Cèsar

Autore:
Romano, Claudio e Facci, Piero
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Dio è misterioso. Non solo perché nessuno lo ha mai visto, ma soprattutto nello svolgersi della storia di ciascuno di noi. Tante situazioni ci appaiono incomprensibili, ingiuste. E ci chiediamo allora: ma Dio dov'è? Perché le permette? Risposte non ce ne sono. Soprattutto teoriche. Abbiamo bisogno, per cercare di capire, di testimoni. Come Cèsar.

Quella del 29 giugno 2000 è una data che rimarrà per sempre nella nostra vita. È ancora buio quando il cancello del Rime di San Paolo si apre e, per le strade ancora
assopite della più grande metropoli dell'America Latina, sfrecciamo verso Guaratinguetà. Sono 200 Km che si percorrono velocemente in meno di tre ore. Luci, tunnel, sopraelevate, tra grattacieli che svettano orgogliosi. Poi, fuori città, finalmente la pace della campagna, boschi e in lontananza qualche montagna della "Serra della Mantiqueira".
Prima dello svincolo per l'uscita, sulla sinistra, il maestoso santuario nazionale di Nossa Senhora Aparecida: orgoglio e simbolo per i brasiliani. Poi la strada si fa piccola e andiamo decisamente verso le montagne. Lasciato l'asfalto saliamo per una strada bianca, tutta ciottoli e sassi. Accanto, un bellissimo ruscello che scende canticchiando dalle colline della "serra".
La natura si fa rigogliosa e lussureggiante, punteggiata qua e là da bananeti che rendono il paesaggio tipicamente tropicale. Finalmente stiamo per arrivare.

Il grande passo

Una grande scritta ci accoglie: "Benvindo a Fazenda da Esperanga". Subito ci coglie di sorpresa il frenetico via vai e quel capannone zeppo di gente con al centro un'equipe di operatori televisivi. Ci dicono che è "Rede Vida", una tv cattolica, che trasmette in tutto il Brasile, e che riprenderà in diretta l'evento. Sul palco, un grande altare e uno striscione appeso al soffitto: "Nella tua volontà la mia gioia". Sulla sinistra, il coro sta dando gli ultimi ritocchi ai canti che animeranno la liturgia. E poi sugli spalti tanti giovani dallo sguardo sereno, felice, anche se dentro gli occhi si intravede l'ombra di una sofferenza passata. Cerchiamo la sacrestia per indossare l'abito liturgico e finalmente incontriamo lui, Cèsar, già vestito a festa con gli abiti sacerdotali, seduto nella sua sedia a rotelle accompagnato da papà e mamma. Un nodo di commozione ci prende la gola. Ma chi è Cèsar? Tredici anni fa bussava alla porta del nostro seminario di Palhoga (sud del Brasile) perché voleva diventare come noi: missionario. Era determinato, quasi puntiglioso, e già sognava le foreste dell'Africa o i grandi popoli e culture da evangelizzare. Ma i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri. Dopo tre anni di seminario una malattia terribile per la sua giovane età: leucemia. Quel verdetto medico sembrava spezzare improvvisamente tutti i suoi ideali. Ce lo ricordiamo ancora quel giorno: andando verso l'ospedale per una chemioterapia, Cèsar che stringe forte al petto quel cro-cefisso che un missionario gli aveva dato, e gli dice il suo sì. La sua missione non saranno "gli ultimi della terra", ma forse altri confini, altri ultimi. In quei momenti, una catena di preghiere s'innalza spontanea dalla gente che lo conosceva, chiedendo il miracolo. I medici, dopo varie terapie, al culmine della malattia, gli danno tre giorni di vita. Nella cappella dell'ospedale, assieme ai genitori, offriamo Cèsar al Signore. Il papà improvvisa una preghiera che sale dal suo cuore, sincera, piena di fede: "Signore questo figlio non è nostro, è Tuo. Se lo vuoi siamo pronti a ridonartelo. Sia fatta la Tua volontà". Una pace profonda invade i nostri cuori ed anche Cèsar è pronto a fare il grande passo. E lì, in quegli attimi incerti, succede qualcosa di speciale: il male, come per miracolo, si ferma, Cèsar ritrova la vita e, anche se rimane paralizzato, può continuare a vivere e a donarsi per gli altri. Una gioia soprannaturale invade i nostri cuori. Cèsar vuole legarsi al Pime con una promessa iniziale, come una consacrazione a Dio per la missione, anche se sa che, forse, quel sogno non lo potrà realizzare mai.

Quel "sì" coraggioso

Qualche tempo dopo, incontra un frate che sta dedicando la sua vita per recuperare giovani viziati dall'alcool e dalla droga. Cèsar intuisce che quei giovani potranno diventare la sua missione. Incomincia una nuova tappa per la sua vita: vivere con loro, condividere il loro cammino, essere totalmente disponibile, anche se su una sedia a rotelle, per aiutarli, accompagnarli, consolarli. Così riprende gli studi interrotti a causa della malattia: filosofia, teologia, ordini minori, diaconato e finalmente quel 29 giugno: Cèsar sacerdote, missionario proprio come aveva da sempre sognato. Al termine dell'ordinazione, Cèsar, guardando dall'altare quei giovani diceva: "Per voi sono prete, voglio dare la mia vita per voi". E così gli "ultimi confini del mondo" sono diventati proprio loro, quei volti segnati da un passato di sofferenza, ma anche con tanta voglia di ricominciare.
Grazie Cèsar! Vai avanti, continua la tua missione con quell'entusiasmo e passione che ci hai testimoniato. Grazie, perché il tuo sì coraggioso e forte, rende il nostro sì ancora più bello e più missionario.