Trasfigurazione del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo
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La festa della Trasfigurazione veniva celebrata già nel IV secolo presso gli Armeni in un modo particolarmente solenne: essi si preparavano con un digiuno di sei giorni e la festa durava tre giorni. Come altre feste cristiane, la Trasfigurazione sembra aver preso il posto di una “festa della natura”, e il rito di benedizione dei nuovi frutti che ancor oggi è previsto nel rito bizantino può essere una vestigia di questa origine. Adottata in poco tempo nella chiesa greca, è solo nel IX secolo che inizia ad essere celebrata nella chiesa latina, fino a venire adottata in tutto l’occidente nel XV secolo.
Non deve quindi stupire l’asimmetria del peso di questa festa tra oriente ed occidente, tenendo conto anche del fatto che l’evoluzione dell’innografia della festa si è di fatto completata nel IX secolo, mentre la riflessione teologica della Chiesa Ortodossa ha portato alle definizioni dogmatiche sulle energie divine come modalità della comunione tra Dio e l’uomo del XV secolo, per le quali Gregorio Palamas è stato universalmente riconosciuto e canonizzato.
Le immagini che emergono dai racconti evangelici della Trasfigurazione hanno un profondo retroterra biblico, analizzando il quale sarà possibile far emergere alcuni temi che potranno essere riscontrati nello sviluppo dell’ufficiatura. Le tre letture veterotestamentarie che ascoltiamo nei Vesperi ci offrono la possibilità di collocare questi temi in riferimento a Mosè ed Elia, i due personaggi dell’AT che conversano con Gesù trasfigurato. La prima lettura è Es 24,12-18.
La seconda lettura è Es 33,1-23;34,4-6.8.
La terza lettura è 1 Re 19,3-16.
Al mattutino si legge il racconto della Trasfigurazione nella versione di Luca (Lc 9,28-36).
Alla Divina Liturgia si legge la versione letta è quella di Matteo (Mt 17,1-9).
Le letture dei Vesperi e gli Evangeli ci portano immediatamente a richiamare alla mente il monte Sinai, dove Dio appare a Mosè e parla con lui faccia a faccia, e si rivela ad Elia (bisogna identificare Sinai e Oreb). Se il monte è quindi il luogo prediletto delle rivelazioni divine, riveste altresì un ruolo estremamente importante in Matteo: c’è il monte delle tentazioni (4,8), quello del discorso sulla montagna (5,1), quello della preghiera (14,23), quello delle guarigioni (15,29-31), il monte della trasfigurazione (17,1), il monte degli Ulivi (24,3) e quello delle missione universale (28,16). Al di là di altri possibili legami, c’è un filo che unisce il monte delle tentazioni e quello della missione universale: sul primo Gesù rifiuta ogni autorità e potere su tutte le nazioni che il diavolo gli offre, sul secondo Gesù risorto, apparendo ai discepoli in Galilea, afferma che gli è stato dato da Dio ogni potere in cielo e in terra. La passione e la morte di Gesù sulla croce hanno tolto ogni possibile ambiguità all’autorità esercitata da Gesù, al suo dominio universale, che in nessun caso può essere confuso con un surrogato qualsiasi di mondana regalità. Il filo che lega questi due monti passa proprio per il monte della trasfigurazione, dove Gesù, cambiando il suo aspetto (la parola greca che identifica la festa è proprio metamorfosi) rende i tre discepoli in grado di percepire la stessa gloria che si manifesterà nel suo corpo dopo la risurrezione. Tropario e kontakion della festa ci mettono in grado di cogliere immediatamente il legame strettissimo che unisce la trasfigurazione al trinomio passione-morte-risurrezione.
Tropario: Ti sei trasfigurato sul monte, o Cristo Dio, mostrando ai tuoi discepoli la tua gloria, per quanto essi fossero in grado di vederla. Fa brillare anche per noi peccatori la tua eterna luce. Per le preghiere della Madre di Dio, Signore che doni la vita, gloria a te! Kontakion: Ti sei trasfigurato sul monte, e i tuoi discepoli per quanto ne erano capaci hanno contemplato la tua gloria, o Cristo Dio, affinché vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria, e annunciassero al mondo che tu sei veramente irradiazione del Padre.
Da un lato si pone in evidenza la limitata capacità dei discepoli di percepire la gloria di Dio che si manifesta nel corpo di Gesù (il riconoscimento di Gesù risorto non è mai stato del resto immediato, come testimoniato dalle apparizioni dopo la risurrezione), dall’altro si sottolinea come questa stessa gloria consente di irrobustire la fede dei discepoli nella risurrezione, a cui del resto rimanda anche il versetto conclusivo del racconto di Matteo.
La scena è dominata dalla luce che in tutto l’AT è un altro simbolo della presenza divina. Nella famosa visione descritta in Ez 1,26-28, il profeta Ezechiele vede la gloria di Dio seduta su un trono celeste, ed anche Daniele, nel libro che porta il suo nome, descrive una visione di essere celeste che è splendente in quanto appartiene al mondo soprannaturale. Ma il riferimento più immediato è il Salmo 103, il salmo di apertura di ogni vespero, che viene integralmente letto nei giorni feriali e che, nella tradizione russa, il sabato sera e in tutte le feste più importanti viene cantato con delle bellissime melodie. È il salmo che celebra la bellezza della creazione ed il Creatore, e nei versetti iniziali canta: Signore, mio Dio, quanto sei Grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto! È noto come il vestito nella Bibbia riveli la persona stessa, e il salmo testimonia quindi l’esistenza di uno stretto legame tra la natura di Dio e il suo vestito di luce. La prima lettera di Giovanni afferma che “Dio è luce, e in lui non vi sono tenebre”, e in qualche modo Gesù rivela quindi nella trasfigurazione il suo legame con Dio attraverso il suo volto splendente e le sue vesti che diventano bianche come la luce (nella versione marciana, Mc 9,3b, si dice addirittura che nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche).
Anche la nube è nell’AT un simbolo della presenza divina, specialmente durante la permanenza di Israele nel deserto. La colonna di nube di Es 13,21-22 è una guida, sia di giorno che di notte, ma in Es 14,20 è contemporaneamente nube e tenebre (per gli egiziani) e illumina la notte (per gli israeliti): possiamo in essa ravvisare anche un simbolo del corpo trasfigurato di Gesù? La stessa nube appare numerosissime volte, specialmente nella teofania sul Sinai, e prende possesso della tenda del santuario costruito da Mosè, la tenda dell’incontro, che accompagna Israele nelle sue peregrinazioni nel deserto: Dio abita in mezzo al suo popolo (Es 40,34-35). La nube riempie anche il tempio di Salomone per consacrarlo e segnalare che Dio è venuto ad abitarvi (1Re 8,10-12). Il Dio che ha accompagnato Israele nella colonna di nube nel deserto, che è sceso sul monte Sinai, che è venuto ad abitare in mezzo al suo popolo, prima nella tenda dell’incontro, poi nel tempio di Gerusalemme, è presente in modo definitivo in Gesù, il Cristo che cammina in mezzo al suo popolo verso la sua passione e la sua gloria.
Accanto a Gesù ci sono le figure di Mosè ed Elia: secondo un’interpretazione largamente diffusa, Gesù è venuto per compiere la legge e i profeti, le due parti principali in cui gli ebrei distinguevano le Scritture. Ci sono altri elementi che consentono di accomunare Mosè ed Elia. Entrambi hanno avuto una visione parziale di Dio sul monte Sinai, e se la visione di Mosè ha come cornice una teofania classica, Elia è chiamato a superare il proprio schema mentale: Dio infatti gli si manifesta in una maniera completamente inaspettata, potremmo quasi dire non canonica. E se la traduzione CEI della Bibbia porta Elia a riconoscere Adonai nel mormorio di un vento leggero, una traduzione più corretta dal testo ebraico ci porterebbe a un vento sottile, quasi silenzio. Elia deve essere quindi aperto ad una nuova forma di rivelazione, senza farsi imprigionare dal modo in cui il Signore aveva scelto di manifestarsi in passato. Sia Mosè che Elia muoiono al di là del Giordano: Mosè può solo intravedere la terra promessa, Elia attraversa il Giordano verso il deserto prima di essere rapito in cielo in un turbine. Mosè ed Elia sono inoltre menzionati insieme nel libro del profeta Malachia (Ml 3,22-24), l’ultimo dei dodici profeti minori: per Malachia l’essenziale del messaggio di Dio consiste nel ricordarsi di Mosé e della sua legge aspettando il ritorno di Elia.
Luca ci suggerisce il contenuto della conversazione di Mosè ed Elia con Gesù. Matteo è più sfumato sull’argomento, ma la collocazione della trasfigurazione immediatamente dopo l’annuncio della passione (che a sua volta segue la confessione di Pietro) dissolve ogni possibile dubbio, come del resto testimonia l’ampia parte innografica che al contenuto di questa conversazione fa riferimento.
Mosè non ha mai varcato il Giordano: giunto alle soglie della terra promessa, ha designato Giosuè per questa missione. Gesù, equivalente aramaico dell’ebraico Giosuè, è colui che condurrà il nuovo popolo di Israele, quello della nuova alleanza, verso la terra promessa del regno, e la sua passione è il vero passaggio del Giordano. Elia, che secondo la tradizione ebraica doveva ritornare per preparare la venuta del messia, conferma che Gesù è veramente il messia, nonostante il disorientamento provocato nei discepoli in seguito all’annuncio della passione.
Ad ogni buon conto, Elia e Mosè sono due profeti: Gesù non ha accanto né re, né sacerdoti, perché monarchia e tempio non salvano in se stessi. È solo lo sguardo che riconosce la presenza di Dio negli avvenimenti della storia e che sa leggere questi ultimi con gli occhi di Dio, è solo lo sguardo profetico che potrà capire la passione, la morte e la risurrezione di Gesù.
C’è un ulteriore elemento che assume una funzione molto importante: la voce della testimonianza. In Es 19,9, dove Dio dice a Mosè: ecco io vengo da te nella densità della nube, perché il popolo oda quando io ti parlerò e creda per sempre anche in te, Dio stesso vuole accreditare Mosè davanti al popolo, così come nel racconto della Trasfigurazione il Padre vuole accreditare il Figlio davanti ai tre discepoli. La voce che proviene dalla nube chiede di riconoscere in Gesù il figlio prediletto e di ascoltarlo: il momento è analogo a quello del battesimo, quando Gesù si presentò come messia in mezzo ai peccatori penitenti e bisognosi di conversione.
In allegato il testo completo, da stampare e su cui meditare e riflettere.