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Sintesi della "nota dottrinale"

Fonte:
CulturaCattolica.it
Sintesi della "nota dottrinale" circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002)

Il documento affronta il modo articolato le problematiche connesse con il dovere irrinunciabile dei cattolici a collaborare alla vita politica, ognuno per la sua parte, in vista dell’obiettivo fondamentale che è il bene comune, inteso come “la promozione e la difesa dei beni, quali l’ordine pubblico e la pace, la libertà e l’uguaglianza, il rispetto della vita umana e dell’ambiente, la giustizia, la solidarietà, ecc.”
Nelle prime righe si ribadisce il principio fondamentale, professato con la vita e con il martirio da San Tommaso Moro, per il quale “l’uomo non si può separare da Dio, né la politica [si può separare] dalla morale”.
Quindi vengono affrontati “alcuni punti nodali nell’attuale dibattito culturale e politico” A questo punto è interessante l’analisi fornita sull’attuale clima culturale in cui dominano il “relativismo culturale” e il conseguente “pluralismo etico”.
E’ bene spendere alcune parole sul significato di queste definizioni tanto diffuse quanto non comprese: per quanto riguarda il “pluralismo etico” si osserva con preoccupazione che “non è inusuale riscontrare, in dichiarazioni pubbliche, affermazioni in cui si sostiene che tale pluralismo etico è la condizione per la democrazia” con il risultato che “da una parte i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia, mentre dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare la libertà di scelta, formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale per rimettersi all asola condiscendenza verso certi orientamenti culturali o morali”.
[Il che in sostanza significa che, se in base al “relativismo culturale” tutte le culture hanno la stessa validità, allora la cultura occidentale con la sua democrazia ha lo stesso valore della cultura dei taliatori di teste dell’Asia; e che se si propugna “il pluralismo etico” ogni comportamento, per il fatto stesso di essere da qualcuno adottato, è legittimo... come dire che se qualcuno decide che è una cosa interessante e proficua rubare, legittimiamo il furto, magari chiamandolo con un altro nome tipo “spesa proletaria”].
La giusta precisazione sul relativismo culturale e sul pluralismo etico non impedisce il rispetto della “legittima libertà dei cittadini cattolici di scegliere, tra le opinioni compatibili con la legge e con la morale naturale quella che secondo il proprio criterio meglio si adegua al bene comune”. Anzi viene sottolineato che “non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete - e meno ancora soluzioni uniche - per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale. (...) La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. E’ su questo insegnamento che i cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia segnata sa una coerente responsabilità per le realtà temporali”.
Viene poi un’importantissima sottolineatura sull’importanza della “retta concezione della persona”, che non può essere in alcun modo disattesa dai cattolici; “la struttura democratica su cui uno Stato moderno intende costruirsi sarebbe al quanto fragile se non ponesse come suo fondamento la centralità della persona”.
Date queste premesse la Nota Dottrinale affronta le attuali scottanti problemativhe conseguenti ai grandi progressi della ricerca scientifica: “la conquista scientifica (...) ha permesso di raggiungere obiettivi che scuotono la coscienza e impongono di trovare soluzioni capaci di rispettare in maniera coerente e solida i principi etici. Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti delle conseguenze che derivano per l’esistena e l’avvenire dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono frantumare l’intangibilità della vita umana”. Davanti a questo scenario “i cattolici hanno il diritto e il dovere di intervenire e richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa”.
Viene poi ribadito l’insegnamento costante di Giovanni Paolo II che ricorda “il preciso obbligo di opporsi ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per (...) ogni cattolico vige l’impossibilità di partecipare a campagne d’opinione in favore di simili leggi cé ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto. Ciò non impedisce (...) che un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il suo sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge”.
Più avanti c’è un’altra preziosa indicazione: “Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica” perché “l’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale non è sufficiente ad esaurire la responsabilità per il bene comune”.
Si affronta poi l’argomento scottante dei nostri tempi: l’aborto, l’eutanasia, il rispetto dell’embrione umano, il matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso, divorzio: “dinnanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili (...) i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza stessa dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona”.
In particolare si sottolinea che alla famiglia “non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere, in quanto tali, un riconoscimento legale”.
Si parla inoltre del diritto fondamentale all’educazione dei propri figli riconosciuto anche dalle Dichiarazioni internazionali sui diritti umani, e si aggiunge “il diritto alla libertà religiosa e la tutela dello “sviluppo per un’economia che sia a servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà e di quello di sussidiarietà”.
Si ricorda ancora che “la pace è sempre frutto della giustizia ed effetto della carità”.
Un’altra preziosa sottolineatura è che certi valori, come quelli che appunto la Chiesa difende, non sono di per sé dei “valori confessionali”, poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale; pertanto “non esigono in chi le difende la professione di fede cristiana anche se la dottrina della Chiesa le conferma e le tutela sempre e dovunque come servizio disinteressato alla verità dell’uomo”.
Importante è la definizione di laicità e laicismo a proposito delle quali il documento si pronuncia così:”la promozione secondo coscienza del bene comune della società politica nulla ha a che vedere con il confessionalismo o l’intolleranza religiosa. Per la dottrina morale cattolica la laicità intesa come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica - ma non da quella morale - è un valore acquisito e riconosciuto dalla Chiesa e appartiene al patrimonio di civiltà che è stato raggiunto”. E più avanti dice: “Tutti i fedeli sono ben consapevoli che gli atti specificamente religiosi (professione della fede, adempimento degli atti di culto e dei Sacramenti, dottrine teologiche, comunicazioni reciproche tra le autorità religiose e i fedeli, ecc.) restano fuori dalle competenze dello Stato, il quale né deve intromettersi, nè può im alcun modo esigerli o impedirli, salvo esigenze fondate di ordine pubblico”.
Certo, queste affermazioni non tolgono nulla al doveroso impegno a difendere con “mezzi leciti” le verità morali riguardanti “la vita sociale, la libertà, la giustizia, il rispetto della vita, e degli altri diritti della persona”.
Interessantissima è poi la precisazione: “il fatto che alcune di queste verità siano anche insegnate dalla Chiesa non diminuisce la legittimità civile e la laicità dell’impegno di coloro che il esse si riconoscono (...) La laicità infatti indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le verità che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una”.
Viene ancora precisato che il “Magistero della chiesa non vuole esercitare un potere politico né eliminare la libertà di opinione dei cattolici su questioni contingenti cioè non relative ai diritti fondamentali dell’uomo: l’unica sua preoccupazione è istruire e illuminare la coscienza dei fedeli (...) perché il loro agire sia sempre al servizio della promozione integrale della persona e del bene comune”.
Vi è ancora un invito ad assumersi le proprie responsabilità di cittadini: “vivere ed agire politicamente in conformità alla propria coscienza non è un succube adagiarsi su posizioni estranee all’impegno politico o su una forma di confessionalismo, ma l’espressione con cui i cristiani offrono il loro coerente apporto perché attraverso la politica si instauri un ordinamento sociale più giusto e coerente con la dignità della persona umana. E coloro che in nome del rispetto della coscienza individuale volessero vedere nel dovere morale dei cristiani di essere coerenti con la propria coscienza un segno per squalificarli politicamente, negando loro la legittimità di agire in politica coerentemente con le proprie convinzioni riguardanti il bene comune, incorrerebbero in una forma di intollerante laicismo. (...) Se così fosse, si aprirebbe la strada ad un’anarchia morale che non potrebbe mai identificarsi con nessuna forma di legittimo pluralismo: la sopraffazione del più forte sul debole sarebbe la conseguenza ovvia di questa impostazione.
Nel quarto punto della nota dottrinale viene affrontato un altro scottante argomento: si parla dell’appoggio “di alcune associazioni o organizzazioni di ispirazione cattolica a forze e movimenti politici” dichiaratamente “contrari all’insegnamento morale e sociale della Chiesa. Tali scelte e condivisioni - dice la Nota - essendo in contraddizione con principi basilari della coscienza cristiana, non sono compatibili con l’appartenenza ad associazioni o organizzazioni che si definiscono cattoliche. Analogamente è da rilevare che alcune Riviste e Periodici cattolici in certo paesi hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche in maniera ambigua e incoerente, equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica e senza tenere in considerazione i principi” della Dottrina cattolica.
Interessante è ancora l’invito a “presentare in termini culturali moderni il frutto dell’eredità spirituale, intellettuale e morale del cattolicesimo”, necessità questa che è oggi “carica di un’urgenza improcrastinabile, anche per evitare una diaspora culturale dei cattolici”. Infatti “è insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi a una semplice trasformazione delle strutture, perché se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta”.
C’è ancora una precisazione per non creare malintesi: “ sono da respingere quelle posizioni politiche e quei comportamenti che si ispirano ad una visione utopistica la quale, capovolgendo la tradizione della fede biblica in una specie di profetismo senza Dio, strumentalizza il messaggio religioso, indirizzando la coscienza verso una speranza solo terrena. Nello stesso tempo - si avvia alla conclusione il documento - la chiesa insegna che non esiste autentica libertà senza la verità (...). In una società dove la verità non viene prospettata e non si cerca di raggiungerla, viene debilitata anche ogni forma di esercizio autentico di libertà, aprendo la via ad un libertinismo e individualismo, dannosi alla tutela del bene della persona e della società intera.
Ed è bene ricordare una verità che non sempre viene percepita o formulata esattamente nell’opinione pubblica corrente: il diritto alla libertà di coscienza e in special modo alla libertà religiosa (...) si fonda sulla dignità ontologica della persona umana, e in nessun modo il Concilio fonda questo diritto alla libertà religiosa sul fatto che tutte le religioni e tutte le dottrine, anche erronee, avrebbero un valore più o meno uguale; lo fonda invece sulla dignità della persona umana, la quale esige di non essere sottoposta a costrizioni esteriori che tengono ad opprimere la coscienza nella ricerca della vera religione e dell’adesione ad essa”.
Riporto ora la conclusione del documento: “Gli orientamenti contenuti nella presente Nota intendono illuminare uno dei più importanti aspetto dell’unità della vita del cristiano: la coerenza tra fede e vita, tra vangelo e cultura perché i fedeli sono tenuti a compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno”.

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