Giorgio Perlasca e Moshe Bejski 2 - Pescatore di perle, testimone del bene
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MOSHE BEJSKI: pescatore di perle, testimone del bene
Nel 1961 improvvisamente, venne chiamato a presenziare al processo svoltosi a Gerusalemme contro Eichmann e lì nel corso delle deposizioni sue e delle altre vittime sopravvissute ai campi di concentramento, aveva avuto come una folgorazione: aveva intuito che la sua presenza e testimonianza non poteva più essere soltanto quella del teste che riferiva fatti oggettivi funzionali al processo.
Egli era molto di più: era un superstite che sentiva il dovere di ripensare da quel momento alla propria storia, capirla, condividerla. (V. G. Caramore - M. Ciampa, La vita non è il male, Feltrinelli 2016)
La memoria non poteva limitarsi a registrare solo il male sofferto, ma doveva far emergere anche il bene vissuto e ricevuto, ed edificare sul passato. Come scrive Nissim: “Non poteva eliminare le macerie della storia, né ridare sollievo alle vittime... ma nessuno come lui sapeva mostrare quante risorse ed energie possiedono gli esseri umani per resistere al male” (G. Nissim, Il Tribunale del Bene, Mondadori 2003, pag. 3)
Questo dunque sarebbe stato il suo compito: ricordare il bene ricevuto durante il genocidio e cercare, trovare, onorare coloro che avevano salvato la sua vita e quella di tanti ebrei condannati, mettendo a rischio la propria.
Nel 1970 Bejski fu nominato presidente della Commissione dei Giusti istituita nel 1963 presso il Memoriale di Yad Vashem, a Gerusalemme.
(YAD VASHEM è un sito appena fuori Gerusalemme ove vengono ricordati i 6 milioni di ebrei morti nella Shoah e i non ebrei che hanno rischiato la loro vita per salvare degli ebrei. Letteralmente significa “luogo” (YAD) della “memoria“ (VASHEM) ricordando le parole di Dio a Israele: “Ti concederò nella mia casa e dentro le mie mura UN MONUMENTO (luogo) e UN NOME (memoria).
Egli continuò a occupare tale carica fino al 1995.
Il suo ruolo fu quello di ”pescatore di perle” come lo definisce Nissim, cioè di ricercatore infaticabile in tutti i paesi che erano stati coinvolti dalla guerra e dalla tragedia ebraica, di uomini (più di 14.000) spesso non celebrati dalla storia, che gratuitamente, in nome della giustizia l’avevano illuminata con la loro presenza e azione, capace di contrastare la paura e il flusso del male, salvando migliaia di esseri umani dall’annientamento.
“Aveva iniziato un percorso, ma poi è andato in tutt’altra direzione perché la vita glielo ha imposto. Ha trasformato il suo particolare destino in una missione universale” (G. Nissim, op. cit., pag. 7)
(continua)