Giorgio Perlasca e Moshe Bejski 8 - L'ambasciata spagnola e le case protette

Come ogni mattina Perlasca si era preparato a fare il giro delle case protette, ma gli ebrei che le abitavano già sapevano della fuga di Sanz Briz ed erano disperati. Gli fecero giurare che non li avrebbe abbandonati
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
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La Proposta
A Perlasca fu fatta da Sanz Briz la proposta di lavorare negli uffici dell’Ambasciata e aiutare la situazione degli ebrei protetti.
E per la prima volta si lasciò coinvolgere senza troppo pensarci: sarebbe stato un modo per poter rendersi utile e mostrare la propria gratitudine.
I salvacondotti venivano rilasciati in base ad una legge emanata nel 1924 da Miguel primo de Rivera che permetteva di iscriversi come spagnoli a tutti gli ebrei di ascendenza sefardita (cioè di antica origine spagnola, cacciati centinaia di anni addietro dalla regina Isabella la cattolica) in qualunque consolato o ambasciata si trovassero, senza condizioni né limiti.
La legge Rivera fu dunque il fondamento legale di tutta l’operazione messa in atto da Sanz Briz prima e da Perlasca dopo di lui, che gli permise di mettere in salvo 5218 ungheresi.

Il lavoro da fare. Le case protette
Accettata la proposta, Perlasca affrontò il lavoro seriamente: munito di un certificato con cui veniva qualificato come funzionario d’Ambasciata iniziò a visitare regolarmente le case protette del “ghetto internazionale”.
Erano circa 300, ma il numero aumentava di giorno in giorno. Entrò nel vivo della situazione, agì tempestivamente, prevenne le mosse del nemico, cercò incontri con la Polizia, si presentò ai membri del governo filonazista come responsabile con incarichi del governo spagnolo, iniziò a lamentarsi con sempre maggior determinazione a mano a mano che si vedeva ascoltato delle incursioni notturne fatte dai militari nelle case protette; agì da grande diplomatico, facendo presente che andare contro le disposizioni del governo spagnolo, sarebbe stato dannoso per il governo ungherese filonazista a guerra finita.
Tutti sapevano, infatti, che i Russi erano alle porte.
Creò con madame Tourné, Farkas e Sanz Briz un comitato che doveva darsi al più presto un’organizzazione operativa con suddivisione di compiti.
Non si dovevano chiedere soldi in cambio dei certificati di protezione, si ignoravano le raccomandazioni, le concessioni di cittadinanza spagnola erano falsificate e retrodatate rispetto al governo filonazista, i protetti avevano il compito di avvisare immediatamente quando miliziani cercavano di entrare nelle case. Nessun spreco di soldi, niente armi, nessuna uscita per strada dopo il coprifuoco.

Colpo di scena
Nel novembre del 1944 l’ambasciatore spagnolo Sanz Briz comunica la decisione di lasciare Budapest. Se avesse tenuto il suo posto l’avrebbero costretto al riconoscimento ufficiale dalla parte della Spagna del governo filonazista. Meglio fuggire di nascosto senza prendere posizione, altrimenti il Consolato spagnolo sarebbe stato chiuso. Sanz Briz con queste parole si accommiatò dal fedele collaboratore: “Perlasca mi ascolti. Lei è stato molto prezioso e io la ringrazio per quello che ha fatto. Mi sono procurato per lei anche un visto tedesco; potrà partire anche lei. Io andrò in Svizzera ed a Berna le assicuro che le farò arrivare un visto per passare la frontiera tra Germania e Svizzera. Aspetti qualche giorno poi venga; mi creda qui purtroppo non c'è più niente da fare. Perlasca lo guardava perplesso "Nel frattempo come devo comportarmi?” “Non faccia niente di particolare” gli consigliò Sanz Briz. “Aspetti il momento opportuno e poi se ne venga via. Ci pensi. Io parto domani mattina.”(op.cit., pag.67)

La decisione
Perlasca nel suo diario ricorda di aver passato la notte insonne. Le sue coperture erano fragili, e altre occasioni per fuggire non ci sarebbero state. Il futuro era più che mai incerto e oscuro.
Chi era in fondo lui Giorgio Perlasca ex venditore di carni, per ritenersi indispensabile in quel luogo, pronto a reggere le tensioni fra soverchiatori e protetti, vantando un ruolo di sedicente diplomatico con poteri, che non aveva mai avuto?
Se la Spagna lo avesse sconfessato come proprio portavoce e fosse stato scoperto come impostore era la morte certa.
Come ogni mattina Perlasca si era preparato a fare il giro delle case protette, ma gli ebrei che le abitavano già sapevano della fuga di Sanz Briz ed erano disperati. Gli fecero giurare che non li avrebbe abbandonati.
Perlasca scelse per la seconda volta di continuare a fare quello che già aveva iniziato, ma questa volta con una diversa consapevolezza.
Capiva con chiarezza che rifugiarsi al consolato e ottenerne la cittadinanza spagnola era stata una possibilità di salvezza straordinaria, concessa eccezionalmente a lui e alla sua vita e non ad altri e sentiva che sarebbe stato ingiusto non rispondere in qualche modo a quel dono ricevuto, e non pensare che proprio per quel dono toccasse a sua volta a lui offrire delle occasioni di salvezza ad altri.
Ora quello che la sua coscienza gli chiedeva era un compito.