Giorgio Perlasca e Moshe Bejski 5 - Perlasca dimenticato da tutti viene riscoperto
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Deaglio incontra Perlasca
Enrico Deaglio, autore de La banalità del Bene, giornalista e scrittore, nel 1989 aveva raggiunto Giorgio Perlasca nella sua casa di Padova, deciso a farsi raccontare ogni particolare della sua avvincente, quasi incredibile vicenda per scriverne un libro.
Si era trovato davanti un signore di 80 anni, leggiamo, magro e alto, con i capelli bianchi e gli occhi azzurri, che sedendo davanti a lui ad un certo punto gli aveva chiesto: ”Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?” con quella semplicità che caratterizza tutto il suo racconto.
E aveva aggiunto: “E’ strano che tutto questo mi succeda proprio adesso…. E’ strano perché quando tornai la storia provai a raccontarla, ma sembrava che nessuno mi credesse”(E. Deaglio, La banalità del Bene, pag.19)
Quando infatti, alla fine della seconda guerra mondiale, Perlasca aveva cercato di raccontare le vicende che aveva vissuto in prima persona, e le ragioni che lo avevano spinto ad utilizzare false credenziali per mettere in salvo sé e uomini e donne ebree a Budapest, non gli avevano prestato molta attenzione e forse neppure gli avevano creduto. “Così successe che piano piano, me ne dimenticai. Anche io ci pensavo spesso naturalmente ma cominciavo a dubitare. Mi dicevo: ma è veramente vero quello che mi ricordo? è vero quello che è successo agli ebrei di Budapest?”... Nessuno dei responsabili italiani della deportazione, scrive Deaglio, venne punito. Per tacita legge di compensazione si tacque anche sui salvatori. Il muro che si trovò di fronte Perlasca quando tornò a casa fu fatto di questi materiali: tanta voglia di rimozione e poca voglia di fare paragoni”. (op. cit., pag.21)
Aveva ripreso a lavorare e di meriti non ne aveva voluto sentir parlare.
Era un uomo come tanti; serio, onesto educato per tutti quelli che lo conoscevano.
La storia dell’Ungheria
Ma per proseguire, è utile, brevemente, ricordare la situazione storica in cui versava l’Ungheria.
Con la prima guerra mondiale, crollato l’Impero, la Budapest dei tempi antichi, la seconda perla dell’Impero austroungarico presentava un volto sfigurato. E dopo una breve parentesi di governo repubblicano con Béla Kun, l’ammiraglio Horthy aveva restaurato la monarchia (asburgica) che peraltro era stata dichiarata decaduta nel 1921. Il Nuovo Reggente con un governo reazionario, si schierò nel corso della seconda guerra mondiale con le forze dell'Asse.
Ma quando Horthy cercò uno sganciamento dalla guerra, il 19 marzo 1944 i tedeschi invasero l’Ungheria e al governo si pose il Partito delle Croci Frecciate con Ferenc Szàlasi, l’uomo dei nazisti e ferocemente antisemita. Con lui si inaugura il regime di terrore in Ungheria, le leggi razziali, la confisca dei beni degli ebrei e la loro deportazione in massa. (L'emblema delle croci frecciate era un antico simbolo delle tribù magiare che si erano stabilite in Ungheria, e quindi rappresentava la purezza razziale degli ungheresi allo stesso modo con cui la svastica nazista intendeva alludere alla superiorità e purezza della cosiddetta razza ariana).
La guerra terminò con la caduta di Budapest occupata dalle truppe sovietiche, che imposero un governo a loro amico.
In questo caos di situazioni estreme viene a trovarsi e opera un italiano che segnerà la storia di quell’anno.
Di lui però negli anni successivi si era persa ogni traccia e ricordo.
Occorse l’Operazione Perlasca, come la definisce Deaglio, per rintracciare l’italiano cui tanti ebrei a Budapest dovevano la vita.
Tutto iniziò in modo assolutamente fortuito e rocambolesco, ma ai nostri occhi provvidenziale, nel salotto della casa della dottoressa Eveline Blitstein Willinger, immunologa, nel 1987 a Berlino.
Questo il racconto della dottoressa:
“Insieme alla mia famiglia vent'anni fa emigrai dalla Transilvania a Berlino dove cominciai a lavorare come ricercatrice presso l'università. In poco tempo conobbi una vasta cerchia di persone originarie dell’Ungheria… Prendemmo l'abitudine di ritrovarci una volta al mese per parlare delle nostre storie, dei libri, delle nostre professioni. Quattro anni fa la signora Irene von Borosceny, una contessa ungherese, che aveva lavorato presso la Croce Rossa internazionale a Budapest negli ultimi mesi della guerra, aveva conosciuto Wallenberg (salvatore di molti ebrei). Ma oltre a lui, ci disse, aveva conosciuto un altro uomo eccezionale, un italiano di nome Giorgio Perlasca. Un uomo che si era prodigato e di cui nessuno si ricordava… Così presi l'iniziativa di fondare un gruppo per aiutare Perlasca. Perché non se ne era parlato sui giornali? Perché il governo italiano non lo onora come una persona eccezionale? (op. cit, pagg.24,25)
Il problema era come rintracciarlo.
“Fu allora che Vera Brown ebbe l'idea che risultò essere quella decisiva. Far pubblicare in Israele e a Budapest un annuncio sul giornale: ”Cerchiamo tutti coloro che nel 1944-1945 ebbero occasione di conoscere Giorgio Jorge Perlasca di origine italiana e a quel tempo incaricato dell'ambasciatore di Spagna e che pare abbia preso parte nell'organizzazione delle case protette spagnole. Chiunque sappia qualcosa delle attività della suddetta persona è pregato di presentarsi all’Istituto Nazionale dei Rabbini”.
“Successe allora un fatto che per me ha qualcosa di straordinario” racconta la dottoressa Blitstein Willinger. “Molti si fecero vivi, ricordavano bene, rievocavano fatti, luoghi, situazioni precise, inviarono documentazioni e certificati di protezione ottenuti grazie a quell’uomo indimenticabile, dai modi gentili e decisi, che veniva chiamato Per Lasca (come da loro era pronunciato), capace di intervenire nei momenti più pericolosi, di proteggere, di salvare, strappando nei modi più fantasiosi dalle retate dei nazisti tutti quelli che poteva.
Fu così che un giorno qualunque Perlasca si venne a trovare nella casella postale una lettera proveniente dalla Germania: era stato scoperto! E questo miracolo era avvenuto grazie a quel gruppo di donne che dopo molti anni, a guerra finita, avevano deciso di rendere giustizia a quest’uomo straordinario per umanità e coraggio, dimenticato da tutti.”
(op. cit., pag.26)