Giorgio Perlasca e Moshe Bejski 7 - La vita di Perlasca e la guerra mondiale
... Rientrato in Italia assistette all’affermarsi delle leggi razziali entrate in vigore nel 1938, ma disapprovando la politica che stava perseguendo il fascismo, ne prese le distanze.Ottenuta nel ’39 una licenza militare indeterminata decise di emigrare...
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L’uomo Perlasca
Era nato a Como il 31 gennaio 1910 e dopo poco la famiglia si era trasferita in provincia di Padova.
Nella guerra civile spagnola aveva militato come artigliere, con le truppe di Benito Mussolini al fianco del generale Franco. A Cadice, durante il congedo, il nuovo governo spagnolo rilasciò a ogni combattente filofranchista una dichiarazione in cui gli assicurava aiuto in ogni luogo e tempo e garantiva soccorso a chi si rivolgeva a lui in caso di bisogno.
Questo documento si rivelerà di importanza fondamentale per la vita futura di Giorgio Perlasca, premessa e presupposto della sua azione. Rientrato in Italia assistette all’affermarsi delle leggi razziali entrate in vigore nel 1938, ma disapprovando la politica che stava perseguendo il fascismo, ne prese le distanze.
Ottenuta nel ’39 una licenza militare indeterminata decise di emigrare.
A Budapest, l’inizio della storia.
Nel 1940 sposò una donna triestina, Romilda del Pin. Nel ’41 come incaricato di una ditta italiana che importava carne per l’esercito, Perlasca venne inviato nei paesi dell’Est.
Dal ’42 sempre più spesso fu a Budapest, con lo status di diplomatico. La moglie aveva deciso di rientrare in Italia.
Inattesa, giunse l‘8 settembre nel ’43 la notizia dell’armistizio.
Vincolato dal giuramento di fedeltà al Re rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, e venne quindi internato per alcuni mesi in un castello riservato ai diplomatici.
Invano Perlasca cercava di ottenere un visto per raggiungere l’Italia meridionale.
Sarebbe rimasto a Budapest fino al marzo del 1944.
Budapest
Così Deaglio descrive la nuova situazione di Budapest nel ’43:
“Budapest era diventata irriconoscibile, Il nuovo governo aveva cominciato ad agire per risolvere “secondo i desideri tedeschi” la questione ebraica in Ungheria. Dalle province a est, nel silenzio generale partivano quotidianamente i convogli organizzati da Eichmann verso i campi di annientamento in Polonia; gli ebrei dei villaggi che riuscivano a fuggire cercavano rifugio nella capitale considerata l'ultimo porto sicuro. Per la città si vedevano colonne di uomini che partivano a piedi verso Vienna o verso le miniere della Croazia. All'inizio dell'estate venne deciso che gli ebrei di Budapest si trasferissero in edifici appositi contrassegnati sul portone da una grande stella gialla. Giornali inglesi e svizzeri che ricevevano corrispondenze da Budapest indicarono in questo provvedimento che veniva dopo l'identificazione fisica sui vestiti il chiaro segnale che la deportazione era prossima.”(op. cit., pag.50)
E il 16 giugno del 1944 a Budapest si svolse il rogo dei libri scritti da ungheresi ed ebrei e così scuole, biblioteche e librerie furono costrette a consegnarli (447.627 testi) per essere bruciati fra gli applausi di funzionari e militari.
Ormai le voci delle deportazioni si diffondevano con tutti gli orrori delle descrizioni che li accompagnavano. Quando i tedeschi presero il potere (metà ottobre 1944), affidarono il governo alle Croci Frecciate, i nazisti ungheresi, che avviarono le persecuzioni sistematiche, le violenze e le deportazioni dei cittadini di religione ebraica.
In quello stesso mese, scrive Deaglio, “Budapest era la città dell’Olocausto annunciato; solo il rapido arrivo delle truppe sovietiche e il ritiro di quelle naziste avrebbe potuto impedirlo”.
Alcuni ebrei ricchi che possedevano ingenti somme di denaro, in base ad accordi segreti con le SS di Eichmann, si dichiararono disposti a pagare con 1000 dollari a testa il lasciapassare per la Svizzera.
Solo pochi capi di stato e autorità internazionali, Roosevelt, Pio XII, il Card. Spellman di New York e il re di Svezia, cercarono di fare pressioni su Horthy, perché fermasse le persecuzioni, ma con scarso risultato.
E alcuni funzionari della Croce Rossa della Spagna, della Svizzera, della Svezia, del Portogallo e del Vaticano con il Nunzio Apostolico Mons. Angelo Rotta, operavano in accordo con la aristocrazia magiara per contrastare la catastrofe degli eccidi.
Il 15 ottobre del ’44 l’ammiraglio Horthy improvvisamente firmava l’armistizio con i Sovietici annunciando che l’Asse aveva perso la guerra. L’Ungheria dunque non era più nemica dell’Armata Rossa.
A questo punto il capo delle Croci Frecciate Szàlasi proclamatosi Reggente decise di continuare ugualmente la guerra contro i russi con un nuovo governo.
Giorgio Perlasca si sentiva sempre meno al sicuro: fuggì dal castello dandosi alla macchia; si fece ricoverare temporaneamente in un sanatorio e lì ebbe l’idea, per sfuggire ai tedeschi che a quel punto lo avrebbero deportato in Germania, della possibilità di rifugiarsi nel Consolato spagnolo e chiedere aiuto all’ambasciatore spagnolo Sanz Briz, presentando la dichiarazione di Cadice. Così fece e, raggiunto il consolato, ottenne, grazie al suo passato di combattente, la cittadinanza spagnola con regolare passaporto e lettera di credenziali per il Ministero degli Interni ungherese con il nome di Jorge.
A questo punto Perlasca registratosi all’ufficio stranieri risultò cittadino spagnolo a tutti gli effetti.
Nella sede del Consolato spagnolo Sanz Briz svolgeva da mesi per il suo paese un’attività frenetica (nel 1991 gli fu riconosciuto dal museo dell'Olocausto Yad Vashem, il titolo di Giusto tra le Nazioni): si accordava con le altre potenze e rilasciava salvacondotti per proteggere i cittadini ungheresi di religione ebraica.
Sanz Briz esaminava le richieste di protezione che aumentavano di giorno in giorno e il giovane avvocato Farkas fungeva da interprete. Ogni pratica relativa agli ebrei veniva poi sbrigata da Madame Tourné, una francese di origini ungheresi che era aiutata da alcuni volontari.