Senza Pietro non c'è unità della Chiesa

Opporsi o solo trascurare il magistero petrino impedisce l’unità dei cristiani
Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Penso sia utile per tutti, in particolare per i sacerdoti, in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, rifarci alle riflessioni dei teologi don Nicola Bux e don Salvatore Vitiello per l’agenzia Fides, apparsi su Papa Ratzinger blog del 23 gennaio 2009 dal titolo L’opposizione al Magistero petrino impedisce l’unità dei cristiani. Anche sul sito www.culturacattolica.it, in totale sintonia con don Gabriele Mangiarotti, da anni cerco di fare un piccolo servizio di approfondimento del dono provvidenziale e necessario del magistero di Benedetto XVI. “In non poche Lettere pastorali – Bux e Vitiello – non si cita più il Papa quale termine di paragone dell’autenticità e garante della cattolicità dell’insegnamento episcopale, ma il cardinale o il teologo, il laico, magari non credente, o il monaco di grido del momento, ritenendoli interpreti autorizzati dell’insegnamento ufficiale della Chiesa. Inoltre talora si dà l’impressione di pensare che una loro dichiarazione, anche se difforme dalla verità cattolica, abbia uguale peso di un intervento pontificio”.

La Lumen gentium riafferma che la Chiesa è il popolo di Dio gerarchicamente ordinato
Tema della “settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” del 2009 è stato un brano del profeta Ezechiele “Che formino una cosa sola nella tua mano” (37,17). Il Signore ordina al profeta di prendere due legni, uno come simbolo di Giuda e delle sue tribù e l’altro come simbolo di Giuseppe e di tutta la casa d’Israele unita a lui, e gli chiede di accostarli”, in modo da formare un solo legno, “una sola cosa” nella sua mano. Trasparente è la parabola dell’unità. Ai “figli del popolo”, che domanderanno spiegazione, Ezechiele, illuminato dall’Alto, dirà che il Signore stesso prende i due legni e li accosta in modo che i due regni con le rispettive tribù, tra loro divise, diventano “una cosa sola nella sua mano”. La mano del profeta, che accosta i due legni, viene considerata il rimando sacramentale all’origine di ogni unità cioè alla mano stessa di Dio che attraverso la mano del profeta raccoglie e unifica il suo popolo e finalmente l’intera umanità.
Nella catechesi di mercoledì 21 gennaio, su questo brano, su questo tema della “settimana” Benedetto XVI l’ha attualizzato come Parola di Dio dicendo che possiamo applicare le parole del profeta alla divisione tra cristiani, nel senso di una esortazione a pregare, a lavorare affinché la mano del successore di Pietro sia strumento sacramentale della mano unificante di Dio. Questa esortazione diventa particolarmente commovente ed accorata nell’attualizzazione delle parole di Gesù dopo l’Ultima Cena. Il Signore desidera che l’intero suo popolo cammini – e vede in questo la Chiesa del futuro, dei secoli futuri – con pazienza e perseveranza verso il traguardo della piena unità.
Ho assistito a più trasmissioni ecumeniche in questa settimana con le varie confessioni che portavano il proprio legno e al loro stringere con una corda senza riferimento alla mano viva del profeta e soprattutto alla mano del successore di Pietro, la via umana che rende sacramentalmente presente oggi il Messia risorto che guida il suo corpo cioè la Chiesa per tutta l’umanità. Che bella notizia, invece la rassicurazione del cardinale Kasper: “E’ ormai vicino un primo accordo tra Chiesa Cattolica e ortodossi in merito al complesso problema del “primato del vescovo di Roma”, cioè del ruolo del Papa rispetto alle altre Chiese e comunità cristiane”. Quanto è importante giungere alla consapevolezza che la mano del successore di Pietro è strumento sacramentale della mano unificante di Dio dal volto umano cioè di Gesù Cristo Risorto, presente quindi.
Spiace quando, anche tra cattolici, si procede in campo ecumenico ed interreligioso, ritenendo che la voce di un rabbino o di un iman possa esprimere il pensiero di tutto il popolo ebraico o il mondo islamico, quando questi non hanno una “gerarchia”, ma sono solo periti o dottori “privati” non essendo né sacerdoti né “Vescovi”. Cosa succede? “Dimenticando che Lumen gentium ha riaffermato – Bux e Vitiello – che la Chiesa è il popolo di Dio gerarchicamente ordinato, si pratica una rimozione e una sorda opposizione al magistero della Chiesa, costituito dall’inscindibile e necessario legame tra il Vescovo di una Chiesa particolare e il Supremo Pastore della Chiesa universale. Quasi possa essere concepibile una “responsabilità locale” non in stretta dipendenza e relazione teologica, e perciò giuridica, con il Supremo Pastore. Gli storici ritengono che tutto ciò sia incominciato nel 1968 con la contestazione all’enciclica di Paolo VI Humanae vitae. Dagli Apostoli in poi, quel che ha fatto “funzionare” la Chiesa è stato l’assiduità all’insegnamento, una delle condizioni per diventare un cuor solo e un’anima sola. E’ la traditio o trasmissione della fede che avviene massimamente nella catechesi e nella liturgia, in specie nelle omelie. Senza tradizione della fede non c’è ricezione da parte dei fedeli”. Preghiera per l’unità e impegno questo, che comporta adesione umile e docile obbedienza al comando del Signore, il quale lo benedice e lo rende fecondo. Il profeta Ezechiele, la cui memoria è fondamento biblico dell’attuale risuonare della Parola di Dio, ci assicura che sarà proprio Lui, il nostro unico Signore, l’unico Dio, a raccoglierci attraverso la mano del Supremo Pastore della Chiesa, nella “sua Mano”.

Il magistero di ogni vescovo, collegialmente di tutti i vescovi, è autentico solo se è in comunione effettiva (ed affettiva) con quello del Papa
A cinque anni dal Concilio, l’8 dicembre 1970, Paolo VI mise in guardia da “una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un Cristianesimo avulso dalla tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi”.
Un tale fenomeno produce oggi tante divisioni e contrapposizioni nella Chiesa. Il paradosso a cui si è giunti pastoralmente è che si parla tanto di ricezione dei documenti ecumenici, ma nello stesso tempo si mette il silenziatore o peggio si censura il magistero petrino. “Forse i cattolici – Bux e Vitiello – sono stati contagiati dall’autocefalia ortodossa e dal libero arbitrio protestante? Si è dato a credere che esista, come in politica, una diarchia o triarchia tra Roma, Costantinopoli e Mosca? Ma questo non ha nulla a che fare con i principi cattolici dell’ecumenismo enunciati dal Vaticano II. Che dal mondo si debba attaccare la Chiesa, è fisiologico, ma che debba avvenire dall’interno, è preoccupante. Ciò infatti condiziona, almeno da un punto di vista umano, l’efficacia dell’evangelizzazione”.

Non di rado i fedeli ascoltano un sacerdote o un vescovo predicare in modo difforme dal Papa, avvertono la confusione che ciò genera e domandano la certezza della fede completa della Chiesa come il Compendio e il Catechismo della Chiesa Cattolica la presenta
“E’ una opposizione – Bux e Vitiello – e talora un disprezzo per la Chiesa odierna in nome di quella futura, una ermeneutica che va sempre un Papa indietro: si esalta oggi Giovanni Paolo II da parte di chi lo ha bollato come reazionario e conservatore mentre era in vita. La disobbedienza è un peccato da confessare, anche perché finisce per causare nei fedeli l’indifferenza verso il magistero, oltre alla confusione e al disorientamento. Solo il magistero vivente, del Papa e dei Vescovi in comunione con Lui – sottolineiamo “in comunione con Lui” – costituisce l’orientamento sicuro della barca della Chiesa anche nel nostro tempo, al fine di aiutare a formare il giudizio di fede e di morale, per scegliere il bene e rifiutare il male alla luce della verità di Cristo”.
Lui ha affidato a Pietro “le mie pecore”, cioè tutte perché il mondo creda. Questa è l’ermeneutica cattolica. La piena unità è quindi connessa alla vita e alla missione della Chiesa nel mondo. Essa deve vivere una unità che può derivare solo dalla sua unità con Cristo capo attraverso chi sacramentalmente lo rende presente in continuità, con la sua trascendenza, quale segno che Cristo è la verità per tutti e per tutto. E’ questa la nostra responsabilità: che sia visibile nella mano del successore di Pietro, strumento della mano unificante di Dio, il dono di una unità in virtù della quale si renda credibile la nostra fede. Per questo è importante che ogni comunità cristiana prenda consapevolezza dell’urgenza di operare in tutti i modi possibili per giungere a questo obiettivo grande. Ma, sapendo che l’unità è innanzitutto “dono” del Signore, occorre allo stesso tempo implorarla con instancabile e fiduciosa preghiera. Solo uscendo da noi e andando verso Cristo, solo nella relazione con Lui possiamo diventare realmente uniti tra di noi nella mano del successore di Pietro.