle proprie capacità, e madame Tourné scuoteva il capo quando veniva a sapere: era stata infranta la legge, carte, date, attestazioni e certificati erano stati falsati e per lei tutto questo era nuovo ed era grave, anche se fatto per un motivo buono. Farkas invece approvava e la loro azione combinata divenne spregiudicata e audace.
Visitando di continuo le case protette, trovò dei soldi e con molto tatto e riguardo, li consegnò al capo del Partito Frecciato e astutamente ribadì il concetto che Briz non era fuggito, bensì si era allontanato temporaneamente per accordarsi col governo di Madrid.
Tutte le volte in cui veniva convocato per giustificare le nuove protezioni distribuite, spiegava con toni che non ammettevano repliche che l’operato della Spagna non si metteva in discussione, pena la revisione dei rapporti amichevoli tra Spagna e Ungheria. La sua freddezza, logicità e determinazione andavano a segno e convincevano.
I Frecciati gli chiedevano attraverso Madrid di stabilire dei contatti con inglesi e americani per prepararsi una via di fuga all’arrivo dei Russi.
Occorreva però ogni giorno rischiare di più.
Lui solo ormai visitava le case protette più volte al giorno, lui metteva ben in mostra la bandiera spagnola sulla sua macchina. Lui rincuorava, moltiplicava i doni agli ufficiali di polizia, proprio come aveva fatto Schindler, ben sapendo che ogni dono significava vite di ebrei salvate.
Si muoveva ormai a livello di ministeri e sedi governative, accolto ovunque con rispetto e ossequio. Nelle sedi ufficiali del nuovo governo otteneva nuovi accreditamenti come incaricato diplomatico spagnolo e nessuno riconosceva in lui il commerciante in bestiame di qualche anno prima, smascherandolo.
“Quando ripenso a quel periodo mi sembra quasi impossibile che siamo riusciti a fare quello che abbiamo fatto” (op. cit., pag.70) aveva confessato a Deaglio.

Fra le molte imprese spregiudicate di Perlasca, l’Autore rievoca un episodio memorabile.
Sul ponte delle Catene il 20 dicembre del ‘44, una colonna di circa trecento ragazzi scortati erano stati strappati dagli ospizi per essere portati nella sinagoga dove però non era garantita la loro sopravvivenza. Perlasca telefonò immediatamente a Gera, ministro del nuovo governo, e si fece promettere di bloccare la colonna e far rientrare i bambini negli ospizi protetti.

Il ministro era un gerarca particolare: i primi incontri con Perlasca erano stati scontri ma poi si erano capiti e Gera ammirava la durezza e la tempestività di azione del nuovo rappresentante della Spagna. Lo invitò anche ad una cena di Natale all’Hotel Ritz e Perlasca accettò. Si era imposto al gerarca Gera, e questo aveva ceduto alle sue violente richieste.
Nel ricordare l’episodio, confidò a Deaglio: ”Non potevo sopportare di vedere uccidere dei bambini”.
Così, di giorno in giorno, era possibile aumentare il numero dei protetti mentre gli altri ebrei erano scacciati dai loro nascondigli e barbaramente trucidati per le strade e piazze dove la neve si tingeva di rosso.

Ma la situazione nel dicembre del ‘44 si era aggravata: le condizioni dei 60.000 ebrei del ghetto rimasti senza gas, luce e cibo erano agli estremi. Bisognava procurare cibo e medicine, portare fuori dal ghetto nuovi protetti, con certificati creati sul nulla nella notte con l’aiuto di Farkas e Madame Tourné. I giorni scorrevano febbrili.