Giorgio Perlasca e Moshe Bejski 6 - La storia di Eva Lang
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Il ritorno a Budapest
Una volta rintracciato in Italia, Perlasca aveva accettato l’invito di tornare in Ungheria e aveva raccontato a Deaglio che una grande commozione lo aveva preso quando il treno si stava avvicinando alla stazione di Budapest: una folla di ungheresi fermi sulla banchina, leggiamo, aveva saputo del suo arrivo e lo aspettava per festeggiarlo, ringraziarlo, ricordare con lui come erano stati salvati.
Un mare di ricordi brutalmente riemerse con i suoi contenuti drammatici e tragici, le sensazioni, gli spettri di un tempo, che però mai lo avevano lasciato anche se sepolti e quasi censurati.
All’Hotel Astoria dove aveva vissuto 40 anni prima, aveva incontrato tante persone grate che ben si rammentavano di lui, e aveva saputo che tutto egli doveva alla contessa Irene von Borosceny, a quella donna che giovanissima, a Budapest gli aveva passato informazioni e messaggi, lo aveva incoraggiato, e sostenuto nelle sue imprese ardite e rischiose.
E il 24 settembre 1989 su loro segnalazione si sarebbe recato a Gerusalemme per il conferimento della Medaglia d’Onore e il diritto di piantare un albero a suo nome nella strada dei Giusti.
Eva e Pal Lang
Ma ancora più decisa e commovente era stata una coppia di anziani ungheresi che, saputo del suo ritrovamento, avevano deciso di andare personalmente a ringraziarlo.
Nel settembre del 1988, colsero l’occasione di un viaggio organizzato in Italia con tappa a Padova e si prepararono ad incontrare il loro salvatore.
Nella valigetta di doni che avevano preparato, Eva aveva messo due qualità diverse di salame ungherese, un barattolo di paprika, una bottiglia di Tokaji, degli amaretti al rum, del prosciutto in lattina, una copia del giornale in cui si parlava di lui, fotografie di Budapest, una tovaglia, dei centrini ricamati, documenti e certificati.
Storia di Eva
Eva Lang, ebrea, nel 1944 abitava a Budapest ed era terrorizzata dalle incursioni dei tedeschi che sfondavano le porte delle case, trascinavano gli ebrei nelle strade, li picchiavano e li inviavano nei campi di concentramento.
Aveva sentito che al consolato spagnolo potevano concedere dei certificati di protezione e ne aveva ottenuto più di uno per i suoi famigliari.
Lì aveva visto per la prima volta Perlasca.
Quando i filonazisti sgombrarono il suo palazzo e portarono tutti gli ebrei, compresa la famiglia di Eva in un campo per la deportazione, Perlasca arrivò come un fulmine nel campo e con aria decisa urlò al megafono i nomi di tutti quelli che erano stati dichiarati sotto la protezione spagnola e li liberò, in base agli accordi fra i due paesi.
I soldati non si opposero.
Eva ricordava benissimo Per Lasca come lo chiamavano loro e non lo avrebbe mai dimenticato. In altre occasioni aveva rivisto lo stesso uomo: impediva ai soldati di entrare nei palazzi dei protetti e procurava il cibo agli ebrei. Era un bel signore, con un vestito elegante.
Lo chiamavano Per Lasca pensando che Per fosse un titolo nobiliare. Forse era un ambasciatore e forse era stato mandato dagli americani. Su di lui ognuno inventava qualcosa di diverso. Era il loro eroe.
L’incontro
Quando Eva e Pal si incontrarono con Perlasca, nella sua casa di Padova, si riconobbero, ricordarono e ricordarono commossi ciò che avevano vissuto e la loro comune storia di sofferenza e di salvezza.
Mentre Perlasca apriva la valigetta, una profonda commozione lo colse ma quando si ritrovò fra la mani il salvacondotto di protezione da lui procurato, l’ondata dei ricordi lo sopraffece, e come in un film la sua vita gli scorse davanti agli occhi.