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Bono, Elena - La moglie del procuratore

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
ed. Marietti

“… Forse voleva che l’aiutassi a soffrire, forse per questo era venuto a trovarmi e io l’ho scacciato, quando era voluto tornare. Ma adesso l’ho cercato io, me lo sono preso quello che lui soffre, ho preso la mia parte, non m’importa sapere neppure perché soffre. Soffro con lui e basta... nei momenti più tremendi, quando mi sento cadere sotto tutta quest’angoscia, allora viene e lo rivedo come quella notte… io rivedo il suo viso… ho cercato un cuore nuovo, un cuore come quello del ladrone crocefisso con lui, ho abbandonato il cuore difficile, combattuto e ho preso un cuore docile…”.
E’ una delle frasi conclusive di un intenso, drammatico dialogo che si svolge per un’intera nottata tra il senatore e poeta Seneca e Claudia Procula, vedova moglie del procuratore Ponzio Pilato, trent’anni dopo il processo, la condanna e la crocefissione di Cristo nella provincia di Giudea in Palestina.
Dopo quel fatto sia Claudia che Pilato non sono state più le stesse persone, come se uno tsunami dello spirito avesse sconvolto violentemente le loro esistenze e si siano ritrovati naufraghi dentro una vita che per loro aveva perso il significato. Una vita che, prima
dell’incontro con Gesù, scorreva tranquillamente lungo i binari dell’obbedienza alle leggi, ai costumi e ai valori su cui era fondata la loro esistenza.
Nella notte precedente il processo, Claudia ha un sogno: le appare di spalle un Cristo silenzioso. Il mattino dopo, mentre Pilato è seduto nel Tribunale “… sua moglie gli mandò a dire : cerca di non decidere niente contro quest’uomo innocente, perché questa notte ,
in sogno, ho sofferto molto per causa sua
….” (dal Vangelo secondo Matteo c. 27, v.19).
Il procuratore chiede a Cristo: “ ... che cos’è la verità… ?” senza ottenere la risposta. La scrittrice, sulla visione di Claudia e sull’interrogativo insoddisfatto del marito, costruisce tutta la narrazione di questo lungo tesissimo confronto con Seneca, alla fine del quale troviamo una sorprendente rivelazione.
Quello che di più ci affascina di questo libro non è l’intelligenza della Bono nel delineare le posizioni filosofiche al tempo dell’impero romano nel 64 d. C., dominato dal folle e crudele Nerone o nel cercare il come e il perché l’aristocrazia dell’epoca avesse assunto
la filosofia dello scetticismo e dello stoicismo come concezione di sé, della realtà e della vita .
Questo è ciò che racconta la Bono nella prima parte del romanzo, anche se riteniamo molto interessante la descrizione del contesto sociale e storico che fa l’autrice, nelle pagine in cui racconta lo stupore, la curiosità e lo smarrimento che questi intellettuali hanno vissuto verso l’iniziale diffusione del “contagio di una setta” (il cristianesimo) presso il popolo.
Ci ha catturato nella lettura di questo testo la descrizione dei sussulti continui dell’anima di Claudia, i suoi timori e i tremori, le domande che tormentano il suo cuore, la angosciosa irrequietezza fino ai quesiti incalzanti che la donna pone al filosofo sul significato della
virtù, della dignità umana e, specialmente, sul destino che attende ciascuno di noi, dopo la morte.
Nel momento in cui Claudia Procula racconta di un Dio che si è fatto carne, che si è fatto crocefiggere e poi è risorto, lo sconvolgimento di Seneca è totale e quasi traumatizzante. La moglie del procuratore afferma di sognare sempre la figura di Cristo, di essere angosciosamente addolorata per il modo con cui si era svolto il Suo processo, il cui ricordo continua ad assillarla ancora dopo tanto tempo e ha perfino condotto alla follia suo marito Ponzio Pilato.
Estremamente commovente risulta inoltre il racconto che la Bono fa di alcuni “poveri di spirito” che sono stati toccati dall’evento che ha cambiato la Storia dell’umanità, come per esempio la figura della mite serva di Claudia, cioè la giovane Dafne. Particolarmente
significativi sono anche i ritratti che vengono fatti dalla scrittrice del centurione, di Longino che, dopo aver trafitto il costato di Cristo viene a sua volta trafitto dal suo sguardo morente, capace di ridonare la vista al soldato che stava diventando cieco; infine, quella
del ladrone pentito….
Legittima è anche questa domanda: perché questo straordinario romanzo cattolico, scritto nel 1956 e pubblicato a suo tempo anche in Francia e in Inghilterra, viene riscoperto e ristampato mezzo secolo dopo?

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