La Santissima Eucaristia dono della Pasqua del Signore Gesù

Sac. Mario Marini, Sottosegretario della Congregazione del Culto e dei Sacramenti

1) Che siano una cosa sola: "Ut unum sint"


Il Signore Gesù dice espressamente nella sua preghiera al Padre: "La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo riconosca che tu mi hai mandato" (cfr Gv 17, 22-23).
Con il Concilio Vaticano II, e poi successivamente e ripetutamente, la Chiesa ha ripreso e approfondito costantemente il tema importante della "fraternità sacerdotale".
Infatti, nel Documento conciliare sul sacerdozio e sui sacerdoti, Presbiterorum Ordinis, al numero 8, si introduce un elemento fondamentale e interessante a questo riguardo.
Si esplicita cioè l'argomento della "comunione apostolica" dei sacerdoti, mediante un tema, che meriterebbe da solo una meditazione: il tema della "fraternità sacramentale dei presbiteri". Si afferma proprio in questi termini: "fraternità sacramentale".
In effetti quando uno viene ordinato sacerdote, e dunque esce dalla famiglia in cui vive, e dove ha magari anche... dieci fratelli, viene inserito in un'altra fraternità, una "fraternità sacramentale", ancora più grande e più profonda.
Così, come lo dice San Bernardo nella sua celebre omelia in occasione della morte di suo fratello Gerardo: "La fraternità che ci univa come sacerdoti era molto più forte della fraternità che ci univa come fratelli di carne" ("Commento al Cantico", Omelia 26).
E così è.
Ogni sacerdote infatti, per ragione di questa "fraternità sacramentale", è - di fatto (ontologicamente) - "più fratello" di un sacerdote, che si trova per esempio in Australia e che egli non ha mai visto, che del suo stesso fratello della carne, che si trova a casa sua.
E' infatti un carisma ed un potere immenso e straordinario, quello del sacerdozio e dell'ordine sacerdotale, di cui egli è rivestito.



2) La cultura occidentale



A questo proposito c'è una considerazione da fare: l'Occidente - e la parte settentrionale del mondo - possiede una cultura, non tanto uniforme, ma piuttosto dominante, che si definisce solitamente come "cultura occidentale".
All'interno di questa "cultura occidentale" ci sono anche vari aspetti negativi, ma certamente ci sono aspetti positivi; e altri ancora, che si potrebbero definire neutri.
Per esempio, parlando di immagini antropomorfe (cioè prese a partire dall'uomo), abbiamo in Occidente l'immagine del "cuore".
Nel mondo occidentale il "cuore" è una immagine molto importante: si rappresenta il "cuore" come simbolo, espressione e immagine dell'amore.
Nella cultura popolare occidentale "cuore" equivale spesso ad "amore".
In effetti quando i chirurghi fanno delle operazioni al cuore, non trovano mai l'amore; anche se aprono e dividono in due il cuore, non trovano mai l'amore. Nondimeno, è abitudine piuttosto diffusa in Occidente di usare la parola "cuore" come immagine e sede dell'amore.
Qualche esempio?
Solamente nelle canzoni di Agustin Lara, il grandissimo compositore e cantante messicano, quante volte compare il "cuore" preso a simbolo dell'"amore".
Quando poi arriva la festa degli innamorati, il 14 di febbraio, i fidanzati cominciano a disegnare due cuori con una freccia..., e se uno va a passeggiare nei boschi trova facilmente vecchi intagli negli alberi...
Per la stessa ragione le mamme, quando baciano il proprio figlioletto, gli dicono con trasporto e amore: "cuoricino mio".
E anche noi cristiani, non siamo da meno, per la profonda devozione al Sacro Cuore, che è relativa all'amore del Signore Gesù.
La connessione simbolica dell'"amore" con il "cuore" è dunque evidentemente un fatto culturale importante del nostro mondo occidentale, perché è una parola carica e caricata di un significato speciale e simbolico.
Per cui tutti la comprendono e ne capiscono il suo uso, così che non bisogna spiegarlo nemmeno a un bambino ed è così, nella cultura occidentale la parola "cuore" corrisponde, analogamente ma realmente, alla parola "amore".



3) La cultura orientale



Nella cultura orientale, al contrario, c'è qualcosa di parallelo, che noi occidentali non abbiamo, ma che è ugualmente importante: ed è "il sangue", la parola "sangue".
Questo tema - del "sangue" - è dominante lungo lo svolgersi di tutta la Sacra Scrittura; ma siccome noi occidentali non abbiamo quella sensibilità e quel concetto culturale orientale, circa il "sangue", leggiamo talvolta la Sacra Scrittura senza renderci perfettamente conto di certe sue "profondità".
Il "Sangue", come indicato dalla Sacra Scrittura, è "Spirito e Vita", lo "Spirito e Vita" della persona.
Gli ebrei, secondo la loro consuetudine di origine orientale, per poter mangiare carne - per esempio - dovrebbero procurarsela in macellerie particolari, dove essa venga trattata in modo speciale prima della distribuzione.
Secondo il loro uso, infatti, non si può mangiare carne, che conservi anche solo qualche goccia di sangue.
Potrebbe infatti sembrare un'atrocità, come se abusassero anche dello "spirito", il sangue infatti indica "spirito e vita".
In effetti, noi occidentali ci comportiamo diversamente e non ci preoccupiamo che nella carne che consumiamo ci siano residui di sangue.
Invece, per la cultura religiosa "orientale", ebrei ed anche musulmani ed altri, per consumare carne dovranno essere certi che tutto il sangue sia stato scolato dalla carne.
(Ad esempio l'ultimo Scià di Persia, cioè il Re-Imperatore dell'Iran, che non era troppo osservante, pur di dare da mangiare alla gente, non si preoccupava tanto di questa questione del sangue, e commerciando con l'Australia e la Nuova Zelanda, in cambio del petrolio che egli vendeva, comperava da quei Paesi tonnellate di carne. Quando Komeini prese il potere in Iran, con la sua rivoluzione contro lo Scià, c'erano in Iran centinaia di tonnellate di carne bovina provenienti dall'Australia e dalla Nuova Zelanda, ma non si poteva garantire che in essa non ci fosse del sangue residuo. Così Komeini, per stretto riguardo della sensibilità orientale e religiosa, ordinò la distruzione di quella carne, nel dubbio che ci potesse essere in essa anche del sangue residuo).
Dire "sangue" è dunque un fatto culturale (e quindi anche religioso: "spirito e vita") per gli orientali: come per noi occidentali è un fatto di cultura dire "cuore" per significare "amore".
Un fatto culturale indiscutibilmente molto espressivo. I missionari cattolici hanno sempre preso spunto dalla storia e dal tema del "sangue", come inteso dai popoli orientali e da certi popoli africani, per attirarsi simpatie, e anche per ottenere possibilità di evangelizzazione e di protezione per il loro lavoro apostolico.



4) La Fraternità di Sangue



C'è un sentimento comune in varie tradizioni orientali e presso alcuni popoli africani, ed è quello della "fraternità di sangue": molto importante per diversi popoli e tribù.
Che cos'è di fatto e formalmente la "fraternità di sangue"?
Il caso si pone se ci sono, per esempio, due amici che vogliono diventare "fratelli di sangue", vale a dire completamente e totalmente fratelli.
In varie culture dell'Oriente Medio e dell'Africa, la "fraternità di sangue" comportava conseguenze anche legali (per esempio di eredità, di proprietà, di assistenza, di tutela…), per questo doveva essere formalizzata ed a questo fine c'erano, e ci sono talvolta ancora dei riti formali di "fraternità di sangue".
Tali riti erano peculiari, e variavano da tribù a tribù o da popolo a popolo. Ma fondamentalmente, il rito constava di due parti: il proprio rito del sangue e la preghiera celebrativa e di scongiuro che si recitava mentre si faceva il rito del sangue.
Fra alcune tribù e popoli, ad esempio, si era soliti procedere nel modo seguente: i due amici - che dovevano diventare "fratelli di sangue" - si facevano una piccola incisione su un braccio di fronte alla gente (i testimoni erano necessari, perché l'atto aveva appunto conseguenze formali e pubbliche) e, dopo il taglio, i due univano le braccia in corrispondenza della parte ferita, perché - suppostamente - il sangue di uno dei due potesse passare nel corpo dell'altro e viceversa.
Nel frattempo, i presenti intonavano certe "litanie", che potevano essere positive o negative: nel primo caso poteva trattarsi di frasi di benedizione, come "benedetto colui che si mantiene fedele a questa fratellanza"; mentre, nel secondo caso, di frasi di maledizioni come ad esempio "maledetto colui che tradisce questa fratellanza di sangue, che sia "squartato" in due", ecc...
In altri casi, si prendeva invece per esempio un bicchiere, vi si metteva in un po' del sangue di uno dei due amici, e anche un po' del sangue dell'altro; poi i due amici bevevano entrambi successivamente il sangue dal bicchiere, mentre i presenti intonavano le solite "litanie" contrapposte di benedizione e di maledizione.
C'era anche un altro tipo di rito: invece di bere il sangue, mettevano in un bicchiere del sangue di qualche animale, di sovente di un agnello, e vi aggiungevano poi del grano o altri semi commestibili; successivamente entrambi mangiavano il grano o i semi ben imbevuti di sangue, mentre si intonavano, al modo solito, le litanie di benedizione e maledizione.
Altri riti di "fraternità di sangue" prevedevano modalità differenti. Per esempio, si metteva sempre il sangue in un bicchiere, o in un vaso, e poi si faceva un'aspersione, vale a dire, si prendeva il sangue e si irrorava prima sull'uno e poi sull'altro dei due amici, sempre mentre si intonavano le solite litanie di benedizione e maledizione.
Vi era poi anche un altro rito, molto diverso e molto significativo, in cui, invece di prendere il sangue degli animali, prendevano gli animali stessi, cioè alcuni animali e li tagliavano (spartivano o squartavano) a metà, e disponevano le due parti di ogni animale una di fronte all'altra, in modo tale da formare una sorta di sentiero, in parallelo, con ognuna delle due parti destre degli ammali dalla parte destra e le contrapposte parti sinistre degli animali dall'altra parte sinistra. Allora i due amici, in procinto di mettere in atto il rito della "fraternità di sangue", passavano insieme in mezzo a questo sentiero fatto di animali divisi in due parti e proprio lì aveva origine la loro "fraternità", mentre la gente cantava le solite litanie.



5) Le promesse e l'Alleanza



Si potrebbe leggere, al riguardo, un testo della Sacra Scrittura (Gen 15, 7 ss):
"E gli disse: "Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo Paese". Rispose: "Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?". Gli disse: "Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione". Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abramo li scacciava. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abramo, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Allora il Signore disse ad Abramo:
'Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in un Paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri, sarai sepolto dopo una vecchiaia felice'. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno concluse il Signore Dio questa alleanza con Abramo: 'Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate'".
Questa è la "fraternità di sangue" tra Dio e Abramo, che noi chiamiamo Alleanza o antico Patto o Antico Testamento.



6) Conclusione dell'Alleanza



La stessa cosa successe poi con Mosè (cfr Es 24, 3 ss): "Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: 'Tutti i comandi che ha dato il Signore, noi li eseguiremo!'. Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele (o pietre) per le dodici tribù d'Israele (l'altare così eretto significa e indica la presenza di Dio in questa "fraternità di sangue"). Incaricò alcuni giovani tra gli israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue (si badi bene: la metà!) e la mise in tanti vasi e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'Alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: 'Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!'. Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo (metà del sangue era stata versata su Dio, cioè fu versata sull'altare che significava la presenza di Dio, e l'altra metà venne invece versata o aspersa sul fratello di sangue di Dio, che è il popolo di Israele), dicendo: 'Ecco il sangue dell'Alleanza (si noti bene), che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole'".
Questo rito si ripete poi varie volte nella Sacra Scrittura: quando gli Israeliti costruirono il Tempio, quando lo ricostruirono, quando lo ripararono, quando tornarono da Babilonia..., ogni volta si ripropone questo "rito di sangue".


7) Fratelli di Sangue del Signore Gesù



Orbene, il Signore Gesù, durante l'ultima cena, si rivolse ai suoi discepoli (cfr Mt 26, 27; Mc 14, 24; Lc 22, 20): "Mentre essi mangiavano. Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo.
Poi prese il calice e, dopo avere reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati".
Così Egli pertanto costruì una "comunione totale e formale" con loro; se li fece amici; una radicalità di amicizia, cioè una fraternità molto profonda e molto grande, la fraternità dei suoi discepoli, una "fratellanza di sangue" che, in effetti, noi abbiamo con lui; noi sacerdoti, in particolare, siamo i "fratelli di sangue" del Signore Gesù e fratelli di sangue fra di noi: fratelli di "Spirito e Vita".



8) La categoria del "mangiare"



Possiamo applicare lo stesso procedimento culturale-religioso per comprendere il significato dell'espressione o categoria del "mangiare".
Nella cultura occidentale, se non "conosciamo" quasi per nulla la categoria della "fraternità di sangue", "abbiamo" invece qualcosa di più sul tema del "mangiare".
Nei nostri ambienti "occidentali" "mangiare" vuoi dire anche - in parte - comunicare; significa anche "fare comunione", e realmente nel mangiare insieme si mette in atto una sorta di comunione fra coloro che mangiano insieme, fanno comunione fra loro.
Per gli orientali, "mangiare" è un evento anche più importante; è un rituale, poiché "fa la comunione" delle persone".
Quando uno mangia con un altro, comunica con l'altro; è un gusto che si condivide, che si dà e che si riceve. Condividendo il cibo, si condivide la vita e il vivere.
Ci sono infiniti esempi di ciò nella Sacra Scrittura.
Il segno massimo, nella cultura orientale, quando uno si metteva a mangiare, era dato dall'amico, o dal padrone di casa, che gli preparava il "boccone".
La materia prima per preparare il "boccone" era la focaccia di farina (farina, lievito e acqua).
Con una focaccia morbida (cioè non secca e dura) facevano una sorta di cono che i commensali, adagiati su tappeti e cuscini, generalmente per terra (come essi usavano per mangiare), tenevano con la mano sinistra, mentre, con la mano destra, vi ponevano dentro varie vivande saporite.
Lì per terra, al centro dei tappeti e cuscini, cioè nell'area riservata e preparata per consumare il pasto, c'erano dei vasi, dei bricchi e delle terrine, in cui erano conservati dei sughi, succhi e spezie varie, per loro deliziosi, dolci, salati, e piccanti.
Quando il padrone di casa, il "capotavola" (ma generalmente essi non usavano tavole e sedie) o l'amico ospite, finiva di preparare il "boccone", faceva una cosa che ai nostri occhi potrebbe apparire sorprendente o addirittura inconveniente, ma che per loro era una delicatezza di grande significato.
Egli prendeva il "boccone" e con la mano (la destra) lo intingeva dentro a uno (o a più di uno) dei vasi e bricchi preparati e lo tirava fuori mentre colava e gocciolava ancora di sughi saporiti, e così preparato, fragrante e grondante, lo offriva all'amico perché ne gustasse e lo mangiasse, come a dire: "Prendi, ecco l'ho fatto proprio per te".
Era il massimo della comunione: "Mangia di ciò che ti ho preparato: mangia da me, qualcosa di mio, mangia di me".
Solo alla luce di questo si comprende la gravità dell'episodio relativo a Giuda. Quando Nostro Signore gli offrì il "boccone intinto" (Gv 13, 26), non gli stava dando, in effetti, un boccone "qualunque", ma compiva un gesto importante e rituale nella sua cultura.
Il Signore Gesù preparò a Giuda il "boccone", lo intinse e glielo diede: "Rispose allora Gesù: "[Il traditore] è colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui. […] Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte" (cfr Gv 13, 26-30).



9) "Fare comunione", mangiando



Secondo la cultura orientale si "mangia" con un amico e così si "fa comunione" con lui, mentre invece non si "mangia" con i nemici, con i malvagi, con i pervertiti, per non "far comunione" con loro.
Per cui, alla luce della cultura orientale, uno diventa impuro nel "fare comunione" con un pervertito.
In questo modo si spiegano le note espressioni del Vangelo: "Come mai il vostro Maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?".
Se questo fatto del "mangiare" è una cosa così sacra e così bella, perché dunque Egli, il Maestro, "fa comunione" con loro?
(Egli risponderà: il medico è medico per i malati, per cui deve avvicinare i malati).
Ci si può pertanto facilmente domandare: perché il Signore Gesù ha collegato questa categoria del "mangiare" al tema dell'amore?
In effetti l'amore è divorante - 1'amore fiammeggiante vorrebbe divorare - colui che egli ama, per giungere alla massima identificazione, identità e comunione con lui.
Ma perché - ci si potrebbe chiedere allora - l'amore è divorante?
L'amore è, in effetti, divorante di sua propria natura, a causa dell'istinto di identificazione totale.
L'amore vuole identificare l'uno con l'altro, il tu con 1'io, il Padre con il Figlio.
Così che l'uno vuole "mangiarselo" all'altro (senza tuttavia annullarlo in alcun modo).
Il tema del "mangiare" contiene dunque in sé due significati importanti, soprattutto nella cultura orientale, ma anche un po' nella nostra cultura occidentale: mangiando insieme si crea un ambiente di comunione, si costituisce una comunione; e inoltre a questo significato si può aggiungere l'altro significato del "divorare", per "amore di identificazione".



10) "Fare Eucaristia"



Crederei che quando si parla del tema dell'Eucaristia, per quanto riguarda i discepoli del Signore Gesù, è necessario mettere in luce ciò che realmente fu fatto con loro.
Il Signore Gesù diede loro da mangiare il suo Corpo e da bere il suo Sangue, vale a dire costituì una "fraternità di sangue".
Essi sapevano che cosa significasse una "fraternità di sangue". Inoltre Gesù aggiunse: "Quanto ho desiderato mangiare questa cena con voi!", vale a dire "fare questa comunione con voi".
E il "massimo" fu che gli apostoli in realtà mangiarono con lui e mangiarono di lui.
Hanno potuto "masticare e divorare" Colui che amavano che li amava con amore ardente!
E la cosa più straordinaria ancora è che la comunione "fiammegiante" non fu solo con lui, ma anche fra di loro.
Egli ha dunque fatto, costruito e montato uno specchio quasi perfetto della Comunione Trinitaria fra Lui ed il Padre nello Spirito Santo: cioè ha costruito una immagine visibile del Dio invisibile, fino a raggiungere la "fraternità di sangue" .
Con la "comunione nell'Eucaristia", lo specchio è realmente divenuto divino: "Speculum visibile invisibilis Dei".
È infatti lo stesso Corpo e Sangue del Signore Gesù ad essere dentro lo "specchio", così come è stato costruito e montato, dentro ognuno degli "amici" e fra di loro.
Questa divina operazione - come risulta ben chiaro dal Santo Vangelo - avvenne principalmente ed immediatamente con i soli discepoli del Signore Gesù, affinché questo grande "specchio dell'Amore di Dio" venisse poi successivamente da loro stessi montato e costruito in tutto il popolo di Dio.
E così tutta la Chiesa, nel suo insieme, finisce per essere il "grande specchio visibile" dell'invisibile Amore di Dio.
San Gregorio Nazianzeno e san Basilio Magno andarono ad Atene, quando erano giovani, a studiare alla più celebre Università di quei tempi.
All'Università si conobbero e divennero grandi amici, come rivela lo stesso Gregorio Nazianzeno nella celeberrima omelia funebre da lui fatta per la morte di Basilio (cfr. Patrologia Greca):
"Successe a noi, ad Atene, la stessa cosa che era capitata al giovane Saul, il quale inseguendo delle asine, che gli erano scappate, trovò Samuele che lo cercava per farlo re".
Così prosegue San Gregorio di Nazianzo, a proposito della amicizia che li univa: "A noi due successe come a Saul, che inseguendo delle asine trovò un Regno: in effetti, noi eravamo andati ad Atene per cercare la "sapienza" e abbiamo trovato l'"amicizia", che è il gran Regno di Dio".



11) "L'Amicizia è un grande Regno"



Il Regno! Quale regno è in effetti più perfetto e desiderabile dell'amicizia?
L'amicizia è un grande regno ed è il grande tema Pasquale, che fa da filo conduttore, rosso di dolore e di sangue e bianco di gioia ed allegria, al Mistero della Pasqua del Signore.
La amicizia infatti è il "Regno del grande Re", il Signore Gesù, così lo definiva il famosissimo mistico medioevale catalano, il Beato Raimondo Lullo, quando nel suo celebre "Libro dell'Amico e dell'Amato" parlava di Colui che - per amicizia - ha dato la sua vita.
"Nessuno ha un amore più grande di colui che dona la vita per i propri amici!" (Gv 15, 13).
Non esiste, in effetti, un amore più grande.
L'amicizia possiede e raffigura, tutte le realtà e le frontiere del Regno, ed a noi sacerdoti è stato impresso proprio quel Sigillo: il "carattere" di quel Regno, del "gran Regno dell'amicizia".
Per quel Regno e da quel Regno siamo stati inviati "a due a due", "fino ai confini della terra", per ampliare le frontiere del Regno e proclamare le eterne meraviglie e la Gloria immortale del Nostro Signore Gesù.



12) La Divina Eucaristia: Specchio visibile del fiammeggiante Amore di Dio e della Santissima Trinità



Si potrebbe qui sottolineare che alcuni "iper-critici" pensano che il Santo Vangelo non sia ben calibrato per quanto si riferisce alla distribuzione dei tempi; o piuttosto che gli evangelisti - forse un po' "rozzi", secondo tali critici - non l'avrebbero redatto in modo equilibrato per ciò che si riferisce al modo in cui Gesù distribuiva il suo tempo fra le varie occupazioni, la predicazione, la preghiera, la formazione dei discepoli ed i diversi altri impegni.
Infatti dal Vangelo risulta (ed è per questo che viene da loro criticato) che Gesù dedicò troppa parte dei tre anni e mezzo - circa - di vita pubblica ai suoi discepoli, il che non sembrerebbe in armonia organica con una concezione prioritaria della evangelizzazione.
Diversamente da quegli "iper-critici" si potrebbe invece piuttosto pensare che proprio la impostazione strutturale del Vangelo ci aiuti a comprendere la reale ed oggettiva intenzione del Signore Gesù.
Parrebbe anzi più corretto credere che Egli non si sia sbagliato sbilanciando la distribuzione del suo tempo, e che "neppure" il Vangelo abbia distorto la Sua prospettiva.
Sembra perciò che sia stato piuttosto un esplicito proposito "intenzionale", quello del Signore Gesù, nella distribuzione del Suo tempo.
Egli in effetti ha procurato e voluto che i suoi discepoli trascorressero molto tempo con Lui, per essere così preparati a divenire - nella comunione apostolica - il grande "specchio" della Gloria di Dio, dell'Amore del Padre e del Figlio, che noi chiamiamo lo Spirito Santo.
C'è una "tessera" nel Vangelo, relativa ai discepoli del Signore.
Si potrebbe intendere come "tessera" una catechesi minima, sintetica, brevissima, puntuale, fatta di una o due piccole frasi, che si possono facilmente memorizzare, come una specie di "credo" essenziale.
Nel Vangelo di San Marco c'è appunto una "tessera", breve, sintetica, ma bellissima ed essenziale, sul sacerdozio, vale a dire sugli apostoli del Signore Gesù (cfr. Marco 3,14):
"Chiamò quelli che Egli volle e ne costituì Dodici, perché stessero con lui e per mandarli a predicare".
"Ne costituì dodici"
"Perché stessero con lui"
"Per inviarli a predicare".
Queste sono le modalità e le finalità essenziali relativamente agli apostoli.
Egli non perse tempo. "Stare con lui" non significa perdere tempo, e nemmeno il Suo stare con loro è una perdita di tempo.
"Stare con Lui" non è una perdita di tempo, ma anzi una ragione costitutiva ed una finalità essenziale, del tutto fondamentale e precedente rispetto alla missione della evangelizzazione.
"Stare con Lui" significa infatti montare uno specchio divino, affinché in esso si possa "vedere come in uno specchio"
Cioè Egli si dedicò specialmente a "montare" lo specchio visibile della "comunione trinitaria": la "ragione trinitaria" è di fatto la prima ed unica vera ragione del Signore Gesù, perché infatti essa è la "unica ragione di Dio".
La unica ragione di Dio, come lo dicono bene tutti i mistici è infatti l'Amore "fiammeggiante" del Padre e del Figlio, che noi chiamiamo lo Spirito Santo. E tutte le altre ragioni sono subordinate e secondarie rispetto a questa principale ed unica.
Cioè - poiché la unica e dominante ragione di Dio è la ragione Trinitaria - la Gloria di Dio, resa visibile ed operante nello specchio apostolico, diviene fondamentale e dominante nella intenzione del Signore Gesù e nella distribuzione del suo tempo:
"La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola - ut unum sint - Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità ed il mondo riconosca che tu mi hai mandato" (Gv 17, 22-23).
La "comunione apostolica" - lo specchio apostolico - è, a sua volta e di sua stessa natura, come il fermento, il fondamento e l'inizio di quell'altro "grande specchio" (oggi si direbbe: "parabolico totale"), che è l'intero Corpo della Chiesa (sovrabbonderebbero in proposito le citazioni del Concilio Vaticano II a questo proposito).
In effetti la Divina Eucaristia, che è il Corpo ed il Sangue del Signore Gesù - come è stato sottolineato precedentemente - è proprio il tessuto connettivo, il cemento, la sostanza, la carne ed il sangue, ed il Corpo stesso dello Specchio: cioè della "comunione apostolica" e più ampiamente e di conseguenza di quello "specchio totale", che è la Chiesa.
La Santa Eucaristia produce infatti specialmente la unione e la comunione - nel Corpo e Sangue del Signore - di tutta la Chiesa e realizza così in modo indiviso e totale lo Specchio vivente della santissima Trinità.
La Chiesa tutta intera, infatti, la Chiesa Corpo di Cristo ed Eucaristia completa, è lo specchio totale della Santissima Trinità.
E quando il divino "specchio" è montato, bisogna solo passare di lì per vedere. Per vedere Dio che passa: "Speculum visibile invisibilis Dei".