La stella di Betlemme
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Ne avevamo già discusso a Milano: nessuna certezza di andare a Betlemme. E la Farnesina? Diceva di prestare la massima attenzione a Gerusalemme notturna, e di evitare la trasferta oltre il “muro” (“recinto di sicurezza” per gli Israeliani). E invece oggi (Salim telefona insistentemente col cellulare) siamo diretti proprio lì, dove il Natale si concretizza in un luogo fisico, carnale. La nostra esultanza è grande, anche perché – mi precisa puntigliosamente Rosa – Betlemme è certamente un sito di primo tipo (quelli sicurissimi dal punto di vista storico ed archeologico). Il grande biblista Josè Miguel Garcìa (autore de “La vita di Gesù” e de “Il protagonista della storia”) ha accompagnato nostra figlia Miriam con altri 200 universitari in Terrasanta nel 2007, e da allora in casa nostra si dice spesso che “Nazareth, Betlemme e il Santo Sepolcro sono al di sopra di ogni discussione”. Salim come sempre ci introduce alla visita: dobbiamo passare il “muro” (posto di blocco palestinese), poi vedremo una cittadina un po’ diversa da Gerusalemme: strade strette, un po’ di disordine, auto con targa verde (palestinesi) diverse da quelle con targa gialla (israeliane). Il panorama spazia su immense costruzioni, case come bunker; Salim ci parla anche dell’Herodion (Palazzo di Erode) a pochi chilometri da qui, in cui recentemente è stata trovata la tomba del re… Il check point si supera in fretta, Salim conosce tutti e tutti lo conoscono, parla in arabo con scioltezza e sicuro di quello che chiede. Il “muro” è una sequenza di graffiti di dimensioni gigantesche e di fattura spesso raffinata: veri e propri “murales” con immagini di pace ferita, di pace desiderata, di guerra, di dolore… E’ mezzogiorno ed entrati in Betlemme (“la casa del pane”) cerchiamo subito il Ristorante “Gardens” che ci ospiterà per il pranzo. E’ domenica e molti negozi sono chiusi, del resto qui il turismo incontra serie difficoltà. Karim con la solita manovra da astronauta entra in retromarcia nel parcheggio del “Gardens”. Siamo gli unici ospiti e come sempre ci accolgono le fragranze speziate dei cibi locali. Il pane “pita” fatto a borsa, per contenere contorni e condimenti, il riso bianco che accompagna tutto (come per noi altoitalici la polenta), i “falafel”, polpettine vegetariane a base di ceci). Don Franco si fa fotografare con un pompelmo grande come un pallone da volley! Poi ci avviamo verso la Grotta della Natività. Una grande spianata, una gigantesca moschea da una parte, e dall’altra... la Basilica del Natale! Complessa, strana, indecifrabile. Salim ci racconta: “Qui veramente le pietre parlano, raccontano la storia. Sulla facciata si legge tutto: lo scempio con interramento dell’imperatore Adriano, la splendida Basilica fatta costruire da Sant’Elena, Giustiniano e i tre frontoni, i crociati che ribassano l’ingresso fino a dimensioni ridottissime, per evitare l’irruzione profanatrice dei cavalli turchi”. Dentro, una certa desolazione, anche se gli Ortodossi, cui secondo lo Status Quo la Basilica è affidata, stanno preparando la Festa di Natale che secondo il loro rito si svolgerà il 7 gennaio. Odore di cherosene e grandi pulizie in corso; tuttavia i dipinti sopra le colonne sembrano aver risentito della stessa “cura”, perché sono deteriorati in modo quasi irreparabile. Ci mettiamo in fila sulla sinistra, dove un piccolo percorso in discesa porta alla Grotta e alla Mangiatoia. Splendide icone della Madre di Dio, affreschi e dipinti: qui è Natale tutto l’anno. Finalmente possiamo scendere dove Dio è nato.